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Abstract

Nel periodo antecedente alla rivoluzione islamica del 1979, l’Iran ospitava una vivace pluralità religiosa in cui le comunità cristiane, seppur minoritarie, occupavano un ruolo significativo nella vita culturale, educativa e spirituale del Paese. Questo articolo cerca di indagare il percorso storico e sociale delle principali confessioni cristiane nel contesto della monarchia Pahlavi, allo scopo di mettere in luce le loro istituzioni, le dinamiche quotidiane e le sfide affrontate in un’epoca di modernizzazione e crescenti tensioni politiche e sociali.


In the period preceding the Islamic Revolution of 1979, Iran hosted a vibrant religious plurality in which Christian communities, although minority, played a significant role in the cultural, educational, and spiritual life of the country. This article seeks to investigate the historical and social trajectory of the main Christian denominations in the context of the Pahlavi monarchy, highlighting their institutions, daily dynamics, and the challenges faced during an era of modernisation and increasing political and social tensions.


IntroduzioneBreve Panoramica del Periodo Precedente alla Rivoluzione del 1979

Prima della Rivoluzione Islamica del 1979, l’Iran si presentava come una società pluralista in termini sia religiosi che culturali; alla maggioranza sciita si aggiungevano minoranze religiose storiche, che continuavano a vivere e a tramandare le proprie tradizioni. Si pensi, in questo senso, alle comunità cristiane, protagoniste silenziose di una lunga storia segnata dalla fede, dalla resilienza e da un forte senso identitario.

Le radici del cristianesimo in Iran affondano nei primi secoli dell’era cristiana, come è già stato discusso su questa rivista; in un Paese segnato da profonde trasformazioni politiche e sociali, le diverse tradizioni cristiane (armeni, assiri, caldei, cattolici e protestanti) hanno mantenuto, a volte con una certa difficoltà, una propria organizzazione, un patrimonio liturgico specifico e una presenza attiva nella società. Si tratta di una storia che testimonia la resilienza e la capacità di adattarsi in un contesto che ha alternato fasi di apertura a momenti di repressione e marginalizzazione.

Durante la dinastia Pahlavi (1925–1979), e in particolare sotto Mohammad Reza Shah, il progetto statale di modernizzazione e occidentalizzazione inaugurò nuovi spazi di visibilità per le minoranze religiose. Le comunità cristiane ottennero un maggiore accesso all’istruzione, ai mezzi di comunicazione e alla vita associativa, ma restarono sempre marginali rispetto al potere politico, in un sistema che continuava a privilegiare l’identità islamica sciita.


Il Cristianesimo in IranUna Prospettiva Storica

La presenza del cristianesimo in Iran affonda le radici nei primi secoli dell’era volgare, quando la fede si diffuse nelle province orientali dell’Impero Partico e, successivamente, in quello Sasanide; in un contesto in cu l’identità religiosa era indissolubilmente legata a quella culturale e politica, le prime comunità cristiane seppero organizzarsi in reti autonome, capaci di resistere alle pressioni delle grandi potenze dell’epoca e di gettare ponti fino all’Asia Centrale, all’India e alla Cina.

Durante l’Impero Sasanide (ca 224–651 E.V.), la Chiesa d’Oriente (spesso associata alla dottrina nestoriana) raggiunse un notevole livello di sviluppo teologico e istituzionale; tollerata a fasi alterne, fu talvolta bersaglio di persecuzioni, specialmnente quando le autorità temevano un allineamento dei cristiani locali con l’Impero Romano, divenuto cristiano. Ciò nonostante, la comunità cristiana seppe resistere, mantenendo la propria vitalità grazie a una solida gerarchia ecclesiastica e a una intensa attività missionaria.

Con l’avvento dell’Islam nel VII secolo, le comunità cristiane ottennero lo status di dhimmi, ossia di minoranze tollerate ma subordinate alle autorità islamiche; tale condizione, comportava restrizioni e tassazioni specifiche, ma garantiva una certa autonomia interna e la sopravvivenza delle strutture religiose. Pertanto, furono molte le chiese che continuarono ad operare, specialmente nelle città e nelle regioni più periferiche, alimentando una storia segnata da adattamento, resilienza e forti legami con la cristianità orientale.

Nel periodo safavide (ca. 1501–1736 EV), l’adozione dell’Islam sciita come religione di Stato rese più difficile la condizione delle minoranze cristiane; ciò nonostante, è proprio in questo periodo che gli armeni deportati da Shah Abbas I fondarono la comunità di New Julfa a Isfahan. Quest’ultimo diventò presto un centro di vita religiosa, culturale e commerciale che, ancora oggi, testimonia la ricchezza della presenza cristiana in Iran. In quel quartiere nacquero chiese sontuose, scuole, botteghe e tipografie che fecero degli armeni un punto di riferimento imprescindibile nella vita urbana dell’epoca, e che segnano ancora un punto di riferimento imprescindibile per l’Iran, nonostante la censura e una narrazione ufficiale che rende invisibili le minoranze.

Sotto la dinastia Qajar (1796–1925), poi, la situazione delle minoranze religiose diventa contraddittoria; in effetti, le comunità cristiane sono ufficialmente tollerate, ma si alternano momenti di apertura a periodo di restrizioni, segnati da violenza e marginalizzazione. Tuttavia, è proprio in questo periodo che si intensifica la presenza di missionari occidentali, soprattutto protestanti e cattolici. A costoro si deve la fondazione di scuole, ospedali e istituti formativi, con un impatto duraturo rispetto allo scenario educativo del Paese.

L’avvento della dinastia Pahlavi segnò un punto di svolta. Sotto Reza Shah e, ancor più, con il figlio, Mohammad Reza Shah, l’Iran diede inzio al processo (controverso) di modernizzazione e laicizzazione; non sorprende, dunque, che le minoranze religiose (come i cristiani), beneficiarono di una maggiore libertà, soprattutto nei centri urbani. Le scuole cristiane acquisirono prestigio, molte chiese furono restaurate, e vennero fondate anche nuove istituzioni culturali. Anche se rimasero ai margini della vita politica, le comunità cristiane riuscirono a inserirsi nel tessuto sociale e a dialogare, almeno in parte, con la maggioranza sciita.


La Presenza Cristiana nel Periodo Monarchico

Il mosaico del cristianesimo in Iran, alla vigilia della rivoluzione islamica, era sorprendentemente ricco e articolato; sebbene rappresentassero una minoranza , le comunità cristiane costituivano una presenza storica e profondamente radicata nel tessuto sociale del Paese. Tra le principali confessioni, poi, si possono menzionare gli armeni apostolici, gli assiri e i caldei, i cattolici di rito latino e orientale, nonché i protestanti e gli evangelici. Ogni gruppo, poi, presentava caratteristiche e profili specifici, che verranno brevemente ricapitolati nelle righe che seguono.

Armeni
La Chiesa apostolica armena era la comunità cristiana più numerosa, con insediamenti significativi a Teheran, Isfahan (New Julfa) e Tabriz; forte di un’antica tradizione, essa disponeva di una solida rete di scuole, giornali, istituzioni culturali e opere caritative. Gli armeni godevano anche della rappresentanza parlamentare e mantenevano un’identità religiosa e nazionale ben distinta, sostenuta da una liturgia in lingua armena e da un calendario ecclesiastico autonomo.

Assiri e Caldei
I cristiani assiri e caldei, che si esprimevano (e si esprimono tuttora) in siriaco, erano presenti in modo particolare nella parte Nord occidentale dell’Iran, ed erano legati, rispettivamente, alla Chiesa d’Oriente e alla Chiesa caldea unita a Roma. Si tratta di comunità meno numerose e più isolate rispetto agli armeni, ma che, tuttavia, erano profondamente radicate nella loro identità storica.

Cattolici
I cattolici, in particolare di rito latino, avevano una presenza più discreta ma altamente qualificata, e, a tale proposito, si osserva che missionari francesi e italiani (come i Lazzaristi e i Domenicani) gestivano scuole prestigiose come il liceo Saint-Louis a Teheran, a cui si aggiungevano strutture sanitarie apprezzate anche dalla popolazione islamica. Le celebrazioni liturgiche si svolgevano prevalentemente in latino, ma spesso adattate alla realtà linguistica persiana o armena.

Protestanti ed Evangelici
Le chiese protestanti, sviluppatesi grazie a missioni americane e britanniche a partire dal XIX secolo, si distinguevano per il loro approccio centrato sull’istruzione, sull’assistenza medica e sulla diffusione della Bibbia in lingua persiana. Sebbene esigue, queste comunità erano dinamiche, con una presenza significativa a Teheran, Hamadan e Urmia; inoltre, alcuni convertiti dall’Islam costituivano una componente particolarmente vulnerabile ma attiva della chiesa evangelica.

Nel loro complesso, le confessioni cristiane presenti in Iran prima della rivoluzione islamica costituivano una rete variegata e vitale, impegnata nella difesa della propria identità religiosa e culturale all’interno di una società in rapida trasformazione.


Le Dinastia Pahlavi e le Chiese Cristiane

Nel corso del XX secolo, la dinastia Pahlavi guidò l’Iran in un tempo segnato da profonde trasformazioni, e l’ascesa di Reza Shah prima, e del figlio Mohammad Reza Shah, in seguito, il Paese intraprese un complesso quanto controverso percorso di modernizzazione, centralizzazione del potere e apertura verso l’Occidente. In questo scenario, anche le minoranze religiose, come le comunità cristiane, dovettero ripensare il proprio ruolo in una società in transizione verso la modernità.

Si osserva, a questo proposito, che le confessioni cristiane furono ufficialmente riconosciute e tutelate dalla legislazione, che, accordava la possibilità ad armeni, assiri e altre minoranze storiche di gestire con una certa autonomia le proprie attività religiose, educative e culturali. Pertanto, la presenza cristiana era visibile e legittimata, nonché rappresentata nel Parlamento nazionale; inoltre, esistevano scuole cristiane e anche tribunali religiosi per le problematiche inerenti alla famiglia.

Mohammed Reza Pahlavi con Harry Truman (dicembre 1949)

L’epoca dei Pahlavi, seppure con limiti e contraddizioni, rappresentò un periodo di relativa apertura per le chiese cristiane; a Teheran, Isfahan e Tabriz (città cosmopolite e centri di innovazione) le chiese erano parte integrante del paesaggio urbano. Non era raro poi che vicino alle chiese sorgessero scuole, centri culturali, biblioteche, ospedali e persino teatri; i licei cattolici e armeni, del resto, erano frequentati anche da studenti musulmani, attratti dalla qualità dell’insegnamento e dal tenore internazionale dell’offerta formativa.

Le celebrazioni religiose, come messe, processioni, e riti legati alle principali festività liturgiche, si svolgevano pubblicamente, in un clima di sostanziale tolleranza; si trattava di eventi a cui anche la stampa talvolta dedicava la propria attenzione. Il clima era dunque quello di un Paese moderno e pluralista, in cui le minoranze godevano di diritti ed erano pubblicamente riconosciute e tutelate; ciò nonostante, si deve precisare che non si trattava di una perfetta integrazione. In effetti, esistevano dei limiti significativi all’accesso dei cristiani alle posizioni di vertice della pubblica amministrazione, della magistratura o delle forze armate.

Pertanto, si trattava di una coesistenza a volte problematica, che celava delle tensioni sociali, in quanto era proibito convertirsi dall’Islam al cristianesimo, e le persone coinvolte erano soggette ad uno stigma sociale evidente. Tale situazione diventò ancora più complessa negli anni Settanta, in cui lo Stato assumeva contorni sempre più autoritari, e la maggioranza islamica iniziava ad assumere posizioni più intransigenti, costringendo molti cristiani a lasciare il Paese o a pianificare tale azione.


Le Comunità Cristiane e la Dinastia Pahlavi

Nel complesso tessuto sociale dell’Iran pre-rivoluzionario, la vita quotidiana delle comunità cristiane si distingueva per un equilibrio tra spiritualità, identità culturale e partecipazione civica; grazie alla relativa libertà di cui godevano le comunità cristiane, le chiese non rappresentavano solamente dei luoghi di culto, ma anche e soprattutto dei centri fondamentali dal punto di vista sociale.

La dimensione religiosa costituiva il centro nevralgico di queste comunità, il cui senso identitario era costruito e cementato dallo svolgimento dei riti religiosi e sociali, come le messe domenicali, le feste liturgiche, i matrimoni e le commemorazioni funebri. Ciascuna confessione, poi, disponeva di un proprio rito, calendario liturgico e di una lingua usata per le celebrazioni religiose.

Cattedrale Armena di Isfahan (era Safavide)

L’istruzione, ancora, costituiva un pilastro fondamentale per le comunità cristiane, e le scuole paritarie, che spesso erano gestite da ordini religiosi o da fondazioni cristiane, erano generalmente apprezzate anche dai musulmani. Non sorprende, dunque, che istituti come il liceo armeno Alborz o l’Istituto Saint-Louis di Teheran formavano giovani di diverse provenienze sociali, combinando il necessario rigore accademico ad una certa apertura internazionale e ad un solido spirito comunitario. L’insegnamento, del resto, si svolgeva spesso in più lingue, come il persiano, il francese, l’inglese, l’armeno o il siriaco, a seconda delle necessità.

La vita sociale delle comunità cristiane era animata da una fitta rete di associazioni culturali, sportive e giovanili; associazioni come i circoli musicali, i teatri, i gruppi scout e le ‘società di mutuo soccorso’, che contribuivano a rafforzare il legame comunitario e l’integrazione sociale. Le donne, poi, ricoprivano ruoli attivi, specialmente in ambito educativo e caritativo, e promuovevano spesso iniziative a favore dei sopiù vulnerabili.

Le relazioni con la maggioranza musulmana erano complesse ma generalmente pacifiche, specialmente nelle aree urbane; la vita sociale non era organizzata in spazi esclusivi, ma cristiani e musulmani spesso frequentavano spazi comuni, anche se spesso tale atteggiamento era determinato da motivazioni professionali e non religiosi. Nelle aree rurali o più conservatrici, invece, i cristiani potevano incontrare diffidenza o stigamtizzazione, atteggiamenti alimentati anche dal legame percepito con l’Occidente.

La stampa confessionale, formata da giornali, bollettini parrocchiali e riviste culturali, era un prezioso strumento di comunicazione e di formazione dell’identità cristiana; in questo periodo, in effetti, circolavano diverse pubblicazioni in armeno, siriaco, inglese o francese. In tali riviste si potevano trovare riflessioni religiose, ma anche analisi sociali, notizie comunitarie e spunti culturali, contribuendo a mantenere vivi i legami comunitari e con i cristiani della diaspora.


Il Periodo Pre-Rivoluzionario

Negli anni Settanta del secolo scorso, l’Iran era un paese sospeso tra il desiderio di modernità e un diffuso malcontento, alimentato da disuguaglianze sociali, repressione politica e tensioni culturali; il regime monarchico, attivamente sostenuto dall’Occidente e promotore di una modernizzazione forzata, appariva sempre più distante dalle istanze popolari. In questo clima incerto e volatile, l’opposizione iniziò a raccogliere forze eterogenee, accomunate da un solo obiettivo, abbattere il regime dello Shah. Di tale instabilità seppero approfittare le correnti più conservatrici e politicizzate dell’Islam, e figure carismatiche come l’ayatollah Khomeini riuscirono a presentarsi come la soluzione alle aspirazioni del popolo iraniano, tradendole immediatamente dopo la Rivoluzione Islamica.

In tale quadro, le minoranze come i cristiani osservavano con crescente preoccupazione il progressivo affermarsi di una retorica rivoluzionaria che esaltava l’identità islamica come fondamento esclusivo del nuovo ordine politico. Le chiese cristiane avvertivano il rischio di essere marginalizzate oppure di essere identificate con il regime monarchico, specialmente a ragione della storica vicinanza delle istituzioni cristiane alle missioni europee e americane, che alimentava le diffidenze verso i cristiani.

Non sorprende, pertanto, che tra il 1975 e il 1979 si registrò un aumento significativo delle partenze verso gli Stati Uniti d’America, il Canada e l’Australia; le iscrizioni alle scuole cristiane diminuirono notevolmente, mentre la partecipazione dei cristiani alla vita sociale venne notevolmente ridotta. A questo clima instabile i cristiani mostrarono reazioni diversificate; alcuni di essi riteneva che fosse ancora possibile un dialogo, mentre altri compresero che il cambiamento in atto era irreversibile e radicale, e lasciarono il Paese.


Conclusioni

La vicenda delle chiese cristiane in Iran prima della Rivoluzione lslamica del 1979 è caratterizzata da una storia di convivenza e di tensioni politiche e sociali; la presenza cristiana, seppure millenaria, viene progressivamente marginalizzata e ridotta al silenzio. La connivenza con la monarchia ha reso i cristiani dei nemici della neonata Repubblica Islamica, sancendo una rottura vistosa con il passato che non si è ancora risolta, e cha ha condannato i cristiani iraniani al silenzio o alla fuga.


Letture Consigliate

  • Ervand Abrahamian. (2008). A History of Modern Iran. Cambridge University Press. London.
  • Ayatollahi, A. Y. (2022). Constitutionalism, Religion & Modernization. In Political Conservatism and Religious Reformation in Iran (1905-1979) Reconsidering the Monarchic Legacy (pp. 95-191). Wiesbaden: Springer Fachmedien Wiesbaden.
  • Katouzian, H. (2025). Iran Under the Pahlavi Monarchy: Essays in Iranian History, Politics, Culture and Literature. Taylor & Francis.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 hai iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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