Abstract
In Malesia, un Paese del Sud Est asiatico, la colonizzazione ha avuto un impatto profondo sull’Islam, e, in effetti, il processo di assoggettamento dei territori della Penisola Malese all’autorità britannica mostra che l’obiettivo dei britannici era quello di modificare la percezione del mondo dei colonizzati. In questo modo, sono state poste le condizioni per una efficace amministrazione delle colonie.
I meccanismi usati hanno configurato una strategia, basata sulla cooperazione tra le élites malesi e gli amministratori coloniali, sulla burocratizzazione e marginalizzazione della sharia e delle leggi consuetudinarie (adat), e sulla frammentazione sociale dei malesi mediante l’istituzione di scuole che preparavano generazioni fedeli alle autorità coloniali e più prossime al cristianesimo ed ai valori cristiani.
Introduzione
La colonizzazione della Malesia progredì rapidamente a partire dal 1786, in cui furono stabilite le città portuali coloniali a Penang e Melaka; nel 1819, Singapore fu inclusa nell’elenco delle colonie grazie alle manovre di Thomas Stamford Raffles e John Crawfurd. In effetti, i due trasformarono un trattato che riconosceva il diritto del Sultano Hussein alla regalità nell’assunzione del controllo formale dell’isola da parte dei britannici. Il re, dunque, era di fatto ostaggio dei debiti accumulati da quando era stato nominato primo ministro di Singapore. Il trattato anglo-olandese del 1824, poi, consegnò di fatto la penisola malese e il Borneo alla sovranità britannica; nel 1826, Singapore, Melaka e Penang furono posti sotto un’unica unità amministrativa conosciuta come ‘Straits Settlements’.
Oltre ad essere dei centri di scambio commerciale, i Territori delle Stretto costituivano un ponte per l’infiltrazione britannica all’interno di altri Stati malesi dilaniati da rivalità interne, una leadership inadeguata e continue battaglie con le potenze regionali. Una delle entità politiche in crisi era Perlis, fondata nel1843 dopo che il Sultano di Kedah, Ahmad Tajuddin II, cedette parte del suo regno a una famiglia araba hadramita, i Jamalullail, per il loro fermo sostegno nel fronteggiare le invasioni di Siam a partire dal 1821. Guidato da Raja Syed Hussein, il kerajaan (Regno) di Perlis era esausto dopo anni di insurrezioni contro il Siam, a cui venivano corrisposti tributi annuali per evitare invasioni imminenti. Evidentemente, rimanevano poche risorse per rafforzare il regno di Perlis, continuamente indebolito da queste dinamiche.
Come tutti gli altri Stati malesi del Nord, anche Perlis si trovava in una situazione problematica, in quanto i suoi sovrani, pur detestando il dominio di Siam, non esisteva la consapevolezza della reale portata del dominio britannico. La Gran Bretagna, effettivamente, stava lentamente, ma costantemente estendendo il suo dominio sugli Stati malesi; non sorprende, dunque, che a partire dal 1870 gli Stati occidentali della Penisola malese erano controllati dai britannici. Di conseguenza, Selangor, Perak, Negeri Sembilan e Pehang divennero noti come ‘Stati Malesi Federati’, ed erano guidati da ‘Residents’, ovvero governatori britannici. Il governo delle colonie era poi assicurato da un ‘resident general’, una sorta di vice-governatore, che, insieme al governatore amministravano gli aspetti civili e militari delle colonie; poteva succedere, a volte, che venissero emessi ordini che si riferivano all’Islam.
Questo sistema coloniale venne stabilito poi a Johor nel 1895, mentre per Kedah, Kelantan, Perlis, e Terengganu si dovette attendere il Trattato di Bangkok del 1909; tali colonie divennero note come ‘Unfederated Malay States’, ovvero ‘Stati Malesi non Federati’, ed erano, di fatto, protettorati britannici.
In definitiva, il modello coloniale britannico nella Penisola Malese prevedeva
- Stati Federati/colonie (Selangor, Perak, Negeri Sembilan e Pehan)
- Stati non Federati/protettorati (Johor, Kedah, Kelantan, Perlis, e Terengganu)
- Territori dello Stretto (Singapore, Malacca, Dinding e Penang)
Tali Stati erano inclusi sotto un’entità più grande, nota come ‘British Malaya’, ‘Malaya Britannica’. Nel frattempo, a Borneo, il kerajaan di Brunei cedette Sarawak alla famiglia inglese Brooke nel 1841, mentre nel 1888, i britannici posero formalmente l’intero Borneo del Nord, che includeva Brunei, Labuan, Sabah e Sarawak, sotto il loro dominio. Tutti questi stati rimasero sotto il dominio britannico, tranne he durante tre anni di dominio giapponese dal 1942 al 1945; tuttavia, le strutture e istituzioni create dai colonizzatori britannici per gestire l’Islam e i musulmani in Malesia subirono pochi cambiamenti fino all’indipendenza, concessa nel 1957.
La colonizzazione e l’Islam
Sebbene la storiografia abbia dato l’impressione generale che i britannici fossero passivi nelle questioni che riguardavano l’Islam, e lasciassero la gestione della religione agli stessi musulmani, la realtà è più complessa. I britannici, in effetti, intervennero negli affari islamici, secondo un processo noto come ‘islamizzazione coloniale’; in pratica, si tratta di un modello che comprende una serie di tattiche, leggi, istituzioni, coercizione e negoziazioni, che avevano lo scopo di riformare e rimodellare l’Islam a vantaggio degli amministratori coloniali. Del resto, l’esperienza delle rivolte islamiche e delle ribellioni ispirate all’Islam in India aveva insegnato che l’Islam deve essere gestito in maniera attiva, allo scopo di evitare problemi per la gestione delle colonie.
A partire dal 1820, Thomas Stamford Raffles avvertì il Governatore Generale dell’India che la continua e crescente influenza religiosa dell’Islam nel mondo malese, grazie all’opera dei missionari arabi hadramiti, poteva cambiare drasticamente l’atteggiamento della popolazione autoctona nei confronti degli europei. Se i malesi fossero stati lasciati esposti alle opinioni ed alla propaganda degli Arabi Hadrami, i malesi sarebbero diventati fanatici religiosi e bigotti, ‘incapaci di ricevere qualsiasi tipo di conoscenza utile’. La narrazione di Raffles, e la sua percezione delle minacce poste dall’Islam ‘arabo’, erano evidentemente esagerate, ma non infondate.
In effetti, gli arabi hadramiti intensificarono la loro opera di proselitismo in Malesia, come reazione all’assunzione di controllo da parte degli europei di Stati che in precedenza erano stati governati da raja musulmani, ed un numero considerevole di missionari islamici si trovava a Sumatra e Giava, per lottare contro gli europei. I colonizzatori erano consapevoli, ovviamente, che qualsiasi tentativo di interferire in questioni riguardanti l’Islam poteva sortire tensioni, sospetti ed una maggiore opposizione da parte delle popolazioni locali. Per questa ragione, l’intervento britannico nelle questioni religiose fu improntato ad una estrema cautela;
Le insurrezioni islamiche, del resto, erano inevitabili, come dimostravano gli eventi passati, ma l’utilità dell’Islam per la causa coloniale venne riconosciuta da diversi funzionari britannici; un esempio, in questo senso, può essere rinvenuto in George Maxwell, una delle figure di spicco dell’amministrazione coloniale nella Penisola Malese.
Egli, in effetti, affermò che
There is a reason to fear that the Malays will deteriorate morally if their religion fails to maintain
its hold upon them
C’è motivo di temere che i malesi possano deteriorarsi moralmente se la loro religione non riesce a mantenere il suo influsso su di loro
(Riportato da Aljunied, K (2019). Islam in Malaysia. An Entwined History. Oxford University Press. London/New York, p. 109)
La decadenza morale che sarebbe avvenuta, secondo Maxwell, avrebbe avuto ripercussioni negative per l’impresa coloniale e per l’economia delle colonie; ciò nonostante, la maggior parte dei funzionari coloniali riteneva che l’islam non agisse in profondità, ma che fosse un elemento estetico. Si riteneva, di conseguenza, che in Malesia (intesa come regione geografica, in quanto la Malesia non esisteva ancora) si potesse procedere ad una rapida secolarizzazione dell’Islam, allo scopo di agevolare la gestione delle colonie malesi. Si tratta di un vero e proprio progetto ideologico, che si tradusse in leggi, istituzioni e ordinanze, che promossero lo sviluppo di un ‘Islam coloniale’, una religione usata dagli amministratori coloniali per perseguire i propri obiettivi. L’islamizzazione coloniale si configura come un processo articolato, che coinvolse gran parte della Malesia in fasi e livelli diversi; si osserva, da questo punto di vista, che i Territori dello Stretto furono esposti a tale processo per primi, e con un’intensità maggiore. Invece, l’incidenza minore si ha per gli Stati Malesi non Federati.
Negli Stati Malese Federati, si osserva l’istituzione di un servizio civile centralizzato a partire dal 1870, allo scopo di privare le élite malesi delle loro tradizionali funzioni burocratiche; negli Stati Malesi Non Federati, tuttavia, venne scelta una strategia differente. In questo caso, effettivamente, venne creato un servizio civile separato, che permetteva ai leader tradizionali di continuare ad esercitare una certa influenza. A partire dal 1920 il colonialismo malese era entrato nella sua fase più attiva, ed influenzava sia le aree urbane che quelle rurali; anche se i britannici decisero di non annettere la Malesia, al contrario di quanto avvenne per le altre potenze coloniali che operavano in quest’area geografica, gli ufficiali coloniali e i loro collaboratori nativi gestivano i settori più importanti della vita malese.
In questo modo, gli amministratori coloniali britannici riuscirono ad incidere profondamente nei diversi aspetti della vita civile, come la polizia, l’amministrazione della giustizia, le strade, le ferrovie, i servizi medici, l’istruzione, l’agricoltura, i servizi postali, l’estrazione mineraria, la sanità e la valuta. Anche l’Islam, poi, venne assoggettato alla burocratizzazione delle colonie; del resto, alla base dell’islamizzazione coloniale sono state poste strategie precise, ovvero la collaborazione, la burocratizzazione e la frammentazione. Tuttavia, anche se i britannici cercarono di indirizzare l’Islam nella direzione desiderata, i risultati non erano sempre quelli attesi.
Collaborazione
La collaborazione è stata la strategia fondamentale del colonialismo britannico in Malesia e della sua gestione dell’Islam; si trattava, del resto, di un modo sicuro ed a bassi costi per mantenere il controllo sulle colonie. Mediante la collaborazione con le elites malesi, i britannici sono riusciti a creare una zona intermedia tra l’amministrazione colonialie e la popolazione autoctona, che garantiva una certa stabilità, specialmente quando si presentava una crisi. I britannici si sono presentati come amministratori benevoli che governavano le colonie in modo indiretto, lasciando alle élites locali una parte del potere; questo approccio, tuttavia, veniva abbandonato quando gli amministratori, sia a Londra che nelle colonie, percepivano che gli interessi britannici erano a rischio. L’intervento diretto era dunque giustificato dalla necessità di contrastare le rivolte violente dei musulmani che ponevano a rischio l’amministrazione delle colonie. In questo senso, viene esaltato il coraggio degli ufficiali coloniali, le cui gesta vengono proposte in una sorta di epica.
La collaborazione tra colonizzatori e colonizzati avvenne, in primo luogo, con i governanti e i capi locali, considerati dai malesi i principali custodi e protettori della fede islamica; per questa ragione, i residenti britannici ottennero il sostegno e la guida dai raja e dai loro luogotenenti. Non sorprende, dunque, che il Trattato di Pangkor del 1874 delineava chiaramente il ruolo dei raja/sultani malesi nei confronti dello stato coloniale. Secondo tali accordi, queste figure dovevano
ricevere e fornire una residenza adeguata a un ufficiale britannico chiamato Resident, che sarebbe stato accreditato alla sua Corte e il cui consiglio doveva essere richiesto e seguito in tutte le questioni tranne quelle riguardanti la Religione e le Tradizioni malesi
(Northcote C. Parkinson, British Intervention in Malaya, 1867–1877 (Kuala Lumpur: University of Malaya Press, 1960), 323–324.)
Alle élites musulmane venivano riconosciuti compensi sia materiali che simbolici, ma erano costrette a ricoprire ruoli simbolici e privi di un reale potere, che ovviamente rimaneva in capo agli amministratori coliniali inglesi. Un potere reale, ma limitato, venne conservato dai capi villaggio, usati dai britannici per espandere la loro influenza nelle aree rurali, che notoriamente erano più resistenti alle influenze straniere; di conseguenza, la popolazione obbediva alle indicazioni dei loro leaders (regionali e locali), anche nelle questioni che riguardavano direttamente l’Islam. Gli ordini, ordinariamente, non provenivano direttamente, dai colonizzatori, ma dalle élites musulmane, che però erano di fatto subordinate agli amministratori coloniali.
Burocratizzazione
La collaborazione con i britannici era regolata attraverso un apparato burocratico articolato, e, a questo riguardo, si nota che lo stesso Impero Britannico era fortemente burocratizzato; questa caratteristica permetteva un controllo efficace delle sue articolazioni territoriali. Non sorprende, di conseguenza, che gli amministratori coloniali britannici, a prescindere dalla latitudine, abbiano posto in essere complessi sistemi amministrativi per consolidare il loro potere e controllo, che dipendeva da un flusso costante di informazioni e direttive tra la madrepatria e le colonie, protettorati, e territori posti sotto la sovranità britannica.
La burocratizzazione, tuttavia, non aveva soltanto scopi pratici, ma anche ideologici, in quanto essa permetteva di modificare la visione del mondo dei nativi; in pratica, vennero create moltissime istituzioni che supportavano questo sforzo. L’Islam malese fu coinvolto da tale processo, con cui i colonizzatori cercarono di istituire una religione che non ponesse ostacoli all’impresa coloniale, ma che la giustificasse. Si pensi, in particolare, ai consigli statali e religiosi istituiti dai britannici, che diedero un contributo fondamentale alla burocratizzazione, e giustificarono l’imposizione di limiti precisi alla sharia e alle usanze locali (adat).
Il 26 novembre del 1826, nei Territori dello Stretto venne approvato un documento con cui si sanciva la preminenza della legge britannica, elevata ad unico sistema legale nelle colonie per giudicare i reati; invece, gli organi nativi furono considerati irrilevanti. Vennero poi emanate leggi coerenti con quanto accadeva in Inghilterra e nell’India Britannica. Per questa ragione, si assiste alla creazione di istituzioni coloniali come i tribunali superiori, le corti supreme, i tribunali distrettuali, i tribunali del Sultano in Consiglio, e le corti d’appello.
Questa strategia creò, come avvenne anche in altre realtà coloniali (Indie Orientali Olandesi) un sistema giudiziario duale, in cui i tribunali civili convivevano con quelli islamici, la cui azione, evidentemente, era estremamente ristretta. Da questo punto di vista, le leggi consuetudinarie (adat) vennero equiparate a quelle islamiche, e persero la loro influenza, limitata a questioni familiari e personali. Invece, la legge britannica diventò, di fatto, quella delle colonie. Del resto, sia la sharia che le adat riguardavano tutti gli aspetti della vita, sia civili che religiosi; mediante questa strategia, gli amministratori coloniali delimitarono la giurisdizione legale delle leggi native, relegandole ad una posizione subordinata e marginale. Mediante la burocratizzazione, dunque, venne avviato il processo di secolarizzazione degli stati malesi, che separò i malesi secolari da quelli musulmani/religiosi; attraverso l’apparato burocratico legale, i britannici limitarono l’influenza dell’Islam e dell’adat nella vita delle colonie malesi.
Frammentazione
La frammentazione e divisione della società malese, da ultimo, costituisce il terzo aspetto della strategia britannica, che non si osserva solamente nelle colonie malesi; in effetti, l’education, era considerata come uno strumento efficace per creare una nuova classe di malesi (nativi) che incarnavano e dimostravano le virtù dei valori e delle norme inglesi. In altre parole, il sistema educativo coloniale venne usato per creare una classe di sudditi fedeli e leali, ma anche entusiasti di essere stati colonizzati dagli inglesi, a cui veniva riconosciuta, implicitamente, una superiorità.
Per questa ragione, nella Penisola Malese vennero create istituzioni il cui scopo era quello di ri-orientare la visione del mondo dei musulmani; allo stesso tempo, l’educazione coloniale produsse diverse classi di musulmani. Questa divisione rifletteva, del resto, quella esistente nella madrepatria, in cui la divisione in classi sociali era (e rimane tuttora) uno dei tratti distintivi; non sorprende, dunque, che la frammentazione dei musulmani malesi avvenne per mezzo delle istituzioni educative istituite nelle colonie. Si è trattato, evidentemente, di un processo graduale, affidato originariamente a personale locale, con notevoli eccezioni. E’ noto, in effetti, che Stamford Raffles offrì ai figli del Sultano Hussein di Singapore la possibilità di essere istruiti a Londra, ma tale proposta venne rifiutata; ciò nonostante, Raffles fondò la ‘Singapore Institution’ nel 1823, in seguito diventata ‘Raffles Institution’. Si trattava di un’istituzione educativa che avrebbe dovuto attrarre ed eduare i figli delle élites malesi.
Gli amministratori coloniali britannici, inoltre, continuarono ad assistere i missionari cristiani nella creazione delle scuole malay ‘Telok Blanga’ e ‘Telok Saga’, nota anche come ‘Scuola di Abdullah’, a Singapore. Queste scuole erano aperte ai bambini, senza distinzione di razza o religione, ed avevano l’obiettivo dichiarato di fornire ‘un’educazione generale e un migliore standard di vita morale basato sui principi del cristianesimo’. Sebbene si tenessero anche lezioni di Corano, l’insegnamento della Bibbia era parte integrante del curriculum; per questa ragione, i genitori musulmani si rifiutavano di far frequentare queste scuole ai loro figli.
Per questa ragione, si sviluppò il panico unito al timore della cristianizzazione, che si diffuse rapidamente in altri Stati malesi; a Pahang, i musulmani evitavano completamente le scuole fondate dai britannici, e preferivano far frequentare ai figli delle scuole islamiche, anche se spesso lontane dalle loro abitazioni. Le critiche si concentravano sulla presunta pericolosità degli insegnamenti biblici per la fede islamica, ma anche sulle scarse possibilità di impiego futuro. In alcuni casi, come a Sabah, venne nominato un insegnante islamico per i bambini musulmani, ma con scarso successo.
I britannici, tuttavia, non si arresero di fronte alla difficoltà iniziali, e crearono, a partire dal 1870, anno in cui venne emanato l’Education Act, più scuole pubbliche con l’istituzione delle residenze negli Stati Federati della Malesia. L’obiettivo principale di tali scuole coloniali era quella di trasmettere aspetti selezionati della cultura e dei valori malesi/islamici che coltivavano la conformità politica e l’empatia. Il Residente di Perak, Ernest W. Birch ha espresso bene questo obiettivo, quando ha osservato che le scuole in esame avevano lo scopo di ‘impartire disciplina’ ai bambini malesi.
Conclusioni
Dalle osservazioni precedenti, emerge l’efficacia della strategia britannica di colonizzazione della Penisola Malese, basata sulla divisione della società e su meccanismi burocratici, legali ed educativi che hanno supportato la visione coloniale britannica. In questo modo, l’amministrazione coloniale è riuscita a diffondere i suoi valori e a perseguire i suoi obiettivi, non solamente economici, ma anche sociali e politici.
In effetti, la strategia del ‘divide et impera’, è stata applicata a tutti i livelli possibili, da quello politico (Stati Federati, non Federati, Territori), a quello sociale e religioso; l’esperienza coloniale della Penisola Malese mostra che la colonizzazione, nel lungo periodo, è possibile solamente con la cooperazione delle élites locali. Di fatto, l’indipendenza della Malesia è avvenuta ‘tardi’ rispetto ad altri Paesi (Indonesia nel 1945), ed è stata una concessione britannica piuttosto che il risultato di una lotta per l’emancipazione dagli amministratori coloniali, come avvenuto in Indonesia.
Letture Consigliate
- Aljunied, K. (2019). Islam in Malaysia: An entwined history. Oxford University Press.
- Hussin, I. (2007). The pursuit of the Perak Regalia: Islam, law, and the politics of authority in the colonial state. Law & Social Inquiry, 32(3), 759-788.
- Means, G. P. (2017). The role of Islam in the political development of Malaysia. In Religions and Missionaries around the Pacific, 1500–1900 (pp. 11-31). Routledge.
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