Abstract
Nelle Indie Orientali Olandesi, la percezione dell’Islam come una minaccia politica si basava sul ruolo politico di questa religione, che diventa evidente nella Guerra di Aceh (1873-1910); il sistema duale di governo, poi, si configurava come una minaccia per la sicurezza della colonia, i cui equilibri vengono sconvolti dai due conflitti mondiali. Anche il tentativo di regolare il pellegrinaggio islamico, poi, si rivela velleitario, e rivela l’impossibiltà di sorvegliare e tenere sotto controllo un’area talmente vasta, eteorogenea ed ostile.
In the Dutch East Indies, the perception of Islam as a political threat was based on the political role of this religion, which became evident in the Aceh War (1873-1910); the dual system of governance then appeared as a threat to the colony’s security, whose balances were disrupted by the two world wars. Even the attempt to regulate the Islamic pilgrimage, then, proves to be futile, revealing the impossibility of monitoring and controlling such a vast, heterogeneous, and hostile area.
Introduzione – Percezioni dell’Islam
Verso la metà del XIX secolo, le autorità olandesi ritenevano che il pellegrinaggio rituale a Mecca riguardasse un centinaio di giavanesi; per questa ragione, l’attenzione verso questo fenomeno non era elevata. Il vero nemico, secondo le autorità olandesi, e in generale europee, erano gli arabi, ed in particolare i ‘sacerdoti’ islamici che risiedevano nell’arcipelago; si tratta di una denominazione impropria con cui venivano designati sapienti musulmani in generale, che venivano associati ai sacerdoti cristiani. Nel 1811, l’allora governatore generale, Sir Raffles, durante il periodo di ‘inter-regno’ britannico, affermò che i sapienti arabi che vivevano nell’attuale Indonesia erano degli ipocriti, e che il potere e l’influenza conquistata tra la popolazione locale fosse funzionale solamente alla conquista ed al mantenimento del potere.

Nel 1877, l’ex residente di Timor, Humme, ammirava il lavoro operato dai missionari, con cui avevano reso parti dell’arcipelago maggiormente apprezzabili degli olandesi; in altre parole, l’introduzione di scuole e missioni aveva civilizzato parti della colonia, che in precedenza sarebbero state ‘selvagge’. Ritorna, dunque, il tema della missione civilzzatrice, condiviso dagli europei fino a tempi relativamente recenti; non sorprende, dunque, che l’appartenenza all’Islam fosse guardata con sospetto. Una maggiore minaccia, poi, era percepita dai sapienti arabi che risiedevano nell’arcipelago, e che potevano, effettivamente, incitare la ribellione verso le autorità olandesi.
Non si tratta, del resto, di semplici fantasie, ma di un atteggiamento che derivava dalla coscienza di essere una ristretta minoranza all’interno di un mondo islamico, che usava (ed usa tuttora) la religione come fattore identitario primario, oltre che di ‘resistenza’ contro i nemici percepiti (a torto o a ragione). Le autorità olandesi, tuttavia, erano convinte che la popolazione locale fosse musulmana solamente in senso nominale, e che, senza l’influenza araba, gli indigeni sarebbero tornati a venerare le antiche divinità induiste o alle pratiche tradizionali. Tale giudizio errato derivava da una scarsa conoscenza dell’Islam e delle dinamiche locali, oltre che da una consolidata tradizione europea, basata sull’esistenza di ‘popoli inferiori’ che avevano ‘bisogno’ di essere ‘civilizzati’.
La Guerra di Aceh – La Conferma della Minaccia Araba
Prima che scoppiasse una vera e propria guerra con Aceh, si nota che questo sultanato aveva sopravissuto a lungo come stato indipendente, mediante il suo dominio nel commercio del pepe e la sua politica aggressiva nei confronti degli Stati più piccoli della regione di Sumatra. A partire dagli anni Settanta del XIX secolo, tuttavia, il commercio era in declino, al pari della potenza acehnese; fatta eccezione per la capitale del regno, il controllo esercitato era scarso. Aceh, dunque, come potenza regionale in declino, rappresentava l’occasione perfetta per un casus belli, e sembrava pronta per una agevole annessione da parte delle autorità olandesi.
Anche in questo caso, tuttavia, tale giudizio si rivelò errato, e la contesa si estese ben oltre i confini di una rapida azione militare di conquista; di fatto, la guerra di Aceh, che durerà per decenni, fino al 1910, segna un punto di svolta per la politica coloniale. La resistenza della popolazione locale acehnese, i cui leaders dipingono il conflitto come uno scontro religioso prima ancora che politico, indica la volontà di resistere alla colonizzazione. Non sorprende, dunque, che ancora nel 2025 esista un forte nazionalismo acehnese, che si oppone allo stato indonesiano attuale; le radici di questo conflitto, evidentemente, sono proprio da ricercare nella storia di questa regione.
Un’opera recente, risalente al 2010, ricorda che
Ulama dalam masyarakat Aceh merupakan salah satu kelompok yang amat penting meskipun
sebagai pemimpin informal. Hal itu terlihat bagaimana hubungan segi tiga yang sinergik antara ulama, umara dan masyarakat sejak zaman dahulu. Kondisi harmonis tersebut terlihat terutama dalam perjuangan terhadap agresi Belanda. Ulama mengambil peran penting yang memberikan motivasi,
inspirasi dan pelaku aksi yang menyatakan “perang” melawan segala bentuk penjajahan.
Kedudukan ulama yang begitu dominan dalam masyarakat Aceh sebenarnya tidak hanya dalam peperangan melawan kolonial Belanda, tetapi sudah terjadi sejak proses Islamisasi di
bumi Nusantara, yang Aceh merupakan singgahan pertama.
Gli ulama nella società di Aceh sono uno dei gruppi (sociali) più importanti, sebbene siano (attualmente) leader informali. Questo si vede nella relazione triangolare sinergica tra ulama, umara e società, (che) esiste fin dai tempi antichi. Quella condizione armoniosa si è vista soprattutto nella lotta contro l’aggressione olandese. Gli ulama hanno svolto un ruolo importante fornendo motivazione, ispirazione e conducendo azioni che dichiaravano “guerra” contro ogni forma di colonizzazione. La posizione così dominante degli ulama nella società di Aceh in realtà non è stata solo durante la guerra contro i colonialisti olandesi, ma è avvenuta fin dal processo di islamizzazione nel territorio dell’arcipelago indonesiano, di cui Aceh è stata la prima tappa.
M. Thalal et al. (2010). ULAMA ACEH DALAM MELAHIRKAN HUMAN RESOURCE DI ACEH, p. 11.
Nella guerra iniziata nel 1873, in effetti, i leaders religiosi avevano guidato ed ispirato gli sforzi bellici contro gli olandesi, e tale commistione tra potere politico e religioso, particolarmente evidente ad Aceh, che esisteva anche in precedenza, non è mai venuta meno. Il giudizio sulla pericolosità degli arabi, e dell’Islam, dunque, si conferma per gli olandesi, ma anche per i britannici, che vedono spie e fanatici nei predicatori arabi. Certamente, l’atteggiamento europeo non ha favorito una visione conciliante tra culture e religioni, ma anche l’approccio arabo, votato alla conquista da secoli, non deve aver suscitato impressioni positive negli abitanti del Vecchio Continente. Di fatto, tra le due culture (occidentale e orientale) e le due religioni (cristiana e musulmana) si è sviluppato un conflitto e tensioni che persistono tuttora.
Da questo punto di vista, la guerra di Aceh ha confermato i sospetti reciproci, e ha sedimentato tensioni che non sono ancora risolte, e che riguardano il mondo islamico in generale, e non solamente l’ex colonia olandese.
Una Posizione Marginale
Il sospetto che cadeva sulla popolazione locale, in larga parte musulmana, diventò ancora più accentuato nel corso della seconda metà del XIX secolo, e non solamente a causa del conflitto con Aceh; un’altra dinamica fondamentale, in effetti, è costituita dall’immigrazione cinese e araba. Tale assetto venne ufficializzato dalla divisione della società in tre gruppi, ovvero gli Europei (e i loro alleati cristiani), gli orientali stranieri (principalmente cinesi), e i Nativi. Questi ultimi, in effetti, divennero la classe più marginale della colonia tropicale, nonostante fossero la maggioranza assoluta in termini numerici; si tratta di uno dei paradossi della società coloniale, in cui una ristretta, ma organizzata minoranza, riesce ad imporre il suo dominio sulla popolazione locale.
Questo ordine sociale, e politico, si consolidò ulteriormente negli anni Settanta del XIX secolo, in cui la prosperità economica per l’élite coloniale raggiunse livelli senza precedenti; per questa ragione, furono molti gli europei che decidono di insediarsi nelle Indie Orientali Olandesi. Si accentuò, di conseguenza, il divario tra la classe dominante olandese (e cristiana), da una parte, e la popolazione nativa (e musulmana), dall’altra. Non sorprende, dunque, che gli olandesi abbiano cercato di rafforza i propri usi e costumi nella colonia, proibendo agli amministratori coloniali espressioni che indicavano una condiscendenza o ammirazione per la cultura locale.
L’islam, di conseguenza, diventò il principale colpevole dei mali della colonia, e i musulmani, appartenenti alla classe sociale più svantaggiata, divennero i potenziali nemici da cui guardarsi; si consolida, dunque, l’associazione negativa tra Islam e colonialismo. Si crea, dunque, un clima di sospetto continuo, alimentato da complotti veri e immaginari, in cui religione e politica, da entrambe le parti, diventano indivisibili. Non è possibile immaginare e comprendere questi contrasti a prescindere dalla matrice religiosa che li accompagna, e, in parte, determina; emerge, pertanto, uno scontro che non era solamente teso ad assicurare profitti economici, ma anche l’affermazione di una civiltà dominante sulle altre, e la religione aveva una rilevanza che non si deve sottovalutare.
Il Progetto Coloniale
La creazione di uno Stato coloniale vero e proprio si configura come un processo che si svolge durante il XIX secolo; verso l’ultima decade del secolo, emerse una chiara fisionomia coloniale, che prevedeva un controllo (più) diretto da parte delle autorità di Batavia. Anche la moneta era unica (o quasi) in questo territorio molto esteso, mentre l’Islam rimaneva la sola forza capace di distruggere l’intero edificio coloniale. Da parte loro, gli olandesi potevano disporre di una tecnologia superiore, sia in termini di comunicazioni che militari; inoltre, le divisioni tra la comunità giavanese e la ristretta élite locale che collaborava con gli amministratori coloniali, rimanevano fondamentali per il mantenimento del potere.
Tuttavia, la posizione minoritaria degli olandesi richiedeva loro di fare un uso crescente delle conoscenze locali; per questa ragione, essi cercarono di conoscere in maniera approfondita le terre che amministravano, mediante l’uso di informatori locali e dell’aristocrazia indigena. Di particolare importanza si rivelarono le reti di amministratori locali (priyayi), a cui gli olandesi affiancarono una serie di ‘consiglieri’ europei. In questo modo, si creò una precisa gerarchia, in cui il Residente Olandese era incaricato di ‘consigliare’ il suo ‘fratello minore’, il Reggente (Bupati), assistito anche da una sorta di ‘Primo Ministro’, noto come Patih.
A partire dagli anni Ottanta del XIX secolo, il consiglio del Residente olandese assunse la foma di un vero e proprio comando, e divenne evidente la gerarchia che si era stabilita nel corso del tempo; allo stesso tempo, i priyay (aristocratici locali che serivano come amministratori) vennero privati dei loro diritti ereditari, e vennero ridotti a semplici esecutori degli ordini che provenivano dai funzionari olandesi. Questi ultimi si affidavano spesso al giudizio dei Bupati, che conoscevano perfettamente i costumi locali, aiutati da una serie di Residenti Assistenti, a cui venne affidata la responsabilità dei sotto-distretti, e che erano gerarchicamente sottoposti ai Wedono (capi locali) e alle loro controparti olandesi, ovvero i Controllori e gli Aspiranti Controllori.
La gerarchia coloniale era poi completata da diversi ‘sotto-ufficiali’ locali, e da amministratori indigeni, che si occupavano delle operazioni amministrative quotidiane e ordinarie; tuttavia, la loro reale capacità di prevenire e contrastare i crimini dipendeva dagli accordi che essi riuscivano a siglare con i capi villaggio, i kepala desa, e i ‘gangsters locali’, i preman o jago. Questi ultimi, in effetti, erano (non ufficialmente) incaricati di mantenere l’ordine pubblico, e potevano agire in qualità di spie, svolgendo anche compiti teoricamente riservati alle forze di polizia, con cui spesso si confondevano. In altre parole, si creò un sistema dualistico, in cui una gerarchia locale era supervisionata, e di fatto subordinata, a quella olandese, che deteneva effettivamente il potere; per questa ragione, l’efficacia di questo sistema non era ideale, ma aveva una certa efficacia.
I Bupati erano dunque posti all’apice della gerarchia ‘nativa’, ed erano loro a dover apporre il sigillo sui passaporti dei pellegrini che intendevano recarsi a Mecca per il pellegrinaggio rituale, e che confermavano il loro ritorno. Ovviamente, non esistevano regole chiare per la concessione di tale autorizzazione, e tale sistema era soggetto ad abusi e/o alle preferenze personali o politiche del Bupati; negli anni Settanta del XIX secolo, il Bupati di Cilacap non concesse nessuna autorizzazione per l’hajj. Oltre al Bupati, anche i Wedono e i Magang dovevano rimanere attenti ai possibili atti di sovversione, e la loro attenzione si concentrava in modo particolare sui pellegrini e sulle loro guide religiose, che gli olandesi chiamano ‘sacerdoti’.
Per questa ragione, al governatore generale venne raccomandato di non nominare pellegrini (hadji) in funzioni governative; tale consiglio venne accolto, anche se esso non venne istituzionalizzato, sottolineando la flessibilitò, ma anche l’ambivalenza del controllo coloniale. Il pellegrinaggio non era vietato in maniera assoluta, ma lo era la connessione con gli imam arabi, considerati portatori di idee pericolose e sovversive. In altre parole, l’hajj doveva seguire standards europei, e rimanere entro i confini che separavano il fanatismo religioso dalla religiosità, che non era vietata dagli oldandesi; questi ultimi erano preoccupati dai risvolti politici che ne potevano derivare, specialmente alla luce del conflitto ad Aceh.
Hasan Moestapa – Un Informatore Locale
Tra gli informatori locali che permettevano agli olandesi di concepire politiche adeguate al contesto e di mantenere il potere, si trova Hasan Moestapa, la cui conoscenza fu molto utile agli olandesi, che lo inviarono prima nella sua regione natale (Sunda), e successivamente ad Aceh. Verso il 1886, Mustapa fece ritorno a Giava Occidentale, quando il padre cessò di finanziare il suo soggiorno in Terra Santa; egli giunse dunque a Garut, dove iniziò a lavorare come responsabile di una scuola islamica (pesantren), situata nei pressi di una delle principali moschee della città.

Quando Snouck Hurgronje giunse a Garut, il 18 luglio del 1889, Moestapa lo accompagnò a visitare Giava Occidentale; in tale occasione, egli fornì al primo un elenco di ulama, ‘sacerdoti islamici’ di questa regione, di cui ebbe cura di indicarne i dettagli, come i loro maestri, le loro specializzazioni, i luoghi di nascita e i familiari. Pertanto, gli olandesi potevano conoscere il livello di penetrazione degli imam meccani nella società e nell’amministrazione locale; Mustapa, dunque, fu un uomo molto utile agli amministratori coloniali.
Successivamente, egli fu nominato nella scomoda posizione di responsabile regionale di Kota Raja (1893), in virtù dei suoi precedenti contatti con gli ulama di Aceh; nel corso di tale incarico, che si protrasse per due anni, Mustapa riuscì a conquistare la fiducia dei notabili acehnesi. Tra di essi, si ricorda Teuku Uma, un alleato degli olandesi che in seguito si ribellò; Mustapa ricoprì la carica di Penghulu a Bandung, dove rimase fino al 1918.
Un suo trattato sulle usanze locali viene citato da Indologen Blad (Giornale degli Indologisti) (n. 10 del 1929, p.8),
In 1913 verscheen de hierboven ge
noemde ‘Bap adat’ van Hadji Hasan
Moestapa, hoofdpanghoeloe te Ban-
doeng, op verzoek der regeering ge
schreven. Het eerste gedeelte handelt
voornamelijk over de gewoonten bij
zwangerschap, geboorte, besnijdenis,
huwelijk en sterven (…)
Nel 1913, il già citato Bap adat di Hadji Hasan
Moestapa, capo panghuloe a Bandoeng, scritto su richiesta del governo.
La prima parte riguarda principalmente le usanze di
gravidanza, nascita, circoncisione matrimonio e morte (…)
Mustapa, dunque, ha avuto un ruolo analogo a quello di Snouck Hurgronje, ma era nativo, apparteneva alla popolazione locale, o meglio, ad una élite che ha collaborato con gli amministratori della colonia olandese, di cui era uno dei funzionari indigeni.
Conclusioni
La costruzione di uno Stato coloniale nel corso del XIX secolo è stata possibile grazie ad una struttura amministrativa duale, formata da amministratori locali subordinati a quelli olandesi; in effetti, il ruolo degli informatori indigeni, come Hasan Moestapa, è stato cruciale. Grazie a questo apporto fondamentale, gli olandesi sono riusciti a mediare e a far accettare il loro dominio pur essendo una esigua minoranza; a tale proposito, emerge l’ambiguità di questo sistema, che si basava su elementi in realtà precari. Non sorprende, in questo senso, che le guerre mondiali abbiano modificato e portato al collasso questo assetto.
Letture Consigliate
- Laffan. M.F. (2003). Islamic Nationhood and Colonial Indonesia. Routledge Curzon. USA/Canada.
- Yamaguchi, M. (2024). Reconciling Islam with Indonesian Nationalism: Acceptance of the Arab Middle Eastern Influence During the Dutch Colonial Period. Die Welt des Islams, 1(aop), 1-30.
- Yuliantri, R. D. A., & Suwignyo, A. (2024). Revisiting the ideological negotiation of Indonesian identity, 1900–1942. Politics, Religion & Ideology, 25(1), 21-51.