Abstract
Il Nuovo Ordine di Soeharto non è stato controverso solamente per i musulmani, rigidamente inquadrati nelle istituzioni dello Stato Indonesiano, ma anche per i cattolici, che hanno dovuto affrontare situazioni difficili. Alle sfide che si sono presentate, ovvero i matrimoni inter-religiosi, il divorzio e le nuove nozze, e la pianificazione familiare, le gerarchie cattoliche hanno saputo reagire con un atteggiamento pragmatico che ha evitato lo scontro diretto con lo Stato Indonesiano.
Suharto’s New Order was controversial not only for Muslims, rigidly framed within the institutions of the Indonesian State, but also for Catholics, who had to face difficult situations. To the challenges that arose, namely inter-religious marriages, divorce and remarriage, and family planning, the Catholic hierarchies managed to respond with a pragmatic attitude that avoided direct confrontation with the Indonesian State.
Introduzione – Gerarchie del Nuovo Ordine
Il Nuovo Ordine di Soeharto è durato per oltre tre decenni, e si è caratterizzato per un accentramento del potere nello Stato, appoggiato dall’esercito; sono state diverse le istituzioni create per inglobare quelle precedenti, e formare organismi funzionali al regime ed alle sue politiche. Le organizzazioni islamiche hanno generalmente reagito collaborando con Soeharto, anche se le riforme del Secondo Presidente non sono sempre state a loro favorevoli. Meno nota, tuttavia, è la reazione dei cattolici, che costituiscono una significativa minoranza, e che in almeno tre occasioni si sono dovuti confrontare con politiche e decisioni difficili da rispettare.
La Chiesa cattolica, in effetti, è presente in un Paese dove l’87% circa della popolazione si dichiara di fede musulmana sunnita; anche se l’Indonesia non è uno stato islamico, ma secolare, i valori islamici, di fatto, esercitano una significativa influenza sullo Stato e sul suo funzionamento. Per questa ragione, è possibile che alcune leggi possono essere considerate contradditorie rispetto alle altre fedi, come quella cattolica; in questo articolo, mi concentrerò su tre disposizioni legali emanate nel corso del Nuovo Ordine, con cui i cattolici sono stati chiamati a confrontarsi.
Alcuni esperti hanno affermato che il Nuovo Ordine è stato possibile, oltre mediante l’appoggio dell’esercito, anche grazie ad attivisti cattolici, in larga parte di etnia cinese; si tratta di una relazione che appare sorprendente, specialmente in un Paese a maggioranza islamica. Si tratta, tuttavia, di un’alleanza reale, anche se inedita, basata su diversi elementi che verranno indagati nelle righe successive, e che, del resto, sembra avere una minore intensità dal 1980.
Politica e Diplomazia nel Nuovo Ordine
L’uso della forza e dell’autoritarismo non sono certamente nuove per la storia indonesiana, e, da questo punto di vista, l’Orde Baru non si distingue dai regimi che lo hanno preceduto; il carattere distintivo del regime di Soeharto, invece, risiede nel progetto di demobilizzare e de-politicizzare le forze sociali in maniera coatta. Del resti, il Nuovo Ordine era il successore di tre regimi post-coloniali, ovvero la Repubblica che si instaura in seguito alla Dichiarazione di Indipendenza del 1945, l’era della convulsa e caotica democrazia parlamentare, dal 1950 al 1957(-9), e, da ultimo, della Democrazia Guidata, dal 1959 al 1965.
Il Regime di Soeharto, la cui caduta è dovuta, principalmente, a ragioni di ordine economico, ha cercato di reprimere le tensioni anti-coloniali che avevano accompagnato la politica e la società indonesiana dal secondo decennio del XX secolo, e che avevano portato all’Indipendenza del Paese. Il Nuovo Ordine, effettivamente, è stato fortemente conservatore, e questa caratteristica ha determinato l’atteggiamento verso la diplomazia e la politica estera. Il conservatismo dimostrato da Soeharto, che si è sempre opposto energicamente al comunismo (al contrario di Soekarno) ha attirato le simpatie degli Stati Uniti d’America, che avevano un sentimento simile verso il mondo comunista.
Nel primo decennio del Nuovo Ordine (1966–1975), la politica estera era determinata da un piccolo e riservato gruppo di attori militari e civili che accompagnarono l’ascesa al potere di Soeharto; si tratta di ufficiali militari con un predominante background nell’intelligence e attivisti studenteschi cattolici, con figure di spicco provenienti da un contesto etnico cinese. Tale compagine, in realtà, era già presente dopo il fallito colpo di Stato del 1965, e comprendeva le numerose forze del Paese che si opponevano al Partito Comunista ed al suo progetto per l’Indonesia.
Pertanto, non sorprende che tale fronte fosse formato da attori che, in linea teorica, non condividevano un’ideologia comune, se non l’opposizione al comunismo; nazionalisti, islamisti e cattolici, protestanti, seppur per motivi differenti, erano portatori di una visione conservatrice della società, e non rivoluzionaria. I caratteri distintivi del Nuovo Ordine, basato sul secolarimo, sulle forze armate e sulle classi dirigenti giavanesi, ha creato delle opportunità senza precedenti per la piccola e occidentalizzata classe media urbana dell’Indonesia.
Classe Media vs. Comunismo
Si trattava di una forza sociale che era a maggioranza cristiana, sia cattolica che protestante, e godeva di un accesso privilegiato a carriere professionali e alla burocrazia statale grazie all’istruzione occidentale ricevuta nelle scuole missionarie coloniali. L’accesso all’Esercito, poi, era promosso mediante canali di reclutamento che risalivano all’esercito coloniale; bisogna considerare, inoltre, che molti degli esponenti di tale classe media erano abili imprenditori, di etnia prevalentemente cinese. Si situa in tale contesto la situazione dei cattolici indonesiani, che emergono come forza politica anche grazie alla fazione militante guidata da un gesuita olandese-indonesiano, Padre Josephus Gerardus Beek.
Il religioso era fermamente opposto al comunismo, come del resto lo era (e lo è ancora, in linea di principio) la Chiesa Cattolica; si ricorda, a tale proposito, l’enciclica di Pio XI, Divini Redemptoris, con cui il Pontefice condanna una serie di ‘errori’, dottrine considerate opposte alla fede cattolica, tra cui il comunismo. Padre Beek, del resto, era giunto nell’arcipelago ben prima del tentato colpo di stato del 1965, e crea dei legami con le forze armate grazie ad Ali Moertopo, il principale ideologo del regime di Soeharto. Ovviamente, le connessioni dei cattolici (e dei cristiani in generale) con l’Orde Baru non erano evidenti, ed erano tenuti segreti, ma erano reali, ed hanno esercitato una considerevole influenza sulle politiche del regime.
Allo stesso tempo, il coinvolgimento dei cattolici non è riuscito ad evitare che alcune leggi fossero controverse e sfavorevoli per i cattolici indonesiani; in altre parole, se l’approccio conservatore ha permesso una certa cooperazione, il regime non si è certamente fatto dettare l’agenda, e l’appoggio dei militari è rimasto fondamentale per la conservazione del potere.
Chiesa Cattolica e Stato Indonesiano – Una relazione complessa
A partire dal 1945, anno dell’Indipendenza indonesiana, lo Stato e la Chiesa cattolica si sono riconosciute reciprocamente, sia dal punto vista politico che giuridico; il primo, in particolare, ha riconosciuto che la fede Cattolica era una delle sei confessioni riconosciute ufficialmente in Indonesia, insieme all’Islam, al Protestantesimo, al Buddismo, all’Induismo, e al Confucianesimo. Da questo punto di vista, il Paese asiatico ha ereditato la politica delle Indie Orientali Olandesi, in quanto il governo ha distinto i cattolici (Katolik) dai protestanti (kristen), e tale distinzione permane nelle statistiche ufficiali.
Da questo punto di vista, sono diverse le politiche religiose comuni con il precedente stato coloniale, come la creazione di istituzioni ecclesiastiche ufficiali (seminari, parrocchie, ecc.); in virtù di questi regolamenti e leggi, la Chiesa Cattolica viene riconosciuta come ente capace di possedere beni e terreni. Di conseguenza, la Chiesa indonesiana ha diritti simili a quelli goduti in altre parti del mondo, grazie ad una strategia efficace portata avanti dallo stato coloniale fino ai nostri giorni; per questa ragione, la posizione dei cattolici non risulta precaria, anche se il potere politico viene detenuto dalla maggioranza musulmana (ad eccezione di Bali, induista e delle province a maggioranza cristiana).
Inoltre, la Pancasila appare perfettamente coerente con la confessione cattolica, ed in particolare con il suo primo principio, che riconosce l’esistenza di un unico Dio come base della convivenza civile nell’ex-colonia tropicale. Si tratta del riconoscimento della rilevanza della religione in Indonesia, e non solamente dell’Islam; la Pancasila, in effetti, sembra fare riferimento ad un principio che afferma la fede in una divinità, escludendo, teoricamente, l’ateismo. Per questa ragione, il comunismo è sempre stato problematico, a causa della sua insistenza sull’ateismo e su un modello di secolarismo che tende ad escludere, piuttosto che integrare, la religiosità nella vita pubblica.
La Chiesa Cattolica, poi, mediante la Conferenza Episcopale Indonesiana, riconosce formalmente la sovranità dello Stato, non solamente in principio, ma anche da un punto di vista pratico; la Pancasila, da questo punto di vista, è stata immediatamente ratificata dai vescovi indonesiani, e considerata una base adeguata per costruire una nazione indipendente. In effetti, i soli gruppi della società indonesiana che non accettano la dottrina fondamentale dello Stato sono quelli radicali, principalmente comunisti e islamisti, che vorrebbero sostituire la loro ideologia a quella accettata dalla stragrande maggioranza dei 283 milioni di abitanti del Paese asiatico.
La posizione favorevole della Chiesa rispetto alla Pancasila, del resto, non è solamente basata su aspetti pratici, ma anche ideologici, in quanto tale filosofia viene ritenuta compatibile con la missione della stessa Chiesa. Ciò nonostante, può succedere che alcune leggi nazionali o locali siano percepite come incompatibili con la fede cattolica; di fatto, non esiste un’interpretazione ufficiale della Pancasila, e nel corso dell’Orde Baru non esisteva nemmeno un concetto sanzionato dalla Costituzione di libertà religiosa, come accade dal 1999 con l’articolo 29(1).
Controversie
Come precisato in precedenza, la relazione tra la Chiesa Cattolica ed il governo indonesiano è stata, a volte, problematica; in particolare, sono tre i casi che meritano di essere approfonditi, e si sono verificati durante il regime di Soeharto.
Matrimoni Inter-Religiosi
La posizione della Chiesa sui matrimoni ‘misti’, in cui uno degli sposi è di fede non cristiana si è modificata nel tempo, passando dal divieto ad una concessione; in altre parole, si ammette la possibilità, a determinate condizioni, che rendono valido (per il diritto canonico) un matrimonio tra uno sposo cattolico ed uno non cattolico, o anche non cristiano. L’Islam sunnita, nella sua interpretazione ‘tradizionale’, invece, permette il matrimonio tra un musulmano e una donna cristiana ‘devota’, ma non tra una musulmana ed un uomo non musulmano, o musulmano non sunnita. In altre parole, secondo la dottrina islamica tradizionale, i matrimoni misti sono sostanzialmente vietati, e lo Stato indonesiano segue questa impostazione.
Non sorprende, dunque, che la legge fondamentale sul matrimonio, ovvero la legge n. 1 del 1974, non riconosce eguali diritti e doveri ai coniugi, in quanto il concetto di matrimonio, che segue i principi islamici, è differente da quello cattolico (e cristiano in generale). Per lo Stato indonesiano, la famiglia ha una valenza e funzione religiosa, e, per questa ragione, il riconoscimento di un matrimonio da parte delle autorità civili è subordinato alla celebrazione di un valido (per la legge islamica) matrimonio religioso. Invece, non è ammesso il contrario, ovvero la celebrazione di un matrimonio civile che viene riconosciuto dallo Stato, a causa della derivazione islamica del codice del matrimonio e delle sue modificazioni e leggi collegate.
Ovviamente, sono riconosciuti come validi (con valore legale) i matrimoni contratti tra due sposi cristiani, o buddisti, o induisti, o confuciani, che beneficiano di una legislazione separata; ad essere vietato è il matrimonio misto, non quello di altre tradizioni religiose. Di conseguenza, due cattolici che si sposano secondo le norme del diritto canonico possono far riconoscere la loro unione legalmente; in questo modo, lo Stato tutela la diversità religiosa, e, allo stesso tempo, preserva il carattere identitario indonesiano e la stabilità sociale.
Per i vescovi cattolici indonesiani, invece, la possibilità di proibire un matrimonio misto, se sono rispettate le condizioni previste, non può essere ammessa; del resto, la dispensa dai requisiti di questa tipologia di matrimonio è prevista proprio nei contesti in cui i cattolici, come avviene in Indonesa, costituiscono una minoranza. Per questa ragione, il conflitto con la legislazione statale, di derivazione islamica, è evidente, ed i vescovi scelsero di non rifiutare la celebrazione del matrimonio misto in sede religiosa.
Divorzio e Nuove Nozze
Un altro ambito in cui la concezione cattolica ed islamica (su cui si basa il diritto matrimoniale indonesiano) divergono, ancora, è relativa al divorzio; quest’ultimo è ammesso dalla tradizione islamica, mentre non lo è per la fede cattolica. La Chiesa cattolica considera il matrimonio indissolubile, e la sola eccezione ammessa è la morte di uno dei coniugi, oppure una sentenza del giudice ecclesiastico che ne accerta la nullità. In questo caso, tuttavia, la nullità è retroattiva, e si considera il matrimonio come se non fosse mai avvenuto per la legge canonica; viceversa, un valido matrimonio, celebrato secondo i requisiti stabiliti dal diritto canonico è valido usque ad mortem.
Si consideri che, comunque, in Indonesia lo Stato non riconosce automaticamente il divorzio religioso, quello pronunciato dal marito, noto come ‘talaq’, che impropriamente viene chiamato ‘ripudio’ in occidente. Al contrario, è necessaria una sentenza del giudice, in base ad una dichiarazione pubblica del marito, che si deve presentare davanti al tribunale e dichiarare le ragioni per le quali intende divorziare. Anzi, la legge impone al giudice di cercare una rinconciliazione della coppia prima di emettere la sua sentenza, al contrario di quanto dispone la legge islamica. Dopotutto, l’Indonesia è pur sempre un Paese secolare (anche se sui generis), e l’influenza della legislazione islamica non si spinge al punto di automatizzare ed equiparare la legge islamica e quella statale. Del resto, il controllo dello Stato sul divorzio sarebbe necessario anche in uno Stato Islamico, allo scopo di evitare il caos, e la generazione di situazioni poco chiare dal punto di vista giuridico e sociale.
La contrapposizione sul divorzio, del resto, avviene anche nei Paesi secolari, in cui la legge dello Stato, come in Italia, ammette questa possibilità; allo stesso modo, il conflitto sorge con l’Islam, in quanto il divorzio è parte integrante della legge islamica, al pari di quella indonesiana. Tale possibilità, in effetti, è ammessa dall’articolo 39 della menzionata legge n. 2 del 1974; per i cattolici, dunque, la possibilità di risposarsi dipende dal fatto che il vincolo matrimoniale è stato dichiarato nullo, oppure che uno dei coniugi sia deceduto.
Nel caso in cui un cattolico si risposasse, mentre sussiste il matrimonio canonico, questa unione non sarebbe valida per la legge della Chiesa Cattolica; in questi casi, la celebrazione di nuove nozze porrebbe un serio problema. L’eventuale riconoscimento del divorzio da parte dell’autorità civile indonesiana non muterebbe il giudizio della Chiesa, per la quale tale istituto non esiste; per questa ragione, il secondo articolo della legge n. 2 del 1974, proibisce di riconoscere il divorzio ai coniugi cattolici, e concede l’applicazione della legislazione canonica. In altre parole, lo Stato indonesiano non interferisce, nemmeno civilmente, con le prescrizioni delle religioni riconosciute ufficialmente, allo scopo di evitare la generazione di situazioni conflittuali.
In alcuni ed eccezionali casi, tuttavia, i vescovi indonesiani concedono la possibilità di convolare a nuove nozze dopo un divorzio, distinguendo tra la sfera religiosa, che lo proibirebbe, e quella civile, che lo consente, ma si tratta di situazioni straordinarie, e non approvate dalla gerarchia ecclesiastica. Altrimenti, un valido matrimonio (sia per la Chiesa che per lo Stato indonesiano) si potrebbe avere solamente in seguito ad una sentenza di annullamento del vincolo matrimoniale da parte del giudice ecclesiastico, che attesta la nullità del vincolo ab origine quando ne ricorrono gli estremi ovviamente.
Pianificazione Familiare
Un ultimo ambito di scontro tra la normativa canonica della Chiesa Cattolica e lo Stato Indonesiano è rappresentato dalla pianificazione delle famiglie, iniziata nei primi anni dell’Orde Baru; nel 1970, in effetti, è stato istituito il Badan Koordinasi Keluarga Berencana Nasional, BKKBN, l’Ente di Coordinamento Nazionale per la Pianificazione Familiare. Si trattava di un ente governativo, supervisionato direttamente dal Presidente della Repubblica Indonesiana, che aveva lo scopo di elaborare una politica demografica, e di coordinare le attività che si riferivano alla pianificazione delle famiglie.
Questo approccio venne elaborato per risolvere una crescita della popolazione che appariva problematica, ma che non poteva essere accettato dalle autorità cattoliche; tale politica indonesiana, del resto, è stata istituzionalizzata dalla legge n. 10 del 1992 sulla Crescita della Popolazione e sul Benessere e lo Sviluppo delle Famiglie. L’obiettivo era duplice, ovvero quello di contenere l’aumento demografico, e, contemporaneamente, di migliorare la condizione di vita delle famiglie e delle singole persone; l’articolo 17 di questa legge lasciava che fossero le coppie a scegliere la metodologia contraccettiva desiderata.
La Chiesa Cattolica, come noto, non prevede la possibilità di usare contraccettivi, al di fuori dei metodi naturali, e questa legge poneva un serio problema morale per i cattolici e per i vescovi indonesiani; questi ultimi, insistettero sulla necessità, per i genitori, di educare e sensibilizzare i figli rispetto alla necessità di contenere la crescita demografica mediante metodi rispettose della dignità umana e della famiglia. I vescovi, in altre parole, si concentrarono sulla soluzione del problema, ma senza rinunciare alla fedeltà ai principi dottrinali della Chiesa.
Conclusioni
La partecipazione silenziosa dei cattolici al Nuovo Ordine di Soeharto, nel primo decennio del nuovo regime, ha prodotto risultati positivi in termini di accesso all’apparato burocratico e militare; tuttavia, a volte alcune leggi di Soeharto sono entrate in contrasto con quanto previsto dalla dottrina cattolica. Tre sono le situazioni problematiche, a cui i vescovi hanno reagito con intelligenza pragmatica, evitando uno scontro diretto con lo Stato Indonesiano. Si tratta dei matrimoni misti o inter-religiosi, del divorzio e della celebrazione di nuove nozze, e della pianificazione familiare e della contraccezione; in questi casi, le gerarchie cattoliche hanno mostrato una notevole capacità di adattamento, favorite da un modello, la Pancasila, riconosciuta come coerente con la dottrina e la missione della Chiesa Cattolica.
Letture Consigliate
- Binawan, A. L. (2023). Indonesian Catholic Bishops’ Attitudes toward Three Controverting Issues during Indonesia’s New Order (1966–1998). Religions, 14(1), 94.
- Sukamto, A., Herlina, N., Sofianto, K., & Soleiman, Y. (2019). Impacts of the Religious Policies Enacted from 1965 to 1980 on Christianity in Indonesia. Mission Studies, 36(2), 191-218.
- Mu’ti, A., & Burhani, A. N. (2019). The limits of religious freedom in Indonesia: with reference to the first pillar Ketuhanan Yang Maha Esa of Pancasila. Indonesian Journal of Islam and Muslim Societies, 9(1), 111-134.