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Abstract

A partire dal XVII secolo, ad Aceh si osserva una stretta connessione tra religione e politica, e la corte reale partecipa ed organizza attivamente i rituali islamici; centro di questa attività, sia politica che religiosa è costituita dal Dalam al Dunia, il complesso palaziale, sede del Sultano e della vita politica e religiosa dello Stato. L’intreccio tra politica e Islam, in effetti, non permette di distinguere le due sfere, che erano, nel XVII secolo, saldamente unite nella figura del sovrano; altrettanto importanti sono poi altre figure religiose e civili, ed una particolare rilevanza era assunta dallo shaykh al islam, l’autorità religiosa più importante dopo il Sultano.


Starting from the 17th century, in Aceh, a close connection between religion and politics is observed, and the royal court actively participates in and organizes Islamic rituals; the center of this activity, both political and religious, is constituted by the Dalam al Dunia, the palace complex, the seat of the Sultan and the political and religious life of the State. The intertwining of politics and Islam, in fact, does not allow for the distinction of the two spheres, which were, in the 17th century, firmly united in the figure of the sovereign; equally important were other religious and civil figures, and a particular significance was assumed by the shaykh al islam, the most important religious authority after the Sultan.


Introduzione – Centro Amministrativo, Politico e Religioso

Il complesso palaziale che si osserva ad Aceh nel XVII secolo non aveva la semplice funzione di residenza del sovrano; al contrario, il palazzo, insieme agli altri edifici che lo completavano, era anche il centro amministrativo (e politoco) dello Stato. Il carattere di quest’ultimo può essere definito senza dubbio islamico, in quanto la religione era una delle fonti principali della legittimazione del potere detenuto dal sovrano, posto a capo di uno stato islamico. Fatta questa premessa, sembra interessante notare che le fonti su questo aspetto non abbondano; in ambito europeo, la fonte più ampia e credibile è quella di Beaulieu, che tuttavia non fornisce una descrizione completa del Palazzo Reale.

Ad ogni modo, il palazzo si trovava a circa 4 chilometri del mare, ed era noto come ‘Dalam (Dal) al Dunia, ‘La dimora del mondo’, ed era stato costruito alla confluenza dei fiumi Aceh, e Dar al Ishq (la dimora dell’amore). Il palazzo venne ricostruito nel 1613, ed un ramo del secondo fiume venne deviato per passarci in mezzo; la sua forma, come riporta Beaulieu, era ovale, ed aveva una circonferenza pari a circa due chilometri. La sua difesa era assicurata da un fossato profondo dieci metri e della medesima larghezza; la struttura, dunque, si presenta come monumentale, e testimonia il potere del sovrano di Aceh.

Era qui che risiedeva la corte, e che si svolgevano i complessi rituali, determinati da una combinazione di elementi tradizionali e islamici; in generale, si possono identificare quattro sezioni del complesso reale, ciascuna con funzioni differenti. La prima è la corte esterna, seguita dalla corte intermedia, dalla corte interna, e dalle stanze private del sultano; ciascuna di esse era dotata di una porta e di un cortile, e, di conseguenza, l’accesso alla parte più interna, privata, era riservata al sultano e a poche persone autorizzate.

La prima corta, quella più esterna, viene descritta come ‘un campo aperto con pochi edifici’, e poteva ospitare circa 4,000 persone e 300 elefanti; era qui che avvenivano le lotte in onore del sovrano o di ospiti illustri. Era sempre qui che avvenivano e si svolgevano le complesse cerimonie previste dal protocollo di corte; il centro amministrativo, invece, era situato nella corte intermedia, chiamata anche ‘seconda corte’ dagli olandesi. La corte interna, la terza, serviva come luogo per incontrare i dignitari e i capi di Stato stranieri; l‘ultima corte, infine, era usata dal sovrano e dalla sua famiglia come residenza, e, per questa ragione, essa prevedeva una stretta sorveglianza.

Il complesso era poi completato dai giardini reali, noti come ‘Taman Ghayrah’ (Giardino della Passione), che ospitava anche una moschea; presso la collina antistante era posto anche il luogo di sepoltura dei sovrani (kandang). Il Dalam al Dunia, di cui attualmente non rimangono nemmeno le rovine, era dunque una piccola cittadella fortificata, che svolgeva diverse funzioni e rifletteva la particolare natura politica e amministrativa del sultanato.


Le Cerimonie Religiose

Come è stato sottolineato nel paragrafo precedente, il Palazzo Reale (Dalam) era il centro della vita politica, sociale, religiosa ed economica del regno; la grandiosità del complesso, che richiama e sottolinea la duplice natura del potere, politico e religioso, era coerente con quanto richiesto dall’adat, il diritto consuetudinario. Una parte essenziale della vita del palazzo, e del sultanato, erano le cerimonie religiose, e la religiosità viene attribuita, in generale, ad ogni cerimonia, in virtù del carattere inestricabile del sovrano, guida religiosa e politica allo stesso tempo. In questa sezione, cercherò di presentare, nei loro tratti essenziali, le caratteristiche di alcune cerimonie di particolare rilevanza che avevano nel palazzo il loro centro e culmine.


La Preghiera del Venerdì

Una delle cerimonie più complesse riguarda la preghiera rituale e collettiva del Venerdì, che la tradizione islamica indica come obbligatoria per i musulmani maschi adulti; a tale proposito, mi pare utile fare una breve riflessione sul fatto che in uno stato islamico, specialmente nel XVII secolo, la religione non è un fattore personale, ma pubblico. Di conseguenza, anche un evento religioso acquisisce un’importanza sociale e sanzionata ufficialmente; non sorprende, dunque, che in questa occasione si svolgesse una articolata processione, di cui non si conoscono i dettagli. Esistono, tuttavia, dei resoconti coevi che aiutano ad avere un’idea più precisa del fasto di questi eventi; il 26 giugno ed il 2 luglio del 1613, due mercanti inglesi assistono a tali processioni, e le descrivono in questi termini.

. . . we meett his majestie in most rioall staitt in the waie to the church
with great solemntie. He had, for his guard [that] went before him,
200 greatt ollephantes, 2000 small shott, 2000 pikes, 200 launces, 100
bowmen; 20 naked swordes of pure gould caried before him. 20 fencers
went before him, plaiinge with swordes and targettes. A horsse [was]
leed before him, covered with beaten gould, the bridle sett with stones;
at his sadle crutch a shaff [i.e. sheaf] of arrowes, the quiver of beatten gould, sett with pretious stones. Before him went his towe sons,
of 8 or 9 yeares old, arrayed with jewelles and rich stones. His majestie
rode upon an ollephant; his sadle of pure gold; his slave behynd him
in rich arraye, with his beetle box and a fann of pure gould in his
hand, to keepe the flies from the kinge. The kinges robbes weere so
rich that I cannott well describe them. He had a turband upon his
head, sett with jewells and prettious stones invalluable; creast and
sword of pure gold, the skaberd sett with stones. Before him went
an ollephant with a chaire of staitt, covered all with beatten sillver,
that, if yt should chaunce to rayne, he might change ollephants.
This ollephant had casses maid of pure gold, to putt upon his teeth.
From the church he retourned to a place of pleassure prepared for
his entertaynmentt.

. . . incontriamo la sua maestà in tutto il suo regale stato sulla via per la chiesa (si riferisce alla moschea) con grande solennità. Aveva, per la sua guardia che andava davanti a lui, 200 grandi elefanti, 2000 fucilieri, 2000 picche, 200 lance, 100 arcieri; 20 spade d’oro puro portate davanti a lui. 20 schermidori andavano davanti a lui, giocando con spade e scudi. Un cavallo [venne] condotto davanti a lui, coperto di oro battuto, il morso incastonato di pietre; alla sua sella una fascina di frecce, la faretra d’oro battuto, incastonata di pietre preziose. Davanti a lui andavano i suoi due figli, di 8 o 9 anni, vestiti di gioielli e pietre preziose. La sua maestà cavalcava su un elefante; la sua sella era d’oro puro; il suo schiavo dietro di lui in ricca veste, con il suo scatolo di coleotteri e un ventaglio d’oro puro in mano, per tenere le mosche lontane dal re. Le vesti del re erano così ricche che non riesco a descriverle bene. Aveva un turbante sulla testa, adornato con gioielli e pietre preziose inestimabili; cresta e spada d’oro puro, il fodero adornato con pietre. Davanti a lui andava un elefante con una sedia di stato, coperta tutta di argento battuto, affinché, se dovesse piovere, potesse cambiare elefanti. Questo elefante aveva casse fatte di puro oro, da mettere sui suoi denti. Dalla chiesa tornò in un luogo di piacere preparato per il suo intrattenimento.

(Thomas Best, The Voyage of Best to the East Indies, 1612–1614, ed. by Sir W. Foster, London: The Hakluyt Society, 1934, p. 171).

Il testo, scritto in inglese rinascimentale, conferma la maestosità e la complessità del cerimoniale, che culminava nella moschea (chiamata chiesa) di cui non vengono forniti dettagli; è ragionevole supporre, tuttavia, che si trattasse di un edificio sontuoso e molto grande, capace di ospitare il sovrano ed il suo seguito. Del resto, il termine ‘mosque’ sembra essere diventato di uso comune solamente di recente, mentre appare sconosciuto (o poco usato nel migliore dei casi) nel XVII secolo; in effetti, ‘temple’ o ‘church’ indicava un edificio di culto, a prescindere dalla religione interessata.

La limitatezza del vocabolario, dunque, riflette anche la scarsa conoscenza del mondo islamico, paragonabile a quella del cristianesimo nei primi secoli, in cui si impiega spesso (e rimane tuttora in uso) il termine ‘tempio’, per indicare una chiesa cristiana. Sono testi come quello menzionato in precedenza, del resto, che hanno plasmato la percezione attuale dell’Islam e delle sue caratteristiche; non sorprende, dunque, l’uso di termini cristiani (e in precedenza pagani) per indicare le guide religiose, connotandole come ‘sacerdoti’, sebbene il concetto di sacerdozio sia estraneo all’Islam sunnita.


Il Mese di Ramadan

Anche il mese di Ramadan, tradizionalmente dedicato al digiuno rituale dall’alba al tramonto, prevedeva dei rituali specifici nella corte di Aceh del XVII secolo; il primo, e probabilmente più importante, era quello che celebrava, precedendola, la venuta del ‘mese sacro’. Gli altri due, invece, erano considerati meno importanti, e si svolgevano in corrispondenza della ‘Notte del Destino’, di cui si celebravano le ‘vigilie’ (26 Ramadan) e il giorno stesso, ovvero il 27 di Ramadan. Anche in questo caso, viene scelto un giorno particolare per questa ricorrenza, sebbene la tradizione sunnita non indichi con certezza una delle notti degli ultimi dieci giorni di Ramadan.

Da questo punto di vista, il sultano si conferma come guida religiosa suprema di Aceh, una sorta di califfo locale, dotato dell’autorità di prendere decisioni e interpretare la dottrina islamica in maniera ‘autentica’; il sultano, dunque, esprime una sorta di magistero, in virtù della sua posizione di guida politica e religiosa. La tradizione islamica, ancora una volta, viene fusa con le consuetudini locali (adat) e diventa da esse indistinguibile; la comunità, dunuqe, era coesa, almeno apparentemente, sotto una sola ed unica guida, ed era indipendente. Il sultanato di Aceh, che attualmente corrisponde alla provincia di Aceh, ha sempre ritenuto fondamentale la sua indipendenza e particolarità, caratteri che si esprimevano nei rituali a cui ho accennato.

Al centro, vi era sempre la figura del sultano, che offriva le cerimonie a nome della comunità, nelle vesti di una sorta di ‘mediator dei’, una figura (quasi) sacerdotale che rappresentava la sua comunità e la guidava verso una (supposta) prosperità, intesa in senso sia materiale che spirituale, religioso. Tale fusione, direi totale, tra il piano politico e religioso, conferiva una rilevanza pubblica primaria a rituali che erano fondamentalmente religiosi.

La medesima rilevanza pubblica era (ed è tuttora) attribuita ai rituali che concludevano il mese di Ramadan, ovvero la ‘Festa della Rottura del Digiuno’, al termine dei 29 o 30 giorni di digiuno rituale; non sorprende, dunque, che tale festa rappresentasse uno dei momenti principali dell’anno, e tale rilevanza è ancora presente attualmente, non solamente ad Aceh, ma nel mondo islamico in generale. Ad Aceh, tuttavia, ritorna centrale la figura del sovrano, che in altre tradizioni appare più defilata, e che, nuovamente, assicura il corretto svolgimento dei rituali.


Elaborazione delle Cerimonie

Le molteplici e complesse cerimonie, come quelle discusse in precedenza, comprendevano sempre elementi legati ai rituali reali previsti dalla legislazione tradizionale (adat); anzi, le cerimonie religiose diventano parte dell’adat, e lo completano, e viceversa. In altre parole, adat e Islam diventano due elementi che si arricchiscono a vicenda e che si evolvono nel corso del tempo, formando un corpus inedito e per nulla banale. Per questa ragione, ancora oggi, non è possibile pensare ad Aceh senza pensare anche, allo stesso tempo, ad un Islam che riveste un ruolo pubblico centrale, e non secondario; in altre parole, l’identità stessa di Aceh è islamica, ma di un Islam proprio di Aceh, che si è evoluto nel corso dei secoli, e che continua ad evolversi, esprimendosi in forme nuove, ma sostanzialmente fedeli al paradigma originario.

Le cerimonie, in particolare, diventano l’espressione simbolica (e tangibile) dell’autorità pubblica, che riuniscono la comunità sotto l’egida del sovrano e della religione, gli unici orizzonti della vita pubblica nel XVII secolo. Un ruolo altrettanto importante, poi, lo rivestono coloro a cui il sovrano delega parte della sua autorità, rappresentato dagli amministratori locali e centrali, che possono assumere una natura religiosa o meno. La complessità del cerimoniale previsto, evidentemente, richiedeva la presenza attiva di figure specializzate in particolari funzioni, o che dovevano agire in momenti particolari delle cerimonie; si crea, in questo modo, una rete decisamente complessa di funzionari mediante i quali si concretizzava l’autorità del sultano.


Gli Ulama e lo Stato

Considerando la stretta connessione tra Stato e Religione, non sorprende il ruolo pubblico degli ulama, ei sapienti islamici, che gli europei consideravano ‘sacerdoti’; si tratta di coloro che erano (e che sono ancora) incaricati di interpretare, trasmettere ed insegnare la dottrina religiosa. Per questa ragione, essi potevano detenere una delle cariche religiose previste dall’ordinamento di Aceh nel XVII secolo; del resto, il ruolo degli ulama sembra risalire al XVI secolo, quando sapienti da altri Paesi si stabilirono ad Aceh. Gli acehnesi, poi, mostrano una particolare predilezione per la teologia e per il sufismo, e, per questa ragione, la provenienza araba dovrebbe essere esclusa.

Una particolare importanza era rivestita dallo shaykh al Islam, l’autorità islamica più importante dopo il sultano; si trattava, dunque, di un ufficio prestigioso, il cui rappresentante doveva consigliare direttamente il sovrano sulle questioni religiose, e, dunque, dello Stato. Uno degli shaykh più importanti sembra essere stato Shams al Din al Samatrani, la cui vita è poco nota, ma attestata sia nelle fonti acehnesi che europee. Si consideri, a questo proposito, il resoconto di John Davies, esploratore del XVI secolo, che parla di un ‘arcivescovo’ e di altre autorità religiose, riferendosi allo shaykh al islam ed alle altre cariche religiose islamiche.

These people boast themselves to come of Ismael and
Hagar, and can reckon the Genealogie of the Bible
perfectly. In Religion tliey are Mahometists, and pray with
Beades as the Papists doe.

They bring up their Children
in Learning, and have many Schooles. They have an
Archbishop and Spirituall Dignities. Here is a Prophet
in Achien, whom they greatly honour; they say that hee
hath the spirit of Prophesie, as the Ancients have had. He
is dignified from the rest in his Apparell, and greatly
imbraced of the King.
The people are generally very cunning Merchants, and
wholy dedicated thereunto.

Queste persone si vantano di discendere da Ismaele e Agar, e possono contare la genealogia della Bibbia perfettamente. In religione sono mahometani e pregano con le corone (rosari) come i papisti. Allevano i loro figli nell’apprendimento e hanno molte scuole. Hanno un Arcivescovo e dignità spirituali. Qui c’è un Profeta in Achien (Aceh), che essi onorano molto; dicono che egli ha lo spirito di Profezia, come avevano gli Antichi. È distinto dagli altri nel suo abbigliamento e molto apprezzato dal Re. La gente è generalmente molto astuta nei commerci e completamente dedicata a questo.

(Albert Hastings Markham, The Voyages and Works of John Davies the Navigator, The Hakluyt Society, London, 1880, p. 151.)

Questo breve passaggio conferma la tendenza europea di interpretare la realtà mediante concetti familiari, e sembra confermare la presenza dello shaykh al islam, interpretato come una sorta di arcivescovo. In realtà, si tratta di una lettura parzialmente corretta, in quanto lo shaykh aveva le prerogative di un arcivescovo, e, in aggiunta, era dotato anche di funzioni maggiori rispetto alla controparte cristiana. Lo shaykh era più simile ai vescovi-conti (e vescovi-duchi medievali) che ormai erano stati superati nel mondo occidentale, ovvero ai vescovi che erano anche dei sovrani locali; nel mondo islamico, invece, questa tendenza era ancora attuale, e lo è ancora.


Conclusioni

Il Sultanato di Aceh del XVI e XVII secolo si presenta come uno Stato islamico, in cui religione e ambito civile si confondono; il sovrano, in effetti, aveva una doppia funzione, di capo religioso e di capo dello Stato. Per questa ragione, non sorprende che sia lui al centro degli elaborati rituali svolti in occasione delle ricorrenze religiose islamiche, come il Ramadan e la Preghiera del Venerdì; in questi casi, il Palazzo reale era lo scenario di processioni e cerimonie molto elaborate, volte a sottolineare il ruolo di guida religiosa e politica della comunità acehnese.


Letture Consigliate

  • Hadi, A. (2004). Islam and State in Sumatra. A Study of Seventeenth-Century Aceh. Brill. Leiden.
  • Halid, R. I. B. R. (2021). The Adat Aceh: A window into a 17th-century Malay soundscape. Indonesia and the Malay World49(145), 395-411.
  • Burhanudin, J. (2021). Islamic Turn in Malay Historiography: Bustān al-Salāṭīn of 17th Century Aceh. Studia Islamika28(3), 579-605.


Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.)

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