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Abstract

Il terrorismo si presenta come un fenomeno dai molteplici aspetti, che non è facile da categorizzare; ciò nonostante, si può considerare una nozione minima di terrorismo, che cattura tale fenomeno. Gli esempi di Hamas e di ISIS, da questo punto di vista, possono essere considerati emblematici delle caratteristiche, obiettivi e motivazioni del terrorismo di matrice islamica.


Introduzione

Il terrorismo è un fenomeno estremamente complesso e sfaccettato, che continua a evolversi in risposta a cambiamenti politici, sociali e culturali a livello globale. Uno studio abbastanza recente (Silke, 2020), offre un’analisi approfondita delle diverse sfaccettature del terrorismo, focalizzandosi in modo particolare sul terrorismo di matrice islamica. Questo articolo si propone di fornire una panoramica sulla complessità del concetto di terrorismo, analizzando le sue origini e le motivazioni che lo alimentano, con un’attenzione particolare al contesto islamico.ù


Definizione di Terrorismo

Il primo passo per comprendere il terrorismo è affrontare la sua definizione. Come sottolineato da Silke, non esiste un consenso universale su cosa constituisca esattamente il terrorismo. Le definizioni variano notevolmente a seconda del contesto politico, giuridico e culturale. Tuttavia, la maggior parte delle definizioni concorda sull’idea che il terrorismo implica l’uso della violenza o della minaccia di violenza, soprattutto nei confronti di civili, per raggiungere obiettivi politici, religiosi o ideologici. Questa forma di violenza è spesso caratterizzata da un elemento di spettacolarizzazione, finalizzato a suscitare paura e impressionare un pubblico più ampio.

Osserva Silke (2020) che,

terrorism and its ‘shock value’ entails the intent to generate a psychological impact beyond the immediate victims. While warfare in general or state terror may at times have a similar purpose, this is the sine qua non of terrorism. Primoratz makes the distinction clear: ‘all uses of political violence effect some degree of fear’, but in ‘terrorism proper, the causing of fear and coercion through fear is the objective

il terrorismo e il suo “valore d’urto” comporta l’intento di generare un impatto psicologico  al di là delle vittime immediate. Sebbene la guerra in generale o il terrore di Stato possano talvolta avere uno scopo simile, questa è la conditio sine qua non del terrorismo. Primoratz chiarisce la distinzione: “tutti gli usi della violenza politica provocano un certo grado di paura”, ma nel “terrorismo propriamente detto, l’obiettivo è provocare paura e coercizione attraverso la paura.

(Silke 2020, p. 16)

In altre parole, causare paura diventa l’obiettivo principale, e non un effetto, ancorché desiderato, in quanto è necessario suscitare una reazione emotiva eccezionale sul nemico percepito.


Le Radici del Terrorismo Islamico

Il terrorismo di matrice islamica ha origini storiche che risalgono a eventi e movimenti concreti. Negli anni ’60 e ’70, il radicalismo islamico ha cominciato a prendere forma come risposta a una serie di fattori, tra cui l’occupazione straniera in territori islamici, la percezione di ingiustizie in ambito internazionale e le tensioni interne nei paesi musulmani. La nascita di gruppi come Al-Qaeda e, successivamente, l’ISIS ha segnato una svolta significativa nelle tattiche terroristiche, portando alla ribalta ideologie sempre più radicali.

Gli esperti (Silke 2020) evidenziano come i leader di questi movimenti sfruttino le frustrazioni socio-economiche e politiche per reclutare adepti, presentando il ‘jihad’ come una risposta legittima all’oppressione (vera o presunta) subita dai musulmani. L’ideologia ‘jihadista’ si basa su una interpretazione estremista dell’Islam, in cui la violenza è giustificata come un obbligo religioso, trasformando i membri di queste organizzazioni in combattenti per una causa che percepiscono come sacra.

Si considerino, a questo proposito, le parole pronunciate da Yasser Arafat, che rappresenta in maniera ottimale la concezione islamica maggioritaria del terrorismo, e che deve essere contrastata, a beneficio, prima di tutto, degli stessi musulmani,

The difference between the revolutionary and the terrorist … lies in the reason for which each fights. For whoever stands by a just cause and fights for the freedom and liberation of his land from the invaders, the settlers and the colonialists, cannot possibly be called a terrorist

La differenza tra il rivoluzionario e il terrorista… sta nel motivo per cui ciascuno combatte. Perché chi si batte per una causa giusta e combatte per la libertà e la liberazione della propria terra dagli invasori, dai colonizzatori e dai colonialisti, non può essere chiamato terrorista

(Hoffman 2006, p. 26)


Un esempio concreto: la questione palestinese

La ‘jihad’ come dovere ‘sacro’ dei musulmani,  è stata teorizzata da diversi sapienti musulmani, specialmente nei confronti della questione palestinese, come afferma Al Qaradawi, un controverso sapiente egiziano, che si è pronunciato contro la ‘Jihad’, ad eccezione del conflitto Israeliano-Palestinese. Qaradawi, in effetti, afferma

I am standing for the group of Hamas in the inventory of the battle to occupy the land of Palestine, and the direct fight against the enemy, and the inadmissibility of taking the fight outside Palestine

Sono a favore del gruppo di Hamas e della battaglia per l’occupazione della terra di Palestina, della lotta diretta contro il nemico e dell’inammissibilità di portare la lotta fuori dalla Palestina

(Gardner & Rich, 2008, p. 157)

Lo stesso Qaradawi ha affermato, nella Fatwa a favore della ‘jihad’ palestinese, che

I have always stressed that Palestine is a Muslim land belonging to all generations of the Muslim nation. Therefore, if any of these generations fail to defend and protect this land, it is for the following generations to stand up for this task. If Palestinians neglect their duty of defending this land, the whole Muslim nation is required to take this responsibility and defend the land either by force or word

Ho sempre sottolineato che la Palestina è una terra musulmana che appartiene a tutte le generazioni della nazione musulmana. Pertanto, se una di queste generazioni non riesce a di difendere e proteggere questa terra, spetterà alle generazioni successive questo compito. Se i palestinesi trascurano il loro dovere di difendere questa terra, l’intera nazione musulmana è tenuta ad assumersi questa responsabilità e a difendere la terra con la forza o con la parola

Di conseguenza, secondo Qaradawi, ma non solo,

The Palestinians do not have the competence to decide on the fate of Jerusalem without resorting to the Muslims all over the world. This, consequently, makes it obligatory upon every Muslim wherever he is to defend Jerusalem, and al-Aqsa Mosque. This is an obligation upon all Muslims to participate in defending Jerusalem with their souls, money, and all that they possess, otherwise a punishment from Allah shall descend on the whole nation

I palestinesi non hanno la competenza per decidere sul destino di Gerusalemme senza ricorrere ai musulmani di tutto il mondo. Questo, di conseguenza, obbliga ogni musulmano, ovunque si trovi, a difendere Gerusalemme, e la Moschea di al-Aqsa. È un obbligo per tutti i musulmani partecipare alla difesa di Gerusalemme con le loro anime, il loro denaro e tutto ciò che possiedono, altrimenti un castigo di Allah scenderà sull’intera nazione

(Gardner & Rich, 2008, p. 158)

Questo appello di Qaradawi, ad ‘ogni musulmano, ovunque si trovi’, non è certamente nuovo nel mondo islamico; si tratta di un modello ben consolidato nei secoli, secondo cui in capo ai musulmani ci sarebbe un obbligo sacro e divinamente sanzionato di combattere un (presunto) nemico. Trascurare questo supposto compito sarebbe una trasgressione della religione islamica, di cui viene fornita una sorta di interpretazione autentica, almeno nelle intenzioni di chi ha pronunciato la fatwa, che, lo si ricorda, rimane, seppure teoricamente, un parere giuridico non vincolante.

Da notare, inoltre, che la ‘jihad’ non viene definita solamente in termini militari, ma in maniera molto ampia, e comprende una serie di azioni che hanno come obiettivo quello di combattere il nemico percepito. L’appello di Qaradawi ha l’obiettivo di legittimare le azioni terroristiche, evocando, allo stesso tempo, la solidarietà della comunità islamica mondiale, e rappresenta molto bene l’uso strumentale della religione per scopi politici.


Determinanti del terrorismo islamico

Le motivazioni dietro il terrorismo islamico, in effetti, sono complesse e multi-dimensionali, e tendono a sovrapporsi ed intersecarsi tra di loro; da un punto di vista teorico, esse possono includere

  1. Motivazioni Ideologiche: Molti gruppi terroristi giustificano le loro azioni attraverso una distorta interpretazione del Corano e degli insegnamenti islamici. Il jihad, in questo contesto, è visto come un’azione legittima contro coloro che sono considerati nemici dell’Islam, come si è vista nell’esempio di Qaradawi sul conflitto Israelo-Palestinese. Le azioni terroristiche vengono inserite nel contesto legame islamico, che viene palesemente distorto per supportare la teoria e le azioni di gruppi come Hamas, ma anche ISIS ed Al Qaeda.
  2. Motivazioni Politiche: Per molti jihadisti, il terrorismo rappresenta (e viene percepito come) una forma legittima di resistenza contro la percepita occupazione straniera e le ingerenze nei paesi musulmani. I diversi gruppi che compongono la galassia jihadista si propongono di rovesciare i governi ritenuti illegittimi, instaurando una teocrazia basata sulla legge islamica. In realtà, la dimensione politica si confonde spesso con quella ideologica, diventano un costrutto unico e le diverse componenti sono spesso difficili da discernere.
  3. Motivazioni Sociali ed EconomicheMotivazioni Sociali ed Economiche: Le dinamiche sociali ed economiche che caratterizzano le società moderne possono avere un impatto significativo sul comportamento degli individui, contribuendo così all’emergere di fenomeni estremistici. Aspetti come la povertà, l’emarginazione e il senso di impotenza sono fattori che possono alimentare il reclutamento nei gruppi terroristi, come si è visto in un articolo pubblicato su questo blog (Radicalismo Islamico e Povertà: Il Ruolo dei Sistemi Educativi)
  4. Motivazioni PsicologicheLa dimensione psicologica gioca un ruolo cruciale. Il bisogno di appartenenza, il desiderio di riconoscimento e la ricerca di una causa più grande possono motivare individui a unirsi a gruppi estremisti. Questa caratteristica è presente in tutti i gruppi terroristici, non solamente in quelli islamici ovviamente, ma risalta in modo particolare con l’ISIS, il sedicente ‘Stato Islamico dell’Iraq e del Levante’. Nel caso dello Stato Islamico, effettivamente, il discorso si allarga a livello globale, in quanto prevedeva e prevede azioni a livello mondiale, su un’area decisamente più ampia della regione israeliana-palestinese.

Il caso di ISIS

Nel caso specifico di ISIS, poi, si possono evidenziare i seguenti punti (Dagher et al., 2023):

  • Ricerca di identità e appartenenza. Una delle motivazioni principali che spinge le persone a unirsi all’ISIS è la ricerca di identità e appartenenza. In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, molti giovani si sentono disorientati e alienati. L’ISIS offre una narrazione potente e una comunità di appartenenza, che riesce a colmare il vuoto identitario. L’ideologia del gruppo promette un senso di scopo e valore, attrattiva per coloro che si sentono emarginati dalla società.
  • Ideologia e religione. L’interpretazione radicale dell’Islam offerta dall’ISIS gioca un ruolo cruciale nel reclutamento. Per molti, unirsi a un gruppo che si presenta come campione della fede può sembrare una scelta giusta e nobile. La promessa di una vita dopo la morte, unita a narrazioni apocalittiche che dipingono l’Occidente come un nemico dell’Islam, motiva alcuni a prendere parte alla lotta. L’ISIS giustifica le proprie azioni attraverso un linguaggio che parla di responsabilità religiosa, di giustizia e di lotta contro oppressori percepiti.
  • Emozioni e traumi. Le esperienze traumatiche possono essere un fattore scatenante nel processo di reclutamento. Molti individui che si uniscono all’ISIS sono stati esposti a violenze, perdite e ingiustizie, che possono alimentare un desiderio di vendetta o di riparazione. L’ISIS sfrutta queste emozioni, presentandosi come l’unica via d’uscita per vendicare le atrocità subite. La manipolazione delle emozioni è un potente strumento di reclutamento, poiché le persone traumatizzate sono spesso più vulnerabili e disposte a cercare una soluzione attraverso l’adesione al gruppo.
  • Dissuasione e socializzazione. La pressione sociale gioca un ruolo significativo nel reclutamento. Gli individui possono essere spinti a unirsi all’ISIS a causa delle aspettative dei loro coetanei o della loro comunità. Le dinamiche di gruppo e il desiderio di conformarsi possono portare anche individui in precedenza indifferenti a sviluppare un interesse per l’ideologia del gruppo. Inoltre, la presenza di familiari o amici già coinvolti nell’ISIS può agevolare un processo di socializzazione che porta all’adesione.
  • Promesse di potere e prestigio. Da ultimo, l’attrattiva di potere e prestigio gioca un ruolo fondamentale nel reclutamento. In molte situazioni, gli individui cercano riconoscimento e status. L’ISIS offre opportunità di leadership e la possibilità di diventare parte di un movimento globale che si percepisce come un attore rilevante nella geopolitica. Le rappresentazioni romantiche della guerra e della jihad alimentano l’immaginazione di giovani in cerca di avventura e di un significato più profondo nella loro vita.

Conclusioni

Il terrorismo è un fenomeno complesso, ma esso si distingue dal cosiddetto ‘terrorismo di Stato’, per il fatto di porre come obiettivo delle sue azioni la paura ed il terrore di coloro che vengono percepiti come nemici. Le motivazioni che spingono ad abbracciare le cause del terrorismo islamico, poi, suggeriscono una complessità che non si può né ignorare né tantomeno sottovalutare.


Letture consigliate

  • Dagher et al. (2023). ISIS in Iraq: The Social and Psychological Foundations of Terror, Oxford Academic, New York, USA.
  • Gardner, M., & Rich, D. (2008). The thought of Qaradawi,  in Democratiya, 12.
  • Hoffman, B. (2006). Inside Terrorism. New York: Columbia University Press.
  • Silke, A. (2020). Routledge handbook of terrorism and counterterrorism. London: Routledge.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.)

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