La giustificazione della schiavitù da parte delle nazioni islamiche sembra appartenere al passato, oppure ad ambienti dichiaratamente estremisti e radicali, come ISIS; la condanna di questa pratica, anche nel mondo islamico, è ampia, ma non è universale. Esistono delle eccezioni, di teologi che affermano la liceità (almeno teorica) di questa pratica in particolari contesti, come le guerre; se il ‘mondo cristiano’ si è allineato da secoli su posizioni anti-schiavistiche, quello islamico offre un quadro più variegato.
Del resto, la pratica della schiavitù non è stata abolita in tutti i Paesi islamici, e tale situazione viene giustificata con riferimento a testi ‘classici’ islamici, che considerano tale prassi come ammissibile, anche se non necessariamente auspicabile. Un importante eccezione, da questo punto di vista, consiste nella ‘kafala’ moderna, applicata (ad esempio) in Arabia Saudita; originariamente elaborato per proteggere persone vulnerabili, questo istituto è diventato, di fatto, una forma di schiavitù moderna.

Il ‘Kafil’, sponsor, di fatto limita la possibilità che un lavoratore (quasi sempre immigrato) possa cercare un altro impiego, lasciare il Paese o continuare a risiedere in esso, e lo lega presso di sé. Per questa ragione, chi è legato da questo tipo di contratto diventa, di fatto, uno schiavo, privato della volontà di decidere dove vivere e dove lavorare, soggetto alla volontà del suo padrone, che di fatto ne può disporre a suo piacimento. La kafala non è schiavitù in senso legale, ovvero un contratto che formalmente stabilisce la proprietà di un altro essere umano, ma una forma moderna che non si discosta di molto da questa definizione formale. Formalmente, si tratta di un rapporto di lavoro, ma de facto si tratta di schiavitù, a causa delle condizioni unilaterali e sproporzionate che vengono imposte e codificate nei Paesi del Golfo.
La kafala, del resto, è stata ampiamente criticata, e recentemente alcuni Paesi hanno adottato parziali riforme che diminuiscono il controllo del datore di lavoro (kafil) sui dipendenti; ciò nonostante, si tratta di una pratica diffusa e accettata. Pertanto, la sua parziale riforma ha finora avuto una scarsa incisione su una prassi denunciata da attivisti e studiosi a livello globale, anche all’interno delle società islamiche.
A livello teologico, poi, esistono esempi, anche se minoritari, di figure che ammettono la liceità della schiavitù; tali persone, in altre parole, si rifiutano di porre in discussione una pratica che nell’islam ‘classico’ è sempre stata accettata e regolata, e anche applicata fino a tempi recenti (e.g. impero ottomano).
Si considerino, in questo senso, tali affermazioni,
Nell’Islam sono state prese misure e accordi affinché la schiavitù venisse gradualmente abolita. Tuttavia, ciò non significa che la schiavitù sia assolutamente condannata nell’Islam. In una guerra legale (secondo le regole islamiche, ndr), se i musulmani sconfiggono gli infedeli e li prendono prigionieri, un infedele che non è prigioniero e sotto il controllo di un musulmano vittorioso deve essere considerato uno schiavo e le regole della schiavitù sono applicabili a quell’individuo. Anche se una guerra del genere scoppiasse oggi, la regola è la stessa. Non è che la schiavitù sia completamente abolita e che il Libro dell’Emancipazione debba essere eliminato. Tuttavia, la schiavitù in quei giorni si basava sulle differenze razziali. Neri e persone vulnerabili sarebbero intrappolati e poi venduti. Se ci si trova in una situazione in cui si deve scegliere tra uccidere un nemico sconfitto o prenderlo prigioniero, quale opzione è più umana? Se i prigionieri nemici vengono liberati, diffonderanno la stessa corruzione. Se un prigioniero viene ucciso, la sua vita finisce e non può tornare al suo stato precedente. Tuttavia, se sono schiavizzati, è possibile che si formino gradualmente all’interno del Dar al-Islam (in un Paese dove viene applicata la shariah, ndr) e diventino esseri umani degni. In ogni caso, la questione della schiavitù è generalmente accettata nell’Islam e noi la difendiamo.
Ayatullah Muḥammad Taqi Miṣbaḥ Yazdi, Ruz-Nameh Ettelaʿat, 10 Mehr 1372 (2 ottobre 1993).

Si tratta di affermazioni comparse in un contesto sciita, ma decisamente recenti, che confermano come una parte del mondo islamico giustifichi ancora la schiavitù, e non solo teoricamente, ma anche come praticamente, sebbene in condizioni particolari (una guerra ‘legale’ secondo la giurisprudenza islamica). Anche se si tratta di una posizione minoritaria, ampiamente criticata dalla maggior parte dei teologi, anche sciiti, questo genere di opinioni non è scomparso, ma si può ancora rinvenire in un contesto globalizzato e moderno. Del resto, il quotidiano citato, Ettelaat, è di respiro nazionale, e viene finanziato dal governo di Teheran; pertanto, la pubblicazione di questa opinione sulla schiavitù sulle sue pagine non può essere sottovalutata.
In un altro scritto del medesimo imam, Negahi gozara be ḥoquq‑e bashar az didgah‑e Eslam (Uno breve sguardo sui diritti umani dal punto di vista dell’Islam), pubblicato a Qom (importante sede di elaborazione teologica) nel 2009, si possono rinvenire affermazioni simili. In questo scritto, Yazdi critica la concezione di diritti umani contenuta nella Dichiarazione ONU del 1948, e dedica un capitolo al tema della schiavitù. In un capitolo precedente, dedicato alla critica della Dichiarazione dei Diritti Umani, lo studioso islamico afferma,
Articolo quattro: Nessuno può essere tenuto in schiavitù e la tratta degli schiavi è proibita in qualsiasi forma.
L’articolo sopracitato sembra sostenere che nessuno possa essere ridotto in schiavitù in nessuna circostanza e condizione e che la schiavitù debba essere sradicata dalla società umana. Anche questa affermazione è infondata. Una persona può avere diritto alla punizione della schiavitù a causa della sua cattiva volontà (enfasi mia). Ad esempio, chi si ribella al vero e giusto sistema islamico, che garantisce felicità e umanità, viene ridotto in schiavitù dopo essere stato sconfitto e deve esserlo perché ciò è nel suo interesse e in quello degli altri. Se tale persona è libera, potrebbe cercare rifugio presso i nemici dell’Islam, nel qual caso verrebbe privata di un’istruzione e di un’educazione adeguate e potrebbe persino tentare di combattere di nuovo e turbare la pace della società islamica. Se questa persona viene ridotta in schiavitù e vive in una società islamica, verrà gradualmente istruita adeguatamente e avviata sulla via della prosperità e della perfezione, e anche gli altri saranno al sicuro dal suo male. In breve, alcune persone potrebbero commettere atti criminali che portano alla loro schiavitù e alla privazione della libertà. Pertanto, la schiavitù non è riprovevole in tutte le circostanze.
Negahi gozara be ḥoquq‑e bashar az didgah‑e Eslam (Uno breve sguardo sui diritti umani dal punto di vista dell’Islam), Capitolo quattro: Critica e revisione della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Questa opera conferma gli argomenti che sono stati pubblicati nel 1993 su Ettelaat, e si inserisce in una critica più generale verso la concezione di diritti umani scaturita dalla Dichiarazione del 1948 e da Trattati e Convenzioni successive. Si tratta di una posizione che riecheggia la Dichiarazione del Cairo del 1998, di cui già si era discusso su questa rivista, e che subordina il rispetto dei diritti umani, anche elmentari (come quello alla vita) alla teologia islamica.
I diritti umani, dunque, non sono assoluti nel mondo islamico, e nemmeno la schiavitù viene condannata in maniera univoca, ma trova giustificazione anche in teologi contemporanei; al contrario, nessun teologo cristiano (cattolico, protestante o ortodosso) ha mai sostenuto una posizione del genere in epoca contemporanea.
Sebbene la giustificazione contemporanea della schiavitù sia rara, essa è nondimeno presente e pubblicamente visibile, e proviene da un centro come Qom, uno dei fulcri della teologia sciita contemporanea; per questa ragione, affermazioni come quelle riportate dovrebbero essere considerate seriamente, e non trattate come curiosità oppure opinioni di imam borderline.
Letture Utili
- Mesbah Yazdi, M.-T. (2009). Negahi gozara be ḥoquq-e bashar az didgah-e Eslam [A brief review of human rights from an Islamic perspective]. Qom: Moʾasseseh-ye Pazhūheshi-ye Imām Khomeini.
- Kadivar, M. (2019). Human rights and reformist Islam. London: Routledge.
- Azhar, Z. (2022). View of Shii ideas of slavery. Journal of Islamic Law, 407–418.

