pena capitale
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Abstract

La pena di morte è una questione molto controversa, specialmente in Malesia, in quanto la sua applicazione solleva notevoli preoccupazioni in termini di diritti umani, ed innesca intensi dibattiti sulla sua moralità, efficacia ed impatto sulla società. Questo articolo cerca di fornire un esame approfondito della pena capitale nel Paese asiatico, mediante l’esplorazione delle sue radici storiche, il quadro giuridico, le implicazioni sociali e le recenti tendenze all’abolizione. La ricerca mette in evidenza il contesto culturale e religioso del Paese, che influenza il dibattito sulla pena capitale, a cui si associa il ruolo delle forze islamiste. Nonostante le crescenti richieste di riforma, la pena di morte rimane una questione profondamente divisiva nella società malese; i suoi sostenitori ritengono che essa sia essenziale per mantenere l’ordine pubblico e scoraggiare il crimine, mentre gli oppositori sottolineano il suo carattere disumano, la sua inefficacia, e la possibilità di commettere errori giudiziari irreparabili. La recente moratoria, che permette ai giudici, per alcuni reati, di convertire la sentenza di morte in una pena alternativa, non sembra essere sufficiente, e la strada verso l’abrogazione della pena capitale è ancora lunga e complessa.


Introduzione

La pena di morte è un tema controverso e delicato, che suscita ampi dibattiti nel mondo intero; in Malesia, la questione assume una particolare rilevanza a ragione del contesto culturale, politico e giuridico del Paese, in cui questa sanzione viene giustificata dalle tradizioni storiche, dalle esigenze di sicurezza pubblica e dalle aspettative della comunità internazionale. Questo saggio si propone di analizzare la pena capitale in Malesia, esplorando la sua storia, il quadro giuridico, le implicazioni sociali, le poliche di diritto penale e le recenti tendenze verso la sua abolizione.


Storia della Pena di Morte in Malesia

In Malesia, analogamente a quanto accade in Indonesia, la pena capitale ha radici che risalgono all’epoca coloniale britannica iniziata nel XVIII secolo; durante questo periodo, le autorità coloniali introdussero un insieme di leggi severe e repressive allo scopo di mantenere l’ordine sociale e di ridurre la criminalità, ritenuta una minaccia alla stabilità dell’amministrazione britannica. Queste leggi, che prevedevano pene severe, compresa la morte, venivano spesso applicate con estremo rigore, ed hanno influenzato il sistema giudiziario del Paese asiatico.

In seguito all’indipendenza, ottenuta nel 1957, la Malesia dovette affrontare la sfida di costruire un proprio sistema giuridico; il nuovo governo malese decise di preservare, e, in alcuni casi, ampliare l’uso della pena capitale, considerandola uno strumento necessario per affrontare la criminalità e garantire la sicurezza pubblica. L’adozione di leggi repressive rifletteva un chiaro impegno verso una legislazione repressiva e deterrente, con cui si cercava di mantenere l’ordine in un contesto segnato da significative problematiche socio-economiche e politiche.

Le leggi malesi, in effetti, sono state particolarmente rigorose, e fino a tempi recenti la pena di morte era prevista per una serie di reati considerati di estrema gravità; tra di essi si possono ricordare l’omicidio, la rapina a mano armata ed il traffico di droga. Quest’ultimo rappresenta un problema di significativa rilevanza in Malesia, e, per questa ragione, il governo ha adottato una politica inflessibile contro il narcotraffico, imponendo pene severe nei confronti di chi commette questo crimine.

Particolarmente nota è la Legge sulle Droghe Pericolose, che risale al 1952, e che prevede la pena di morte obbligatoria per coloro che vengono trovati in possesso di quantità significative di sostanze stupefacenti. Si tratta di una legge che riflette un approccio di ‘zero tolerance’ nei confronti della droga, allo scopo di dissuadere i potenziali trasgressori. La presenza di questa legge, unita ad una cultura giuridica che spesso sostiene attivamente l’applicazione della pena capitale, ha portato la Malesia ad essere frequentemente al centro dell’attenzione della comunità internazionale. Per questa ragione, sono stati particolarmente vivaci i dibattiti sulla moralità, l’efficacia ed il rispetto dei diritti umani legati all’uso della massima pena.


Il Quadro Giuridico

In Malesia, la pena di morte viene dettagliatamente disciplinata dal Codice Penale, a cui si uniscono leggi specifiche che si occupano di reati di particolare gravità, come il traffico di droga e l’omicidio; un aspetto significativo di questa legislazione è rappresentato dalla sezione 39B della menzionata Legge sulle Droghe Pericolose. Tale disposizione, in effetti, prevedeva (vedi recente moratoria) sanzioni estremamente severe per chiunque veniva trovato in possesso di significative quantità di sostanze stupefacenti; si stabiliva in particolare, che un possesso superiore a 200 grammi di marijuana o 15 grammi di eroina potessero comportare automaticamente la condanna a morte. Questa rigida normativa rifletteva l’approccio della Malesia (e dei Paesi del Sud Est asiatico in generale) nel combattere la criminalità legata alla droga, considerata una delle principali minacce per la società.

In aggiunta alle leggi sul traffico di droga, il Codice Penale malese prevede la pena di morte anche per una serie di altri reati considerati di particolare gravità, tra cui l’omicidio premeditato, l’omicidio aggravato, e gli atti legati al terrorismo. L’estrema severità con cui vengono sanzionati questi reati viene giustificata con la necessità di scoraggiare chiunque intende commettere questo genere di delitti, in un’ottica di deterrenza.

Nonostante l’esistenza di procedure di appello, la giustizia penale in Malesia ha attirato critiche significative, con particolare attenzione per la trasparenza del processo giudiziario e la presenza di irregolarità del sistema. Le segnalazioni dei difensori d’ufficio risultano inadeguati, un problema a cui si aggiunge la sostanziale impossibilità di accedere alle risorse legali necessarie per organizzare una difesa equa. Si tratta di istanze sollevate da organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani, e tali denunce hanno posto dei seri interrogativi sulla capacità del sistema malese di garantire processi giusti ed imparziali.

Si deve considerare un ulteriore problema, ovvero la mancanza di dati chiari sulle condanne e sulle esecuzioni; tale carenza informativa rende difficile un’efficace valutazione dell’impatto della pena di morte in Malesia. Allo stesso tempo, tale problematica rende complesso il dibattito sulla sua reale efficacia come deterrente, oltre che sulle sue implicazioni etiche e sociali. Il dibattito sulla pena di morte, pertanto, continua a rimanere tema centrale del discorso pubblico, e suscitando opinioni fortemente divergenti sia a livello locale che internazionale.


Implicazioni Sociali


Voci Contrarie e Proteste

Recentemente, la pena di morte ha attirato l’attenzione di diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch; si tratta di enti che hanno ripetutamente denunciato la Malesia a ragione della sua persistente applicazione della pena capitale, anche in seguito alla moratoria. Si tratta, dunque, di un problema che ha destato un acceso dibattito sia a livello locale che globale; le critiche sollevate da tali organizzazioni, poi, si concentrano, principalmente, su diversi aspetti problematici del sistema giudiziario malesiano.

Per iniziare, si pone l’accento sulla mancanza di equità e giustizia nei procedimenti legali che riguardano le persone accusate di reati punibili per i quali è prevista la pena di morte; spesso, coloro che sono accusati di questi crimini non hanno la possibilità di avvalersi di una difesa adeguata. Alternativamente, queste persone devono combattere contro pregiudizi razziali che influenzano notevolmente il risultato del processo. Si tratta di un problema di particolare gravità quando esso riguarda le minoranze etniche, che subiscono frequentemente discriminazioni che possono coportare condanne ingiuste.

In aggiunta, si nota che le organizzazioni per i diritti umani sottolineano la crudeltà intrinseca della pena capitale; le modalità di esecuzione e la sofferenza psicologica della massima sanzione continuano a sollevare interrogativi di ordine morale ed etico. La condanna a morte, in effetti, non rappresenta solamente un’azione punitiva, ma comporta anche, e soprattutto, la negazione della vita e, di conseguenza, il diritto fondamentale di ciascun essere umano.

Di fronte a tali problematiche, i gruppi abolizionisti in Malesia hanno avviato una serie di campagne di sensibilizzazione per informare e mobilitare l’opinione pubblica; tali iniziative cercano di promuovere una riflessione critica sulla giustizia penale in Malesia. Si cerca, allo stesso tempo, di incoraggiare il governo a rivedere e possibilmente modificare le leggi che riguardano la pena di morte; nonostante gli sforzi compiuti, tuttavia, la società malese rimane profondamente divisa su questo argomento.

Sono ancora molte le persone, che, in effetti, continuano a sostenere la necessità di preservare la pena di morte, ritenendola fondamentale per garantire la sicurezza pubblica, oltre che per preservare un certo ordine sociale. Tale supporto è spesso radicato in timori che riguardano la criminalità, e nel desiderio di avere un sistema penale severo; la mancanza di consenso su questa tema, del resto, rappresenta una sfida significativa per chi lottano per abolire la pena di morte in Malesia. Si evidenzia, dunque, il bisogno di un dialogo costruttivo che possa portare ad una maggiore consapevolezza e comprensione delle complesse questioni legate a questa pratica controversa.


Fattori Culturali e Religiosi

In Malesia, la cultura e la religione occupano una posizione cruciale rispetto al dibattito sulla pena capitale; si ricorda, a tale proposito, che la popolazione del Paese asiatico è prevalentemente musulmana, ed il 60% circa della popolazione aderisce all’Islam. Si tratta di una confessione religiosa che generalmente sostiene il principio della giustizia retributiva; pertanto, si suppone che chi commette un crimine debba essere assoggettato ad una pena severa, inclusa la pena di morte, considerata come una forma di giustizia per le vittime e la società nel suo complesso.

Tuttavia, è importante osservare che la società malese non è affatto monolitica, e, all’interpretazione tradizionale dell’Islam, che promuove la giustizia retributiva, si affiancano movimenti e posizioni che si riferiscono ad un concetto di giustizia restaurativa. Tale visione, sostenuta da alcuni gruppi religiosi, da attivisti civili e da organizzazioni non governative, cerca di promuovere una giustizia che si ponga come obiettivo la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e la reintegrazione del trasgressore all’interno della società.

Le tensioni tra queste due visioni sono visibili nel dibattito pubblico e politico, in cui le argomentazioni a favore e contraria alla pena di morte si sovrappongono a questioni più ampie, che riguardano i diritti umani, la giustizia sociale e la cultura della vendetta. In tale contesto, si osservano dei sostenitori della giustizia restaurativa che propongono alternative alla pena di morte; si pensi, a tale proposito, ai programmi di riabilitazione per i detenuti, oppure a sistemi di mediazione tra le vittime e gli autori dei reati, allo scopo di ridurre la probabilità che il reato venga reiterato, e favorire la comprensione reciproca.

Di conseguenza, anche se la pena di morte continua ad essere considerata come una misura necessaria per garantire la sicurezza e l’ordine nella società, si sta sviluppando una crescente consapevolezza sulla possibilità che il cambiamento delle prospettive culturali e religiose possa comportare approcci innovativi per la gestione delle questioni criminali.


L’influenza delle forze islamiste

L’influenza delle forze islamiste è particolamente evidente per la questione della pena capitale, ed in Malesia si osserva che le forze islamiste esercitano una notevole influenza in questo senso; le forze islamiste, infatti, sostengono che la pena capitale sia uno strumento imprescindibile per mantenere l’ordine sociale e promuovere il rispetto dei valori religiosi. Questa visione si basa, evidentemente, su interpretazioni della legge islamica, in cui la massima pena viene prevista per una serie di casi considerati gravi. Tra questi, si possono ricordare l’omicidio, il furto aggravato, e l’apostasia (un ‘reato’ religioso), che, secondo questa visione, minacciano non solamente la sicurezza individuale ma anche la moralità ed il benessere della comunità.

In Malesia, il supporto per la pena capitale da parte delle forze islamiste è assistito e favorito da un contesto politico e culturale in cui l’Islam riveste un ruolo centrale sia nella vita pubblica che privata; le istituzioni, religiose e politiche, scelgono con una certa frequenza di allinearsi a questi principi. Si crea, dunque, un ambiente in cui la pena di morte non è solamente considerata necessaria, ma anche come una sorta di obbligo religioso, che serve a realizzare una sorta di giustizia morale.

Tale posizione radicale, tuttavia ha suscitato un acceso dibattito tra i diversi gruppi sociali, le organizzazioni che si occupano dei diritti umani e gli attivisti, che mettono in discussione l’efficacia e l’etica della pena capitale. Quest’ultima viene accusata di essere una misura severa e inflessibile, e soprattutto di non essere, ragionevolmente, un efficace deterrente contro il crimine, oltre a poter comportare errori giudiziari irreversibili.

Pertanto, anche se l’influenza delle forze islamiste ed il loro sostegno per la pena capitale rimangono considerevoli, la società malese si deve confrontare con l’esigenza di trovare un equilibrio tra la tradizione culturale e religiosa, i diritti umani e le istanze relative alla giustizia sociale.


Tendenze verso l’Abolizione

Negli ultimi anni, si sono manifestati segnali sempre più evidenti di un cambiamento significativo nella posizione del governo malese riguardo alla pena capitale; questo processo di cambiamento è stato guidato dal Primo Ministro Anwar Ibrahim. Quest’ultimo quale ha esplicitamente espresso l’intenzione di rivedere la legge sulla pena di morte, ed ha avviato, per la prima volta, un dibattito pubblico sull’argomento. Si è dunque creato un clima di apertura e confronto di fondamentale importanza, in quanto permette alla società di esprimere le proprie opinioni e preoccupazioni rispetto ad un tema delicato e controverso come quello in esame.

Un passo cruciale in questa direzione è stata l’introduzione del Moratorium per le esecuzioni capitali nel 2018, un evento che ha rappresentato un segnale significativo verso la potenziale abrogazione della pena capitale. La moratoria, in particolare, prevede la possibilità che i giudici, per alcuni reati, possano sospendere la pena capitale e convertire la sentenza in pene alternative, come la detenzione a vita o la flagellazione. Si nota che, evidentemente, questo genere di sanzioni non rispettano gli standards internazionali in quanto considerate disumane, ma la sospensione delle esecuzioni rimane comunque un progresso rispetto al passato. Tale provvedimento ha avuto l’effetto di interrompere le esecuzioni, e, soprattutto, ha suggerito un ripensamento delle politiche penali del Paese, ponendo seri interrogativi su una forma di punizione tradizionalmente adottata dal sistema giuridico malese.

Strumento per la flagellazione, pena prevista dal diritto penale malese.

Tra gli elementi che hanno determinato questo cambiamento, si può menzionare una combinazione di pressioni internazionali, a cui si unisce un crescente consenso tra le giovani generazioni rispetto all’abolizione della pena di morte. I giovani sono spesso legati ed impegnati in movimenti per i diritti umani, oppure in iniziative per la giustizia sociale, e stanno diventando i rappresentanti di una nuova visione sulla pena di morte, ritenuta non solamente inumana, ma anche inefficace nella prevenzione dei crimini. La crescente consapevolezza sociale e la sensibilizzazione su questioni di giustizia penale hanno favorito un ripensamento critico delle pratiche punitive tradizionali.

Ciò nonostante, la riforma della pena di morte in Malaysia ha affrontato sfide significative, in quanto la riforma del 2023 ha abolito l’obbligatorietà di questa sanzione, ma, nel suo complesso, il processo di riforma sembra essere in una situazione di stallo. Nonostante la moratoria sulle esecuzioni dal 2018, a cui si è effettivamente accompagnata una diminuzione delle condanne a morte, Amnesty International ha rilevato che l’uso della pena di morte in Malesia, al pari delle pene alternative, violano ancora gli standard internazionali sui diritti umani. Tale organizzazione, pertanto, continua a chiedere un’estensione a tempo indeterminato della moratoria, a cui si aggiungono ulteriori emendamenti legislativi per abrogare completamente la pena di morte.


Conclusioni

Sebbene esista un ampio dibattito sull’inefficacia della pena capitale come deterrente e sull’ingiustizia dei procedimenti legali che accompagnano la sua applicazione, il generale sostegno popolare per questa sanzione estrema rappresenta una sfida significativa per i movimenti abolizionisti.

Le recenti tendenze verso una riconsiderazione della pena capitale, poi, offrono un’opportunità unica per riflettere su concetti di giustizia, equità e diritti umani; Il futuro della pena di morte in Malesia rimane incerto, ma le voci che richiedono un cambiamento stanno aumentando in un contesto in continua evoluzione. Il percorso verso l’abolizione si presenta complesso, specialmente quando si considerano gli ultimi sviluppi; è fondamentale, tuttavia, continuare ad impegnarsi nella promozione del dialogo e della consapevolezza su un argomento fondamentale come quello in esame.


Letture Consigliate

  • Harry, L. (2023). The legacy of colonial patriarchy in the current administration of the Malaysian death penalty. Decolonizing the Criminal Question: Colonial Legacies, Contemporary Problems, 257.
  • Kananatu, T. (2022). Framing death penalty politics in Malaysia. International journal for crime, justice and social democracy11(3), 57-66.
  • Hoyle, C. (2023). Efforts towards abolition of the death penalty: Challenges and prospects.
  • Capaldi, M. P. (2023). The Death Penalty in ASEAN: Steadfastly Retentionist?. In Unpacking the Death Penalty in ASEAN (pp. 1-19). Singapore: Springer Nature Singapore.
  • Quraishi, M., & Quraishi, M. (2020). Case Study 3: The Death Penalty in Malaysia. Towards a Malaysian Criminology: Conflict, Censure and Compromise, 141-154.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.)

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