Abstract
I Gesuiti, ordine religioso inviato ad evangelizzare l’arcipelago indo-malese, hanno operato anche in altri contesti; in questo articolo, si cerca di comprendere la strategia usata nelle Filippine (Paese attualmente a maggioranza cattolica) e le Isole Marianne. In entrambi i casi, si osserva una strategia che combina abilmente elementi religiosi e politici, che si intrecciano in maniera inestricabile; i racconti agiografici trasformano i missionari morti in eroi-martiri, il cui esempio motiva e giustifica non solamente il proselitismo religioso, ma anche e soprattutto la conquista militare.
The Jesuits, a religious order sent to evangelize the Indo-Malay archipelago, also operated in other contexts; in this article, we seek to understand the strategy used in the Philippines (currently a predominantly Catholic country) and the Mariana Islands. In both cases, a strategy is observed that skillfully combines religious and political elements, which intertwine inextricably; hagiographic accounts transform the deceased missionaries into hero-martyrs, whose example motivates and justifies not only religious proselytism but also, and above all, military conquest.
Introduzione – I Gesuiti, una Rete Globale
Verso la metà del Cinquecento, la Spagna poteva vantare un impero di grandi dimensioni, e la religione cattolica veniva diffusa nei territori conquistati; i Gesuiti, in tale contesto, cercarono di innovare, in quanto essi tentarono di creare una nuova tipologia di ‘impero cristiano’. Quest’ultimo, tuttavia, non era concepito come il risultato di una forzatura, ma del lavoro dei missionari, che dovevano indicare la ‘verità’, inducendo gli indigeni ad abbracciarla. Per questa ragione, le missioni dei Gesuiti non cercavano di convertire, ma di assimilare la popolazione indigena da un punto di vista sia religioso che culturale; tale obiettivo, poi, veniva perseguito mediante l’istituzione di comunità indigene stabili, affidate alla cura dei missionari che operavano sotto il patronato spagnolo.
Si tratta di un modello che nel XV secolo era dominante, e che aveva lo scopo, almeno nelle sue intenzioni, di creare una frontiera cristiana in continua espansione; per questa ragione, la Societas Jesu è stata considerata la prima istituzione religiosa globale. In effetti, i viaggi e le spedizioni missionarie coinvolgevano il mondo intero, e questo aspetto appare incredibile, se lo poniamo nel Cinquecento; grazie a questa organizzazione, la fede cattolica, sponsorizzata dalle corone iberiche, è davvero giunta ovunque.
Si osserva, a tale proposito, che i pochi gesuiti giunti nelle Filippine verso il 1581 dalla ‘Nuova Spagna’,un territorio immenso che corrisponde a parte degli attuali Stati Uniti, al Messico e all’America Centrale,

avevano risposto ad un appello del governatore e capitano generale delle Filippine, Guido de Lavezaris, che si era rivolto alla corona spagnola. Le autorità della colonia spagnola (dal 1565), poi, scelsero una suddivisione amministrativa basata sul ‘barangay’, nota come ‘doctrinas’, allo scopo di promuovere l’evangelizzazione della popolazione locale, e, allo stesso tempo, aumentare la produzione agricola e la raccolta di tributi.
Missioni dei Gesuiti
Nelle Americhe, le missioni dei Gesuiti erano luoghi in cui gli indigeni erano dei ‘reducti’, ovvero trasformati in sudditi cristiani che avevano appreso a vivere secondo le regole della società civile; la popolazione nativa veniva dunque raccolta in villaggi (reductiones o reducciones). In realtà, l’attività dei gesuiti non fun confinata in qualche parrocchia o villaggio, ma si estese anche ad aree che erano state islamizzate, come le Marianne, Palau e le Isole Caroline, territori di frontiera rispetto all’impero spagnolo. Francisco de Vera, giunto a Manila nel 1596 e diventato confessore del Governatore Francisco Tello de Guzman, incoraggiò un’evangelizzazione pacifica delle comunità indigene.
Verso i ‘mori’ (musulmani), invece, egli adottò un approccio più aggressivo, in quanto essi rappresentavano il principale ostacolo alla cristianizzazione nel Sud del Paese; Mindanao e Sulu, a tale proposito, erano due punti strategici da cui i gesuiti potevano approdare alle Molucche ed alle altre isole che formano l’attuale Indonesia. Al pari di quanto sarebbe accaduto anni dopo con le Isole Marianne (ad Est delle Filippine), i gesuiti cercarono di convertire i musulmani di Sulu ad ogni costo.
Gli strumenti principali delle missioni, sia nelle Filippine che altrove, erano i colegios, le scuole, da cui venivano organizzate le missioni ‘a breve termine’ dei Gesuiti, seguite da quelle che abbracciavano il lungo periodo. In pratica, il superiore provinciale inviava gruppi di missionari nelle aree da evangelizzare, e Claudio Acquaviva, il Superiore Generale della SJ nel periodo in esame, inviò cinque sacerdoti nelle Filippine, sotto gli auspici del Re Filippo II. Con un decreto, il sovrano suddivise il lavoro missionario dei territori situati nel cosiddetto ‘finis terrae’, ‘ai confini del mondo’; ai gesuiti furono assegnate le aree più povere e meno popolate, mentre territori meno ostili andarono agli ordini mendicanti (domenicani e francescani).
Le Isola Marianne
L’impero spagnolo, che includeva possedimenti come le Filippine, si basava su un stretto controllo della popolazione locale, inquadrata nelle parrocchie; del resto, l’idea rinascimentale di civiltà, preveda una serie di città (insediamenti) comprendeva due sfere. La prima era l’urbe, intesa come un insieme di edifici, mentre la seconda era la civitas, che indicava la comunità politica e umana; per questa ragione, coloro che erano ancora nomadi erano considerati ‘incivili’, barbarici, dai tratti animaleschi. Nel XVI secolo, inoltre, il termine ‘policia’ si riferiva ai cittadini che vivevano nello spazio organizzato della città.
Nel XVI secolo, esisteva un legame ben preciso tra la civitas e la religio, e, per questa ragione, gli ordini missionari organizzarono la popolazione locale in città e villaggi, come è accaduto nella Nuova Spagna, allo scopo di realizzare la ‘Nuova Gerusalemme’. Altri esempi simili possono poi essere osservati in Brasile, dove i gesuiti furono inviati verso la metà del XVI secolo; la Societas Jesu, effettivamente, era una rete globale, che riuscì a raccogliere e sostenere un numero impressionante di scuole e missioni che si estendevano dalle Filippine, all’India, alla Cina, al Giappone ed alle Americhe.
Da questo punto di vista, i gesuiti non agivano come dei semplici ministri di culto, ma anche come agenti politici ed economici delle missioni affidate alla loro cura; teoricamente, si trattava di una strategia altamente efficace. L’evangelizzazione delle popolazioni dell’area asiatica e pacifica venivano trasformate in missionari che avrebbero convertito altre persone; in pratica, tuttavia, si nota che l’identità dei Gesuiti si trasformò a causa delle resistenze, dell’appropriazione, accomodamento e altri processi fondamentali che accompagnarono le missioni.
Gli indigeni della micronesia, tuttavia, non erano considerati del medesimo livello culturale di altre civiltà, come giapponesi e cinesi; al contrario, essi venivano visti come inferiori da un punto di vista morale, come gli abitanti dei Caraibi. A causa di tale classificazione, le popolazioni delle Isole Marianne furono costrette a rinunciare alle loro credenze tradizionali, ed a cooperare con le autorità cristiane delle Isole del Pacifico; i gesuiti, tuttavia, non cercarono di integrare la cultura dei nativi. Al contrario vennero usate metodologie apparentemente non violente, ma che si rivelarono più violente di quanto ci si sarebbe aspettato.
Nelle Marianne, i Gesuiti fondarono la missione nel 1668, grazie all’opera di San Vitores, un missionario spagnolo, che cercò di convertire ‘lo straniero ed il pericoloso in familiare, piacevole e di valore’, secondo quanto riferisce lo storico Vicente Rafael (2010, p. 18). Si deve a Vitores, nel 1669, la costruzione della prima chiesa nella città di San Ignazio Agana (l’odierna Hagatna), che dedicò al ‘Dulce Nombre de Maria’, al ‘Dolce Nome di Maria’.
Si nota, tuttavia, che la traslazione della cultura locale (Chomorro) in idee e concetti cattolici non coincise con la semplice riduzione della storia locale ad un simulacro occidentale; al contrario, in questo caso, il processo di evangelizzazione mostra risultati che non si allineano con quanto si può osservare in altre aree. Si tratta di un caso in cui il dialogo tra le diverse culture ha permesso di mantenere le tradizioni locali, e, allo stesso tempo, di interpretarle in una chiave nuova, quella proposta dai missionari gesuiti; la storia che si osserva nelle Marianne dal 1668 al 1769, in effetti, non è quella di una conversione forzata, quanto piuttosto di una serie di incontri tra culture e tradizioni differenti.
Un Ambiente Ostile
A partire dal suo esordio, la conquista e colonizzazione delle isole dell’Oceania non è stata un’impresa che ha generato profitti economici; in un momento iniziale, questi territori non dipendevano dalle Filippine, ma dal Vice Reame della Nuova Spagna. Il problema principale era la scarsità, per non dire assenza, di metalli preziosi; si tratta di una situzione che avrebbe giustificato la decisione di abbandonare questa impresa. In aggiunta, la topografia delle Marianne ostacolava notevolmente l’accesso da parte dei galeoni spagnoli provenienti da Acapulco; ciò nonostante, i gesuiti decisero di rimanere ed operare in questo ambiente ostile.
Evidentemente, la loro permanenza nelle Isole Marianne non è stata dettata dal desiderio del profitto economico, ma dal desiderio di espandere la cristianità, e, insieme ad essa, anche la frontiera dell’impero spagnolo. I gesuiti, in altre parole, erano motivato dal desiderio di espandere la civitas e di portarla anche in questi territori lontani, non solo in senso geografico, ma anche e soprattutto culturale; in effetti, nel corso del XVIII secolo, queste terre sono diventate un luogo di rilevanza strategica per l’espansione dell’impresa coloniale.
Anche se le Filippine erano poste ai margini dell’impero spagnolo, esse sono state il centro politico, economico ed intellettuale dei possedimenti asiatici, come lo è stata l’isola di Giava per gli olandesi; al pari di Batavia, Manila divenne il più importante porto asiatico, capace di collegarsi alla Cina, al Giappone ed alla Nuova Spagna. La posizione preminente di Manila, in effetti, fu determinata da due ragioni fondamentali; la prima è legata alle frontiere interne, che separavano le popolazioni conquistate da quelle che ancora non lo erano state. La seconda frontiera, invece, era esterna, e separava Luzon, al Nord, da Mindanao e Sulu, al Sud, in cui era forte l’influenza dell’Islam, che, anche in questo caso, diventa un’ideologia politica da contrapporre agli sforzi colonizzatori degli spagnoli.
Ordini Religiosi e Potere Politico
Gli ordini religiosi avevano uno status privilegiato nella struttura di potere delle Filippine, e agivano come teste di ponte di un ordine cattolico, funzionale alle imprese militari dei sovrani spagnoli nelle enclaves dell’Estremo Oriente. Nel 1655, i gesuiti Alejandro Lopez e Juan de Montel morirono nel Sud di Mindanao, nel corso di uno scontro con le forze del Sultano Muhammad Kudarat; questo evento viene presentato in chiave religiosa, ed il nemico viene etichettato come ‘barbaro’. Ancora una volta, riemerge la retorica che separava la civiltà dalla barbarie, il bene dal male. Non sorprende, dunque, che i gesuiti abbiano presentato una narrativa basata sulla spettacolarizzazione ed interpretazione ideologica della conquista delle Filippine e delle isole del Pacifico.
Si sviluppa, dunque, un’agiografia che viene presentata come storia, ma che, evidentemente, non può essere considerata tale; si pensi, in questo senso, alle figure di Francisco Combés (1620–65) e Diego de Oña (1655–1721), ma anche a Francisco García (1641–85) e Francisco de Florencia (1619–95). Si tratta di agiografi gesuiti che costruiscono una narrazione basata sul martirio dei missionari morti nel corso della predicazione del vangelo, che diventano eroi morti in una sorta di guerra santa contro il ‘male’. In questo modo, l’opera dei missionari diventa la continuazione di quanto già intrapreso dai primi eroi, e tale elemento diventa un fattore che motiva e giustifica la necessità di questa impresa, anche, evidentemente, dal punto di vista politico.
Del resto, anche la popolazione del Sud, come Mindanao, di fede islamica, giustificava la resistenza invocando un’identità islamica che si fondeva (e si fonde) con quella nazionale; si tratta di un fenomeno che nell’Islam rimane intatto anche nell’epoca attuale, e che è stato abbandonato dai cattolici. Nel XVII secolo, tuttavia, si oppongono due narrazioni identitarie e ideologie basate sulla religione, quella cattolica per gli spagnoli e quella islamica per la parte avversa; religione e politica, dunque, si intrecciano in maniera inestricabile, a prescindere dal credo religioso considerato.
La Missione Religiosa nelle Marianne
Nelle prime fasi dell’evangelizzazione delle Marianne (1668-1676), furono diversi i gesuiti a diventare eroi ‘caduti sul campo’ della missione cattolica, morti per mano di ‘indomiti barbari’; si pensi, in questo senso, a San Vitores, Luis de Medina e Sebastian de Monroy.


Nel 1679, le autorità di Manila ordinarono una spedizione punitiva, per garantire la stabilizzazione dei villaggi Chomorro, mediante la conversione e/o la reductio (che comportava comunque una conversione successiva). Il nuovo superiore generale dei gesuiti, Bartolomé Besco riteneva, come del resto i gesuiti italiani, tedeschi e spagnoli, che fosse necessaria la forza per soggiogare il gruppo di dissidenti.
Del resto, la morte violenta di Sebastian de Monroy aveva suscitato una grande impressione. La sua agiografia, in effetti, inizia con queste parole evocative,
Vida y gloriosa muerte del Venerabile Padre Sebastian de Monroy, Religioso de la Compañía de Jesus, que muriò dilatando la Fé de los barbaros en las Islas Marianas.
Vita e Gloriosa Morte del Venerabile Padre Sebastian de Monroy, Religioso della Compagnia di Gesù, che morì (a causa) della diffusione della fede (cattolica) tra i barbari delle Isole Marianne.
(Gabriel de Aranda, SJ, Vida y gloriosa muerte del Venerabile Padre Sebastian de Monroy, Sevilla, 1690, p. 1)
Da notare la connotazione di ‘soldato di Dio’, e ‘degno figlio di S Ignazio di Loyola, ex militare, che conferma la vocazione militare dei gesuiti, che si aggiunge a quella religiosa; il padre de Aranda, nella medesima opera, osserva,
Conquista digna de un hijo de S. Ignacio, y
de quien pretendía seguir los passos alentados
de un Xavier, pues solo halló en ella trabajos y
perder la vida a mano de aquellos a quienes
avia facado de las tinieblas del Gentilismo a
las luzes de la gracia por medio de la predicacion,
que testificó con su sangre muriendo, por
entablar entre aquellos barbaros uno de los Sacramentos
de nuestra Católica Fe, como nos dirá
el discurso de la Historia, quando lleguemos a
concluir la narración de ra virtuosa vida, y
exemplar muerte en este tratado, que escrivo.
Conquista degna (il martirio) di un figlio di S. Ignazio, e di chi ha cercato di seguire i passi incoraggianti di un Francesco (Saverio), poiché solo trovò in essa fatiche e la perdita della vita per mano di coloro che aveva strappato dalle tenebre del Gentilismo (paganesimo) alla luce della grazia mediante la predicazione, che testimoniò con il suo sangue morendo, per stabilire tra quei barbari uno dei Sacramenti della nostra Fede Cattolica, come ci dirà il discorso della Storia, quando arriveremo a concludere la narrazione della sua vita virtuosa e morte esemplare in questo trattato, che scrivo.
(Gabriel de Aranda, SJ, Vida y gloriosa muerte del Venerabile Padre Sebastian de Monroy, Sevilla, 1690, p. 2)
Si tratta di un esempio di agiografia tipica proposta dai gesuiti, che si configurano come una rete culturale e militare, prima ancora che religiosa; per questa ragione, quando si leggono queste pagine non è corretto applicare modelli che sono estranei a questa epoca storica, in quanto si tratta di archetipi diffusi ad ogni latitudine.
Conclusioni
L’evangelizzazione delle filippine nel XVI secolo, da parte dei cattolici e dei gesuiti in particolare, ha seguito un modello basato sul patronato spagnolo e sulle reductiones, villaggi in cui venivano riuniti i convertiti al cattolicesimo, sotto la guida dei religiosi della Compagnia di Gesù. La predicazione delle Isole Marianne, poi, conferma che i missionari non erano spinti solamente da motivazioni religiose, ma anche politiche. L’espansione della cristianità, associata all’idea di civiltà, in effetti, corrispondeva all’ampliamento della sfera di influenza spagnola; in tale contesto, un ruolo fondamentale lo hanno assunto i racconti agiografici, che hanno elevato i missionari uccisi in eroi-martiri, proposti come esempio da imitare e giustificazione dell’impresa coloniale. La resistenza delle popolazioni locali, poi, era etichettata come dissidenza e duramente repressa, ma tali azioni erano considerati non solamente accettabili, ma anche necessarie.
Letture Consigliate
- Vicente L. Rafael. (1988). Contracting Colonialism: Translation and Christian Conversion in
Tagalog Society under Early Spanish Rule. Cornell University Press. Ithaca. - Vicente M. Diaz. (2010). Repositioning the Missionary: Rewriting the Histories of Colonialism,
Native Catholicism, and Indigeneity in Guam. University of Hawaiʻi Press, Honolulu. - Coello De La Rosa, A. (2019). Gathering Souls: Jesuit Missions and Missionaries in Oceania (1668–1945): Brill’s Research Perspectives in Jesuit Studies. Brill. Leiden.