- Introduzione – La Presenza in Italia
- Origini e Radicamento delle Reti Jihadiste
- Il Modello Italiano – Retrovia Logistica
- Le Indagini e le Operazioni più Rilevanti
- L’Italia nel Contesto Europeo
- Dimensione Finanziaria e Circuiti del Denaro
- L’Equilibrio tra Sicurezza e Diritti
- Conclusione – Al Qaeda nel XXI secolo
- Letture Consigliate
Al Qaeda, uno dei principali gruppi terroristici globali, ha posto in Italia un vero e proprio centro logistico e di supporto negli anni 2010; recentemente, le azioni di reclutaggio e sostegno del gruppo si siano spostate online, rendendo più complesso il contrasto a questo fenomeno.
Al Qaeda, one of the main global terrorist groups, established a true logistical and support centre in Italy in the 2010s; Recently, the group’s recruitment and support activities have moved online, making it more complex to combat this phenomenon.
Introduzione – La Presenza in Italia
L’Italia, storico crocevia di popoli, rotte commerciali e fedi religiose, ha dovuto affrontare negli ultimi decenni una sfida complessa; la presenza, diretta o indiretta, di reti riconducibili ad Al Qaeda, l’organizzazione che dopo l’11 settembre 2001 rappresenta, nell’immaginario globale, il terrorismo jihadista. Parlare di Al Qaeda in Italia non significa evocare una struttura militare radicata nel territorio, ma piuttosto un insieme di connessioni, cellule e individui che, nel corso del tempo, hanno sfruttato le peculiarità del tessuto italiano come retrovia logistica, piattaforma di transito e centro di sostegno ideologico e finanziario.
Le indagini giudiziarie e i rapporti ufficiali rivelano una realtà frammentata ma persistente, in cui l’Italia non è mai stata un teatro principale di attentati jihadisti su larga scala, ma ha svolto un ruolo significativo nei circuiti sotterranei che alimentano la galassia del terrorismo internazionale. Tale ambiguità, assenza di grandi attacchi, ma presenza di reti, è uno dei tratti più rivelatori della posizione italiana nello scacchiere del jihadismo globale.
Questa particolare configurazione concorre a spiegare l’assenza di attentati di larga scala sul territorio italiana, a differenza di quanto successo in Francia, Spagna e Regno Unito; ciò nonostante, l’allerta rimane elevata, e la minaccia di questo gruppo non deve mai essere sottovalutata.
Origini e Radicamento delle Reti Jihadiste
Le prime tracce di cellule affiliate o simpatizzanti di Al Qaeda in Italia risalgono alla fine degli anni Novanta del secolo scorso; in quel periodo, la moschea di Viale Jenner a Milano divenne uno dei punti di osservazione privilegiati per i servizi di sicurezza internazionali. Tale attenzione non derivava dall’aspetto religiopso, ma dalla fitta rete di contatti che alcuni dei suoi frequentatori intrattenevano con ambienti radicali in Medio Oriente e nei Balcani.
Rapporti successivi del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti descrivono Milano, Cremona e Parma come nodi europei di un sistema di supporto logistico ad Al Qaeda; secondo queste osservazioni, era in questi nodi che venivano falsificati documenti, raccolti fondi e organizzati viaggi verso Paesi come l’Afghanistan, l’Iraq e il Pakistan, dove i volontari (sia uomni che donne) si univano a formazioni affiliate al gruppo terroristico.
Secondo il Ministero del Tesoro degli USA,
The Milan-based terrorist cell, organized and headed by El Ayashi, functioned as an associative structure within the transnational terrorist organization led by Zarqawi. The cell was involved in forging passports, collecting donations, and facilitating the illegal entry and departure of recruits into and out of Italy to combat coalition forces in Iraq . In addition, this cell recruited brothersto send to Iraq via Syria to the camps of Ansar Al Islam (a terrorist organization operating in Northern Iraq , linked to Al Qaeda, and designated by the United States Government and the UN). The Milan cell also had key individuals located in Parma and Cremona.
La cellula terroristica milanese, organizzata e guidata da El Ayashi, funzionava come una struttura associativa all’interno dell’organizzazione terroristica transnazionale guidata da Zarqawi. La cellula era coinvolta nella falsificazione di passaporti, nella raccolta di donazioni e nel facilitare l’ingresso e l’uscita illegali di reclute in e dall’Italia per combattere le forze della coalizione in Iraq. Inoltre, questa cellula reclutava fratelli da inviare in Iraq via Siria ai campi di Ansar Al Islam (un’organizzazione terroristica operante nel nord dell’Iraq, legata ad Al Qaeda e designata dal governo degli Stati Uniti e dall’ONU). La cellula milanese aveva anche individui chiave situati a Parma e Cremona.
US Department of the Treasury, Fact Sheet: Designation of 15 Individuals Tied to an Al Qaida Cell in Italy, November 12, 2003.
La prosecuzione di questi network dopo l’11 settembre mostra che l’Italia non è mai stata mai immune al richiamo del jihadismo internazionale; tuttavia, le sue cellule si muovevano con prudenza, più interessate a garantire sostegno e passaggi sicuri che a organizzare attacchi diretti contro il paese ospitante. Questa strategia riflette la natura adattiva di Al Qaeda, capace di insinuarsi nei flussi migratori, nei vuoti legislativi e nelle reti di solidarietà diasporica senza cercare visibilità immediata.
Il Modello Italiano – Retrovia Logistica
La ricerca accademica e gli studi di sicurezza mostrano con chiarezza che l’Italia è stata una retrovia del jihadismo internazionale, ma non un fronte diretto; particolarmente rilevante è il ruolo del trasferimento di denaro verso figure che appartengono ad organizzazioni radicali.
Questo dato non è secondario, e segnala che la strategia di Al Qaeda in Europa ha riconosciuto nel territorio italiano una zona sicura di transito e raccolta, grazie a una combinazione di fattori; tra questi, si sottolineano la posizione geografica di confine tra Mediterraneo e continente europeo e la presenza di comunità musulmane integrate ma talvolta vulnerabili a infiltrazioni ideologiche. Da ultimo, si osserva la presenza di un apparato di sicurezza attento, ma spesso concentrato sulla criminalità organizzata piuttosto che sull’estremismo religioso.
L’Italia, dunque, non è mai stato un fronte del terrorismo internzionale, ma un importante snodo logistico e simbolico, un punto in cui l’ideologia della jihad globale ha trovato riflesso in una dimensione sommersa, segnata da legami personali o comunitari, solidarietà occulte e una propaganda diffusa ma difficile da mappare e tenere sotto controllo.
Le Indagini e le Operazioni più Rilevanti
Il lavoro delle forze di sicurezza italiane è stato continuo e silenziosoma efficace, e, dal 2001 a oggi, decine di operazioni antiterrorismo hanno disarticolato gruppi e arrestato individui sospettati di legami con Al Qaeda o sue derivazioni regionali.
Tra le più significative si ricordano, per iniziare, l’Operazione ‘Lombardia’ (2003-2005), una delle prime grandi indagini su cellule connesse alla rete di Al Zarqawi; le autorità smantellarono una rete che forniva documenti falsi e reclutava combattenti per l’Iraq. Ancora, si ricorda l’Operazione ‘Al Qaeda Sardegna’, del 2015, coordinata dalla DDA di Cagliari, che portò all’arresto di 18 persone, alcune delle quali accusate di aver pianificato attentati in Pakistan e Afghanistan e di aver fornito supporto logistico a elementi radicali transitati dall’Italia.

Recentemente, sono state arrestate diverse persone legati ad Al Qaeda, come il cittadino bengalese fermato a Roma per presunti legami con il gruppo terroristico, oppure il gruppo di cinque individui accusati di appartenere a un’associazione pro-Al Qaeda e pro-ISIS, arrestati nel dicembre del 2024.
Le inchieste hanno confermato che la presenza jihadista non è mai scomparsa, ma assume forme fluide, frammentate, e si rigenera adattandosi alle nuove dinamiche del mondo arabo e digitale; si tratta di dinamiche comuni ai gruppi jihadisti e radicali, che hanno mostrato una (non tanto) sorprendente resilienza.
L’Italia nel Contesto Europeo
Il rapporto di Europol (2025), che analizza la situazione del terrorismo nell’Unione Europea, mostra un quadro coerente con quello italiano; la minaccia jihadista persiste, ma i numeri sono contenuti e le strutture operative decimate rispetto al decennio post-11 settembre.
Nel 2023, ad esempio, non si sono verificati attentati jihadisti in Italia, mentre in Francia, Belgio e Germania sono stati segnalati episodi isolati di radicalizzazione violenta; tuttavia, Europol (e non solo) sottolinea come il pericolo non si misuri solo in base agli attacchi, ma anche nella capacità delle reti di propaganda di rigenerarsi online, di ispirare simpatizzanti e di utilizzare l’Italia come punto di passaggio.
Per questa ragione, le forze di sicurezza italiane collaborano con quelle europee attraverso piattaforme come Europol, Interpol e il GCTF (Global Counterterrorism Forum), che permettono di condividere informazioni in tempo reale su sospetti, flussi finanziari e materiali. Tale cooperazione ha impedito che l’Italia diventasse terreno fertile per attentati, ma ha anche rivelato quanto l’intelligence preventiva sia attualmente la vera linea di difesa.
Dimensione Finanziaria e Circuiti del Denaro
Un elemento meno visibile ma fondamentale è poi quello economico, e, in effetti, le organizzazioni jihadiste contemporanee sopravvivono grazie a una rete transnazionale di micro-donazioni, scambi opachi e canali di riciclaggio, spesso mascherati da attività caritatevoli. Nel suo rapporto del 2023, l’Unità di Informazione Finanziaria italiana (UIF) ha identificato diverse vulnerabilità nei circuiti economici che possono essere sfruttate per il finanziamento del terrorismo.

Tali vulnerabilità includono l’uso di sistemi informali di trasferimento di denaro (hawala), l’impiego di criptovalute per eludere controlli, e il ricorso a ONG o associazioni di facciata; a questi, si deve aggiungere la presenza di Paesi in cui la probabilità di connessione con il terrorismo rimane elevata, e sono stati indicati dalla Banca d’Italia.
Paesi con carenze strategiche nel contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo
individuati dal GAFI.
Sono inclusi in questo ambito i paesi aventi deboli presidi antiriciclaggio, individuati dal GAFI
attraverso public statements pubblicati tre volte l’anno. In base a tali valutazioni FATF High-Risk
Jurisdictions subject to a Call for Action – February 2024 e Jurisdictions under Increased Monitoring – February 2024), a marzo 2024 risultavano non allineati alla normativa di contrasto al riciclaggio e al
finanziamento del terrorismo (enfasi mia, ndr): Bulgaria, Burkina Faso, Camerun, Croazia, Filippine, Giamaica, Haiti, Iran, Kenya, Mali, Mozambico, Myanmar, Namibia, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Democratica di Corea, Senegal, Siria, Sud Africa, Sud Sudan, Tanzania, Turchia, Vietnam, Yemen.
Banca d’Italia, Rapporto Annuale 2023. Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia, 2024, p. 84.
A tali Paesi se ne aggiungevano altri che in qualche modo non erano trasparenti dal punto di vista fiscale, individuati da altri organismi, differenti dal GAFI, Group d’Action Financière International o TAFT nella versione inglese, Financial Action Task Force. L’obiettivo è quello di identifiare un gruppo di Paesi da porre sotto controllo per i flussi di denaro che possono transitare da e verso l’Italia o altri Paesi a rischio.
L’Italia ha risposto con misure di monitoraggio rafforzato e con l’allineamento alle raccomandazioni del Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI/FATF), ma la natura fluida del denaro digitale (e delle criptovalute in particolare) rende la sfida permanente e complessa.
L’Equilibrio tra Sicurezza e Diritti
Un punto delicato del dibattito è quello del rapporto tra sicurezza nazionale e libertà civili, un tema fondamentale nelle democrazie occidentali poste di fronte alla sfida del terrorismo islamico; il caso del sindaco di Prospect Park, nel New Jersey, Mohamed Khairullah, escluso nel 2023 da un evento alla Casa Bianca per sospetti legami con il jihadismo, mostra siano evanescenti i confini tra prevenzione e discriminazione.
Situazioni simili, anche se più contenute, si sono verificate in Italia, dove alcune comunità musulmane denunciano di sentirsi osservate in modo sproporzionato; tali denunce pubbliche hanno spesso un obiettivo politico, teso ad acquisire maggiore visibiltà nel dibattito pubblico. Evidentemente, comunità che non hanno mai rilevato criticità, come quella cinese e filippina, non sono mai (o raramente) state al centro dell’attenzione delle autorità e delle forze di sicurezza.

L’ambiguità di alcuni (molti?) leaders musulmani, moderati pubblicamente, ma radicali o estremamente conservatori in privato, come denunciano diverse inchieste giornalistiche, giustifica una maggiore attenzione delle autorità. L’assenza di un’intesa con lo Stato italiano, come avviene con altre confessioni religiose, poi, aggiunge complessità nel controllare quanto avviene nelle comunità islamiche residenti in Italia.
Considerando il potenziale derivante da un attacco terroristico, l’atteggiamento delle autorità italiane (già moderato) appare giustificato ed equilibrato, e ha evitato, fino a questo momento, che l’Italia sia colpita da attentati come quello del Bataclan in Francia o di Londra nel 2005.
Conclusione – Al Qaeda nel XXI secolo
Parlare di Al Qaeda in Italia significa affrontare un fenomeno mutato, in quanto l’organizzazione storica, dopo la morte di Osama bin Laden e il declino operativo in Medio Oriente, ha perso gran parte del suo potere centralizzato. Il suo messaggio, tuttavia, persiste, anche se decentrato e frammentato, mentre la digitalizzazione rende ancora più difficile la prevenzione del fenomeno terroristico, nonostante le misure adottate e la cooperazione internazionale in tale ambito.
La nuova minaccia non è dunque (prevalentemente) rappresentata dalle cellule clandestine nascoste nei sobborghi europei, ma la radicalizzazione liquida che circola nei social network, nelle piattaforme di messaggistica, e nei video diffusi da Al Qaeda nelle sue diverse articolazioni e ramificazioni.
L’Italia, pur restando ai margini degli attacchi, non è immune a questa dimensione ideologica, in quanto l’infiltrazione avviene nei linguaggi, nei simboli, e nella propaganda di ingiustizia percepita; per questa ragione, alla necessaria repressione si deve accompagnare una energica azione culturale di contrasto. Pertanto, i vertici politici devono prendere decisioni scomode ma necessarie per garantire la cultura della sicurezza, prima ancora che la sicurezza sul campo.
Letture Consigliate
- Groppi, M. (2017). The terror threat to Italy: how Italian exceptionalism is rapidly diminishing. CTC Sentinel, 10(5), 20-28.
- Neumann, P. R. (2012). Joining al-Qaeda: jihadist recruitment in Europe. Routledge.
- Magazzini, T., Eleftheriadou, M., & Triandafyllidou, A. (2025). The Non-radicalisation of Muslims in Southern Europe: Migration and Integration in Italy, Greece, and Spain (p. 124). Springer Nature.

