Abstract
Nelle Indie Orientali Olandesi, la stampa coloniale era presente sia in lingua olandese che nelle diverse lingue parlate dalla popolazione locale; grazie alla cosiddetta ‘politica etica’, si instaura un periodo caratterizzato da una maggiore attenzione per lo sviluppo della colonia e della popolazione indigena. In tale contesto, si sviluppa anche la stampa locale nelle lingue indigene, che sfugge alla censura e permette alle idee nazionaliste di affermarsi e diffondersi.
Introduzione
Verso la fine del diciannovesimo secolo, il governo coloniale olandese decise di adottare una linea più morbida rispetto al passato; la strategia di puro sfruttamento delle risorse, in effetti, iniziò ad essere seriamente criticata a partire dalla fine del XIX secolo, sia nella madrepatria che nell’arcipelago. La decisione di adottare una strategia differente, tuttavia, potrebbe avere ragioni differenti da quelle umanitarie. In effetti, sembra che la strategia adottata in precedenza non abbia consentito al governo coloniale di avere un controllo soddisfacente dell’immenso arcipelago; quando si pensa alle Indie Orientali Olandesi, si è tentati di pensare che i colonizzatori avessero un controllo ferreo dei propri possedimenti, ma spesso la realtà era differente.
Nell’ultimo quarto del XIX secolo, poi, nelle Indie Orientali Olandesi si era sviluppata una vera e propria crisi agricola, sottolineata da diversi articoli apparsi nelle riviste coloniali europee, come quella pubblicata sulla ‘Revue Coloniale Internationale’, Tome I, 1886, in cui si può leggere che (p. 72),
Après des années de grande prospérité, amenées par des prix élevés, la culture du sucre se trouva subitement, à la fin de l’année dernière, en face de grandes difficultés. La baisse subite des prix n’a pourtant pas été la seule cause de la crise: l’industrie se servait de capitaux que lui fournissaient des institutions financières, et ces institutions se les procuraient en émettant des lettres de change. Et, lorsqu’il fut établi qu’on avait abusé de ce dernier moyen, et qu’en même temps la baisse des prix le rendait impraticable pour l’avenir, une crise éclata, crise dangereuse non seulement pour les industriels et les institutions financières, mais aussi pour la population indigène qui tirait une grande ressource de la culture du sucre.
Dopo anni di grande prosperità, portati da prezzi elevati, la coltivazione della canna da zucchero si trovò improvvisamente, alla fine dello scorso anno, di fronte a grandi difficoltà. La brusca diminuzione dei prezzi non è stata però l’unica causa della crisi: l’industria si serviva di capitali forniti da istituzioni finanziarie, e queste istituzioni li ottenevano emettendo cambiali. E, quando fu stabilito che si era abusato di quest’ultimo mezzo, e che allo stesso tempo il calo dei prezzi lo rendeva impraticabile per il futuro, scoppiò una crisi, crisi pericolosa non solo per gli industriali e le istituzioni finanziarie, ma anche per la popolazione indigena che traeva una grande risorsa dalla coltivazione della canna da zucchero.
(RCI, 1886, p. 72)
Gli Olandesi, dunque, diventano consapevoli del fatto che la loro strategia non è sostenibile, e tale considerazione, evidentemente, si estende ben oltre il settore agricolo, provato da anni di gestione inefficiente.
La Politica Etica
In seguito alla pubblicazione dell’opera ‘Een Eereschuld‘ (Un debito d’onore), da parte di Conrad Theodor van Deventer, che venne pubblicato su De Gids nel 1899, l’amministrazione coloniale olandese adottò un nuovo corso, noto come ‘politica etica’, introdotta nel 1900. In pratica, i Paesi Bassi si impegnavano a sviluppare maggiormente la colonia da loro amministrata, e non solamente a sfruttarne le risorse sociali ed economiche. Nel 1901, la regina dei Paesi Bassi, Wilhelmina annunciò il nuovo corso, affermando che il suo Paese avrebbe adottato un approccio etico, improntato ad una maggiore responsabilità nell’assicurare il benessere anche della popolazione locale.
A prescindere dalle motivazioni che l’hanno determinata, non è possibile sottovalutare questa svolta, in quanto la politica etica viene mantenuta fino all’occupazione giapponese del 1942; ciò nonostante, si nota che le iniziative ispirate da questa nuova strategia sono state seriamente criticate dalle frange più conservatrici, e sono state pesantemente sotto-finanziate. Questo approccio, in realtà, si tradusse in maggiori investimenti per l’istruzione della popolazione indigena, in infrastrutture e nella medicina, lasciando che una quota maggiore di profitti rimanesse nella colonia, consentendole di svilupparsi.
Tuttavia, gli indigeni ancora non avevano rappresentanti politici, in quanto il Volksraad (Consiglio Popolare) venne istituito solamente nel 1918, e non poteva essere considerato un vero e proprio parlamento, ma un semplice consiglio consultivo, creato per placare le richieste crescenti da parte della popolazione locale, che voleva essere rappresentata nel governo della colonia. Un ruolo decisivo, invece, è stato svolto dalla stampa, che era il luogo in cui si formava l’opinione pubblica.
La Stampa nel Periodo Coloniale
Per la popolazione coloniale, i giornali in lingua olandese erano stati ampiamenti disponibilità dal 1744, anno in cui viene pubblicato il Bataviasche Nouvelles; intorno al 1905 esistevano una ventina di quotidiani nelle Indie Orientali, sempre in olandese.
Anche se tali quoditidiani erano rivolti alla popolazione locale, essi rivestivano un interesse anche per gli amministratori coloniali olandesi.
Il primo giornale a essere pubblicato in una delle lingue native, in Giavanese, fu probabilmente Bamartani, un periodico settimanale pubblicato dal 1855. Negli anni successivi, questa pubblicazione venne seguita da altre, perlopiù in lingua malese.
Lo scopo di tali giornali, tuttavia, non era quello di fornire notizie reali, in quanto le prime pubblicazioni si rivolgevano ad un pubblico indigeno e istruito, che conosceva il malese, e che presumibilmente era interessato alla lingua e/o alla cultura locale. In altre parole, gli editori olandesi hanno messo a disposizione di questo pubblico una serie di annunci e comunicazioni; in effetti, le famiglie olandesi che vivevano nella colonia da generazioni erano capaci di leggere la lingua locale. Lo stesso discorso può essere applicato ai servi, insegnanti, all’aristocrazia indigena, e agli uomini di affari cinesi, che costituivano, nel loro insieme, una sorta di elite coloniale locale.
La maggior parte della popolazione originaria di Giava, e dell’intera colonia, era tuttavia analfabeta, in quanto la letteratura veniva trasmessa oralmente, secondo l’impostazione tradizionale; verso la fine del XIX il tasso di alfabetizzazione aumentò, anche se lentamente. Il censimento del 1920 indica come tasso di alfabetizzazione il 6%, ma il prezzo per acquistare o abbonarsi ad un giornale erano solitamente proibitivi per la maggior parte delle persone. Per arginare questo problema, alcuni editori hanno adottato strategie creative per aumentare il numero dei loro abbonati; un esempio interessante è costituito dal Bintang Timoer, la ‘Stella di Timor’, che decise di premiare i lettori che inviavano al direttore delle notizie su base regolari, che ricevevano un abbonamento gratuito. Tale strategia, tuttavia, non fu di grande aiuto, in quanto il Bintang Timoer, così come il Selompret Melajoe, avevano circa 600 abbonati.
Periodici e tendenze
Il Selompret Melajoe, la ‘Tromba Malese’, venne pubblicato da van Dorp a Semarang, tra il 1860 ed il 1911, e fu il primo a evolversi in un vero e proprio giornale, ed in particolare in un settimanale, scritto in cinese malese, con alcune pubblicità.
Un altro giornale, il Tjahaja India (Luce dell’India, 1888), è stato scritto in due lingue, ovvero neerlandese e malese, ma questa forma di bilinguismo sembra essere stata rara.
Verso la fine del secolo XIX, poi, sono aumentate le pubblicazioni periodiche.
Sebbene alcuni editori originali siano di lingua malese, la maggior parte dei giornali era in olandese. Di molte riviste, ancora, sono stati pubblicati pochi numeri, oppure erano la medesima edizione che continuava in numeri successivi; non sorprende, dunque, che nel 1900 erano solamente 20 i periodici in lingua indigena ad essere pubblicati nelle Indie Orientali Olandesi.
Su 53 giornali pubblicati nel 1920, inoltre, 5 di essi venivano diffusi da aziende cinesi, mentre negli altri, casi (ad eccezione di uno pubblicato da un’azienda non identificata), si nota che gli editori erano olandesi; di conseguenza, tali giornali non possono essere considerati pienamente rappresentativi del pubblico locale.
Rispetto ai contenuti, poi, sembra che la politica non abbia avuto uno spazio considerevole, in quanto l’audience a cui ci si rivolgeva era costituita da uomini d’affari e dalla classe media, sia indigena che olandese. I dipendenti delle aziende che pubblicavano periodici, tuttavia, erano persone indigene nella maggior parte dei casi.
Verso la fine del XIX secolo, poi, si assiste all’ascesa degli editori cinesi, che stampavano due giornali, il Bintang Soerabaja (Tjoa Tjoan Lok) e il Sinar Terang a Batavia (Yap Goan Ho); considerando che nel 1900 l’etnia cinese (500mila persone) era decisamente ridotta rispetto agli ‘indonesiani’ (25 milioni di persone), la presenza cinese nel mercato editoriale può essere considerata notevole. Si tratta dei primi due primi imprenditori/proprietari non europei nel settore della stampa delle Indie Orientali Olandesi.
La ‘Minaccia Cinese’
Come accennato in precedenza, la crisi agricola ha causato un drastico calo dei prezzi dei beni, come lo zucchero e il caffé; per questa ragione, sono stati molti gli uomini d’affari cinesi che furono costretti a trasferire i loro interessi ad altri settori non colpiti dalla crisi globale, che si protrasse dal 1882 al 1885. Il settore della stampa era un’industria relativamente redditizia a quell’epoca, e, sebbene questi giornali fornissero principalmente pubblicità e annunci, le aziende di stampa cinesi erano tenute sotto stretta sorveglianza da parte del governo coloniale olandese.
I giornali pubblicati dagli editori cinesi erano scritti sia in cinese che malese, ed il loro pubblico di riferimeno era fondamentalmente cinese; i cinesi, evidentemente, erano più attivi nella stampa rispetto agli indonesiani. Si tratta di un vantaggio che deriva, probabilmente, dalle tradizioni cinesi, e, in effetti, non era inusuale trovare delle piccole tipografie nelle case private; sebbene la capacità di stampa era limitata, era possibile avviare e sostenere una certa diffusione della stampa.
Per i sudditi di etnia cinese delle Indie Orientali Olandesi, poi, il settore della stampa rivestiva anche una funzione sociale; per questa ragione, il governo coloniale era generalmente sospettoso degli editori cinesi. Le persone di etnia cinese, del resto, erano numericamente supeiori agli europei presenti nella colonia, e tale situazione causò una notevole preoccupazione negli amministratori coloniali; si temevano, oltre alle interferenze economiche, anche quelle politiche.
La legge cinese sulla nazionalità, approvata nel 1909, considerava cinesi anche coloro che si trovavano all’estero; inoltre, la rivoluzione repubblicana del 1911 che stava divampando in Cina si stava diffondendo anche all’arcipelago indonesiano. Pertanto, gli indonesiani di origine cinese sono stati sottoposti a insulti e discriminazioni, ed erano confinati in particolari aree a loro destinate; inoltre, i viaggi dovevano essere autorizzati dalle autorità coloniali. La legge della colonia obbligava poi i suoi sudditi cinesi ad adottare un abbigliamento e un particolare taglio di capelli, allo scopo di renderli facilmente identificabili.
Nonostante il loro numero fosse elevato rispetto alla popolazione europea, erano pochi i cinesi autorizzati a frequentare le scuole fondate dagli olandesi, che erano preoccupati da una possibile ‘supremazia’ di questo gruppo etnico.
Censura della Stampa
Tutti i giornali, le riviste e le altre pubblicazioni della colonia, a prescindere dalla lingua in cui erano diffusi, dovevano affrontare una certa censura; il cosiddetto Drukpersreglement, regolamento sulla stampa, funzionò tra il 1856 e il 1906 e fu seguito successivamente da una nuova legge penale. La regolamentazione della stampa, del resto, era il risultato di una crescente paura che la stampa venisse usata per schernire le autorità coloniali, o per porre in atto azioni considerate sovversive. La censura, del resto, diventò uno strumento politico per controllare notizie e discussioni nei giornali; il regolamento prevedeva, la possibilità di assoggettare la stampa ad una censura di tipo preventivo.
Per questa ragione, il controllo della stampa indigena rimaneva teorico, dato che i censori non erano capaci di leggere i documenti; per superare la barriera linguistica, il governo aveva assunto dei traduttori, ma il loro numero non era sufficiente. L’annuale Rapporto Coloniale, del resto, documenta le difficoltà che gli ufficiali hanno affrontato nell’educare interpreti e traduttori efficaci. La difficoltà di questo compito era legata, in parte, alle numerose lingue presenti nell’arcipelago; un altro problema derivava, poi, dall’infedeltà della traduzione, che poteva dipendere sia dalle inadeguate conoscenze dell’interprete che da una sua volontà deliberata.
Mentre gli ufficiali lottavano con la varietà delle lingue, per i giovani indonesiani diventava più agevole leggere un giornale; la politica etica menzionata in precedenza, ha effettivamente comportato un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione indigena. L’alfabetizzazione è aumentata in maniera signifcative rispetto al perido precedente, e le giovani generazioni divennero maggiormente consapevoli della loro situazione. Non sorprende, dunque, che molti giovani sviluppano sentimenti nazionlisti, allo scopo di emanciparsi dal giogo coloniale.
In realtà, la resistenza contro i Paesi Bassi hanno è stata caratterizzata dall’unione tra Islam e nazionalismo, menrte la stampa è diventata il veicolo privilegiato per il nascente dibattito sul futuro della nazione. E’ in tale contesto che nasce Sarekat Islam, il primo sindacato islamico, il cui ingresso era vietato agli olandesi; dopo il 1900, poi, il numero di giornali e periodici nelle lingue delle comunità indigene è aumentato da 20 nel 1900 a circa 88 nel 1913. Alcuni di essi, come il Pewarta Prijaji (Settimanale per Aristocratici, 1900–1902), ebbero vita breve; altri, invece, come Sinar Djawa (Luce di Giava, 1899–1924), durarono più a lungo. È interessante notare, a tale proposito, che alcune riviste sono state stampate nei Paesi Bassi, in Malese, come nel caso di Pewarta Wolanda, (Rivista Olandese) del 1900 e del Bintang Hindia (Stella dell’India), apparso per la prima volta nel 1902.
Conlcusioni
Il periodo coloniale è stato caratterizzato da numerose pubblicazioni, sia quotidiane che settimanali, anche in lingua malese e nelle altre lingue dell’arcipelago, specialmente a partire dal 1900; nonostante i tentativi di censurare la stampa, criticati sia dalla popolazione locale che dai funzionari olandesi per la sua inefficacia, si è sviluppata una stampa indigena. Pertanto, il dibattito e la coscienza nazionalista si sono potute alimentare grazie alla stampa, i cui contenuti sfuggivano spesso alla censura in quanto la lingua non era nota agli olandesi.
La formazione e diffusione del movimento nazionalista, dunque, è stata possibile grazie a questo mezzo di comunicazione; per questa ragione, è importante comprendere le dinamiche di questo settore, che gioca ancora oggi un ruolo fondamentale per il dibattito politico e sociale.
Letture Consigliate
- Kuitert, L. (2024). Gatekeeping the News: Press Reports in the Koloniaal Tijdschrift Concerning the Dutch East Indies. In S. Ataíde Lobo, J. Falconi, R. Dias, & D. A. Smith (Eds.), The Colonial Periodical Press in the Indian and Pacific Ocean Regions (pp. 257-276). (Routledge Studies in Cultural History). Routledge.
- Kan, C.M. (1886) Revue Coloniale Internationale, Tome I.
- Farid, H., & Razif. (2008). Batjaan liar in the Dutch East Indies: a colonial antipode. Postcolonial studies, 11(3), 277-292.
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