Abstract
In questo contributo analizzo brevemente la nascita e sviluppo del nazionalismo indiano tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX; la politica missionaria britannica ha favorito una reazione degli induisti e dell’idea di una nazine indiana e Hindu. Si tratta di uno sviluppo che ha comportato un cambiamento della politica missionaria, concentrata maggiormente sulla conversione culturale piuttosto che su quella religiosa; le tematiche che emergono in questo periodo, del resto, saranno determinanti anche dopo l’indipendenza della nazione nel 1948.
In this contribution, I briefly analyze the birth and development of Indian nationalism between the end of the 19th century and the beginning of the 20th; British missionary policy favored a reaction from Hindus and the idea of an Indian and Hindu nation.This development involved a shift in missionary policy, focusing more on cultural conversion rather than religious conversion; the themes that emerged during this period, moreover, would be decisive even after the nation’s independence in 1948.
Introduzione – Nazionalismo e Imitazione
Secondo alcuni storici, il nazionalismo si origina da sentimenti inconsci di risentimento verso un’altra cultura e/o civilizzazione, e tale percezione spinge un gruppo a definire sé stesso come distinto (diverso), in termini di valori. Nel caso delle Indie Orientali Olandesi, questo sentimento comprende sicuramente la religione, quella islamica, capace di definire (ancora oggi) l’alterità rispetto ai colonizzatori europei; di conseguenza, i contro-valori proposti dal nazionalismo indigeno tendono, inevitabilmente, a riflettere (all’inverso) quelli della cultura a cui ci si oppone.
Non sorprendono, dunque, le riflessioni di Chesterton, che nel 1909 osservava
The principal weakness of Indian Nationalism seems to be that it is not very Indian and not very
national. It is all about Herbert Spencer and Heaven knows what…. When all
is said, there is a national distinction between a people asking for its own ancient
life and a people asking for things that have been wholly invented by
somebody else. There is a difference between a conquered people demanding
its own institutions and the same people demanding the institutions of the conqueror.
La principale debolezza del nazionalismo indiano sembra essere che non è molto indiano e non molto
nazionale. È tutto su Herbert Spencer e Dio solo sa cosa…. Quando tutto
è detto, c’è una distinzione nazionale tra un popolo che chiede il proprio antico
vita e un popolo che chiede cose che sono state completamente inventate da
qualcun altro. C’è una differenza tra un popolo conquistato che chiede
le proprie istituzioni e lo stesso popolo che richiede le istituzioni del conquistatore.
(G. K. Chesterton, “The Indian Nationalist Movement,” Illustrated London News, 2 October 1909)
Si tratta di riflessioni che si possono applicare, evidentemente, a qualunque contesto coloniale, e in modo particolare a quelle situazioni (come le Indie Olandesi) in cui la colonizzazione ha avuto una durata secolare. Si tratta, ovviamente, di un processo non voluto, ma presente ed efficace, che condiziona anche la vita delle nazioni quando esse ottengono l’indipendenza.
In questo articolo, mi concentro sul nazionalismo indiano tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, allo scopo di sottolineare la rilevanza della religione; si osserva, a questo proposito, che spesso i nazionalisti indiani agivano in difesa dell’induismo, allo scopo di reagire all’influenza dei missionari britannici. Questi ultimi, a loro volta, rappresentavano, in questa visione, la coscienza e le idee (e i modelli) europei, che si opponevano al loro stile di vita.
E’ difficile stabilire in quale misura questa percezione costituisse una reazione imitativa della ‘nazione cristiana’, oppure una genuina difesa di istituzioni e modelli indigeni; probabilmente, l’immagine che si è costruita dell’India da parte degli Hindu (e dell’Olanda da parte dei nazionalisti indonesiani), è dipesa da entrambi i fattori. In altre parole, è possibile che la storia della comunità Hindu sia stata riletta, e giustificata dalla situazione in cui essa si trovava, ovvero sotto il giogo coloniale britannico; in questo modo, si forma un’idea capace di mobilitare le masse e di porre in discussione il dominio coloniale.
L’Induismo nel Bengal
Negli ultimi anni del XIX secolo, i Bengali che costituivano la classe più istruita, noti come ‘bhadrolok’ (persone rispettabili) si sono impegnati nella difesa dell’induismo, inteso non tanto come religione ma in quanto sistema culturale, analogamente a quanto avviene nelle Indie Orientali (e nell’attuale Indonesia) con l’Islam. Per questa ragione, non sorprendono i discorsi sulla superiorità della religione induista rispetto al cristianesimo portato dai missionari, ovvero da agenti esterni; l’induismo, da questo punto di vista, viene presentato dagli apologeti locali (come Swami Vivekenanda) come la religione più adatta per l’India.
Anche in questo caso, i nazionalisti indiani si sono formati in istituzioni britanniche (come i nazionalisti indonesiani si erano formati in istituzioni olandesi o giapponesi), e sono stati esposti alle idee occidentali, come il nazionalismo. L’idea di Induismo, del resto, presenta, nei suoi caratteri strutturali (non specifici che riguardano gli aspetti teologici e religiosi) con le idee di religione tipiche del cristianesimo, con particolare attenzione per il carattere dell’universalità. Non sorprende, dunque, che altri Hindu, con una maggiore coscienza (o sospetto) di questo meccanismo, abbiano difeso il loro stile di vita, e non semplicemente la religione.
Il Movimento Swadeshi, in effetti, che si colloca tra il 1903 e il 1908, ha cercato di difendere, e di rinvigorire alcune pratiche e istituzioni considerate tradizionali, come la casta e la venerazione delle immagini che erano state attaccate, secondo questa visione, dai missionari cristiani e dai loro agenti coloniali. Si tratta di un approccio ‘tradizionalista’, che presentava un carattere imitativo meno marcato rispetto a quello descritto in precedenza; lo stretto rispetto del sistema castale, tuttavia, ha reso questo approccio più difficile da diffondere in tutte le fasce della popolazione indiana, rendendolo un fenomeno elitario e marginale.
Resistenza Culturale a Calcutta
La resistenza ai modelli occidentali può essere esemplificata dalla vita di due persone che appartenevano alla casta sacerdotale indiana, Bhudev Mukhopadhyay, vissuto tra il 1827 e il 1894, e Bankimchandra Chattopadyay (1838-1894). Entrambi si sono impegnati nella difesa dell’induismo, ma in maniera differente, in quanto il primo ha agito principalmente a causa delle tradizioni culturali della sua famiglia, mentre il secondo ha contribuito a creare un modello più reazionario e slegato dalla sua cultura.

Bhudev, in effetti, ha posto in dubbio la sua fede religiosa solamente una volta, su impulso dei missionari cristiani, e si è rifiutato di svolgere i tradizionali rituali previsti dalla religione induista; il padre, tuttavia, è riuscito a riconciliare il figlio con la sua tradizione religiosa, e a preservare la tradizione brahminica della sua famiglia. In questo senso, le suggestioni dei missionari sono state presentate come delle mode passeggere, incoraggiate dalla sua istruzione occidentale.
Bhudev, in realtà, è cresciuto nell’ammirazione della figura paterna, e, in seguito alla breve crisi avuta negli anni dell’Università, ha rinnovato il suo impegno ad osservare i riti e le tradizioni della sua famiglia e della sua cultura di origine, diventando un brahmino a sua volta.
La sua soddisfazione per i valori tradizionali si accompagna ad un risentimento per la condizione servile in cui versano gli indiani, che tendono ad imitare i costumi e le abitudini dei colonizzatori. Per questa ragione, egli ribadisce, nei suoi scritti, l’importanza di difendere i valori tradizionali induisti, che considera il nucleo dell’identità indiana, assediata dalle influenze culturali occidentali. Egli ritiene che gli europei non sono dei maestri da cui apprendere l’etica o le corrette relazioni familiari, e la sua difesa dei valori tradizionali indiani, e si spinge al punto di difendere la pratica dei matrimoni precoci, una pratica decisamente controversa anche in questa epoca storica. Anche la scienza, che egli ammetteva, doveva essere sottoposta all’autorità dei brahmini, seconda la sua visione, che rimane fortemente ancorata al sistema castale indiano.

La critica di Bankimchandra Chattopadyay, invece, è costantemente ancorata al conflitto con i modelli europei, ma anche con la propria tradizione induista. Bankim, in effetti, insiste con decisione sul tema dell’umiliazione degli indiani da parte dei britannici, e definisce con disprezzo coloro che prestano il loro servizio per i colonizzatori inglesi. Lo stesso Chattopadyay, del resto, era un impiegato pubblico, ed era uno dei magistrati nativi, a cui seguiva uno status elevato, sebbene subordinato, nella società coloniale.
Al contrario di Bhudev, che ammirava sinceramente il padre, Bankim nutriva un senso di risentimento verso la figura paterna. Di conseguenza, egli ebbe maggiore libertà di sperimentare le influenze del pensiero occidentale, e di comprenderne quelle che percepiva come ingiustizie.
Verso il 1917, egli giunse alla conclusione che la filosofia indiana era una massa di errori, ma un anno dopo egli criticò l’imitazione cieca dello stile di vita (e il pensiero) occidentale; qualche anno dopo, egli divenne uno strenuo sostenitore dei valori induisti, e si scontrò con il Reverendo Hastie, uno dei massimi dirigenti della Chiesa Scozzese. Si tratta di un dibattito rilevante per almeno due ragioni, iniziando dal fatto che esso sia stata la prima occasione pubblica, e di alto livello, in cui la fede e le tradizioni induiste sono state apertamente difese. Inoltre, questa diatriba segna un cambiamento nella reazione induista verso i colonizzatori britannici; il punto di riferimento non è più la cultura occidentale, ma la cultura e tradizioni induiste. In altre parole, Bankim suggerisce che il nazionalismo indiano non si deve basare su valori esterni, ma su quelli propri della cultura indiana.
Si consideri questo passaggio (tratto dal quotidiano Statesman), in cui Bankim difende la partecipazione a rituali considerati idolatri dai cristiani;
Mr. Hastie attacks, without any provocation, the proceedings, in a solemn
mourning ceremony held in the private dwelling-house of one of the
most respectable Hindu families in the country; attacks all the most respected
members of native society; attacks their religion; attacks the religion
of the nation. And all this without the slightest provocation…. And
then, when a humble individual of the nation whose religion he tramples
upon, ventures upon a single retort, Mr. Hastie’s temper is on fire and it
explodes. The combatant who loses his temper in fight is rarely believed
to be on the winning side…. If this is the attitude which the Christian missionary
of the present day thinks it proper to assume towards Hinduism,
Hinduism has nothing to fear from his labors.
Il signor Hastie attacca, senza alcuna provocazione, le procedure, in una solenne
cerimonia di lutto tenuta nella casa privata di una delle
le famiglie indù più rispettabili del paese; attacca tutti i membri più rispettati
della società nativa; attacca la loro religione; attacca la religione
della nazione. E tutto questo senza il minimo pretesto….E poi, quando un umile individuo della nazione la cui religione calpesta, osa una sola replica, il temperamento di Mr. Hastie è in fiamme ed esplode. Il combattente che perde la calma durante il combattimento è raramente creduto essere dalla parte dei vincitori…. Se questo è l’atteggiamento che il missionario cristiano del presente giorno pensa sia opportuno assumere nei confronti dell’induismo,
l’induismo non ha nulla da temere dai suoi sforzi.
(Statesman, 16 October 1882; BR, p. 203)
In questo passaggio, l’induismo viene definito come la religione della nazione indiana, a cui Bankim appartiene; in questo modo, egli si erge a difensore della nazione indiana e dell’induismo, considerati inseparabili. Si tratta di un discorso simile a quello dei nazionalisti indonesiani, che ritengono unitaria l’identità indonesiana e quella islamica; sebbene attualmente le tonalità siano meno accese rispetto al periodo coloniale, questo pensiero riemerge e funge da sostrato al nazionalismo indonesiano contemporaneo, anche dopo l’indipendenza.
Rimane celebre il suo Vande Mataram, il poema religioso/nazionalistico in cui Bankim presenta una ‘Madre India’ armata contro il nazionalismo e colonialismo europeo e cristiano; non sorprende che questo testo diventa, dal 1905, il simbolo della lotta militante dei nazionalisti, indiani e induisti.
Il Rinnovo della Politica Missionaria
A partire dal 1890, i missionari mutarono la loro politica, in risposta alle critiche sulle scarse conversioni ed il crescente sentimento nazionalista tra gli indiani che erano stati istruiti in istituzioni europee; secondo i loro detrattori, questa situazione era la prova del fallimento della politica missionaria fino a quel momento. Per questa ragione, venne suggerito di concentrarsi maggiormente sulla predicazione popolare, mentre i missionari cercarono di ridefinire l’obiettivo della loro azione, che, dalla conversione religiosa, si doveva spostare a quella culturale.
Secondo questa logica, il nazionalismo indiano/induista, anche nelle forme più ‘dure’ era l’espressione del lavoro divino in India; per questa ragione, la conversione religiosa venne posta in secondo piano, per concentrarsi sull’influenza culturale che i missionari potevano esercitare. La critica, in effetti, era rivolta principalmente alla disconnessione tra la vita delle persone ed il lusso in cui vivevano molti missionari inglesi. Evidentemente, una conversione formale al cristianesimo si scontrava con una realtà differente da quella proclamata, ed alimentava un sentimento di rivalsa e probabilmente il ritorno alla tradizione induista.
Non sorprende, dunque, che la strategia di convertire i brahmini mediante l’istruzione cristiana sia stata considerata fallimentare, in quanto essa forniva agli stessi induisti gli strumenti per dirigere ed alimentare il movimento nazionalista.
Instead of an explosion within the citadel of Brahminism, as the result
of missionary work, we witness the walls of that citadel crumbling beneath
the influence of the “Zeit Geist,” built up again in a new form and
with a new strength by the young Brahmans educated in our missionary
colleges…. [The policy of educating Brahmans] has produced a haughty
and exclusive caste to substitute an intellectual ascendancy for the spiritual
supremacy possessed by their fathers. There is no greater danger to
the National Movement in India, than that it should be dominated by a
Brahminical caucus, and if that result ever does ensue it will be due to the
carrying out of the policy of Alexander Duff.
Invece di un’esplosione all’interno della cittadella del Brahminismo, come risultato
del lavoro missionario, assistiamo alle mura di quella cittadella che crollano sotto
l’influenza dello “Zeit Geist,” ricostruito in una nuova forma e
con una nuova forza dai giovani Brahmani educati nei nostri collegi missionari
collegi….[La politica di educare i Brahmani] ha prodotto un’aristocrazia
e una casta esclusiva per sostituire un’ascendenza intellettuale a quella spirituale
supremazia posseduta dai loro padri. Non c’è pericolo maggiore per
il Movimento Nazionale in India, che esso sia dominato da un
Caucus brahminico, e se mai dovesse verificarsi quel risultato sarà dovuto all’attuazione della politica di Alexander Duff.
(The Missionary Controversy: Discussion, Evidence and Report, Published by Wesleyan Methodist Book Room, London,1890, p. 2)
Da notare, poi, che i brahmini costituivano circa il 4% della società indiana, e che concentrare gli sforzi missionari su di essi, quando non era controproduttivo si rivelava inutile, in quanto la maggioranza della popolazione rimaveva di fatto esclusa dalla predicazione. Per questa ragione, viene invocata una nuova strategia, capace di raggiungere le persone e di esercitare, di conseguenza, una profonda influenza culturale.
Conclusioni
Il nazionalismo indiano, che si è sviluppato a partire dagli ultimi due decenni del XIX secolo, è stata determinato da una reazione ai modelli e all’influenza culturale britannica e dei missionari cristiani; il movimento nazionalista ha determinato una resistenza da parte degli induisti. E’ nata l’idea secondo l’India era induista, allo stesso modo in cui nelle Indie Orientali Olandesi si forma la corrispondenza tra l’identità islamica ed indonesiana. Si passa dunque, da uno sforzo missionario concentrato sulle conversioni ad una strategia che pone al centro la conversione culturale.
Letture Consigliate
- Frederiks, M. T., & Nagy, D. (Eds.). (2021). Critical readings in the history of Christian mission. Brill. (Vol. 3).
- Naskar, S. (2022). Bankim Chandra Chattopadhyay. In Reappraising Modern Indian Thought: Themes and Thinkers (pp. 215-236). Singapore: Springer Nature Singapore.
- Mukerji, S. (2022). The Novelist and the Nationalist: Bankim Chandra in the Life of Subhas Chandra Bose. Indian Historical Review, 49(1_suppl), S81-S95.