Abstract
Nelle Indie Orientali Olandesi, la stampa coloniale si diffonde in maniera particolare dagli inizi del XX secolo; accanto alla stampa indigena, si diffondo altri periodici, in olandese, rivolti ai funzionari coloniali, che costituiscono luoghi per riflettere criticamente sulla politica coloniale e sulle decisioni adottate. Tale riflessione, incoraggiata dalla politica coloniale, incoraggia una nuova coscienza nella popolazione indigena, che si traduce nella messa in discussione di pratiche come le ‘hormat’, che perpetuavano pratiche umilianti di sottomissione verso i colonizzatori.
In the Dutch East Indies, colonial printing particularly spread from the early 20th century; alongside indigenous printing, other periodicals in Dutch aimed at colonial officials emerged, serving as places to critically reflect on colonial policy and the decisions made. Such reflection, encouraged by colonial policy, fosters a new consciousness among the indigenous population, which translates into questioning practices like ‘hormat’, which perpetuated humiliating practices of submission towards the colonizers.
Introduzione – Tra Controllo e Censura
Come è già stato osservato in un altro articolo, le pubblicazioni, sia in lingua olandese che locale, si moltiplicano a partire dagli inizi del XX secolo; molte delle riviste e quotidiani disponibili nelle lingue indigene erano considerate pericolose e bisognose di un contrrollo da parte delle autorità coloniali. Uno dei quotidiani che discuteva di tali problematiche era il Koloniaal Tijdschrift (Giornale Coloniale), fondato nel 1912. Nello stesso anno, del resto, viene fondata anche Sarekat Islam, e viene fondata la prima repubblica cinese, dopo secoli di regime imperiale; in entrambi i casi, si tratta di eventi significativi, con una considerevole influenza sulle dinamiche della colonia olandese.

Un altro giornale in cui si discutevano questioni coloniali, poi, era Oost en West (East and West), diventato più tardi Het Koloniaal Weekblad (Il Settimanale Coloniale); le pubblicazioni, in questo caso, sono iniziate nel 1901, e tra le colonne della rivista si possono leggere, accanto alle notizie che riguardano la colonia, anche quelle sulla stampa. Questi due giornali, entrambi in lingua olandese, hanno trasmesso le notizie relative al periodo compreso tra l’esordio della politica etica e la fine dell’esperienza coloniale; per questa ragione, essi rivestono, entrambi, un valore storico molto elevato.
Questi due strumenti sono stati usati dal governo coloniale per cercare di monitorare e tenere sotto controllo il crescente nazionalismo indonesiano, reso possibile proprio dalla maggiore istruzione ricevuta da una élite della società indigena, e della disponibilità di strumenti con cui diffondere le proprie idee in una fascia più ampia della popolazione. Sia il Koloniaal Tijdschrift che Het Koloniaal Weekblad erano rivolti agli ufficiali coloniali, ed erano uno strumento per tenere sotto controllo le dinamiche sociali che stavano emergendo, e che potevano essere dannose per gli amministratori olandesi.
Il Responsabile ‘Stampa’ di Koloniaal Tijdschrift
Walbeehm era il responsabile della rubrica sulla stampa, ma di lui non si possiedono immagini, lettere e nemmeno documenti personali; si sa che era un ideologo, e che è stato uno dei funzionari coloniali tra la fine del XIX e l’inizio del XX. Il padre era un dirigente della Kina a Goenoeng Malang, sull’isola di Giava, ed il giovane Walbeehm crebbe nella colonia; egli diventò anche un insegnante di giavanese a Batavia, per poi diventare un pubblico impiegato in seguito. Dopo la pensione, egli diventò un giornalista, nonché un insegnante, e tenne lezioni private; il suo nome è praticamente sconosciuto alla storiografia delle Indie Orientali Olandesi.
La sua figura compare quasi casualmente e sporadicamente, in documenti che parlano del cosiddetto ‘hormat’, l’usanza della popolazione locale di inchinarsi di fronte agli amministratori coloniali olandesi; si tratta di un obbligo umiliante, ma in cui Walbeehm sembrava credere, ritenendolo corretto. Dal punto di vista accademico, si segnalano poche opere, tra cui emergono le sue lezioni sulla ‘questione dell’alccool’ nelle indie Orientali.
In base alle statistiche sulle importazioni di alcool, Walbeehm ritenne che il consumo di questa sostanza era in crescita nella colonia tropicale; secondo la sua opinione, tuttavia, la costituzione fisica ed il carattere dei nativi erano poco adatti all’alcool. Per questa ragione, egli intendeva proibire il consumo di alcool tra la popolazione indigena, un obiettivo relativamente semplice, in quanto la maggioranza degli indigeni era islamica. La proibizione per gli ufficiali coloniali, sebbene auspicata, avrebbe creato eccessive resistenze, e dunque egli si concentrò sui cinesi indonesiani, che non erano musulmani (in larga parte), ma che consumavano grandi quantità di alcool.
Walbeehm era un conservatore, e si opponeva alla politica etica, in quanto egli aveva poca fiducia nella popolazione non europea; la sua posizione sulla politica coloniale liberale si rinviene anche in una delle sue rare pubblicazioni giunta ai nostri giorni. Si tratta di Het leven van den bestuursambtenaar
in het binnenland (la vita di un impiegato statale nell’interno), un volume di poche pagine pubblicato nella serie Onze Kolonien (Le Nostre Colonie), in cui l’autore si lamenta dell’affidabilità della popolazione locale, ed in modo particolare dei cinesi. Walbeehm opera dunque una tipizzazione dei non europei, che considerava poco o per nulla affidabili.
La sua opinione non era condivisa in maniera universale, anzi, erano in molti a ritenere che le sue idee fossero condizionate da posizioni personali e poco obiettive; in altre parole, le sue raccomdazioni erano, molto probabilmente, determinate dall’eccessivo peso accordato agli aspetti negativi, che certamente non erano inventati. La stampa locale recensita da Walbeehm, dunque, sarebbe stata scarsamente rappresentativa del panorama globale, e la sua opinione si sarebbe basata su un pregiudizio di fondo; ovviamente, altri concordavano con la sua opinione.
Oost en West (Het Koloniaal Weekblad) – Riflessione e Critica
Oost en West (Est e Ovest), OeW, che nel 1908 diventa ‘Het koloniaal weekblad’, HKW, era un settimanale pubblicato tra il 1901 ed il 1942, e nelle sue pagine si trovano le discussioni e i dibattiti che riguardano la vita coloniale nei suoi diversi aspetti. Rispetto a Koloniaal Tijdschrift, questa pubblicazione sembra avere un respiro più ampio. In effetti, in OeW si trovano diverse riflessioni sul colonialismo, oltre che sui conflitti che coinvolgevano le Indie Orientali Olandesi, come la guera di Aceh; nel 1901, anno di fondazione del giornale, questo conflitto era ancora in corso.
Bij de behandeling van het adres van antwoord op Ie Troonrede in de Tweede Kamer is de afgevaardigde van Kol, zooals wij dit van hem gewoon zijn, flink opgekomen voor de belangen van Oost-Indië. (…)
den Atjeh-oorlog, dien hij ook ttu weder, gesteund door de uitspraken van bekende, f eeds van het tooneel verdwenen antirevolutionaire staatslieden brandmerkte als onnoodig en onrechtvaardig (…)
Durante la discussione dell’indirizzo di risposta al Primo Discorso del Trono nella Camera dei Deputati, il deputato van Kol, come siamo abituati a vedere in lui, ha difeso con vigore gli interessi delle Indie Orientali. (…) la guerra di Aceh, che egli anche questa volta, sostenuto dalle dichiarazioni di noti politici antirivoluzionari ormai scomparsi dalla scena, ha marchiato come inutile e ingiusta (…)
(Oost en West, De heer Van Kol in de Tweed e Kamer, Il Signor van Kol alla Camera dei Deputati,.3 Ottobre 1901, p. 1)
Il giudizio sulla guerra di Aceh, ancora in corso (1901), era negativo, in quanto causava una persistente povertà della popolazione nativa e sottraeva ricchezza alla colonia; per questa ragione, si auspicava una sua fine immediata.

Non mancano, dunque, le riflessioni sulla conduzione della guerra ad Aceh, come in questo caso,
Een harde les.
In de „Nieuwen Rotterdammer” en ook in ‘t Vaderland van 17 October las ik de volgende mij treffende „woorden: „Noch in den Belgischen opstand, noch bij „dien der Zuidelijke Staten van Noord-Amerika, heeft „men er ooit aan gedacht de „rebellen” dood te schieten. „Niet alleen, omdat men beulswerk beneden zich achtte, „maar ook, omdat men niet het recht meende te hebben.” Hebben zij, die dit neerschreven, wel eens aan onze eigen koloniale geschiedenis gedacht? Wat men in Atjeh met „rebellen” doet, weet ik niet, maar uit vroegeren tijd ken ik uit eigen ervaring een paar treffende staaltjes : (…)
Una lezione dura.
Nel “Nieuwen Rotterdammer” e anche nel “Vaderland” del 17 ottobre ho letto le seguenti parole che mi hanno colpito: “Nella rivolta belga, né in quella degli Stati del Sud degli Stati Uniti, si è mai pensato di fucilare i ‘ribelli’. Non solo perché si considerava il lavoro di boia indegno, ma anche perché non si riteneva di avere il diritto di farlo.” Hanno mai pensato alla nostra storia coloniale quelli che hanno scritto questo? Cosa fanno ad Aceh con i “ribelli”, non lo so, ma da esperienze passate conosco alcuni esempi significativi: (…)
(Oost en West, Een harde les. Una dura lezione, 24 Ottobre 1901, p. 3.).
L’esempio riportato è significativo,
Sultan Koening, een andere bendeaanvoerder uit den guerilla, stond eenigen tijd daarna te recht. Ook hij werd als „rebel” beschouwd, omdat hij de onafhankelijkheid van zijn land tot ‘t uiterste had verdedigd en in de akte van beschuldiging stond, als bezwarend feit, nog vermeld „moord van luitenant Blondeau”. Wat was nu die moord ? Eene der op hem afgezonden patrouilles had hem weten in te sluiten ; met enkele familieleden zat hij in een bamboehuis, dat door een cordon van onze soldaten geheel omsingeld werd. Men sommeerde hem, om zich over te geven, onder bedreiging van ‘t ergste en S. K., die begreep, dat ‘t om zijn leven ging, vloog met een lans gewapend op ‘t cordon in. Hij koos de plaats, waar hij geen bajonet zag en kwam voor luitenant Blondeau, die hem met zijn revolver wilde neerschieten. Ongelukkig voor Blondeau ketste ‘t pistool en in minder tijd, dan noodig is om ‘t zich voor te stellen, was de luitenant doodelijk door de lans getroffen en de vogel ontsnapt. Hoe men hem later in handen gekregen heeft, weet ik mij niet meer te herinneren, maar waarschijnlijk ook wel door de een of andere handigheid, want gevangenneming in den strijd was en is ook nu nog een uitzondering. Het feit is dat hij voor een krijgsraad te velde te recht stond. Hij vond echter, in een der krijgsraadsleden een verdediger van zijn rechten en belangen, die het zoover wist te brengen, dat de zoogenaamde moord op Blondeau uit de beschuldiging werd geschrapt en dat men ditmaal den „rebel” niet deed ophangen, maar hem tot een langdurigen dwangarbeid veroordeelde, ik meen van twintig jaar. Hij was nog jong en ‘t is dus best mogelijk, dat hij na nog leeft. En als dit zoo is, mag ik lijden, dat hij ‘t goed heeft, want te oordeelen naar de akte van beschuldiging en naar hetgeen ik van hem zag, was ‘t een kranige vent. Het was maar een zwarte! zullen misschien enkele onzer lezers zeggen. Juist voor hen heb ik dit stukje geschiedenis opgerakeld.
Sultan Koening, un altro capo banda della guerriglia, fu processato qualche tempo dopo. Anche lui fu considerato un “ribelle”, perché aveva difeso l’indipendenza del suo paese fino all’estremo e nell’atto d’accusa era menzionato, come fatto aggravante, anche l'”omicidio del tenente Blondeau”. Qual era dunque quell’omicidio? Una delle pattuglie inviate contro di lui era riuscita a circondarlo; con alcuni membri della famiglia si trovava in una casa di bambù, completamente circondata da un cordone dei nostri soldati. Lo si ordinò di arrendersi, minacciandolo con il peggio, e S. K., che capì che si trattava della sua vita, si lanciò armato di una lancia contro il cordone. Scelse il posto dove non vedeva baionette e si trovò davanti al tenente Blondeau, che voleva sparargli con la sua pistola. Sfortunatamente per Blondeau, la pistola inceppò e in meno tempo di quanto ci voglia per immaginarlo, il tenente fu colpito mortalmente dalla lancia e il priogioniero scappò. Come lo abbiano catturato più tardi, non riesco più a ricordare, ma probabilmente anche con qualche astuzia, perché la cattura in battaglia era ed è ancora oggi un’eccezione. Il fatto è che fu giudicato da un consiglio di guerra sul campo. Tuttavia, trovò in uno dei membri del tribunale militare un difensore dei suoi diritti e interessi, che riuscì a far sì che il cosiddetto omicidio di Blondeau venisse rimosso dall’accusa e che questa volta il “ribelle” non venisse impiccato, ma condannato a un lungo lavoro forzato, credo per vent’anni. Era ancora giovane e quindi è del tutto possibile che sia ancora vivo. E se è così, posso sopportare che stia bene, perché a giudicare dall’atto di accusa e da ciò che ho visto di lui, era un tipo in gamba. Era solo un nero! diranno forse alcuni dei nostri lettori. Proprio per loro ho tirato fuori questo pezzo di storia.
(Oost en West, Een harde les, Una dura lezione, 24 Ottobre 1901, p. 3).
La stampa coloniale olandese, dunque, era anche un luogo dove poter riflettere sulla politica coloniale e sull’opportunità delle decisioni prese; se si guarda alla storia delle Indie Orientali Olandesi come ad un blocco monolitico, non si riescono ad apprezzare le diverse posizioni espresse dagli stessi colonizzatori. Importanti e prestigiose riviste, come De Gids e Oost en West (Het Koloniaal Weekblad), diventarono un forum insolito, ma efficace, per elaborare la politica verso la popolazione locale, evidenziando un percorso che è stato tutt’altro che lineare.
La Circolare Hormat del 1913 – L’Ascesa del Nazionalismo Indonesiano
Nelle Indie Orientali Olandesi, la distanza tra i colonizzatori e i colonizzati era sottolineata da una serie di direttive che dettavano l’atteggiamento di sudditanza rispetto ai funzionari coloniali; questo insieme di norme, noto come ‘Hormat‘ era particolarmente apprezzato da Walbeehm, ma era giudicato, all’inizio del XX secolo, come un rituale antiquato e umiliante (e dunque da superare) dalla maggior parte dei funzionari coloniali. La portata della politica etica, di cui si è avuto modo di discutere a più riprese su queste pagine, stava evidentemente portando ad un cambiamento culturale significativo; stavano lentamente avanzando gli ideali umanistici che avrebbero portato ad un risveglio della coscienza delle popolazioni sottomesse al giogo coloniale, come accadde nell’arcipelago indo-malese.
Nel 1913, una nuova direttiva del governo coloniale, nota come ‘Direttiva Hormat’, modifica questo rituale antiquato, e inaugura una nuova (e delicata) fase in cui si cerca di bilanciare il rispetto per l’autorità coloniale con il riconoscimento di alcuni (e limitati) diritti alla popolazione indigena. La causa scatenante di questo cambiamento risiede in un incidente, che si è verificato nel febbraio del 1913; in questo caso, Soemarsono si stava recando dal suo superiore olandese, l‘Assistente Residente Bedding di Purwakarta. Soemarsono, che veniva da Batavia, rimase scioccato dall’atteggiamento di sudditanza dei funzionari locali rispetto a quelli olandesi; al suo arrivo, egli osservò che i funzionari giavanesi sedevano in terra e si rivolgevano al funzionario europeo (seduto sulla sua sedia) in giavanese formale. Soemarsono rifiutò di adottare questo atteggiamento, ma Bedding lo trattò come un servo, nonostante egli fosse stato educato in una scuola olandese e portasse vestiti occidentali. Bedding, tuttavia, rifiutò di fornirgli una sedia, e Soemarsono si rifiutò di sedersi a terra, inventandosi una scusa per abbandonare l’incontro.
Soemarsono, dunque, si rifiuta di sottomettersi ad un rituale umiliante, e pretende di essere trattato da eguale; la sua decisione di abbandonare l’incontro, poi, può essere interpretato come un ulteriore rifiuto di riconoscere l’autorità europea, fonte di umuliazioni. Per questa ragione, la direttiva del 1913 rappresenta un punto di svolta, che evidentemente esplica i suoi effetti nel corso del tempo; era evidente, in effetti, che era finita un’epoca, e che nella popolazione locale si stava risvegliando una coscienza rinnovata.
Conclusioni
La diffusione della stampa indigena, a partire dall’inizio del XX secolo, viene considerata un potenziale pericolo da parte delle autorità coloniali, che cercano di controllare le pubblicazioni indigene; riviste e quotidiani come Koloniaal Tijdschrift e Oost en West (Het koloniaal Weekblad) diventano dunque dei luoghi in cui discutere apertamente delle politiche coloniali più ampie. Si tratta di pubblicazioni che riflettono le dinamiche tutt’altro che lineare della colonizzazione olandese alla luce della politica etica; molte sono le critiche alle scelte fatte in ambito coloniale, come la lunga guerra di Aceh e il mantenimento di rituali di sudditanza della popolazione locale nei confronti dei funzionari europei (hormat).
La resistenza a queste pratiche, incoraggiata da una maggiore istruzione e consapevolezza, conducono ad un risveglio della coscienza nazionalistica ed alla volontà di sottrarsi al giogo coloniale, come avverrà nel 1945/1949.
Letture Consigliate
- Van der Meer, A. (2020). Performing power: Cultural hegemony, identity, and resistance in colonial Indonesia (p. 300). Cornell University Press.
- Dias, R., Falconi, J., Lobo, S. A., & Smith, D. A. (Eds.). (2023). The Colonial Periodical Press in the Indian and Pacific Ocean Regions. Taylor & Francis Limited.
- Machado, A. V., de Ataíde Fonseca, I., Lobo, S. A., & Newman, R. (Eds.). (2022). Creating and opposing empire: the role of the colonial periodical press. Taylor & Francis.