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Abstract

La presenza cristiana in Iran risale a circa due millenni or sono, ma attualmente la minoranza cristiana è soggetta a pesanti limitazioni e abusi; una posizione particolarmente vulnerabile, poi, è quella dei convertiti, che possono andare incontro a minacce e sanzioni, e anche alla pena capitale, come è già successo.


The Christian presence in Iran dates back to about two millennia ago, but currently, the Christian minority is subject to heavy restrictions and abuses; a particularly vulnerable position is that of converts, who may face threats and sanctions, and even the death penalty, as has already happened.


Introduzione – Una Presenza Secolare

I cristiani sono storicamente presenti (come minoranza) in Iran da circa 2 millenni, e si concentrano principalmente nel gruppo armeno; ciò nondimeno, gli armeni hanno costruito una narrativa identitaria legata agli eventi più recenti, che partono dal XVII secolo. Si tratta di una narrazione ideale il cui scopo è quello di presentare e giustificare la presenza cristiana in un Paese che storicamente è stato retto da una maggioranza e da un governo musulmani.

Le narrazioni, del resto, non si concentrano intorno alle persone, ma a singoli ‘eroi’ nazionali, che hanno (o avrebbero) compiuto gesta eroiche per gli iraniani, come Mashtots, Vartan e David; il primo avrebbe difeso la nazione dall’assorbimento culturale, il secondo, invece, avrebbe aiutato la Chiesa dagli attacchi della Persia zoroastriana. Il terzo, infine, avrebbe difeso la ‘patria cristiana’ dalle pretese del califfato arabo, e, nel loro insieme, essi rappresentano la lotta del popolo iraniano contro potenze o governi che cercano di rimuovere la loro identità.

Anche le date sono fondamentali per l’identità degli armeni iraniani, in quanto esse rappresentano e ricordano gli eventi principali di questo popolo attraverso i secoli, secondo una narrativa che ha costruito un profondo senso di identità etnica e religiosa. La presenza delle tre figure menzionate in precedenza assume un valore simbolico (e in parte anche politico) elevatissimo, che consente agli armeni cristiani di preservare la loro identità nei secoli.

Attualmente, i cristiani che vivono in Iran appartengono prevalentemente a questo gruppo etnico, anche se si osservano numerosi casi di conversioni, ovviamente non ufficiali; secondo i dati del censimento ufficiale del 2022, in Iran i cristiani erano una percentuale minore dello 0.3%, insieme a Ebrei e Zoroastriani. Si tratta di una presenza ancora minore (in termini percentuali) rispetto ad altre nazioni islamiche o a maggioranza islamica, come il Pakistan, in cui i cristiani sono circa l’1.7-2% della popolazione totale.

E’ importante notare che i cristiani iraniani attuali sono composti sia dai ‘cristiani etnici’, che derivano la loro religione dall’appartenenza a minoranze storiche (armeni, caldei, assiri, ecc) che da cristiani ‘convertiti, ovvero che hanno abbracciato il cristianesimo dopo essere nati musulmani nell’attuale Iran.


Le Conversioni al Cristianesimo

Lo Stato teocratico iraniano vieta ai musulmani di convertirsi pubblicamente al cristianesimo (o ad altre religioni), e, per questa ragione, le conversioni avvengono e rimangono nella sfera privata; i convertiti, a loro volta, possono essere suddivisi in due gruppi. Al primo appartengono coloro che devono la loro conversione alle attività missionarie che venivano condotte prima della rivoluzione islamica del 1979. Al secondo, invece, coloro che si sono convertiti successivamente, ma nemmeno i cattolici, che sono riusciti a stabilire la loro presenza anche in Paesi a maggioranza islamica, come l’Indonesia, dispongono di diocesi, ma solamente della nunziatura apostolica, ovvero di una rappresentanza diplomatica.

I discendenti dei convertiti che appartengono al primo gruppo, in realtà, costituiscono una minoranza nella minoranza, e risultano affiliati a chiese ‘nazionali’, come quella armena o caldea; la realtà più importante, da questo punto di vista, è la Assemblea delle Chiese di Dio, di impostazione pentecostale. Sebbene questa chiesa (e altre) siano ancora presenti, le loro attività sono fortemente limitate e soggette ad abusi sistematici; non raramente i musulmani che decidono di convertirsi al cristianesimo sono oggetto di persecuzioni e violenza sia giudiziarie che fisiche.

Nel 2022, in Iran rimanevano, sotto stretta sorveglianza governativa, solamente 4 chiese protestanti, la cui lingua ufficiale era il persiano; tuttavia, esse non possono accettare convertiti dall’Islam, non possono ammettere visitatori esterni o nuovi membri. In altre parole, ufficialmente le comunità cristiane (solamente protestanti) non potrebbero crescere e non possono mettersi in competizione con l’Islam; le altre chiese e congregazioni sono state chiuse o vietate nel corso degli ultimi anni. In questo modo, il regime islamista può dichiarare che l’Islam è la sola religione del Paese, alimentando la retorica di un regime dispostico che ricorda, in alcuni tratti, quello nord-coreano.

Non sorprende, dunque, il recente avvicinamento rispetto ad alcune tematiche comuni alle due dittature, come il nucleare, oppure i diritti umani, sistematicamente e costantemente negati; la vita dei cristiani in Iran, sia ‘storici’ che convertiti, rimane dunque estreamente precaria.


Le ‘Chiese Domestiche’ in Iran

Considerando l’impossibilità di conversioni ufficiali, proibite in Iran, i convertiti spesso si organizzano secondo il modello della ‘chiesa domestica’; in altre parole, la fede cristiana viene vissuta in segreto, all’interno della propria abitazione. In questo modo, diventa difficile per le autorità del Paese controllare le diverse chiese private, disperse e senza una struttura fissa; del resto, è stata proprio la decisione di chiudere le chiese affiliate alla menzionata ‘Assemblea di Dio’, che ha portato a questo risultato.

Nell’impossibilità di vivere la propria fede apertamente, negli spazi pubblici, i convertiti sono stati costretti a rifugiarsi e organizzarsi nelle proprie case; sebbene non esistano statistiche ufficiali, diversi documenti di organizzazioni internazionali e governative indicano una crescita di queste chiese. Anche se queste ultime sono illegali, esse stanno probabilmente crescendo in maniera silenziosa, ma reale.

Una chiesa domestica, in particolare, si considera creata quando alcuni convertiti iniziano a riunirsi in abitazioni private per ricevere materiale educativo sul cristianesimo, per leggere la Bibbia, pregare e ascoltare sermoni sulla televisione satellitare persiana, che è stata ufficialmente vietata dal governo. Alternativamente, si ricorre a social media e strumenti di messaggistica, come YouTube e Whatsapp, ma il livello dei contatti tra le chiese domestiche varia di molto e non è possibile fornire un quadro generale. Alcune di esse, tuttavia, sono riuscite a creare delle reti locali, mentre altre rimangono indipendenti, con o senza contatti con le organizzazioni umanitarie e/o cristiane all’estero.

Coloro che organizzano e partecipano a queste attività rischiano delle sanzioni molto pesanti, che possono anche arrivare alla pena capitale; le attività religiose dei convertiti vengono effettivamente considerate dal governo come sovversive. Per questa ragione, diventare cristiani (o convertirsi ad altre religioni) non rimane una decisione privata, ma viene considerata nociva e pregiudizievole per la sicurezza nazionale. Del resto, il regime ripete spesso la dicotomia ‘Occidente-Cristianesimo’, sottolineando che la religione cristiana, nella visione del governo iraniano, corrisponde ad un modello sovversivo in Iran; questa narrazione governativa conferma che lo Stato deve essere solamente islamico, e che la religione non è una questione personale, ma pubblica.


Profilo Quantitativo delle Conversioni

Non è noto il numero di convertiti dall’Islam al Cristianesimo, in quanto, in assenza di dati ufficiali, sia i musulmani che i cristiani sono altamente motivati ad eccedere (in difetto o in eccesso) eventuali stime; sembra, tuttavia, che questo movimento sotterraneo (catacombale) sia cresciuto nel corso del tempo. Secondo alcune stime, nel 2010 vi erano circa 100mila cristiani convertiti, ovvero persone che prendevano parte alle attività delle chiese domestiche; un’altra stima, risalente al 2014, parlava di 175mila convertiti dall’Islam sciita e dallo zoroastrismo.

Altre organizzazioni, cristiane, invece, ritenevano che il numero di convertiti, intorno al 2014, fosse compreso tra 250 e 500mila persone; si tratta di cifre, che, sebbene sovrastimate, danno un’idea della crescita del cristianesimo in Iran. Anche ipotizzando una cifra di 150mila, e una crescita del 5% annuo (ipotesi molto conservativa), in Iran ci sarebbero ora (2025) oltre 300mila persone che si sono convertite al cristinanesimo e che rimangono, nella maggior parte dei casi, celate alle autorità islamiche del Paese.

Si tratterebbe (se le ipotesi sono corrette) di una crescita importante, e i convertiti rappresenterebbero circa lo 0.33% della popolazione totale, a cui si dovrebbero aggiungere i cristiani ‘etnici’, ovvero armeni e caldei. Le stime più ambiziose parlano di una crescita annua del 20%, e, in quel caso, la cifra proposta andrebbe più che raddoppiata; in ogni caso, non sembra possibile negare la crescita delle comunità cristiane sotterrannee, analogamente a quanto succede in altri contesi in cui opera la shariah.


Libertà Religiosa?

La libertà di religione, compresa quella di cambiare la propria religione, è teoricamente enunciata dalla Costituzione iraniana; in pratica, la conversione è considerata un comportamento contrario alla sicurezza dello Stato teocratico. L’ordinamento iraniano, in effetti, permette di applicare anche le sanzioni della shariah che non sono state codificate nel diritto positivo, oppure di sospendere alcuni norme derivanti dalla legge islamica, in caso di necessità.

Il criterio superiore, in Iran, sembra proprio essere quello della preservazione dello stato uscito dalla rivoluzione islamica del 1979, e questa ratio viene applicata puntualmente nelle situazioni di crisi, come le guerre, oppure quando la sicurezza dello Stato è percepita sotto minaccia. Il regime iraniano non opera distinzioni tra coloro che protestano per motivazioni economiche o politiche, o che semplicemente si convertono ad una religione diversa da quella islamica, e considera queste situazioni come un attentato alla stabilità dello Stato.

Le conversioni, in particolare, vengono costantemente monitorate, e, se scoperti, i convertiti rischiano pesanti sanzioni, sia sociali che giudiziarie; le ripercussioni si possono tradurre in processi, multe, ma anche nella pena capitale. La storia di questo Paese dimostra che questa ipotesi è tutt’altro che marginale, e il regime non esita a mandare al patibolo coloro che hanno deciso di cambiare la propria religione, o che sono sospettati di aver offeso l’Islam e i suoi insegnamenti.


Casi Pratici

La cronaca iraniana spesso riporta casi di convertiti al cristianesimo che sono stati condannati alla pena capitale, e alcuni di essi sono notevoli; nella maggior parte dei casi (stando alle statistiche ufficiali) la pena di morte viene sospesa e convertita nel regime carcerario o altre sanzioni. In almeno un caso, tuttavia, la massima sanzione è stata applicata; si tratta di Hossein Soodmand, che apparteneva alla menzionata Assemblea di Dio. Egli, che si era convertito negli anni Sessanta del secolo scorso, è stato ucciso il 3 dicembre del 1990 per apostasia; inizialmente (prima della rivoluzione del 1979) egli aveva organizzato una chiesa domestica nel suo scantinato ed aveva attratto un certo seguito.

Soodmand venne arrestato la prima volta nel mese di aprile del 1990, e gli venne offerta la possibilità di rinunciare alla sua fede per non porre la sua vita in pericolo; egli non accettò, ma venne rilasciato un mese dopo, senza spiegazioni. Il secondo arresto, risalente ad ottobre del 1990, viene giustificato con le accuse di apostasia, creazione di una chiesa illegale, e attività di proselitismo. Nuovamente, gli venne offerta la possibilità di rinunciare al cristianesimo, ed il suo rifiuto portò all’esecuzione della pena capitale, che avvenne per impiccagione, il 3 dicembre dello stesso anno.

Non esistono informazioni pubbliche riguardo al suo processo, e nemmeno rispetto alla sentenza pronunciata dal giudice; dopo che la condanna venne eseguita, la sua famiglia venne informata della sua apostasia, ma il corpo non venne consegnato. Il suo cadavere, invece, venne tumulato in un cimitero del governo, nella sezione dedicata alle persone ‘maledette’, o che il governo considera tali; alla sua famiglia, tuttavia, non fu permesso di porre segni distintivi, come il suo nome o data di nascita.

Nel 2008 fu arrestato anche il figlio, ma egli non venne accusato di apostasia, in quanto era nato cristiano, e venne rilasciato solamente dopo aver pagato una sorta di cauzione di 20milioni di ‘toman’, corrispondenti a circa 400 euro. Si tratta di una somma che corrisponde a circa 40 volte l’importo di uno stipendio annuo medio in Iran, e che, dunque, non deve essere sottovalutata; anche se le accuse non sono mai state formalizzate, è altamente probabile che l’arresto sia stato dovuto alla fede cristiana.

Un altro caso notevole è quello di Youcef Nadarkhani, pastore protestante convertitosi quando aveva 19 anni, ed il suo primo arresto risale all’ottobre del 2009, mentre nel 2010 viene condannato a morte; i giudici hanno accertato che egli era nato musulmano e che negava lo status di profeta a Maometto. I suoi avvocati, invece, affermarono che egli non era mai stato musulmano, e che, dunque, le leggi sull’apostasia non potevano essere applicate al loro cliente.

I giudici, tuttavia, rifiutarono questa obiezione, ma riconobbero che non esistevano leggi che criminalizzavano l’apostasia, ovvero che la considervano come un reato vero e proprio; ciò nonostante, in base all’articolo 167 della Costituzione, del Codice Penale Islamico e del Codice di Procedura per le Corti Rivoluzionarie, venne confermata la condanna a morte, secondo le disposizioni della shariah. La Corte Suprema dell’Iran, in base a non meglio specificate ‘carenze investigative’, rimandò il caso ai giudici di merito.

Il caso, del resto, ebbe una eco internazionale, e suscitò la condanna unanime della comunità internazionale; venne celebrato un nuovo processo nel 2011 e nel 2012 i giudici riconobbero Nadarkhani innocente rispetto all’accusa di apostasia. Egli venne trovato colpevole di aver svolto attività di proselitismo e lo condannò a tre anni di carcere, da cui fu rilasciato l’8 settembre del 2012.


Conclusioni

In Iran la libertà religiosa è severamente ristretta da leggi che, seppure non criminalizzano aspetti come la conversione, pongono delle severe limitazioni all’espressione pubblica delle fedi diversa dall’Islam sciita; le conversioni al cristianesimo, di fatto vietate, possono avere serie ripercussioni giudiziarie, e portare alla detenzione, a sanzioni pecuniarie e anche alla pena capitale.


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Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 hai iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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