al sisi
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Abstract

L’articolo analizza il fallimento della Primavera Araba in Egitto, inizialmente considerata promettente per la democrazia ed i diritti umani, in seguito alla caduta di Mubarak nel 2011, che ha acceso speranze di un reale cambiamento. Tuttavia, l’assenza di obiettivi comuni fra i diversi gruppi rivoluzionari, la frammentazione politica e la repressione del regime hanno impedito la transizione democratica. Il processo di re-islamizzazione ha poi rafforzato i movimenti islamisti, influenzando profondamente la società e la politica egiziana. Da ultimo, si nota l’uso dell’Islam da parte del Presidente Al-Sisi, allo scopo di giustificare e legittimare il controllo autoritario; il futuro dell’Egitto resta dunque incerto, ed oscilla tra autoritarismo e la possibilità di un cambiamento democratico.


Introduzione

La Primavera Araba, un fenomeno rivoluzionario che ha attraversato il Nord Africa e il Medio Oriente a partire dalla fine del 2010, si è originariamente manifestata come un movimento portatore di speranza ed aspirazioni di cambiamento. Si tratta di manifestazioni popolari determinate dal desiderio di promuovere la democrazia, di migliorare i diritti umani e di generare una maggiore responsabilità nei confronti dei governi, che in molti casi avevano assunto la forma di regimi autoritari ed oppressivi. In Egitto, in particolare, la rivolta che ha portato alla caduta del regime di Hosni Mubarak nel febbraio 2011 è stata considerata come un momento cruciale, che annunciava un’era di rinnovamento politico e di opportunità senza precedenti.

Molti cittadini egiziani si sono mobilitati con la speranza di partecipare attivamente alla costruzione di uno Stato più giusto e inclusivo, libero dalla corruzione e dall’oppressione che avevano caratterizzato il passato recente del Paese. Tale movimento, alimentato da una combinazione di elementi differenti, come l’attivismo dei giovani e della società in generale, ha attirato l’attenzione del mondo intero. Tuttavia, a distanza di oltre un decennio da questi eventi, risulta evidente che la transizione democratica in Egitto è sostanzialmente fallita, ed il Paese ha subito anche un processo di re-islamizzazione.

Il fallimento della Primavera Araba in Egitto può essere attribuito a diversi fattori tra loro connessi, come le dinamiche sociali, le problematiche economiche persistenti ed una risposta repressiva, ed evidentemente inadeguata, da parte dello Stato. Non sorprende, dunnque, che l’atteso consolidamento del processo democratico non si è verificato; al contrario, questo Paese è stato caratterizzato da un ritorno a forme autoritarie di governo. In tale contesto, le istituzioni che hanno riacquisito il pieno controllo sulla vita quotidiana dei cittadini, limitando diritti e spazi di libertà e di espressione fondamentali.

Sviluppi significativi, poi, sono stati registrati in ambito religioso e culturale, in quanto il regime ha cercato legittimitarsi mediante un approccio conservatore, ed ha promosso la proliferazione dei movimenti islamici. La religione, in effetti, è stata usata come un potente strumento di coesione nazionale e di controllo della società; si tratta di un processo di re-islamizzazione, che ha portato ad una crescente influenza dei valori e delle regole islamiche nella società egiziana, incidendo non solamente sulla vita politica, ma anche sulle relazioni sociali e culturali.

Questo articolo si propone di esaminare le ragioni del fallimento della Primavera Araba in Egitto, unitamente al contemporaneo processo di re-islamizzazione, con particolare attenzione per la complessa interazione tra i fattori sociali, economici e politici. Mediante un’analisi critica degli eventi che hanno segnato questo periodo, si cercherà di comprendere l’influenza di tali dinamiche sulle prospettive future dell’Egitto.


Le Radici del Fallimento


Ambiguità degli Obiettivi

Uno dei principali motivi del fallimento della Primavera Araba in Egitto deve essere ricercato nell’ambiguità degli obiettivi perseguiti dal movimento; nel corso delle storiche manifestazioni di piazza Tahrir nel 2011, si è registrata una partecipazione straordinariamente eterogenea e rappresentativa della società egiziana. A tali manifestazioni hanno preso parte liberali, socialisti, islamisti e giovani attivisti, ciascuno con le proprie aspirazioni, ideali e richieste di cambiamento specifiche. Tuttavia, a fronte di questa pluralità di voci e di visioni, è emersa una preoccupante mancanza di una visione comune e condivisa, che sarebbe stata necessaria per unire le forze di opposizione al regime di Mubarak, ed indirizzare il movimento verso una proposta politica concreta e coerente.

La situazione, poi, è stata ulteriormente complicata dalla più ampia e profonda crisi politica ed economica che affliggeva il Paese, e tale situazione, evidentemente, ha reso ancora più imperativa la necessità di un’agenda chiara e ben definita. In seguito allla caduta di Hosni Mubarak, che rappresentava un simbolo di oppressione per molti egiziani, i differenti gruppi hanno sfruttato il vuoto di potere come un’opportunità per affermare le proprie rivendicazioni e per cercare di ottenere il controllo del processo politico emergente.

Le divergenze tra i gruppi, inoltre, non si limitavano alle ideologie politiche, ma si estendevano anche a questioni inerenti la strategia ed il metodo; alcuni attori ritenevano urgente una democratizzazione rapida e chiare riforme istituzionali. Altri, invece, hanno cercato di adottare un approccio più graduale, allo scopo di evitare che un cambiamento troppo radicale potesse portare a instabilità. Questa mancanza di coesione ha indebolito la capacità del movimento di raggiungere i propri obiettivi immediati, ed ha anche compromesso la sua credibilità rispetto alla popolazione egiziana, che ha iniziato a disilludersi in merito alla possibilità di un reale cambiamento politico.


Frammentazione Politica

La frammentazione dell’opposizione, unitamente alla rivalità tra le differenti fazioni politiche, hanno significativamente ostacolato il progresso verso un’autentica democrazia nel Paese; la complessità di tale situazione, poi, ha trovato una delle sue espressioni più evidenti nel ruolo del Partito Libertà e Giustizia, che si configura come la branca politica dei Fratelli Musulmani, la principale forza politica affermatasi in seguito alle elezioni del 2012.

Il Partito Libertà e Giustizia, pur potendo contare su un considerevole sostegno, ha mostrato un approccio che spesso si è rivelato autoritario; tale caratteristica, unita alla sostanziale assenza di alleanze strategiche con altri gruppi politicamente significativi, ha contribuito ad alimentare un diffuso malcontento tra la popolazione. Molti cittadini, in effetti, sono stati delusi dalle promesse non mantenute, oltre che dall’assenza di un dialogo costruttivo, ed hanno iniziato a porre in discussione la legittimità del governo.

Inoltre, le tensioni persistenti tra islamisti e laici hanno ulteriormente complicato il panorama politico, portando ad un clima di instabilità che ha reso difficile l’implementazione di politiche efficaci e capaci di rispondere alle esigenze della popolazione. Queste divisioni ideologiche hanno comportato scontri e conflitti interni, ed hanno anche ostacolato la creazione di un fronte unito, che sarebbe stato necessario per la creazione di istituzioni democratiche solide e funzionanti. L’inefficienza del governo è stato dunque il risultato di un contesto politico frammentato e conflittuale, in cui la ricerca di una vera democrazia continua a rimanere una sfida irrisolta.


Repressione dello Stato

La reazione del regime militare, che ha ripreso il controllo del paese con il colpo di stato nel mese di luglio del 2013, ha segnato un cambiamento drammatico ed irreversibile dello scenario politico egiziano; sotto la guida del presidente Abdel Fattah al-Sisi, il governo ha instaurato una politica autoritaria e repressiva nei confronti dei dissenzienti. Tale approccio è stato segnato da moltissime detenzioni arbitrarie, e migliaia di attivisti, membri della società civile e semplici cittadini sono stati arrestati in assenza di un giusto processo, e spesso senza accuse infondate.

Il regime, inoltre, ha ristretto considerevolmente la libertà di stampa e dei mezzi di comunicazione, ed ha imposto censure, oltre a perseguitare i giornalisti che tentavano di riportare critiche al governo o eventi non graditi al regime. Le redazioni dei media, sia nazionali che internazionali, si sono ritrovate sotto attacco, e molti operatori sono stati costretti ad auto-censurarsi per non incorrere in ritorsioni. Si è dunque creato un clima di paura ed intimidazione, che ha soffocato il dibattito pubblico, mentre la la libertà di espressione è diventata un concetto meramente astratto.

L’implementazione di questa strategia ha lasciato un segno indelebile sulla società egiziana, sopprimendo ogni forma di dissenso pacifico e legale, ed ha alimentato la radicalizzazione di numerosi individui, soprattutto i giovani, che hanno abbracciato ideologie islamiste e lontane dall’ideale democratico. In un contesto caratterizzato da una crescente insoddisfazione, oltre che da una sostanziale mancanza di opportunità, i gruppi radicali hanno dimostrato la capacità di capitalizzare le frustrazioni diffuse, promettendo soluzioni che il regime non è stato capace di fornire. La repressione, dunque, non ha solamente marginalizzato il dissenso, ma ha anche contribuito a radicalizzare alcuni segmenti della popolazione. Evidentemente, questa situazione ha ulteriormente compromesso la stabilità del Paese ed ha notevolmente ostacolato la possibilità di un futuro democratico.


Contesto Economico Difficile

La crisi economica che ha colpito l’Egitto dopo la rivolta ha ulteriormente aggravato una situazione già compromessa; a partire dai giorni immediatamente successivi ai disordini, il Paese ha dovuto affrontare una serie di sfide economiche devastanti. L’instabilità politica che ha caratterizzato la transizione post-rivoluzionaria, ha portato ad un crollo del turismo senza precedenti, ed ha compromesso un settore essenziale per l’economia egiziana. Il comparto turistico, in efffetti, rappresenta una fonte critica di lavoro e reddito per milioni di cittadini. Gli operatori di questo settore, tuttavia, hanno testimoniato il crollo del numero dei, a causa del timore di nuovi disordini, oltre che della percezione negativa dell’Egitto da parte degli altri Paesi.

In aggiunta, si nota che l’aumento della disoccupazione ha colpito soprattutto i giovani, alimentando il senso di impotenza e frustrazione tra la popolazione; i governi transitori che si sono succeduti, erano privi di stabilità politica, oltre ad essere scarsamente legittimati. Nonostante alcuni tenativi di riforma, si è spesso registrato il loro fallimento nel soddisfare le aspettative della popolazione, contribuendo ad un crescente risentimento e ad un maggiore malcontento all’interno della società.

La frustrazione economica, unita all’assenza di reali opportunità, oltre che di una concreta prospettiva di miglioramento, ha alimentato il sostegno alle soluzioni populiste; queste ultime, spesso di matrice islamista, hanno trovato terreno fertile tra coloro che si sentivano abbandondati dai politici tradizionali. L’anelito per una giustizia sociale più equa e per trasformazioni economiche sostanziali ha creato la speranza in un reale cambiamento, ed ha innescato la richiesta di guide politiche che incarnassero i valori e le speranze della popolazione.

La crisi economica in Egitto, dunque, non riflette solamente le difficoltà finanziarie, ma si configura come un fenomeno complesso, causato da dinamiche politiche, sociali e culturali; in questo senso, la ricerca di stabilità e di opportunità da parte dei cittadini ha fatto emergere le sfide con cui il Paese si deve confrontare. In tale contesto, sono emerse nuove forze e movimenti politici che cercano di interpretare e rispondere a queste aspirazioni, conferendo all’intero scenario un’ulteriore complessità.


Il Processo di Re-Islamizzazione


Crescita dei Movimenti Islamisti

La repressione attuata dal regime al-Sisi, che ha cercato di soffocare ogni forma di dissenso e di opposizione politica, non è stata contrastata dalle forze laiche, che hanno fallito nel mobilitare una risposta efficace e coerente. Non soprende, dunque, la rinnovata e crescente offensiva da parte dei movimenti islamisti, con particolare attenzione per i Fratelli Musulmani, che hanno saputo capitalizzare il diffuso malcontento sociale. La Fratellanza Musulmana, inoltre, è riuscita a politicizzare e strumentalizzare le frustrazioni esistenti, trasformandole in una richiesta organizzata e sistematica di cambiamento e di giustizia sociale.

Le organizzazioni islamiste hanno dimostrato una notevole capacità di capitalizzare le istanze popolari, proponendo narrazioni che risuonano con le esperienze e le preoccupazioni quotidiane delle persone. Mediante una struttura ben definita, unitamente ad una presenza radicata all’interno delle comunità, i Fratelli Musulmani hanno guadagnato la fiducia della popolazione, grazie anche ad una rete di servizi sociali che si è rivelata cruciale nel mantenimento del loro sostegno nella società.

Si tratta di una rete che non si è limitata a fornire assistenza materiale, ma che ha anche svolto un’importante funzione sociale, creando un senso di appartenenza e di solidarietà tra i membri della comunità. Di fronte a questo genere di mobilitazione, altri gruppi politici come le forze laiche e liberali, hanno incontrato notevoli difficoltà a stabilire un’autentica connessione con le comunità locali. Nonostante le loro aspirazioni ed i loro principi, queste forze hanno lottato per comunicare efficacemente il loro messaggio in termini che risuonassero con il desiderio di identità e di trasformazione della popolazione, risultando spesso lontane e disconnesse dalla realtà quotidiana dei cittadini.

All’interno di tale contesto, risulta evidente che la resilienza delle organizzazioni islamiste, combinata con la loro capacità di mobilitare ed organizzare il dissenso, ha reso necessario un ripensamento da parte delle forze progressiste. Queste ultime devono si devono confrontare con un panorama politico in continua evoluzione, in cui il sostegno popolare non dipende solamente dall’ideologia, ma richiede un impegno concreto ed una presenza tangibile nella vita quotidiana delle persone. La sfida per le forze laiche diventa quindi quella di comprendere ed affrontare le dinamiche locali, cercando di costruire un’alternativa valida che possa rispondere alle autentiche esigenze ed aspirazioni della popolazione. In caso contrario, queste forze rischiano di rimanere emarginate e di perdere definitivamente il contatto vitale con le masse.


Ideologia e Narrativa Islamista

La narrativa islamista si è affermata e radicata profondamente nel panorama socio-politico del Medio Oriente e del Nord Africa, come risposta all’inefficacia dei governi laici, e della crescente insoddisfazione popolare verso un sistema che spesso ha mostrato una sostanziale incapacità di rispondere alle esigenze fondamentali della popolazione. La repressione delle libertà civili, un fenomeno comune in molti stati laici della regione, ha ulteriormente alimentato il risentimento e la disillusione tra i cittadini, spingendoli a cercare alternative maggiormente radicali ma promettenti in termini di cambiamento.

In tale contesto, in cui la democrazia è stata frequentemente associata a disordine e fallimento, i movimenti islamisti hanno saputo cogliere l’opportunità di proporre una visione alternativa alla narrazione prevalente. Mediante la promessa di stabilità, ordine e di una governance ispirata ai principi islamici, queste organizzazioni si sono presentate come dei salvatori, e si sono opposte ad un sistema politico percepito come corrotto ed inefficace. La promessa di una nuova società basata su valori religiosi e morali ha trovato un forte richiamo in diversi strati della popolazione, in particolare tra le classi meno abbienti ed i giovani disoccupati, sempre più frustrati dalle ingiustizie e dalle crescenti disuguaglianze.

Si tratta di un’ideologia che ha trovato terreno fertile in un contesto caratterizzato da una crescente povertà e da un’ineguaglianza economica sempre più evidente e marcata; pertanto, sono stati diversi i cittadini che, in seguito ai fallimenti delle politiche economiche governative, hanno riposto le loro speranze nei gruppi islamisti, alla ricerca di un reale cambiamento. I movimenti islamisti si sono dunque trasformati non solamente in attori politici, ma anche, e soprattutto, in agenti di cambiamento sociale, mediante programmi che promettevano assistenza e giustizia economica, diventati presto popolari.

La narrativa islamista, in sintesi, si è radicata in un contesto di crisi, oltre che di oppressione politica e sociale, ed ha saputo rispondere, in una certa misura a bisogni fondamentali come la stabilità, la giustizia e la dignità, proponendosi come una reale e valida alternativa alla frustrazione ed alla disperazione delle masse.


L’Ascesa della Religione nella Vita Quotidiana

Un aspetto significativo della re-islamizzazione in Egitto è costituito dal crescente ruolo della religione nella vita quotidiana degli egiziani, un fenomeno che si è intensificato negli ultimi anni, specialmente dopo gli eventi del 2011, che hanno determinato la caduta del regime di Hosni Mubarak. La crisi della sicurezza, unita alla tumultuosa transizione politica, hanno innescato una ricerca di stabilità e identità, ed hanno rivitalizzato l’identità islamica, proposta come soluzione concreta alla crisi dell’identità nazionale, oltre che alla frammentazione della società.

In tale contesto, l’adozione di simboli religiosi nel spazio pubblico è diventata evidente, e nei luoghi pubblici sono apparsi con una maggiore frequenza calligrafie ed altri segni di devozione; inoltre, le pratiche religiose come le preghiere collettive ed il digiuno di Ramadan, hanno guadagnato una visibilità senza precedenti. Allo stesso modo, le narrazioni religiose hanno trovato un ampio spazio nei media, dai telegiornali ai programmi di intrattenimento, investendo la cultura popolare di contenuti che riflettono valori e principi islamici.

Tale processo di re-islamizzazione non si è limitato, del resto, ad una maggiore visibilità della religione nello spazio pubblico; al contrario, la sfera religiosa ha avuto un profondo impattato anche su diversi ambiti della società egiziana, come l’educazione, la cultura ed i diritti delle donne. Nelle scuole, l’accento posto sulla formazione religiosa ha portato ad un maggiore orientamento dei curricula verso l’Islam, ed ha influenzato le nuove generazioni, modellando la loro visione del mondo. La cultura egiziana sta dunque vivendo un rinnovamento dell’arte e della letteratura, ambiti che spesso si intrecciano con tematiche religiose, e concorrono a formare una cultura sempre più intrisa di simboli islamici.

Per quanto riguarda i diritti delle donne, si nota che la re-islamizzazione ha prodotto cambiamenti complessi e a volte contraddittori; alcune donne, effettivamente, sono state incoraggiate a riappropriarsi della loro identità islamica. Quest’ultima si è tradotta nella scelta di indossare il velo, oppure nell’impegno in pratiche religiose più rigorose; in altri casi, tuttavia, questa impostazione ha comportato delle significative limitazioni ai loro diritti e libertà, all’interno di un contesto sociale che spesso valorizza l’interpretazione tradizionale del ruolo femminile all’interno della società. Tale situazione ha innescato un acceso dibattito sulla condizione femminile in Egitto, sollevando interrogativi sulle modalità per bilanciare la fede con i diritti individuali in una società in continua e rapida evoluzione.

In sintesi, appare corretto affermare che la re-islamizzazione, in Egitto, si presenta come un fenomeno multidimensionale, ed influenza sia l’identità religiosa degli egiziani, che gli aspetti fondamentali della vita sociale e culturale. La lotta per una nuova definizione di identità nazionale, che assegna una posizione centrale ad un rinnovato legame con la religione, sta formando una società egiziana in cui le tradizioni sono sia celebrate che contestate in un dialogo aperto tra modernità e tradizione.


Ritorno all’Autoritarismo e Giustificazione Islamica

Il regime del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha adottato una strategia mirata a legittimare la sua autorità attraverso una narrativa che incorpora elementi islamici, anche se lo stesso governo ha tentato di prendere le distanze dai gruppi islamisti. Questa apparente discrepanza si manifesta nell’uso dell’Islam da parte del regime, allo scopo di legittimare le sue azioni politiche e le sue strategie repressive del dissenso.

Si nota, in particolare, che la campagna di repressione contro i Fratelli Musulmani è stata presentata come una necessità per proteggere l’Egitto da forme di radicalismo percepite come potenzialmente distruttive; in altre parole, il regime ha sostenuto che tali misure fossero essenziali per garantire la stabilità e la sicurezza nazionale, assunte a valori fondamentali e prioritari. Questa narrativa, tuttavia, è stata usata come pretesto per reprimere sia la Fratellanza Musulmana che altre espressioni di dissenso e posizioni portatrici di aspirazioni democratiche, suscettibili di minare il controllo autoritario del regime.

In tale contesto, la stabilità promossa dal governo di al-Sisi deve essere considerata come un concetto che giustifica una più ampia limitazione delle libertà politiche e civili, e che si oscilla tra il richiamo ad una sorta di Islam patriottico e la repressione di qualsiasi forma di opposizione. L’approccio del regime rispecchia, in definitiva, una tendenza più ampia nella regione, in cui spesso le narrazioni nazionaliste si sovrappongono a quelle religiose, allo scopo di giustificare la presenza di governi autoritari. In questo modo, diventa più agevole mantenere il potere, a discapito, però, delle aspirazioni democratiche e delle richieste di maggiore partecipazione politica da parte della popolazione.


Conclusione

Il fallimento della Primavera Araba in Egitto, ed il conseguente processo di re-islamizzazione, rappresentano un caso complesso che illustra le sfide di una transizione politica in una società caratterizzata da divisioni profonde, instabilità economica ed un contesto repressivo. Mentre i movimenti islamisti sono riusciti a riemergere ed a consolidare il loro consenso, il futuro politico del Paese rimane incerto. L’Egitto, in effetti, deve scegliere tra l’opportunità di costruire un futuro inclusivo e democratico, oppure scadere in un ulteriore autoritarismo e radicalizzazione; per questa ragione, la comunità internazionale e la società civile egiziana devono lavorare insieme per promuovere un dialogo significativo ed inclusivo.


Letture Consigliate

  • Scott, R. M. (2021). Recasting Islamic law: religion and the nation state in Egyptian constitution making (p. 282). Cornell University Press.
  • Guirguis, M. (2012). Islamic resurgence and its consequences in the Egyptian experience. Mediterranean Studies20(2), 187-226.
  • Layish, A. (2014). Islamic Law in the Modern World: Nationalization, Islamization, Reinstatement. Islamic Law and Society21(3), 276-307.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.)

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