Abstract
Ad Aceh, il governo islamico ha implemetato la sharia per preservare la propria posizione di dominanza, mediante una narrativa che occulta le problematiche e le tensioni esistenti; l’imposizione della sharia anche alle minoranze cristiane, la limitazione dei loro luoghi di culto e la difficoltà ad accedere ai posti pubblici, si accompagnano alla costante pressione ad osservare la legge islamica, anche quando non sussiste alcun obbligo giuridico in questo senso.
Ciò nonostante, la diffusione dei social media e delle moderne tecnologie potrebbero conferire alle minoranze una maggiore visibilità, costringendo il governo a rivedere alcune delle sue politiche discriminatorie.
In Aceh, the Islamic government has implemented sharia to preserve its dominant position, through a narrative that obscures existing problems and tensions; the imposition of sharia even on Christian minorities, the limitation of their places of worship, and the difficulty in accessing public positions, are accompanied by constant pressure to observe Islamic law, even when there is no legal obligation to do so.
Nevertheless, the spread of social media and modern technologies could give minorities greater visibility, forcing the government to reconsider some of its discriminatory policies.
Introduzione – Libertà Religosa, le Criticità
Ad Aceh, la legge islamica, teoricamente, si potrebbe applicare solamente ai musulmani, riconoscibili in maniera certa grazie ai documenti di identità, che recano l’affiliazione religiosa, come avviene nel resto dell’Indonesia. Questa limitazione teorica della legge islamica deriva dalla legge di n. 11/2006, ed in particolare dall’articolo 126, in cui si afferma chiaramente che
(1) Setiap pemeluk agama Islam di Aceh wajib menaati dan
mengamalkan syari’at Islam.
(2) Setiap orang yang bertempat tinggal atau berada di Aceh
wajib menghormati pelaksanaan syari’at Islam.
(1) Ogni seguace della religione islamica in Aceh è obbligato a rispettare e praticare la shari’a islamica. (2) Ogni persona che risiede o si trova in Aceh deve rispettare l’applicazione della sharia islamica.
(UNDANG UNDANG REPUBLIK INDONESIA NOMOR 11 TAHUN 2006 TENTANG PEMERINTAHAN ACEH, Pasal 126, ayat 1,2; Legge della Repubblica di Indonesia, n. 11 del 2006, sul governo della Provincia di Aceh, Articolo 126, commi, 1 e 2)
Il secondo comma, in realtà, sanzione e determina l’applicazione indiretta della sharia anche a coloro che non sono musulmani; il legislatore indonesiano ha dunque conferito a quello acehnese la facoltà di applicare la legge islamica a chiunque risieda, o si trovi momentaneamente ad Aceh. Non si tratta di un dettaglio di secondaria importanza, ma di una norma che di fatto discrimina i non musulmani, creando situazioni poco piacevoli o chiare.
L’articolo successivo (127) garantisce la libertà religiosa, e anche il Qanun, il codice penale di Aceh, garantisce la libertà di aderire e svolgere i riti della propria confessione religiosa (cristianesimo, buddismo, ecc.). Ciò nonostante, si registrano numerose violazioni di questo diritto fondamentale, e le problematiche derivano proprio dall’applicazione della sharia, che in pratica (per alcuni ma non maginali aspetti) deve essere rispettata anche dai cristiani e dalle altre confessioni religiose.
Da questa breve introduzione dovrebbe essere chiaro che la convivenza tra fedi religiose diverse, ad Aceh, non è affatto semplice; si tratta di una situazione, tuttavia, che non è accidentale, ma legata al quadro legislativo islamico, che, grazie alla sua ambiguità, riesce ad espandersi anche a coloro che non sarebbero soggetti a questa legislazione speciale.
I Cristiani di Aceh
I cristiani, in Indonesia, rappresentano realtà estremamente eterogenee, una situazione tipica delle minoranze; Aceh, evidentemente, non sfugge a questa regola, ma la conferma, e, di conseguenza, i cristiani che abitano in questa provincia esprimono aspirazioni e idee differenti. Si ricorda che, in Indonesia, quando si parla di ‘Kristen’ si intendono le diverse denominazioni protestanti, mentre i cattolici (katolik) seguono una classificazione separata.
Per questa ragione, sembra interessante esplorare la configurazione del cristianesimo ad Aceh, iniziando dalla popolazione cattolica, una minoranza nella minoranza, che però può contare su una solida e chiara gerarchia e sul supporto della Chiesa a livello nazionale e internazionale. Come noto, le comunità cattoliche sono organizzate in diocesi, e questa configurazione permette di cogliere degli evidenti benefici che invece sono assenti nelle comunità protestanti, tendenzialmente autocefale e decentralizzate. Rimangono in ogni caso le problematiche legate alla necessità di vivere in un contesto dominato dalla legge islamica, e generalmente ostile al cristianesimo, a prescindere dal suo ‘brand‘. I cristiani, in effetti, sono ancora considerati una forza coloniale, ed il sospetto che li circonda deriva anche da tale importante aspetto storicamente radicato.
La comunità cattolica acehnese, in effetti, dipende dalla Conferenza Episcopale Indonesiana (Konferensi Waligereja Indonesia, KWI), ma anche dalla Santa Sede; il sostegno e le risorse che si possono ricevere, di conseguenza, sono notevoli, al pari delle pressioni internazionali sul governo islamico.
Il cattolicesimo acehnese, dunque, è sostanzialmente omogeneo, a differenza del protestantesimo, che si può dividere in tre gruppi principali; si tratta delle Chiese Ecumeniche, Evangeliche e Pentecostali, che esprimono tendenze ed orientamenti diversi. I cristiani (riformati) ecumenici, in effetti, spesso vengono considerati come ‘cristiani liberali’; a tale gruppo appartengono i calvinisti, a cui aderiva la maggior parte dei funzionari coloniali olandesi, e i luterani, e sono rappresentati dalla Associazione delle Chiese Indonesiane, il ‘Persekutuan Gereja-gereja di Indonesia’, o PGI. A questa associazione, in effetti, aderisce la maggior parte delle chiese che non si riconoscono né pentecostali né evangeliche; si pensi, in questo senso, alla Chiesa Batak, a quella Giavanese e delle Molucche.
I cristiani evangelici, invece, esprimono una tendenza più conservatrice, ed appartengono, in Indonesia, alla PII, la ‘Persekutuan Injil Indonesia’, la Associazione delle Chiese del Vangelo’, oppure alla PGLII, la Persekutuan Gereja-gereja dan Lembaga-lembaga Injili Indonesia. I loro aderenti credono che la salvezza eterna dipenda strettamente dal seguire il ‘retto cammino’, e, per questo motivo, essi cercano di evangelizzare coloro che non sono cristiani o che appartengono a sette considerate eretiche. Tale approccio, coerente con la loro dottrina, può essere fonte di significative problematiche, specialmente in un contesto come quello di Aceh, dominato dalla sharia.
I Pentecostali, da ultimo, noti anche come ‘carismatici’, si concentrano sugli aspetti più spirituali, come i miracoli, le guarigioni e le esperienze spirituali; l’Associazione di riferimento, in questo caso, è la Persekutuan Gereja-gereja Pentakosta Indonesia, o PGPI. La loro presenza è anche informale, e non strettamente legata ad una Chiesa fisica; i pentecostali, in effetti, operano in ambiti molto diversi, come hotels, centri commerciali e residenze private. In un ambito come quello di Aceh, questo modus operandi può creare tensioni e problemi.
Applicazioni della Sharia ai Non Musulmani
L’applicazione della legge islamica a coloro che non sono musulmani può essere osservata in tre ambiti precisi, che non esauriscono le problematiche esistenti, ma le esemplificano molto bene;
- L’obbligo di portare il velo islamico per le donne cristiane
- Restrizioni per i Luoghi di Culto (principalmente cristiani, ma anche buddisti e induisti)
- Scarsa rappresentanza e visibilità pubblica (accesso al governo ed ai meccanismi di policy making)
Si tratta di problemi che esistono in Indonesia (e nel mondo islamico in generale), fatta eccezione (forse) per il primo punto, ma che ad Aceh assumono una portata maggiore; ovviamente, se ne potrebbero citare altri, ma quesi tre esemplificano perfettamente le problematiche delle minoranze nei contesti in cui viene applicata la sharia.
La relazione tra le minoranze religiose (principalmente cristiane ma non solo) e la maggioranza musulmana sunnita è informata dal modello ospite/ospitante; in altre parole, i cristiani di Aceh sarebbero degli ospiti, e, in quanto tali si dovrebbero adeguare alle regole determinate dai ‘padroni di casa’. Questo paradigma conferisce pieni diritti ai musulmani e diritti limitati e concessi ai non musulmani; quando si parla di Aceh non si dovrebbe mai dimenticare la presenza di questa relazione asimmetrica, che la maggioranza islamica, evidentemente, cerca di preservare.
Una delle manifestazioni di questa tendenza è costituita, come accennato in precedenza, dall’obbligo per le donne cristiane di portare il velo islamico negli spazi pubblici; si tratta, teoricamente, di una norma che non riguarderebbe i cristiani, ma che, di fatto, è permessa dal secondo comma del citato articolo 126, comma 2 della legge n. 11 del 2006. Sebbene tale obbligo non sia sempre giuridico, le pressioni sociali spesso lo elevano ad un’obbligazione vera e propria; si pensi, ancora, che nella polizia, le donne, anche cristiane, devono indossare un’uniforme che prevede il velo islamico.
L’implementazione della sharia, poi, determina una limitazione (incostituzionale) dei luoghi di culto per le religioni diverse dall’Islam sunnita; i requisiti richiesti dal Qanun, in effetti, non si applicano alle moschee sunnite, ma solamente ai luoghi destinati al culto di una religione differente, anche dell’Islam shiita. Tale situazione, che traduce le intenzioni e la volontà del legislatore acehnese, perpetua le disuguaglianze e amplifica le tensioni tra le diverse confessioni religiose; la quasi assenza di chiese cristiane e templi (buddisti e induisti), permette alla maggioranza sunnita di ‘confermare’ il carattere islamico. Invece, i cristiani, che stanno aumentando anche ad Aceh, sono spesso costretti a riunirsi in luoghi informali, che sfuggono alle statistiche, creando uno scenario fittizio e non corrispondente alla realtà.
Da ultimo, si consideri l’estrema difficoltà di accedere alle istituzioni per le minoranze religiose, ovvero il governo (nelle sue diverse ramificazioni), oppure alle forze dell’ordine (polizia, ecc.); spesso, tra le condizioni richieste per accedere agli impieghi pubblici risulta l’appartenenza alla fede islamica sunnita. Quando un cristiano, poi, riesce ad accedere ad un organo rappresentativo, o ad un’istituzione in generale, la sua posizione risulta estremamente vulnerabile, e la pressione a convertirsi all’Islam, e a rispettare la sharia (anche quando non sarebbe un obbligo giuridico) sono molto forti.
Segregazione e Stigma Sociale
Le comunità minoritarie, sia religiose che etniche, sono quindi relegate in una posizione di sudditanza e marginalità da parte della maggioranza sunnita; la segregazione che esiste, in effetti, è sociale ancora prima di essere politica o religiosa. In altre parole, sono le persone che evitano di interagire con coloro che appartengono ad una minoranza, che è spesso etnica e religiosa allo stesso tempo; non sorprende, dunque, che i cristiani (ma anche buddisti e induisti) siano di fatto esclusi dalla vita pubblica di Aceh, e considerati come semi-cittadini, individui con diritti limitati, e su cui aleggia sempre il sospetto.
Una situazione del genere, in realtà, non dovrebbe sorprendere, in quanto emblematica del modello ospite/padrone, che viene rinforzato dai primi anni di vita, e che ‘giustifica’, poi, il trattamento asimmetrico di coloro che in realtà sono cittadini secondo la legge, sia di Aceh che dell’Indonesia. In altre parole, un comportamento e una politica di questo genere non sono considerati anomali, nemmeno da parte di coloro che li subiscono. Essi, in effetti, ritengono che tali pratiche siano giustificate, e che ci si deve conformare, in quanto esse sarebbero naturali; in questo modo, evidentemente, diventa estremamente difficile migliorare la condizione delle minoranze.
In questo modo, evidentemente, vengono perpetuate le problematiche discusse in precedenza, e amplificate le tensioni, specialmente quando si considera che nel resto dell’Indonesia le condizioni dei cristiani sono certamente migliori rispetto a quanto si osserva nella provincia islamica di Aceh. La percezione degli acehnesi, che, in buona fede, sostengono l’esistenza di una convivenza pacifica tra le religioni, deriva dunque da una chiara distorsione cognitiva, che rende incapaci di cogliere la complessità di uno scenario che, al contrario, denota una serie di criticità significative.
Tale narrazione, evidentemente, permette alla maggioranza islamica di perpetuarsi e mantenere lo status quo; sorgono dei legittimi dubbi, tuttavia, sulla sostenibilità di questo modello nel lungo periodo, derivanti dall’accesso ai social media ed alle critiche e pressioni internazionali. Il governo di Aceh, per quanto abile a manipolare la percezione della realtà, è sostanzialmente impotente rispetto alle reazioni esterne. Evidentemente, le reazioni alle scelte compiute dal governo islamico sfuggono alla censura governativa; di conseguenza, la classe dirigente di questa provincia potrebbe essere costretta a rivedere alcune delle sue politiche discriminatorie in un futuro non lontano.
Conclusioni
L’analisi del caso di Aceh mostra chiaramente che l’applicazione della sharia diventa il pretesto per limitare, di fatto, le libertà delle minoranze religiose (ed etniche), contrariamente a quanto prevede sia la legge locale che nazionale. La limitazione dei luoghi di culto, degli impieghi governativi ed istituzionali, e la costante pressione ad uniformarsi alle legge islamica, anche quando non sussisterebbe tale obbligo giuridico, configura uno scenario complesso. In altre parole, la maggioranza islamica sunnita cerca, con successo, di mantenere l’identità islamica della provincia, mediante politiche di segregazione sociale, politica e religiosa, unite ad una narrazione manipolata della realtà, che riesce a rendere invisibili tensioni e problemi.
La crescente importanza e diffusione dei social media, tuttavia, potrebbe dare una maggiore visibilità pubblica alle minoranze, e costringere il governo a rivedere alcune delle sue politiche discriminatorie; di fatto, il cristianesimo sta crescendo, nonostante una situazione che connotare difficile sembra eufemistico.
Letture Consigliate
- Amri, Y., & Ansor, M. (2022). Shari’a State and the Making of Christian’s Polyphonic Narrations in Contemporary Aceh, Indonesia. Journal of Contemporary Islam and Muslim Societies, 5(2), 250-289.
- Mustaqilla, S., Abdullah, I., Ichwan, M. N., & Lailatussaadah, L. (2024). The Existence of Non-Muslim Minorities in Aceh Indonesia: A Study of Civil and Police Institutions. Samarah: Jurnal Hukum Keluarga dan Hukum Islam, 8(1), 628-645.
- Ansor, M., Arrauf, I. F., & Amri, Y. (2016). Under the shadow of sharia: Christian muslim relations from acehnese christian experience. Komunitas, 8(1), 125-134.
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