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Abstract

In Pakistan, uno Stato dichiaratamente islamico, essere cristiani significa vivere in un clima di sospetto e di abusi continui, sia da parte delle autorità islamiche che da parte dei vigilantes, gruppi di cittadini che si improvvisano giudice e giuria in situazioni che invece andrebbero verificate. Attualmente, è sufficiente un sospetto basato su una notizia non verificata per scatenare violenze e abusi che nella maggior parte dei casi rimangono impuniti.


In Pakistan, an avowedly Islamic state, being Christian means living in a climate of suspicion and continuous abuse, both from Islamic authorities and from vigilantes, groups of citizens who take on the roles of judge and jury in situations that should instead be verified. Currently, it is enough for a suspicion based on an unverified report to trigger violence and abuses that in most cases go unpunished.


Introduzione – Minoranze Senza Diritti

Il trattamento delle minoranze negli Stati democratici costituisce un problema delicato, che assume una complessità ancora maggiore in Stati a maggioranza islamica, o islamici tout court; l’esperienza dell’Indonesia appare illuminante. Fatta eccezione per la provincia di Aceh, in cui viene implementata la legge islamica, il resto del Paese è teoricamente retto da una Costituzione secolare (o quasi) basata sulla filosofia di Stato, la Pancasila.

Ciò nonostante, le minoranze cristiane e buddiste sono spesso esposte all’arbitrio dei governi locali, e le tensioni possono anche sfociare in incidenti; un esempio, su tutti, è l’attentato terroristico alla cattedrale di Makassar, compiuto da una cellula di Jamaah Ansharut Daulah. Oltre agli attentati veri e propri, spesso sono i politici o le figure (pseudo) religiose ad alimentare discorsi basati sull’odio per le minoranze; a Cilegon, nella provincia di Banten è stato costruito un muro che impedisce l’accesso al terreno scelto per la costruzione di una chiesa protestante.

Le autorità hanno incolpato i ‘gruppi islamisti’, ma il sindaco si era rifiutato nel mese di settembre (il muro è stato eretto a dicembre), firmando una petizione presentata da un gruppo radicale, che si opponeva alla costruzione della chiesa per la comunità cristiana locale. L’uso dell’Islam politico, evidentemente, è una pratica consolidata che frutta un facile consenso, e l’esempio dell’Indonesia non è certamente isolato.

Il Pakistan, uno Stato islamico vero e proprio (retto dalla Shariah), presenta una situazione ancora più complessa per le minoranze, che sono assoggettate a politiche discriminatorie; questo assetto, tuttavia, non sembrava essere (secondo alcune fonti storiche) quello dei padri fondatori della nazione, come Mohammad Jinnah e Ali Khan. Il progetto originario dello Stato pakistano sarebbe stato secolare, e non islamico, e avrebbe previsto una sostanziale protezione delle minoranze e dei loro diritti. Tuttavia, la nascita del Pakistan fu determinata proprio da motivazioni religiose, a cui si abbinavano anche elementi politici; per questa ragione, la natura e il progetto dell’entità statale pakistana sono risultati ambivalenti ab origine.


Stato Islamico vs Secolare

Il Pakistan fu concepito come la patria per i musulmani che vivevano nel Raj Britannico, al pari del progetto israeliano, concepito come patria per gli ebrei del mondo intero; di conseguenza, il secolarismo accreditato ai padri fondatori potrebbe essere esagerato. E’ possibile, in altre parole, che le intenzioni dei padri fondatori della nazione fossero differenti rispetto a quello riportato da alcune fonti storiche; le dichiarazioni sulla libertà per le minoranze, del resto, sono sempre subordinate al rispetto dei ‘valori islamici’.

Nell’opera nota come Irshadaat e Jinnah, Gli insegnamenti di Jinnah, il fondatore della patria pakistana avrebbe dichiarato che

Sotto la leadership onorevole del Quaid-e-Azam Muhammad Ali Jinnah, gli sforzi sinceri dei musulmani devono portare alla fondazione di una patria separata chiamata “Pakistan”, affinché (i musulmani, ndr) possano organizzare liberamente la propria vita individuale e collettiva secondo valori morali tratti dal Corano e dalla Sunnah (la Tradizione profetica).

(Mufti Ghulam Jaffar, Irshadaat e Jinnah, Gli insegnamenti di Jinnah, Adabistan, Lahore, 1935, p.9)

A Jinnah vengono spesso attribuiti discorsi contrastanti, ma probabilmente il contrasto è solo apparente, in quanto il principio fondamentale del nuovo Stato, che sarà creato 12 anni dopo la composizione dell’opera appena citata, si basa sull’Islam, ovvero il Corano e le Tradizioni profetiche (e.g. Sunnah). Pertanto, deve essere escluso un secolarismo come lo si intende comunemente in Occidente, e la protezione delle minoranze di cui parla Jinnah è quella storicamente intesa dal mondo islamico e non da quello occidentale. Le minoranze, in effetti, godevano di diritti limitati, e subordinati ad un trattamento di cittadini di seconda classe, come avveniva nell’Impero Ottomano; si tratta di un concetto, dunque, che è lontano da quello occidentale.


Uno Stato Islamico

A prescindere da quali fossero le reali intenzioni di Jinnah e degli altri padri fondatori del Pakistan, su cui si discute tuttora nel mondo accademico, lo sviluppo successivo ha tolto ogni dubbio sulla natura dello Stato, che, dagli anni Ottanta acquista una chiara impronta islamica. Del resto, già la Costituzione del 1956 parla di ‘Repubblica Islamica del Pakistan’; di conseguenza, il vero problema non è il posto della shariah, ma quello, evidentemente residuale, accordato a leggi secolari.

Tale impostazione ha un impatto negativo evidente sulle minoranze e sui diritti a loro accordati, a partire dalla libertà religiosa che nel Paese asiatico è pressoché inesistente; alcune minoranze, come gli Ahmadi sono attivamente perseguitati, analogamente a quanto accade in Indonesia. Per i cristiani la situazione non è certamente migliore, in quanto gli ostacoli verso una reale cittadinanza e partecipazione alla vita pubblica della nazione sono numerosi. Del resto, la stessa Costituzione pone come requisito, sia per il Presidente che per il Primo Ministro, quello di essere musulmano; di fatto, i cristiani non possono accedere a cariche pubbliche rilevanti.

Pertanto, il carattere islamico dello Stato, che nel corso del tempo si è rafforzato, sembra corrispondere ad una diminuzione progressiva dei diritti politici e civili per le minoranze religiose; si tratta di una tendenza, del resto, osservabile anche ad altre latitudini in cui la shariah diventa la legge dello Stato. Le cronache confermano quanto osservato da numerosi osservatori e attivisti per i diritti umani, come si può apprezzare da questo contributo risalente al 2023.

Si tratta di una situazione che beneficia la maggioranza sunnita che detiene il potere, e i responsabili di attacchi a case, negozi e chiese spesso rimangono impuniti; negli scenari migliori, i leaders politici promettono compensi e il ristabilimento della giustizia, che però rimane incompiuta. L’attività illegale dei vigilantes non viene contrastata in maniera efficace dalle autorità, che tollerano questi comportamenti, come accade in altre realtà (e.g. Aceh in Indonesia).


Libertà Religiosa in Pakistan

La situazione catastrofica per le minoranze religiose del Pakistan, e per quella cristiana in particolare, è confermata da numerosi osservatori e organizzazioni, governative e non; il Rapporto 2025 della Libertà Religiosa curato dal United States Commission on International Religious Freedom (USCIRF), ha posto il Pakistan tra le nazioni che destano una particolare preoccupazione.

USCIRF 2025, p. 11.

Come si può notare dall’immagine riportata sopra, quasi tutti i Paesi sono a maggioranza islamica o Stati Islamici, oppure sono sedi di dittature comuniste (Cina, Cuba, Vietnam); pertanto, non sembra possibile negare il legame della shariah (o meglio della sua applicazione radicale) e il mancato rispetto della libertà religiosa.

Il rapporto del 2025 (relativo al 2024) sottolinea che

In 2024, religious freedom conditions in Pakistan continued to
deteriorate. Religious minority communities—particularly Chris-
tians, Hindus, and Shi’a and Ahmadiyya Muslims—continued to
bear the brunt of persecution and prosecutions under Pakistan’s
strict blasphemy law and to suffer violence from both the police and
mobs, while those responsible for such violence rarely faced legal
consequences. Such conditions continued to contribute to a wors-
ening religious and political climate of fear, intolerance, and violence.

Nel 2024, le condizioni di libertà religiosa in Pakistan si sono ulteriormente
deteriorate. Le comunità religiose minoritarie — in particolare i cristiani,
indù e musulmani sciiti e ahmadiyya — hanno continuato a
sopportare il peso delle persecuzioni e delle incriminazioni secondo la severa legge sulla blasfemia del Pakistan, e a subire violenze sia dalla polizia che dalla folla (vigilantes, ndr), mentre coloro che erano responsabili di tali violenze raramente ne hanno subito le conseguenze legali.

Tali condizioni continuano a peggiore il clima religioso e politico, segnato da paura, intolleranza e violenza.

(USCIRF, 2015, p. 32)

Human Rights Watch, una ONG con sede a Ginevra, conferma il medesimo quadro problematico,

The Pakistani authorities enforced blasphemy law provisions that have provided a pretext for violence against religious minorities and left them vulnerable to arbitrary arrest and prosecution. Mob and vigilante attacks on people for alleged “blasphemy” killed four people; the government failed to hold the perpetrators accountable.

In June, a mob lynched a 36-year-old man after accusing him of committing blasphemy. The local police failed to intervene to protect the man. In two separate incidents in Umerkot, Sindh and in Quetta in September, police fatally shot two men accused of blasphemy. In September, a court sentenced Shagufta Kiran, a Christian woman, to death for allegedly sharing “blasphemous” material in a WhatsApp group.

Members of the Ahmadiyya religious community continue to be a major target for prosecutions under blasphemy laws and specific anti-Ahmadi legislation. Militant groups and the Islamist political party Tehreek-e-Labbaik (TLP) accused Ahmadis of “posing as Muslims.” Pakistan’s penal code also treats “posing as Muslims” as a criminal offense. In June, a mob of around 150 people attacked an Ahmadiyya place of worship in Kotli district and ransacked and damaged the building.

Le autorità pakistane hanno applicato le disposizioni della legge sulla blasfemia che hanno fornito un pretesto per la violenza contro le minoranze religiose e le hanno lasciate vulnerabili ad arresti e persecuzioni arbitrari. Attacchi di folla e giustizieri contro persone accusate di presunta “blasfemia” hanno ucciso quattro persone; il governo non è riuscito a ritenere i colpevoli responsabili.

A giugno, una folla ha linciato un uomo di 36 anni dopo averlo accusato di aver commesso blasfemia. La polizia locale non è intervenuta per proteggere l’uomo. In due incidenti separati a Umerkot, Sindh e a Quetta a settembre, la polizia ha ucciso a colpi d’arma da fuoco due uomini accusati di blasfemia. A settembre, un tribunale ha condannato a morte Shagufta Kiran, una donna cristiana, per aver presumibilmente condiviso materiale “blasfemo” in un gruppo WhatsApp.

I membri della comunità religiosa Ahmadiyya continuano a essere un obiettivo principale per le persecuzioni ai sensi delle leggi sulla blasfemia e della legislazione specifica anti-Ahmadi. Gruppi militanti e il partito politico islamista Tehreek-e-Labbaik (TLP) hanno accusato gli Ahmadi di “fingere di essere musulmani.” Il codice penale del Pakistan considera anche “fingere di essere musulmani” un reato. A giugno, una folla di circa 150 persone ha attaccato un luogo di culto Ahmadiyya nel distretto di Kotli, saccheggiando e danneggiando l’edificio.

(Human Rights Watch, Pakistan, 2025)

Si conferma dunque il clima di terrore in cui sono costrette a vivere le minoranze religiose (cristiani in primis), e l’inattività delle autorità rispetto alla (in)giustizia sommaria di vigilantes e folle senza controllo, che agiscono sotto il pretesto di presunte violazioni della shariah.


Marginalizzazione delle Minoranze

La graduale islamizzazione del Paese, che diventa evidente dalla presidenza di Zia Ul Haq, non è stata mitigata dai presidenti successivi; di conseguenza, le minoranze religiose, come i cristiani, vengono considerati stranieri, anche se essi risiedevano in queste regioni ancora prima della partizione del Raj Britannico. I cristiani del Pakistan sono considerate persone da guardare con sospetto, che nel migliore degli scenari devono essere convertiti all’Islam, oppure (nei peggiori scenari) espulsi dalla nazione tout court, o ancora essere indotti a lasciare il proprio Paese.

Non sorprende, dunque, che la popolazione cristiana sia diminuita nel corso del tempo, come dimostrato dai dati del censimento del 2017; rispetto al 1988, in cui i cristiani rappresentavano l’1.59% della popolazione, nel 2017 erano l’1.27%. Del resto, le teocrazie sono settarie per definizione, e il Pakistan esemplifica molto bene questo modello; l’Islam, dunque, è stato usato come un fattore limitante, coerentemente con l’uso politico che si osserva anche ad altre latitudini. Anche in Pakistan, l’Occidente e il cristianesimo vengono ancora percepiti come forze colonizzatrici, o ancora peggio ‘crociate’, secondo definizioni ampiamente diffuse nell’Islam radicale e nei gruppi islamisti/terroristici.

Il sospetto che pende sui cristiani, tuttavia, è totalmente ingiustificato, in quanto essi, sia prima che dopo la partizione, si sono adattati molto bene al loro nuovo Stato; in Pakistan, essi hanno cercato di essere dei buoni cittadini, e non sono noti eventi che giustificherebbero l’associazione tra i cristiani attuali e gli interessi dell’Occidente. Invece, l’odio nei loro confronti deriva da un’ideologia islamista radicale, che si alimenta anche di sentimenti anti-coloniali; questi ultimi, evidentemente, sono solo un pretesto per giustificare politiche settarie che hanno come obiettivo la conservazione del potere da parte della maggioranza sunnita.


Una Politica Controproducente

I cristiani hanno fino ad ora mostrato una sostanziale lealtà verso lo Stato pakistano, nonostante le evidenti discriminazioni e gli abusi perpetrati a loro danno, anche recentemente; tuttavia, se la negazione sistematica dei loro diritti continuerà, è probabile che essi cambino atteggiamento verso uno Stato che li considera, essenzialmente, come nemici appartenenti ad una nazione straniera.

La situazione attuale, del resto, potrebbe cambiare solamente se il Pakistan abbandonasse il modello dello Stato islamico; la natura teocratica della nazione non consente di accordare sostanziali diritti a coloro che la maggior parte dei musulmani considera stranieri. In altre parole, non è politicamente possibile cambiare le regole, e nemmeno l’atteggiamento verso le minoranze, fino a quando verrà adottato un altro modello statale, che preveda un contratto sociale differente e meno discriminatorio.

Una folla incendia e saccheggia una chiesa in Pakistan (agosto 2023)

Queste problematiche stanno creando un ambiente che sta diventando insostenibile, specialmente alla luce degli eventi più recenti, che mostrano un aumento delle tensioni inter religiose, e non il contrario; per queste ragioni, la leadership pakistana dovrebbe seriamente prendere in considerazione un altro modello per il governo del Paese. Sfortunatamente, la comunità internazionale non sembra essere interessata a quanto avviene in Pakistan, e tale disinteresse costituisce un serio ostacolo al cambiamento.


Conclusioni

Le minoranze religiose pakistane, specialmente quelle cristiane, subiscono continuamente abusi da parte delle autorità islamiche; spesso, la negazione dei diritti avviene mediante azioni perpetrate da vigilantes, ovvero privati cittadini che si arrogano il diritto di interpretare e applicare la shariah a loro piacimento. Le autorità, del resto, sembrano tollerare queste azioni, e i colpevoli non hanno quasi mai conseguenze legali. L’intervento formale delle autorità, in effetti, è limitato ai casi più gravi, capaci di creare ingenti problematiche all’ordine pubblico.

La fedeltà dei cristiani ad uno Stato teocratico, del resto, potrebbe cessare se la negazione sistematica dei loro diritti continuasse a lungo; è difficile ipotizzare che abusi continui non intacchino le buone intenzioni dei cristiani del Paese, che potrebbero mutare il loro atteggiamento in futuro.


Letture Consigliate

  • Gabriel, T. (2021). Christian citizens in an Islamic state: The Pakistan experience. Routledge.
  • Patras, A. I. (2024). Examining Pakistan’s Relationship with Religious Minorities: A Case Study of the Christian Community. NUST Journal of International Peace & Stability, 80-94.
  • Ittefaq, M., Ejaz, W., Jamil, S., Iqbal, A., & Arif, R. (2023). Discriminated in society and marginalized in media: Social representation of Christian sanitary workers in Pakistan. Journalism Practice17(1), 66-84.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 hai iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

Un pensiero su “Essere Cristiani in uno Stato Islamico – Il Pakistan”
  1. […] La svolta più incisiva si verificò durante il regime del generale Muhammad Zia-ul-Haq (1977–1988… la riforma dei curricula scolastici fu parte integrante di un progetto politico volto a consolidare il potere militare attraverso una legittimazione religiosa dello Stato. L’istruzione fu dunque modellata per produrre cittadini ‘devoti’, patriottici e conformi a un’interpretazione sunnita ortodossa dell’Islam, con una visione netta del nemico interno ed esterno. […]

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