minareto aceh
  Reading time 25 minutes


Abstract

Questo articolo intende analizzare la ricerca di indipendenza di Aceh, in Indonesia, regione dominata dal movimento separatista noto come ‘Gerakan Aceh Merdeka’, o ‘GAM’, in seguito al collasso del regime di Suharto. Il referendum non venne concesso, ed il governo centrale scelse di far leva sull’appartenenza religiosa per concedere un grado di autonomia, che implicava l’implementazione, seppure parziale, della sharia. Nonostante l’ottimismo iniziale, l’applicazione della sharia ha provocato violazioni dei diritti umani e l’emergere della ‘polizia islamica’, che ha commesso gravi abusi nel corso del tempo. Si è dunque sviluppata una resistenza contro l’imposizione della legge islamica da parte di alcuni settori della società civile.

Alcuni intellettuali, poi, come il regista acehnese Fozan Santa, hanno espresso le loro critiche contro la politicizzazione dell’Islam e l’arabizzazione della cultura locale; il festival cinematografico che si tiene per le strade di Banda Aceh con cadenza annuale, in effetti, cerca di sottolineare l’importanza di preservare la cultura locale, evitando che venga sostituita con quella araba.


Introduzione

Dopo il crollo del regime trentennale di Suharto, ad Aceh si svolse una serie di manifestazioni che chiedevano un referendum per la secessione dalla Repubblica Indonesiana, come era stato giò chiesto a Papua, Banten, Riau e Maluku. Si formò, dunque, un gruppo separatista, noto come Gerakan Aceh Merdeka, o ‘GAM’, ovvero ‘Movimento per la Liberazione di Aceh’, che diventò rapidamente popolare; a partire dal 1998, anno in cui inizia la ‘reformasi’, la Riforma che conduce al regime democratico, il GAM moltiplica le sue attività in molte parti di Aceh.
In una situazione di questo genere, evidentemente, i membri del movimento secessionista hanno cercato di capitalizzare l’instabilità politica della nazione.

Del resto, la perdita di Timor Est dopo il referendum ha costretto il governo indonesiano a trovare un’altra soluzione che non contemplasse azioni militari; il governo di Jakarta non ha accettato la richiesta di referendum di Aceh, ma non ha nemmeno scelto di ricorrere all’esercito per risolvere la controversia. In effetti, tale strategia si basava sulla convinzione che nessuna delle due opzioni avrebbe recato beneficio all’amministrazione centrale. L’ammissione del referendum, in effetti, avrebbe potuto essere ulteriormente emulata da altre regioni, compromettendo ulteriormente la stabilità e l’unità della nazione asiatica; l’opzione militare, poi, era particolarmente rischiosa, in quanto la maggioranza della popolazione di Aceh era schierata con il GAM, che non avrebbe esitato a rivolgere le armi contro l’Esercito Nazionale Indonesiano.

Di conseguenza, la controversia è stata risolta ricorrendo all’identità religiosa di Aceh, che in questo caso, è diventato un asset da capitalizzare; del resto, fu questa la scelta anche di Sukarno, che scelse di sopprimere la ribellione acehnese negli anni Sessanta del secolo scorso. Del resto, la comprensione della situazione politica, sia passata che presente, permette di capire le ragioni sottostanti alla lotta di alcuni musulmani acehnesi contro la ‘legge islamica’. La sharia, in effetti, è diventata parte integrante della risposta alla situazione politica in Aceh, in particolare dopo la caduta di Suharto, e le ragioni risiedono nelle attività del GAM.

Molti ricercatori, in realtà, sostengano che il GAM si fosse già trasformato in un movimento non religioso, ma, al momento del conflitto era evidente che molti combattenti locali cercavano di convincere la popolazione di Aceh che si trattasse di una lotta sacra, ovvero una jihad vera e propria. Di conseguenza, la ribellione contro il governo centrale venne presentata come un atto con cui si cercava di far trionfare l’Islam ad Aceh; del resto, i dirigenti del GAM non volevano essere considerati come responsabili di un movimento separatista islamico, allo scopo di essere sostenuti dalla comunità internazionale. A livello locale, tuttavia, si poneva l’esistenza opposta, quella di usare l’Islam e le argomentazioni legate alla jihad per raccogliere consenso per la loro causa.

Si tratta di una contraddizione sostanziale che ovviamente viene sfruttata dal governo di Jakarta per delegittimare la ribellione in corso; non sorprende, dunque, che sia stata proposta la legge n. 44 del 1999 (Undang-undang (UU) Nomor 44 Tahun 1999 tentang Penyelenggaraan Keistimewaan Propinsi Daerah Istimewa Aceh), sulla ‘sulla gestione dell’autonomia speciale della provincia di Aceh’. Questa proposta legislativa, in particolare, riguardava la religione, l’adat (consuetudini locali) e l’istruzione; due anni più tardi, fu emanata la Legge (UU) n. 18/2001, Undang-undang (UU) Nomor 18 Tahun 2001 tentang Otonomi Khusus Bagi Provinsi Daerah Istimewa Aceh Sebagai Provinsi Nanggroe Aceh Darussalam, sulla ‘sull’Autonomia Speciale per la Provincia della Regione Speciale di Aceh come Provincia di Nanggroe Aceh Darussalam’.

E’ quest’ultima legge che ha concesso una speciale autonomia ad Aceh, ed ha permesso l’implementazione della sharia; in questo modo, al governo provinciale sono stati riconosciuti poteri più ampi, allo scopo di implementare il cosiddetto ‘diritto islamico’ o sharia, unitamente al diritto speciale di istituire un tribunale sharia, la Mahkamah Syariah, ed il Dipartimento Ufficiale di Sharia, il Dinas Syariat Islam. Tale status rinnovato si è poi tradotto anche nel cambiamento della denominazione della Provincia di Aceh, diventata Nanggroe Aceh Darussalam, che, secondo le élites locali, sarebbe stata più ‘islamica’, ‘pacifica’ ed indipendente. Le nuove regolamentazioni ed i cambiamenti introdotti, tuttavia, non hanno contribuito a fermare il conflitto.


La fine del conflitto e la normalizzazione

A partire dal 2001, la sharia e l’infaticabile conflitto tra Aceh e Jakarta sono state tematiche che si sono sovrapposte; secondo molti acehnesi, tuttavia, ‘Dio alla fine ha mandato la sua mano per fermare la guerra’. Questa, almeno, è l’interpretazione offerta dei terremoti e dello tsunami del 26 dicembre 2004, eventi naturali che hanno modificato la situazione politica nella regione; Il 15 agosto 2005, a Helsinki (Finlandia), il GAM ed il governo indonesiano hanno firmato un ‘Memorandum of Understanding’ (MoU), ovvero un accordo con cui si è posto fine ad uno dei conflitti più sanguinosi della storia moderna del Sud-est asiatico.

La precisa cronistoria del processo di pace a Helsinki, che descrive nel dettaglio le negoziazioni avvenute, mostra chiaramente che la sharia non è stata tra gli argomenti discussi; l’implementazione della legge islamica, dunque, non ha dato un significativo contributo alla pace. La sharia, tuttavia, venne promulgata dalla legge n. 11 del 2006, in seguito alla proposta di Helsinki. In generale, dunque, dopo il Memorandum d’Intesa di Helsinki e l’applicazione della menzionata Legge sulla Governance di Aceh, la sharia è stata confermata dal governo provinciale di Aceh.

Nel frattempo, il processo di recupero dallo tsunami e la pace in Aceh hanno attirato, comprensibilmente, una presenza internazionale nella regione; la prima sanzione islamica comminata dalle autorità pubbliche, del resto, risale al 2006. Questo evento, tuttavia, non ha immediatamente attirato l’attenzione delle istituzioni internazionali sulle possibili conseguenze derivanti dell’implementazione della Sharia. Il focus, invece, era stato posto sulla risoluzione dei conflitti e sulla gestione delle catastrofi occupavano, e costituivano problematiche che erano ancora in fase di risoluzione o perfezionamento.

Le autorità di Aceh, del resto, hanno promosso una narrativa mediatica, sia nazionale che internazionale, basata sul mantenimento della pace, sui progressi nella ricostruzione e sulla trasparenza nella gestione degli aiuti internazionali. La sharia, dunque, non era un argomento particolarmente interessante o promosso dai mass media di quel periodo storico; l’impronta secolare, inoltre, sembrerebbe confermata dal background secolare del governatore e vice-governatore, appartenuti entrambi al GAM. Irwandi Yusuf e Muhammad Nazar, in effetti, erano in perfetta sintonia con i leaders internazionali del Movimento per la Libertà di Aceh e con le loro opinioni politiche; pertanto, sembra altamente improbabile che i due governanti avessero un particolare interesse a promuovere la sharia.

Dopo l’accordo di Helsinki, il GAM si trasforma in un partito politico locale, noto come Partai Aceh, ovvero Il Partito di Aceh; dopo che molte ONG internazionali lasciano Aceh la situazione cambia in maniera significativa. La Wilayatul Hisbah, WH, ovvero la ‘Polizia della Sharia’, annunciò la propria presenza mediante arresti di massa di coloro che violavano le normative della legge islamica; la WH ha dunque svolto veri e propri raid nei locali o luoghi considerati ‘sospetti’, ovvero luoghi isolati come le spiagge, i caffè e gli hotel. A tali eventi si sono accompagnati vari divieti di condotta pubblica che, secondo le autorità, costituivano violazioni della legge islamica; si pensi, in questo senso, alla celebrazione del Capodanno, agli intrattenimenti pubblici ed altre pratiche che vengono vietate.

Le donne di Aceh vengono poi obbligate ad indossare il jilbab, il velo islamico, e vengno vietati i vestiti attillati o che mostrano le forme del corpo femminile; nel 2009 il Partito di Aceh vinse le elezioni generali. Poco prima di lasciare l’edificio del parlamento, i membri del consiglio rappresentativo uscente di Aceh (dprd Aceh) hanno approvato un progetto di legge per introdurre il Qanun Jinayah, la cosiddetta ‘legge Penale Islamica’. Quest’ultima prevede la lapidazione per chi commette adulterio e 100 frustate per il ‘reato’ di omosessualità; questa regolamentazione, tuttavia, viene rinviata in quanto il governatore, Irwandi Yusuf, si rifiuta di firmare il Qanun. Secondo le normative sull’autonomia, a livello provinciale Irwandi Yusuf non ha tuttavia il diritto di intervenire nella politica della legge islamica.


Abusi e Problematiche

Nella Provincia di Aceh, sono stati registrati abusi dei diritti umani da parte degli ufficiali della Sharia e degli ufficiali del governo regionale nella provincia di Aceh; due membri della ‘polizia islamica’ hanno stuprato e torturato una studentessa di 20 anni che avevano in custodia il 15 luglio 2010. Inoltre, ci sono reggenti che hanno iniziato ad applicare regolamenti controversi nelle loro giurisdizioni; si pensi, in questo senso, a Ramli Mansur, reggente di West Aceh, che ha emesso un Qanun con cui si vieta alle donne di indossare jeans ed abiti ‘attillati’. Pertanto, le donne musulmane a West Aceh sono state obbligate a indossare abiti che coprono tutto il corpo e non rivelano le loro forme, mostrando solo il viso e i palmi delle mani.

A partire da questo momento, i media locali e internazionali, unitamente alle ONG che difendono i diritti umani, come Human Rights Watch, hanno iniziato a segnalare abusi in relazione all’amministrazione della Sharia in Aceh. Si tratta di abusi commessi non solamente dagli ufficiali locali, ma anche da privati cittadini, che in alcuni casi vengono incoraggiati ad implementare le leggi islamiche di Aceh.

Si pensi, in questo senso, al Qanun n. 14 del 2003, in cui si dispone che

Setiap orang baik sendiri maupun kelompok berkewajiban mencegah

terjadinya perbuatan khalwat/mesum.

Ogni persona, sia individualmente che in gruppo, è obbligata a prevenire

il verificarsi di khalwat/mesum (eccessiva vicinanza fisica tra persone che secondo la legge islamica non possono esserlo)

(Qanun Provinsi Nanngroe Aceh Darussalam, Nomor 14, Tahun 2003, Pasal 7)

Sebbene la legge noti anche che tale disposizione non dovrebbe assumere la forma di giustizia sommaria, in pratica si ammette questa deriva, secondo l’interpretazione maggioritaria (ad Aceh perlomeno) di un versetto del Quran, che in questo caso viene applicato letteralmente ed in maniera rigorosa. La differenza evidente tra il regime legale di Aceh, che di fatto è uno Stato Islamico, ed il resto dell’Indonesia, basato sulla legge civile, rende la sharia, nella sua particolare applicazione acehnese, una sorta di separatismo.


Resistenza alla sharia

Sebbene sembri che Aceh sia una società completamente sottomessa alla shariah, si nota un crescente movimento di opposizione all’applicazione della legge islamica; è stato notato, a tale proposito, che,

Nonostante i crescenti processi di shariʿatizzazione, tuttavia, alcuni sviluppi indicano il contrario. Ci sono state anche crescenti resistenze da parte di “circoli progressisti” come alcuni politici musulmani (soprattutto, ma non esclusivamente, ex-gam), intellettuali pubblici, accademici (soprattutto, ma non esclusivamente, dell’Istituto Statale di Studi Islamici (iain) Ar-Raniry), femministe, attivisti queer, intellettuali sciiti, scrittori letterari e attivisti per i diritti umani.

(Moch Nur Ichwan, ‘Alternative Voices to Officialized and Totalized Shariatism
in Aceh’, a research in progress, report 2010).


Secondo alcuni autori, questa realtà è stata finora trascurata da molti ricercatori, ma non da tutti, ed esistono studi, come quello appena citato, in cui si cerca di concettualizzare le tipologie di resistenza alla sharia ad Aceh. Le modalità di opposizione all’applicazione della legge islamica nella sfera pubblica da parte dei cittadini di Aceh, in effetti, variano in base all’istruzione, alle opinioni politiche, alla regione, al genere e alla disposizione personale.

Si osserva, a tale proposito, che quasi tutti gli Acehnesi hanno paura di essere etichettati come ‘anti-Sharia’; ciò nondimeno, alcuni elementi della società di Aceh hanno mostrato il loro disappunto nei confronti della proposta del governo centrale di applicare la legge islamica. Prima dello tsunami del 2004, gli oppositori della sharia potevano essere categorizzati in due gruppi principali, ciascuno con scopi diversi.

Il primo è cosituito dagli Ulama tradizionali delle Dayah (Scuole Coraniche), come Waled Nu, uno degli studiosi musulmani più influenti di Aceh, che etichettò in termini dispregiativi la proposta sulla sharia; egli, in effetti, la considerava un inganno da parte del governo centrale di Jakarta. La versione della sharia proposta da Jakarta, inoltre, è stata criticata anche per essere una comprensione parziale della legge islamica. Si argomenta, dunque, che se il governo centrale avesse agito in buona fede, esso avrebbe concesso una legge islamica completa e non parziale, nota come Syariat Islam Kaffah. Secondo la visione dei sapienti islamici tradizionalisti di Aceh, invece, il governo ha concesso un’applicazione parziale, ma visibile della sharia, che dovrebbe essere rifiutata in questa formulazione.

Il secondo gruppo, poi, comprende diversi attori sociali, che però condividono la stessa opinione riguardo alla proposta del governo; si tratta di politici (principalmente leaders del GAM), attivisti per i diritti umani ed intellettuali universitari che considerano l’implementazione della sharia uno strumento politico del governo per creare conflitto tra gli Acehnesi. Secondo Nur Djuli, un leader anziano del GAM, Aceh è diventata un centro di insegnamento islamico in tutta l’Indonesia; non si comprende, dunque, la ragione che spinga il governo indonesiano a ‘re-Islamizzare’ Aceh. Djuli sostiene che lo status speciale sia solo una tattica del governo per conquistare il consenso degli acehnesi; il leader, inoltre, ha confermato che il GAM non ha mai cercato di creare uno Stato islamico. Ideologicamente, il GAM era motivato dalla coscienza storica, e la sua lotta si basa sull’idea di indipendenza, e non su questioni religiose, che non sono mai emerse nel Movimento per la Libertà di Aceh.

Si consideri, inoltre, che il rifiuto del governatore Irwandi Yusuf di firmare il Qanun Jinayah (implementazione del diritto penale islamico), non si può separare dalla reazione delle organizzazioni della società civile di Aceh che hanno dimostrato la loro resistenza alla sharia ed alla trasformazione di Aceh in una sorta di Emirato islamico. In effetti, dopo che la bozza del Qanun Jinayah è stata pubblicata sui giornali, 100 attivisti del Jaringan Masyarakat Sipil Peduli Syariat/jmsps, la Rete della Società Civile Preoccupati per la Sharia) si sono recati al Parlamento di Aceh. In questa sede, è stato chiesto ai suoi membri ed al Governatore di rifiutare il Qanun, in quanto tale applicazione della legge islamica contiene diverse violazioni dei diritti umani. Il gruppo ha convinto con successo Irwandi a posticipare l’attuazione del Qanun Jinayah. Le richieste di questo insieme di associazioni della società civile, come noto, sono state accolte, ed il Qanun è stato posposto.


Opposizione alla ‘Arabizzazione’

Uno dei (tanti) fenomeni insoliti a Banda Aceh è l’assenza di un cinema pubblico in città, una problematica che persiste attualmente, come si evince dal recente rifiuto degli ulama locali; si tratta di una situazione differente rispetto a quanto si può osservare nelle capitali di altre province indonesiane dove guardare film al cinema rappresenta una caratteristica ordinaria dello stile di vita urbano. In effetti, città vicine come Medan e Padang hanno almeno tre cinema ciascuna, generalmente in piazze e centri commerciali.


Banda Aceh, nonostante lo sviluppo di vari progetti commerciali dopo lo tsunami, non ha ancora un cinema; negli anni Ottanta e Novanta, tuttavia, esistevano quattro cinema popolari a Banda Aceh, ed il più antico era il Teatro Garuda situato vicino al parco giochi pubblico di Blang Padang. In effetti, il Teatro Garuda era un edificio usato per rappresentazioni artistiche ed era uno dei lasciti coloniali di Banda Aceh, ed in seguito all’indipendenza divenne il primo cinema pubblico commerciale della città. Nel 2004, l’edificio è stato colpito e distrutto dallo tsunami; anche se è stato ricostruito, l’ex cinema ha attualmente altre finalità, e viene usato principalmente per i matrimoni. Invece, non esiste un programma regolare per le performance artistiche o per i film.

Inoltre, c’erano cinema dedicati alla memoria del popolo di Banda Aceh, come il ‘Gajah Theatre’, il ‘Jelita Theatre’ e ‘Pas 21’. Quest’ultimo è stato bruciato durante il conflitto del 2001, mentre il ‘Jelita’ è stato chiuso verso la fine degli anni Novanta, a causa del peggioramento della situazione politica. Il Teatro Gajah era l’ultimo cinema rimasto ad Aceh, ed era riuscito anche a sopravvivere al conflitto, ma ora è chiuso al pubblico dopo il disastro del 2004, e viene utilizzato come magazzino militare. Pertanto, attualmente non ci sono cinema a Banda Aceh, in quanto le autorità islamiche considerano la presenza di una sala cinematografica come incompatibile con l’attuazione della Sharia, e come un luogo che può causare una violazione della legge islamica.

Esistono però voci critiche sulla chiusura dei cinema, come Fozan Santa, un regista nato ad Aceh, che considera il cinema come un mezzo estremamente efficace per l’apprendimento, e per lo scambio pubblico di informazioni e cultura. Il suo background come regista cinematografico e sceneggiatore ha portato al cambiamento del programma Dokarim, che da semplice corso di formazione per scrittori è diventato anche un festival cinematografico annuale che si svolge a Banda Aceh.
Si tratta di un evento che tuttavia appare differente dagli altri festival cinematografici, in quanto, come ricordato in precedenza, Banda Aceh non dispone di cinema. Per questa ragione, Fozan ed i suoi amici hanno installato schermi e lettori VCD nel campus universitario, nei caffè e nei villaggi, allo scopo di diffondere il festival. È interessante notare, poi, che tutti i film proiettati durante il festival riguardano la situazione in Medio Oriente e Nord Africa; in effetti, Fozan ed i membri della scuola Dokarim chiamano il festival il ‘Festival Film Arab’ o il Festival del Film Arabo.

Fozan, laureatosi presso l’IAIN Sunan Kalijaga di Yogyakarta, sostiene che la sharia ha portato all’imposizione della cultura araba in Aceh; in quanto musulmano istruito, il regista immaginava che l’Islam e la sharia, nella loro definizione fondamentale, avrebbero contribuito positivamente a ricostruire Aceh in seguito al conflitto ed allo tsunami. Invece, Fozan ritiene che le autorità abbiano politicizzato l’Islam e la sharia per conquistare e mantenere il potere; secondo tale visione, sono pochi gli acehnesi contemporanei ad operare la distinzione tra Islam e cultura araba. Attraverso la sua conoscenza dell’Islam e delle culture musulmane, il regista vuole illustrare che il processo in corso ad Aceh costituisce un tentativo di ‘arabizzazione’ piuttosto che di islamizzazione. Lo slogan del festival è ‘Sinoe Aceh Sideh Arab, Sinoe Sideh Hana Rab’, che letteralmente si può tradurre ‘Qui è Aceh, lì è il Mondo Arabo; Qui (Aceh) e Lì (Arabia) non sono vicini (e non così simili)’. Si cerca di sottolineare in modo critico la presenza delle molteplici differenze tra le due culture, e l’improponibilità di un’operazione di sostituzione culturale.


Letture Consigliate

  • Chaplin, C. (2016). Islam, Politics and Change. The Indonesian Experience after the Fall of Suharto, edited by Kees van Dijk and Nico JG Kaptein. Bijdragen tot de taal-, land-en volkenkunde/Journal of the Humanities and Social Sciences of Southeast Asia172(2-3), 387-390.
  • Rani, F. A., Fikri, F., & Mahfud, M. (2020). Islam and National Law: A Formal Legal Review on Sharia Laws in Aceh. Al-Risalah20(1), 47-57.
  • Djawas, M., Nurdin, A., Zainuddin, M., Idham, I., & Idami, Z. (2024). Harmonization of State, Custom, and Islamic Law in Aceh: Perspective of Legal Pluralism. Hasanuddin law Review10(1), 64-82.
  • Purwanto, M. R., Mulyadi, M. S., Ferdiansyah, M. S., & Rokhimah, F. (2021). Problems of Implementation of Islamic Criminal Law (Qanun Jinayah) In Aceh Darussalam Province. Rigeo11(9).
  • Huda, Y. (2020). Islamic Sharia in Aceh and its implications in other regions in Indonesia: case study during implementation Aceh as Nanggroe Aceh Darussalam. PETITA5, 189.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *