Abstract
Il fenomeno terroristico viene alimentato anche da una percepita oppressione dei musulmani, sia nei territori storicamente a maggioranza islamica che nella diaspora occidentale; il sentimento di solidarietà islamica viene usato dai terroristi per mobilitare le masse islamiche e spingerle a combattere i nemici dell’Islam. Si tratta, secondo questa visione del mondo, dei musulmani che cooperano con i presunti oppressori, dei governi occidentali, e dei musulmani che prendono parte a tale oppressione.
Si conferma, in questo modo, la classica divisione del mondo in due campi, quello dell’Islam e dei credenti, da una parte, e quello della guerra e della miscredenza, dall’altra; tale modello viene usato come base ideologica per giustificare azioni violente e terroristiche contro presunti nemici della religione islamica.
Introduzione
La letteratura scientifica sul terrorismo ha messo in evidenza diverse motivazioni che spiegano questo fenomeno, segnato da una violenza estrema; in effetti, i ricercatori hanno indicato alcuni elementi, come la presenza di bisogni non soddisfatti, l’esposizione a narrative violente ed estremiste, ed il contatto con le reti terroristiche.
Nel caso particolare dell’Indonesia, poi, sono stati evidenziati aspetti aggiuntivi, che potrebbero, del resto, essere applicati anche ad altri Paesi storicamente a maggioranza islamica;
(1) La percezione di uno stato di guerra con i supposti nemici (‘falsi musulmani’, ‘traditori’, ‘occidente’, che giustifica, secondo questa visione, la violenza posta in essere
(2) La convinzione e giustificazione teologica della nobiltà del suicidio mediante la detonazione di ordigni
(3) La convinzione e la descrizione dell’Occidente come un invasore delle terre islamiche, e dell’Indonesia (o di altri governi) come alleato degli oppressori
Viene anche contestata l’idea secondo cui il terrorismo sia determinato solamente dalla povertà e dalle diseguaglianze; piuttosto, la complessità del fenomeno suggerisce la presenza di molteplici fattori strutturali a livello globale, nazionale e subnazionale. Tra questi, si possono ricordare il dominio economico e politico dell’Occidente a livello globale, e gli interventi militari in alcuni Paesi a maggioranza islamica.
In base a queste osservazioni, il terrorismo è stato categorizzato in 5 tipologie (ma se ne potrebbero proporre altre ovviamente),
(1) Religioso-ideologico. Il terrorismo è determinato da visioni religiose ed ideologiche (politiche, ambientaliste, ecc.).
(2) Solidarity-driven. Le persone partecipano ad atti di terrorismo per esprimere simpatia per i compagni di fede (o ideologia) che percepiscono come vittime di un conflitto
(3) Separatista. In questo caso, si osserva il desiderio del terrorista di stabilire uno Stato islamico, retto dalla sharia e non da leggi secolari
(4) Mentalità mafiosa. In questo caso, il terrorismo è determinato da atti spontanei
(5) Situazionale. Gli atti terroristici vengono compiuti allo scopo di vendicare persone condannate per atti di terrorismo.
La solidarietà della comunità islamica
In questo saggio, mi concentrerò sul secondo tipo di terrorismo, secondo la classificazione appena esposta, ovvero quello determinato dalla solidarietà della comunità islamica, che può diventare, e di fatto viene usata come volano del terrorismo. Un argomento che spesso viene citato è relativo all’oppressione percepita rispetto ai musulmani che vivono in Paesi Occidentali, diversi da quelli di origine; questo sentimento di oppressione giustifica gli atti di violenza che vengono compiuti. In effetti, la narrativa dell’oppressione risulta particolarmente rilevante nei terroristi indonesiani che operano mediante il servizio di messagistica ‘Telegram’. Questa piattaforma, grazie alla sicurezza ed alla privacy che assicura ai suoi utenti, risulta particolarmente ultile per scopi eversivi e terroristi.
Sebbene la motivazione della solidarietà islamica non è certamente l’unico catalizzatore della violenza jihadista, si tratta di una narrazione pervasiva nei social media; i jihadisti indonesiani, unitamente ai loro sostenitori, diffondono con una certa frequenza una serie di informazioni, fotografie e video che ritraggono la persecuzione, la repressione e persino l’uccisione di musulmani in diversi Paesi Occidentali o comunque a maggioranza non musulmana. In base ad una ricerca recente (Permono, P., Suryana, A., (2023). Terrorism in Indonesia and the Perceived Oppression of Muslims Worldwide (pp. 1–22). Chapter, ISEAS–Yusof Ishak Institute), condotta tra il 2020 e il 2022, l’India è stata menzionata almeno 23 volte, mentre la Cina è stata citata 37 volte. Israele, al contrario, che spesso costituisce il principale obiettivo dell’animosità globale verso i musulmani, è stato menzionato solo 23 volte, con una frequenza minore rispetto a quanto ci si attendeva. Altre nazioni frequentemente discusse nei gruppi di social media jihadisti includono, poi, gli Stati Uniti d’America e la Russia, seguiti dal Regno Unito, dalla Francia, dall’Australia e da Israele. Si tratta di Paesi che vengono spesso presentati come ‘nemici dell’Islam’, ed i jihadisti lanciano appelli per la ‘guerra santa’, allo scopo di vendicare la supposta oppressione dei musulmani in quei Paesi.
La propaganda jihadista
I jiadisti indonesiani percepiscono, o vogliono fare intendere che governi e cittadini opprimano i musulmani che vivono all’estero a causa della loro fede; anche se questa percezione può essere vera in alcuni e documentati casi, essa non corrisponde, generalmente, alla realtà dei fatti. Per questa ragione, i terroristi devono ricorrere alla propaganda, proponendo valori pseudo religiosi ed una visione del mondo che ‘dimostra’ e ‘giustifica’ i loro atti e la violenza usata. I terroristi in effetti, sono (o sembrano) convinti che le operazioni violente, e spesso suicide, servano a perseguire gli ‘obiettivi dell’Islam’, e che gli atti terroristici saranno ricompensati da Dio (Allah).
Si tratta, del resto, di una visione di Jihad che trova autorevole supporto negli scritti e nelle fatawa di eminenti sapienti islamici, come Al Qaradawi, di cui è nota la sua fatwa sulla ‘Palestina’, che giustifica ed incoraggia gli attentati terroristici e la jihad contro Israele e l’Occidente per ‘liberare’ una terra considerata islamica e da recuperare a qualunque costo.
I have always stressed that Palestine is a Muslim land belonging to all
generations of the Muslim nation. Therefore, if any of these generations fail
to defend and protect this land, it is for the following generations to stand
up for this task. If Palestinians neglect their duty of defending this land, the
whole Muslim nation is required to take this responsibility and defend the
land either by force or word
Ho sempre sottolineato che la Palestina è una terra musulmana appartenente a tutte le generazioni della nazione islamica. Pertanto, se una di queste generazioni fallisce nel difendere e proteggere questa terra, spetta alle generazioni successive assumere questo compito. Se i palestinesi trascurano il loro dovere di difendere questa terra, l’intera nazione musulmana è tenuta a prendere questa responsabilità e difendere la terra sia con la forza che con la parola.
(Al Qaradawi, Riportato e tradotto da Gardner e Rich, Fatawa on Palestine, Democratija, Summer 2008, p. 157)
Gli esempi, del resto, non sono certamente limitati alla Palestina, ma se ne possono menzionare altri, come il caso di Zakir Naik, noto predicatore indiano, che, nel corso di uno dei suoi show, avrebbe affermato il suo supporto al terrorismo (‘ogni musulmano dovrebbe essere un terrorista’), in quanto l’Occidente, nella sua visione, sarebbe terrorista. Pertanto, si è in presenza di un altro esempio di solidarietà islamica che viene usata per giustificare e supportare gli atti terroristici; per questa ragione, al predicatore è stato vietato l’ingresso in diversi Paesi, anche a maggioranza islamica.
Evidentemente, esistono interpretazioni dell’Islam che non solamente condonano la violenza, ma la considerano legittima, al pari della lotta politica; allo stesso tempo, esistono numerosi predicatori islamici che sostengono una versione non violenta della religione islamica, e condannano gli atti di terrorismo senza ambiguità.
La visione del mondo dei terroristi indonesiani
La percezione della persecuzione dei musulmani nei Paesi in cui l’Islam è minoritario è legata al concetto di ummah, parte integrante della dottrina islamica; da questo punto di vista, si nota che ‘ummah’ si riferisce all’unione universale dei fedeli musulmani. Questo concetto ha gradualmente acquisito connotazioni socio-legali e religiose tra le antiche tribù e comunità arabe; in seguito alla diffusione dell’Islam in Paesi non arabi, la comprensione della nozione di ummah si è evoluta nella sua interpretazione contemporanea come una comunità mondiale di credenti.
Le possibili interpretazioni di questo concetto includono la stereotipizzazione negativa degli estranei, racchiusa nella dicotomia ‘noi’ e ‘loro’; non sorprende, dunque, che molti musulmani percepiscono i governi o le persone occidentali come un gruppo esterno, il cui obiettivo sarebbe quello di delegittimare e indebolire la comunità musulmana. Si tratta di una potente arma retorica che spesso viene usata anche in chiave anti-colonialista, un altro elemento fondamentale del jihadismo e del radicalismo religioso in generale.
Da un punto di vista sociale, del resto, le organizzazioni jihadiste globali come Al-Qaeda, lo Stato Islamico in Iraq e Siria (ISIS), Hizbut Tahir, ed i loro affiliati regionali, sebbene presentino caratteristiche diverse, sono accomunate da un fattore che permette una notevole mobilitazione collettiva. Attraverso vari gruppi, questi movimenti jihadisti si etichettano come mujahideen, coloro che conducono il jihad (militare) per difendere sia la comunità musulmana che lo stesso Islam.
Il concetto di mujahideen risulta poi profondamente intrecciato con l’emergere del movimento jihadista durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan negli anni Ottanta del secolo scorso; la base del movimento jihadista è stata posta grazie alla retorica della ‘invasione degli infedeli nella terra musulmana dell’Afghanistan’. In seguito, si osserva l’appello ai musulmani, chiamati a proteggere i loro compagni di fede, che ha creato il gruppo terroritstico di Al-Qaeda Centrale. (AQC). Un appello simile era stato rivolto nel 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York, in cui sono morte circa 3,000 persone; tale evento ha scatenato la cosiddetta ‘Guerra al Terrore’, guidata dagli Stati Uniti d’America, mediante operazioni militari in Iraq, Afghanistan e nella regione circostante.
In quanto fenomeno globale e transnazionale, il movimento jihadista utilizza spesso l’argomento della supposta persecuzione dei musulmani, che diventa una delle sue narrazioni fondamentali; si nota, a questo proposito, che Al-Qaeda ha costantemente sottolineato la lotta globale contro l’apostasia e gli infedeli. La stessa organizzazione terroristica ha anche cercato di internazionalizzare i conflitti locali alimentando e sfruttando argomentazioni religiose; la narrazione globale ruota dunque intorno ad un supposto scontro di civiltà tra il mondo islamico, da una parte, e gli ebrei o i crociati, dall’altra.
Alla base di tale narrativa, evidentemente, viene posta la convinzione che l’Islam (e la comunità islamica) sia sotto assedio da parte di cristiani, ebrei ed i loro alleati, inclusi i musulmani che si astengono dal rispondere alla chiamata alla jihad per ‘difendere l’Islam’. Anche se la jihad militare è stata storicamente intesa come un obbligo comunitario, in questo caso essa viene proposta come obbligazione del singolo, che, secondo questa visione del mondo, non potrebbe sottrarvisi senza una valida ragione dal punto di vista islamico.
Pertanto, la nozione di solidarietà emerge come un tema significativo all’interno della visione del mondo jihadista, e tale sentimento, derivato dal concetto di ummah, ha innescato la mobilitazione di combattenti terroristici in tutto il mondo verso le zone di conflitto, come la Bosnia o le Filippine. Del resto, la nozione di ummah rimane rilevante anche per i musulmani che hanno scelto di emigrare nei Paesi occidentali alla ricerca di migliori condizioni di vita. Non sorprende, dunque, che tali persone, pur vivendo in Occidente, si sentano obbligate a sostenere e difendere le cause che vengono presentate come islamiche, anche attraverso il finanziamento dei gruppi radicali e terroristi.
La Jihad Globale
Il sentimento di solidarietà islamico, dunque, viene sfruttato dai terroristi per alimentare una jihad che non conosce confini, e che, in altre parole, si globalizza; si consideri, da questo punto di vista, le parole pronunciate da Al Baghdadi, l’auto-nominato Califfo dello Stato Islamico dell’Oriente e del Levante, in occasione del suo primo discorso, nel luglio del 2014,
La ummah dell’Islam sta osservando il vostro jihad con occhi di speranza,
e infatti avete fratelli in molte parti del mondo che stanno subendo
le peggiori torture … I diritti dei musulmani sono sistematicamente violati in Cina, India, Palestina, Somalia, nella Penisola Arabica, nel Caucaso, nello Sham (il Levante), in Egitto, Iraq e Indonesia, (…) Quindi, elevate le vostre ambizioni, o soldati dello Stato Islamico, perché i vostri fratelli, in tutto il mondo, stanno aspettando il vostro soccorso e anticipando le vostre brigate.
(Riportato da (Permono, P., Suryana, A., (2023). Terrorism in Indonesia and the Perceived Oppression of Muslims Worldwide (pp. 1–22). Chapter, ISEAS–Yusof Ishak Institute, p. 7.)
Queste parole confermano la strategia globale dell’ISIS (e di altre organizzazioni terrorstiche), che cerca di incitare attacchi violenti, sfruttando il risentimento dei musulmani derivante dalla supposta persecuzione straniera. Il mondo, in effetti, viene presentato e inquadrato come un campo di battaglia, mentre lo scopo dei musulmani sarebbe quello di liberare i loro fratelli e sorelle dalla presunta persecuzione; questo tipo di narrazione, evidentemente, non è esclusivo di ISIS, ed è stato e viene adottato anche da altri gruppi jihadisti, a partire dall’invasione sovietica dell’Afghanistan.
Oltre a promuovere la solidarietà musulmana, esistono altre prospettive ideologiche che possono influenzare il pensiero jihadista globale; tra queste, si ricorda la classica contrapposizione tra Dar al Islam, il campo dei credenti, e Dar al Kufr, il campo dei miscredenti da combattere. Non a caso, Dar al Kufr viene spesso designato come ‘Dar al Harb’, fazione della guerra; ovviamente, nella concezione jihadistica il primo campo è decisamente ristretto e comprende (quasi) solamente le aree sotto il diretto controllo dei terroristi, come nel caso di ISIS. Allo stesso modo, i musulmani che scelgono di non intraprendere l’hijrah, la migrazione verso le terre e politiche musulmane nella comprensione estremista vengono etichettati come infedeli, e tale status imposto giustificherebbe la confisca delle loro ricchezze da parte dello Stato Islamico o dei jihadisti.
Abu Musa al-Zarqawi, l’ideologo di Al Qaeda, sosteneva che Dar al Islam e Dar al Kufr sono in uno stato di guerra permanente, e che sia obbligatorio per i musulmani la lotta contro i governi miscredenti e le loro popolazioni. Nel suo influente libro, il jihadista Abdullah Azzam, nato nella Palestina Britannica, sosteneva che l’obbligo del jihad, nell’era moderna, derivasse dalla caduta di Granada, conquistata dalle forze cristiane nel 1492; egli sosteneva che questo dovere, che implica l’impegno in un conflitto armato, sia sempre valido.
I terroristi indonesiani adottano spesso una simile visione del mondo simile, e, in effetti, per ottenere una comprensione completa della visione dei terroristi indonesiani, risulta essenziale valutare gli scritti delle figure chiave del movimento jihadista. Imam Samudra, una delle menti dell’attacco di Bali del 2002, sostiene che combattere il jihad è un dovere obbligatorio per tutti i musulmani. Tale obbligo, secondo Samudra, avrebbe la sua origine nella prima jihad intrapresa da Muhammad nel VII secolo; nei suoi scritti, egli si riferisce ai musulmani come ‘ahluts tsughur’, ovvero coloro che sono coinvolti nella guerra.
Abu Bakar Baasyir, nel suo libro Tadzkiroh, e nei suoi appunti in prigione, si riferiva a tre concetti occidentali, riassunti con ‘thaghut’, ovvero il nazionalismo, il secolarismo e la democrazia, che secondo lui si opporrebbero all’aspirazione dei musulmani di stabilire una Khilafah Islamiyah o Califfato Islamico. Ha definito l’obbligo del jihad come ‘lotta per combattere per l’Islam combattendo contro gli infedeli che fanno guerra alla comunità musulmana e combattendo contro gli infedeli in modo assoluto, affinché non ostacolino più la dawa islamica.’ Tale nozione, che considera il jihad come ‘obbligatorio contro i nemici dell’Islam’, risulta strettamente allineata con la presunta oppressione dei musulmani; Abu Bakar Baasyir ha affermato chiaramente che Paesi come gli Stati Uniti, l’Australia e altre nazioni occidentali sono i veri perpetratori del terrorismo, conducendo guerre contro la comunità musulmana globale, un discorso simile a quello di Zakir Naik.
Altri scritti, come quelli di Aman Abdurrahman, confermano questo punto di vista, dichiarando il jihad come obbligatorio rispetto a tre categorie di individui/entità,
(1) coloro che sono direttamente coinvolti nell’oppressione dei musulmani, come gli afgani e i sauditi che sostengono la presenza delle forze statunitensi nella loro regione
(2) coloro che sono leali ai (supposti) nemici dell’Islam, imprigionando i musulmani che combattono per l’Islam
(3) coloro che cooperano con qualsiasi oppressore musulmano, incluso il rispetto delle leggi o delle risoluzioni contro il terrorismo come sancito dalle Nazioni Unite.
Conclusioni
Da quanto osservato in precedenza, appare evidente che il fenomeno jihadista, sia in Indonesia che altrove, si nutre di una visione distorta di ‘comunità islamica’ e di ‘solidarietà islamica’, nozioni che vengono usate per mobilitare i musulmani in una guerra, sia globale che locale, contro i supposti nemici dell’Islam. Secondo questa visione, la jihad sarebbe obbligatoria per vendicare e difendere i musulmani che vengono oppressi in Occidente, ma anche nei Paesi a maggioranza islamica, in cui non vige la legge islamica ed i ‘diritti’ dei musulmani vengono violati.
Da notare, poi, che tale visione pretende di rappresentare il vero Islam, secondo cui l’impegno a combattere contro ‘infedeli’ e musulmani ‘falsi e/o traditori’ sarebbe un obbligo preciso, e non un vago invito. In questo modo, viene presentata, ed imposta, una visione militante e militare dell’Islam, che sarebbe sempre in guerra per stabilire il dominio della comunità islamica, e difendere musulmani oppressi in qualche parte del mondo.
Letture Consigliate
- Permono, P., Suryana, A., (2023). Terrorism in Indonesia and the Perceived Oppression of Muslims Worldwide (pp. 1–22). Chapter, ISEAS–Yusof Ishak Institute
- Bokhari, S. (2023). “The Myth of Jihad”: Examining the Multivalent Nature of the Term. In Media Language on Islam and Muslims: Terminologies and Their Effects (pp. 195-224). Cham: Springer International Publishing.
- Silva, J. R., Duran, C., Freilich, J. D., & Chermak, S. M. (2020). Addressing the myths of terrorism in America. International Criminal Justice Review, 30(3), 302-324.