religious freedom
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Abstract

Il processo di shariatisation attivamente promosso dal Majelis Ulama Indonesia ha suscitato reazioni contrapposte; da una parte, si trovano coloro che ritengono l’azione del Majelis Ulama Indonesia come un’indebita intrusione rispetto all’ordinamento statale. Dall’altra parte, il MUI ed i loro sostenitori affermano di agire nell’ambito delle loro competenze; tale situazione, del resto, riflette il conflitto che si osserva tra la religione maggioritaria, l’Islam, e l’approccio secolare della Costituzione del 1945.

Il Majelis Ulama Indonesia, forte del suo monopolio nell’emanazione delle fatawa, cerca costantemente di fare pressioni sui governi dell’Indonesia, allo scopo di integrare le norme della legge islamica nell’ordinamento giuridico e nella sfera pubblica del Paese. Lo Stato, tuttavia, dovrebbe preservare la sua neutralità rispetto alle religioni presenti in Indonesia, ma spesso questo non avviene; per queste ragioni, si configurano spesso conflitti tra quanto previsto dalla Konstitusi del 1945 e le aspirazioni di shariatisation incarnate e guidate dal Majelis Ulama Indonesia.


Introduzione

L’aumento dell’autorità del MUI in generale, e l’uso prevalente di fatawa e raccomandazioni che riguardano la sfera legale e pubblica indonesiana, hanno comportato due diverse posizioni all’interno della società indonesiana. Coloro che sostengono la shariatisation affermano che il MUI dovrebbe avere un ruolo maggiore in ambito legale e pubblico, mentre i suoi detrattori ritengono che il ruolo dell’organizzazione islamica dovrebbe essere limitato.

La maggiore autorità religiosa del MUI nelle sfere legali e pubbliche viene inteso da alcuni gruppi come un tentativo del Majelis Ulama Indonesia di reintrodurre la religione nell’arena politica; in effetti, le fatawa del Consiglio che contengono ordini o proibizioni ed influenzano le politiche pubbliche, rappresentano una forma di incursione della religione nell’ordinamento statale. Si configura, in questo modo, una minaccia al sistema giuridico esistente, sancito dalla Konstitusi del 1945 e ribadito da diverse sentenze della Corte Costituzionale. Quest’ultima, come noto, ha ribadito la supremazia dello Stato rispetto alla legge islamica, e non viceversa.

Il MUI, tuttavia, sostiene di aver agito nell’ambito delle sue competenze, e di seguire procedure democratiche concordate, rivendicando l’autorità di integrare religione e Stato mediante le sue fatawa e raccomandazioni. Dal punto di vista legale, le argomentazioni del Majelis Ulama Indonesia risultano simili a quelle adottate dai gruppi islamisti che vogliono l’implementazione della sharia in Indonesia, sulla base di un’interpretazione del primo principio della Pancasila. Quest’ultimo, in effetti, menziona la fede in un solo Dio (ma non della religione islamica); a tale proposito, si osserva che Mahfudh (MUI-NU), Amin (MUI-NU), Muzadi (NU) e Din Syamsuddin (Muhammadiyah) supportano l’idea di incorporare elementi della sharia nella legge indonesiana senza però trasformare lo Stato in uno Stato islamico vero e proprio.

Il Front Pembela Islam (FPI), condivide questa posizione, ma Majelis Mujahidin Indonesia (MMI) e Hizbut Tahrir Indonesia (HTI) la hanno chiaramente rifiutata; secondo queste due organizzazioni islamiste/terroriste, gli sforzi del MUI costituiscono un passo preliminare verso la vera e completa shariatisation dell’Indonesia. HTI, in particolare, la branca indonesiana di Hizbut Tahrir, ha come obiettivo la creazione di un califfato globale, mentre il MMI chiede uno Stato islamico vero e proprio, retto totalmente dalla legge islamica.

Gli oppositori della shariatisation, al contrario, ritengono che la crescente accettazione delle fatawa del MUI nel discorso e nella pratica legale rappresenta una problematica rilevante per la posizione neutrale dello Stato secolare. Per questa ragione, chi sostiene questa posizione ritiene che lo Stato non dovrebbe tollerare la presenza delle prescrizioni della legge islamica nell’ordinamento statale, o la loro influenza sulle sentenze o in qualsiasi altra regolamentazione legalmente vincolante.


Tensioni tra la legge islamica e quella Statale

Le tensioni erano evidenti, in effetti, in occasione del disegno di legge sul contrasto alla pornografia ed alle attività pornografiche; in tale occasione, la bozza (nota come RUU-APP) della legge è stata preparata congiuntamente dal Majelis Ulama Indonesia e dal Ministero per gli Affari Religiosi. Il MUI, in particolare, riteneva che la legge avrebbe avuto la funzione di ‘polizia morale’ per il Paese asiatico; per questa ragione, tale organizzazione, insieme ad altri gruppi islamisti favorevoli all’implementazione della legge islamica in Indonesia hanno mobilitato una imponente manifestazione. Si tratta della ‘Aksi Sejuta Umat’, la ‘Marcia di Un Milione di Persone’, a cui hanno preso parte moltissime persone ed esponenti delle principali organizzazioni di massa islamiche, ovvero Nadaltul Ulama e Muhammadiyah.

La stampa locale, a questo proposito, ricorda che

Semua ormas Islam sepakat satu suara menuntut agar DPR segera mengesahkan RUU APP. Organisasi Islam terbesar di Indonesia seperti Muhammadiyah dan NU bahkan mendukung penuh aksi tersebut. Ketua Umum Pengurus Besar Nahdlatul Ulama (PBNU) KH Hasyim Muzadi dan Ketua Umum Pimpinan Pusat (PP) Muhammadiyah KH Din Syamsuddin menjadi orator di mobil komando.

Tutte le organizzazioni di massa islamiche hanno concordato all’unisono di chiedere alla DPR di approvare immediatamente la legge APP. Anche le più grandi organizzazioni islamiche indonesiane, come Muhammadiyah e NU, sostengono pienamente questa azione. Il presidente generale del comitato esecutivo del Nahdlatul Ulama (PBNU) KH Hasyim Muzadi e il presidente generale della leadership centrale di Muhammadiyah (PP) KH Din Syamsuddin erano gli oratori nell’auto di comando

(Arbi Sumandoyo, Dieqy Hasbi Widhana, Pasang Surut Aksi Ormas Islam Setelah Reformasi (Gli alti e bassi dell’azione della comunità islamica dopo la Riforma), 4 November 2006)

Tuttavia, all’interno delle due più grandi organizzazioni musulmane, NU e Muhammadiyah, i membri erano divisi riguardo alla legislazione proposta dalla bozza RUU-APP; coloro che sostenevano la legislazione appartenevano, principalmente, alla corrente mainstream, mentre altri si sono opposti al disegno di legge. Grazie al sostegno delle élite MUI, NU e Muhammadiyah, la legislazione del RUU-APP ha ottenuto una ricezione più ampia dalle comunità musulmane in generale, e la legge sulla pornografia è stata approvata nel 2008, ed è nota come ‘Undang-Undang Pornografi, UU n. 44/2008’, ovvero Legge sulla Pornografia, Legge n. 44 del 2008).


Il Monopolio del Majelis Ulama Indonesia

La crescente autorità religiosa del MUI rafforza anche la sua posizione come principale produttore di fatawa in Indonesia; i sostenitori di questa organizzazione, evidentemente, riconoscono tale ruolo, e sostengono la necessità, per i musulmani indonesiani, di essere rappresentati da un ente unico, allo scopo di guidarli nell’applicazione delle prescrizioni della sharia. Lo schieramento opposto, invece, disapprova questa posizione, sostenendo che permettere al MUI di essere l’unico emittente autoritativo di fatawa costituisce una grave minaccia per la democrazia ed il pluralismo sanciti dalla Costituzione e dalla Pancasila.

Nadlatul Ulama e Muhammadiyah, del resto, sono d’accordo nel promuovere il Majelis Ulama Indonesia come unico emittente di fatawa su questioni relative alla fede, alla diffusione della certificazione halal e all’economia basata sulle prescrizioni islamiche. Non sorprende, dunque, che Din Syamsuddin e Ahmad Fatah Wibisono (Muhammadiyah) hanno dichiarato che la loro organizzazione non emetterà fatawa in questi tre ambiti. Anche Nahdlatul Ulama (NU) concorda sul fatto che una maggiore responsabilità nell’emissione di fatawa sulla fede sia stata concessa al MUI; per questa ragione, Nadlatul Ulama ha emesso poche fatawa su tali questioni, dimostrando il loro sostegno alla crescente autorità del MUI.

Quando il Majelis Ulama Indonesia ha emesso la fatwa che denunciava (e vietava) la Ahmadiyah, ha ricevuto il pieno supporto sia di NU che di Muhammadiyah; le principali organizzazioni islamiche del Paese hanno infatti espresso il loro parere concorde sulla devianza religiosa di Ahmadiyah. Muzadi ha spesso dichiarato che l’Ahmadiyah non fa parte dell’Islam, mentre Din Syamsuddin suggerisce ha suggerito la possibilità che gli Ahmadi dovrebbero usare un nome diverso da Islam per riferirsi alla loro religione. In occasione della richiesta di revisione della Legge n. 1 del 1965 presso la Makhamah Konstitusi (Corte Costituzionale), le organizzazioni islamiche (NU, Muhammadiyah, MUI, ecc.), insieme ad elementi delle organizzazioni islamiste come FPI, HTI, MMI e FUI (Forum Umat Islam) hanno difeso la legge.

Si osserva, a tale proposito, che l’applicazione di questa legge del 1965 produce effetti significativi sulla vita religiosa del popolo indonesiano, in quanto essa ha determinato in modo esplicito il divieto di ‘devianza religiosa’, ‘blasfemia’, e ‘ateismo’. Non sorprende, dunque che questa normativa è stata considerata incompatibile con la Costituzione del 1945, sia dal punto di vista formale che materiale.

Costoro che si oppongono al ruolo del MUI sostengono che la concessione di una maggiore autorità a questa organizzazione, rispetto all’autorità di emettere fatawa, conferisce al Majelis Ulama Indonesia la possibilità di monopolizzare il pensiero islamico e, quindi, di diminuire la libertà di espressione in un Paese democratico e secolare come l’Indonesia. In effetti, il MUI non è il solo ente a poter emettere fatawa, in quanto anche altre organizzazioni islamiche possiedono propri organi a questo scopo. Si pensi al Forum Bahsul Masail di Nadlatul Ulama, al Forum Lembaga Tarjih di Muhammadiyah ed al Lembaga Hisbah di Persatuan Islam, la terza associazione islamica più importante del Paese asiatico.

Si osserva, a tale proposito, che l’impatto antidemocratico del monopolio del Majelis Ulama Indonesia sull’emissione di fatawa può essere osservato con chiarezza negli ambito economico (l’economia islamica) e nello stile di vita (halal). Le banche e le istituzioni finanziarie islamiche che operano in Indonesia sono obbligate ad ottenere certificati ed essere supervisionati dal Dewan Syariah Nasional (DSN) o Consiglio Nazionale della Sharia.


Islam e vita pubblica in Indonesia

Coloro che si oppongono al monopolio del MUI sollevano tre problematiche fondamentali, iniziando dal fatto che la posizione del Majelis Ulama Indonesia sia di tipo autoritario, in quanto non vengono riconosciute le opinioni divergenti espresse da altri organi di fatawa. Inoltre, si nota la preoccupazione che ad un’organizzazione non rappresentativa o un ente non eletto venga riconosciuto il potere di regolare e controllare la libertà religiosa degli indonesiani. Da ultimo, si teme che la monopolizzazione dell’autorità di emettere fatawa possa comportare una mercificazione dell’Islam; tale critica viene espressa da studiosi musulmani indipendenti, ONG islamiche e attivisti, e non dalle organizzazioni islamiche membri del MUI. Nadlatul Ulama, in realtà, ha tentato di rilasciare certificati halal in occasione del suo Congresso Nazionale del 2010, ma ha ufficialmente suggerito che tutte le questioni relative all’halal dovrebbero essere sottoposte al MUI, e tale posizione, del resto, è condivisa da Muhammadiyah.

Nelle questioni di fede, poi, la monopolizzazione del MUI ha portato questa organizzazione a diventare la polizia dell’ʿaqida, la dottrina islamica; questa conseguenza, in effetti, risulta evidente dalla categorizzazione dei vari gruppi di credenze. Coloro che seguono il credo sunnita sono definiti come mainstream, mentre gli altri vengono etichettati come devianti (sesat); non sorprende, dunque, la scelta di vietare esplicitamente gli Ahmadiyah, gli Sciiti ed altri gruppi locali considerati ‘devianti’. Si nota, a tale proposito, l’uso di credenze differenti da quello maggioritario per appore l’etichetta di ‘altri’.

Questo approccio del MUI, evidentemente, si configura come un serio problema per la tolleranza e la libertà religiosa in Indonesia; di conseguenza, non sorprende che la crescente influenza della religione maggioritaria sulle questioni private abbia suscitato notevoli preoccupazioni tra gli indonesiani, ed in particolare tra i gruppi laici e secolari. Il MUI, a tale proposito, afferma che l’Islam non opera una distinzione netta tra la sfera pubblica e quella privata; di conseguenza, il secolarismo sarebbe, secondo questa visione, una costruzione dell’Occidente. Per questa ragione, il MUI ritiene che sia suo dovere far diminuire la (supposta) influenza occicdentale in Indonesia; alcuni musulmani, poi, ritengono che tale separazione tra pubblico e privato sia pericolosa, in quanto essa potrebbe ostacolare la shariatisation in Indonesia.

Al contrario, sono diversi i gruppi a considerare la religione come una questione privata, come la Conferenza Internazionale su Religione e Pace, l’Istituto Wahid e le associazioni laiche; tuttavia, la regolazione delle molteplici questioni private da parte della legge islamica comporterà, di fatto, la trasformazione dello Stato indonesiano, una trasformazione che sembra essere preclusa dalla sua Costituzione. Si comprende, dunque, che il desiderio del Majelis Ulama Indonesia di gestire tutti gli aspetti della vita umana, sacra e mondana, privata e pubblica, venga aspramente criticato come contrario alla democrazia e ai diritti umani.


Majelis Ulama Indonesia e Libertà Religiosa

Il Majelis Ulama Indonesia ha definito eretici una serie di gruppi islamici (Ahmadiyah, Al-Qiyadah al-Islamiyah, ecc) mediante una serie di fatawa, si tratta di associazioni che dovrebbero essere protetti dallo Stato, il primo garante della libertà religiosa. La Costituzione del 1945, in effetti, riconosce piena libertà a tutti i cittadini indonesiani di abbracciare e praticare le proprie credenze; in realtà, si sono verificate diverse tragedie che hanno colpito gruppi ‘eretici’. Si pensi, a tale proposito, alla persecuzione dei seguaci dell’Ahmadiyah presso Cikeusik. Tale episodio si è verificato in una piccola regione di Giava Occidentale, mentre le chiese furono bruciate a Temanggung, un distretto di Giava Centrale, nella prima e nella seconda settimana di febbraio del 2011. Queste due tragedie illustrano drammaticamente la vulnerabilità dei gruppi ‘eretici’ indonesiani.

La libertà religiosa è notevolmente contestata e dibattuta tra i cittadini di molti Paesi, ma i gruppi mainstream hanno sempre dominato tale dibattito; a partire dall’era della reformasi (1998), è stata implementata la libertà religiosa. Ciò nonostante, si sono verificati diversi episodi di intolleranza, perpretrati da gruppi islamisti che si sono separati dalle organizzazioni di massa del Paese, e che hanno compiuto azioni persecutorie verso gruppi minoritari ed ‘eretici’. L’Indonesia, del resto, non ha dovuto affrontare le sfide alla libertà religiosa osservate nella tradizione occidentale.

Si ricorda, a tale proposito, che la legge n. 1 del 1965 sulla blasfemia è stata proposta come soluzione per proteggere l’integrazione e le relazioni armoniose tra i credenti, anche se alcune associazioni indonesiane ne hanno proposto una revisione giudiziaria. della legge. Il MUI, unitamente ad alcune figure di spicco delle organizzazioni islamiche mainstream, come Muzadi (il presidente generale della NU, 2009-2010), Din Syamsuddin e il governo indonesiano hanno rifiutato il processo proposto dal Religious Freedom Advocacy Team il 1 dicembre 2009. Di fatto, questa legge rimane controversa, ed è stata usata in chiave politica; per questa ragione, sono diverse le associazioni che ne richiedono l’abograzione.

Il rifiuto è stato giustificato dalla supposta necessarità di questa legge, e, in effetti, Suryadharma Ali, il Ministro degli Affari Religiosi, ha sostenuto che l’abrogazione di questa normativa potrebbe innescare conflitti basati sulla religione. Come parte coinvolta che si opponeva alla revisione giudiziaria, la posizione dell’MUI era molto chiara; Maruf Amin, allora presidente ad interim del Majelis Ulama Indonesia, ha affermato che un’eventuale revisione giudiziaria avrebbe comportato la nascita di una ‘libertà senza limiti’ in Indonesia. Il timore dei gruppi mainstream era la scomparsa dei divieti (religiosi) delle eresie e della blasfemia. Per queste ragioni, è stato chiesto di migliorare la legge, ma non di abrogarla come era stato chiesto da coloro che desideravano una maggiore libertà religiosa in Indonesia; Maruf Amin, inoltre, sosteneva la necessità di leggi e regolamenti più incisivi per superare la ‘presenza di gruppi eretici‘.

Le argomentazioni sollevate dagli esponenti del Majelis Ulama Indonesia, del resto, riflettono la concezione di libertà del MUI, che la considera una minaccia per la vita religiosa (e anche sociale) del Paese asiatico. In effetti, sia ‘libertà’ che ‘liberale’ sono intesi, dalle principali organizzazioni islamiche indonesiane, come concetti occidentali usati intenzionalmente per distruggere l’Islam. Il MUI sostiene che la libertà religiosa favorisce la diffusione di gruppi eretici, e, per questa ragione, ritiene suo dovere limitare la libertà che potrebbe danneggiare, secondo questa visione, la comunità islamica del Paese.

La situazione attuale della libertà religiosa presenta alcune somiglianze con le esperienze storiche della società occidentale riguardo alle leggi sulla blasfemia e l’eresia; nel caso dell’Indonesia, il pensiero dominante è l’Islam sunnita. In quanto sostenitori di questa scuola di pensiero islamico, il MUI e la maggior parte delle altre organizzazioni musulmane si sentono obbligate a difendere il dominio della loro ideologia religiosa.


Gli argomenti adottati dal Consiglio, del resto, sono simili a quelli usati dai primi cristiani nell’opposizione alle religioni pagane, e gruppi e individui che hanno credenze diverse vengono denunciati come devianti; secondo il MUI e altri gruppi islamici mainstream, i diritti religiosi dei musulmani sunniti sarebbero violati dalla presenza degli Ahmadiyah (e di altri ‘eretici’), che dovrebbero quindi essere banditi dall’Indonesia. Mahfudz Md, Presidente della Corte Costituzionale indonesiana tra il 2011 ed il 2013, ha affermato che solamente Dio ha il diritto di giudicare se un gruppo è eretico o meno; a tale (saggia) posizione si unisce quella del Presidente indonesiano Gus Dur secondo cui Dio non ha bisogno di essere difeso. Mahfudz Md ha anche affermato che la Costituzione dell’Indonesia non permette che un gruppo venga eliminato solamente perché le loro credenze differiscono da quelle della maggioranza; di conseguenza, sono, eventualmente, le azioni degli Ahmadiyah che potrebbero diventare oggetto di giustizia legale, ma non le loro credenze.

Si osserva, a tale proposito, che le decisioni del Majeils Ulama Indonesia sono culturalmente vincolanti solamente per coloro che le cercano e/o richiedono; l’ordinamento giuridico indonesiano non fornisce alcuna base legale secolare o islamica per costringere tutti i musulmani indonesiani a conformarsi ad una fatwa o raccomandazione del MUI. La costituzione del 1945, in effetti, non ha mai menzionato né stabilito il Majelis Ulama Indonesia come istituzione statale; in aggiunta, i musulmani indonesiani non hanno alcun contratto legale che richieda la conformità con quanto disposto dal MUI e dai suoi organi.

Evidentemente, l’apparato statale spesso richiede fatwa sebbene non sia espressamente previsto dalla Konstitusi; il Procuratore Generale, in effetti, è autorizzato a porre domande al Majelis Ulama Indonesia, ma le risposte del Consiglio non possono essere utilizzate come veicoli o ispirazione per vietare specifiche fedi e credenze. Il MUI, del resto, svolge il suo mandato facendo pressione sullo Stato, in quanto la sua preoccupazione è quella di limitare piuttosto che proteggere la libertà religiosa. Per questa ragione, il MUI agisce nei suoi limiti quando vieta (dal punto di vista religioso) l’Ahmadiyah o altri gruppi eretici. Lo Stato indonesiano, tuttavia, non dovrebbe prendere in considerazione tali divieti per attuare politiche che limitano la libertà religiosa, in quanto la Costituzione del 1945 impone allo Stato di agire con giustizia e imparzialità.

Pertanto, l’uso di una fatwa del MUI come base per l’emanazione di una legge potrebbe essere considerato una violazione della libertà di fede e di credo garantita dalla Costituzione; inoltre, imporre le idee di un particolare gruppo religioso ad altri gruppi è contrario al concetto di neutralità dello Stato. Non sorprende, dunque, che Masdar F. Masudi, presidente del consiglio consultivo della NU, ha sostienuto che tutte le religioni presenti in Indonesia devono essere trattate in modo equo davanti alla legge, indipendentemente dal loro partito politico o etnia.


Conclusioni

Le reazioni al crescente ruolo del Majelis Ulama Indonesia riflettono le preoccupazioni e le aspirazioni della società indonesiana, divisa tra la ricerca di una maggiore libertà e democrazia ed il rispetto dell’ortodossia religiosa islamica. Il MUI, in effetti, emerge come attore principale del processo di shariatisation, che spesso crea notevoli problematiche in termini di diritti di cittadinanza e libertà religiosa.

Del resto, l’atteggiamento anti-occidentale nei confronti della libertà, espressa a più riprese da esponenti di spicco del MUI e delle principali organizzazioni islamiche del Paese lasciano intravvedere un disegno politico e religioso allo stesso tempo. La religione, l’Islam, viene usato dalla maggioranza e dalle elite politiche indonesiane per pertetuare il loro potere, adottando argomentazioni condivise dalla maggioranza degli indonesiani.


Letture Consigliate

  • Syafiq Hasyim. (2023). The shariatisation of Indonesia: The politics of the Council of Indonesian Ulama (MUI). Leiden: Brill.
  • Hasyim, S. (2011). The Council of Indonesian Ulama (Majelis Ulama Indonesia, MUI) and Religious Freedom. Irasec’s Discussion Papers12, 3-26.
  • Arifianto, A. R. (2020). Rising Islamism and the struggle for Islamic authority in post-reformasi Indonesia. TRaNS: Trans-Regional and-National Studies of Southeast Asia8(1), 37-50.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.)

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