Abstract
L’incontro tra l’Islam e la cultura giavanese, quella più diffusa nell’arcipelago, ha prodotto un ‘Islam giavanese’, che combina elementi della fede islamica a quelli propri della cultura giavanese prima dell’avvento dell’Islam. Si tratta del risultato di un processo che è stato attivamente promosso dai sovrani di Giava nel XVII e XVIII secolo, e che ha prodotto una società islamica, osservante dei rituali religiosi, ma anche delle pratiche culturali giavanesi, grazie ad una ‘sintesi mistica’.
Introduzione – Un Incontro Ambivalente
La cultura giavanese, cha attualmente rappresenta circa un terzo dell’intera popolazione indonesiana, si era sviluppata, dal punto di vista sia culturale che religioso, ben prima dell’avvento dell’Islam, apparso per la prima volta nel XIV secolo. Si tratta di una ricca civiltà, permeata da idee e concetti di derivazione buddista e induista, che ha lasciato una eredità composta da diversi manufatti, come statue, opere letterarie, ed edifici. Ovviamente, è possibile che esistessero musulmani in questa area prima del XIV secolo, ma le prove archeologiche della presenza islamica iniziano verso il 1368, con le prime lapidi che testimoniano la sepoltura di musulmani.
Evidentemente, le lapidi superstiti si riferiscono a persone musulmane che appartenevano all’élite aristocratica che risiedevano presso la corte del regno di Majapahit (Giava Orientale), uno stato indo-buddista. Del resto, l’Islam giavanese è sempre stato dominato dalla sua élite, e lo è tuttora, e, di conseguenza, è probabile che il processo di islamizzazione sia partito dall’alto, dalle élite e non dalle persone che occupavano un posto meno rilevante nella società. In altre parole, sembra che la diffusione dell’Islam a Giava sia dovuta (ancora oggi) alla relazione con figure che rappresentano la classe dirigente, e non necessariamente (anche se in generale non è escluso) ad una conversione personale.
La classe dei priayi (nobili), specialmente a Giava, è stata fondamentale nell’era coloniale, ed ha fornito una mediazione tra gli amministratori coloniali, da una parte, e la popolazione locale; senza questo accordo, gli olandesi non avrebbero potuto estendere il loro dominio per oltre 3 secoli. La loro educazione superiore li rendeva adatti a svolgere questo compito, e secondo alcuni esperti essi sono stati un ostacolo per l’Indipendenza dell’Indonesia.
Una Sintesi Originale
Lo sviluppo iniziale dell’Islam a Giava è scarsamente documentato, ma i manoscritti del XVI secolo sembrano suggerire la presenza di un processo dai tratti ambivalenti; da una parte, sembra che la doppia appartenenza, all’Islam e alla cultura giavanese, era considerato normale. Allo stesso tempo, si osserva che le espressioni giavanesi che si riferivano a concetti religiosi come la preghiera, Dio, o l’anima prevalevano su quelli arabi. A volte, tuttavia, è documentata la richiesta di scegliere tra l’identità giavanese e quella islamica.

In altre parole, il processo di prima islamizzazione è stato caratterizzato da una evidente ambiguità, e l’avvento dell’Islam non è stato accettato in maniera incondizionata; di particolare importanza risultano due processi. Il primo si riferisce all’immigrazione di musulmani stranieri, che si stabiliscono in questa regione e ne assimilano la cultura, mentre il secondo riguarda la conversione all’Islam dei giavanesi locali; il folklore giavanese ci consegna la nota leggenda dei ‘Nove Santi’, i ‘Wali Songo’, ovvero le prime persone che avrebbero diffuso l’Islam a Giava.
Si tratta dei ‘Sunan’, il cui culto è ancora vivo e praticato, le cui tombe sono oggetto di pellegrinaggio da parte di molti musulmani, ma anche di stranieri curiosi; il loro esempio viene ricordato (al di là della storicità delle loro figure e azioni) per costruire e rinforzare un modello di Islam che non si oppone necessariamente alla cultura locale, ma che, al contrario, è capace di integrarne alcuni elementi. Per questa ragione, l’Islam che si pratica tuttora in Indonesia, e a Giava in particolare, è un Islam dalle caratteristiche locali, unico nel suo genere.
Dal punto di vista strettamente storico, tuttavia, non esistono prove affidabili sui Wali Songo, che rimangono comunque un elemento fondamentale per la costruzione dell’Islam giavanese e indonesiano; le loro azioni, dunque, sono più oggetto di fede o di folklore, piuttosto che di storia vera e propria. E’ probabile che le loro figure siano una costruzione culturale, attuata allo scopo di giustificare il potere detenuto da parte di una classe sociale. Di fatto, i wali songo definiscono tuttora l’identità indonesiana, e non si può prescindere da essi, o dall’Islam, quando si analizza questo Paese.
La Costruzione dell’Identità Islamico-Javanese
All’inizio del XVII secolo, la dinastia regnante era quella di Mataram, che risiedeva nell’area dell’attuale Yogyakarta, e si colloca uno dei sovrani più importanti del periodo post-Majapahit, Sultan Agung, il cui regno si colloca tra il 1613 ed il 1646. Fu questo re ad inizare una vera e propria opera di rinconciliazione tra le tradizioni aristocratiche locali del kraton (corte reale giavanese), da una parte, e quelle islamiche, dall’altra. Tale sovrano diede continuità al culto di una delle divinità indigene più influenti, Ratu Kidul, la cosiddetta ‘Dea dell’Oceano Meridionale’; allo stesso tempo, Sultan Agung, che si pensa sia nato a Kotagede, cercò anche di trasformare in senso islamico la sua corte.
Egli si recò in pellegrinaggio nel 1633 fece un pellegrinaggio a Tembayat, dove si trova la tomba considerata sacra di Sunan Bayat; si tratta del Wali a cui si attribuisce l’introduzione dell’islam nell’area di Mataram. La vulgata locale narra che Agung abbia comunicato direttamente con lo spirito del ‘santo’, da cui apprese conoscenze mistiche e segrete; per questa ragione, il potere attribuito al ‘santo’ venne legato alla monarchia. Agung decise anche di abbandonare l’antico giavanese calendario Saka, a favore di un sistema ibrido che adottava la scansione lunare islamica; egli si rinconciliò, poi, con la famiglia principesca di Surabaya, il suo principale avversario mentre costruiva il suo impero. Sultan Agung, in effetti, sposò una delle sue sorelle con il principe sopravvissuto di Surabaya, il cui lignaggio risaliva a uno dei più anziani (e rispettati) walis.
Con l’assistenza di questo principe, Agung introdusse riuscì ad introdurre opere letterarie importanti ispirate all’Islam presso la sua corte; tali opere, del resto, erano ritenute in possesso di una potenza magica. Tra di esse spicca il Kitab Usulbiyah, la cui lettura veniva cosiderata equivalente al pellegrinaggio islamico ed all’elemosina, due dei pilastri della fede islamica, oltre che una sorta di jihad. Significativamente, il Kitab rappresenta il profeta Maometto mentre indossa la corona d’oro di Majapahit, ed unisce dunque i simboli dell’autorità islamica e giavanese.
Un Nuovo Corso
La riconciliazione operata da Agung tra l’identità islamica e le tradizioni reali giavanesi, tuttavia, non venne perseguita con lo stesso entusiasmo dai suoi successori; per diversi decenni, le ribellioni contro la sua dinastia vennero giustificate proprio ricorrendo ad argomentazioni islamiche. A partire dal 1670, poi, i Maduresi, i Makasaresi e altri non giavanesi si unirono alle guerre che divampavano a Giava; per questo motivo, la dinastia di Agung, che si trovava sotto assedio, si rivolse alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali per ricevere supporto militare. L’intervento della Compagnia permise alla dinastia di sopravvivere, ma aumentò anche l’aspetto religioso delle ribellioni, che contestavano l’alleanza con gli ‘infedeli’. Tale intervento, inoltre, ebbe un ruolo di primo piano nel fallimento della Compagnia alla fine del XVIII secolo, sciolta il 1 gennaio del 1800 per gli eccessivi debiti e scandali che la vedevano protagonista.
Dopo decenni di guerre civili distruttive in cui l’identità religiosa giocò un ruolo importante, ci fu una seconda riconciliazione tra il kraton e le componenti islamiche, sotto il regno di Pakubuwana II, il cui regno si colloca tra il 1726 ed il 1749. Tale operazione venne pensata e guidata da Ratu Pakubuwana, la nonna materna, la cui fama di devozione religiosa e saggezza era nota; essa decise, come Agung, di comporre opere in cui gli elementi islamici erano mescolati con quelli giavanesi. In questo modo, essa relcamò il medesimo potere attribuito al Kitab Usulbiyah, e dichiarò che tali opere godevano della benedizione divina. Pakubuwana II, dunque, sarebbe diventato il re musulmano per eccellenza, grazie a questa opera di propaganda religiosa e culturale, il cui scopo era evidentemente cementare il potere della dinastia e porre termine alle continue contese.
Questa operazione, del resto, si inserisce in un disegno più ampio, volto ad islamizzare la società giavanese; per questa ragione, vennero emessi decreti che ingiungevano la frequenza obbligatoria alla preghiera settimanale del venerdì, il divieto dei giochi di azzardo, e probabilmente vennero introdotte anche alcune pene islamiche, come il taglio della mano per i ladri. Ciò nonostante, sia le dottrine pre-islamiche, che le opere letterarie e le altre pratiche vennero preservate all’interno della corte, ma ad esse venne assegnato un carattere ‘islamico‘. Si trattò dunque di una islamizzazione che intendeva preservare una islamicità nominale, visibile, mentre il resto della corte conservava le antiche abitudini, come la passione per i vini e liquori europei.
Pakubuwana II, tuttavia, non riuscì a gestire adeguatamente la situazione, e la sua corte si disintegrò presto; il suo potere subì la medesima sorte, a causa di scelte errate nell’intervento delle guerre che stavano divampando nel suo regno, e dovette abbandonare la corte. La scelta di spostare la corte a Surakarta nel 1746, del resto, non fu una tattica adeguata, e Mangkubumi divenne re al suo posto, con il nome di f Sultan Hamengkubuwana I. La nuova corte si stabilì a Yogyakarta a partire dal 1755, e i possedimenti vennero frazionati costantemente nel corso del tempo.
Una ‘Sintesi Mistica’
I lunghi e tumultuosi anni in cui vennero combattute guerre continue per il potere, si verificò anche una sostanziale riconciliazione tra l’identità giavanese e quella islamica, un processo che è stato definito ‘sintesi mistica’. Si tratta di un processo culturale basato su tre elementi fondamentali, iniziando dal ruolo fondamentale dell’identità islamica; in altre parole, essere giavanese comportava automaticamente anche essere musulmani. Il secondo fattore, poi, è costituito dall’osservanza degli elementi rituali islamici, come il digiuno di Ramadan e il pellegrinaggio per coloro che erano capaci di compierlo; infine, si decise di accettare il culto delle divinità giavanesi, che era evidentemente in contrasto con l’opera di islamizzazione.

Si tratta, effettivamente, di una sintesi che ha dato luogo ad un Islam giavanese, un modo di vivere la religione islamica ancora attuale; non sorprende, dunque, che le opere letterarie che si sviluppano in questo periodo accostano tematiche islamiche ad elementi induisti e buddisti, tipici dell’identità giavanese precedente all’avvento dell’Islam. Del resto, le testimonianze disponibili sulla vita religiosa in questo periodo (metà del XVIII-XIX secolo) sembrano coerenti con i cinque pilastri della fede islamica, anche se tale osservanza, evidentemente, era solamente nominale.
Si consideri, in questo senso, quanto osservato da Cornets de Groot, che era Residente Olandese nel 1822, a proposito di Gresik,
The main points of the Islamic faith, which are carried out by many,
are the Shahada [Confession of faith], the sembayang [daily prayer], the
puasa (fast), the zakat [alms], fitrah [contribution at the end of the fast]
and hajj [pilgrimage]. … The puasa (fast) is carried out by most Javanese
of all classes.
I punti principali della fede islamica, che vengono praticati da molti, sono la Shahada [Confessione di fede], il sembayang [preghiera quotidiana], il puasa (digiuno), lo zakat [elemosina], il fitrah [contributo alla fine del digiuno] e l’hajj [pellegrinaggio]. … Il puasa (digiuno) è osservato dalla maggior parte dei giavanesi di tutte le classi.
(A.D. Cornets de Groot, Bijdrage tot de kennis van de zeden en gewoonten der
Javanen, Contributo alla conoscenza delle usanze e costumi dei Giavanesi, TNI vol. 14, pt. 2 (1852), pp. 271–2, riportato, nella traduzione inglese da Ricklefs, M. C. (2012). Islamisation and its opponents in Java: A political, social, cultural and religious history, c. 1930 to present. NUS Press, p. 9)
Di conseguenza, l’opera di islamizzazione iniziata nei secoli precedenti era stata efficace, e aveva prodotto una società che era musulmana, e, allo stesso tempo, autenticamente giavanese; un’altra testimonianza preziosa, poi, è quella di Thomas Raffles, governatore della Colonia nel breve interregno britannico nell’arcipelago, tra il 1811 ed il 1816.
Nella sua History of Java, egli osserva che,
Pilgrimages to Mecca are common’, he noted, and ‘every village has its
priest, and … in every village of importance there is a mosque or building
set apart adapted to religious worship.
I pellegrinaggi a La Mecca sono comuni (…) ogni villaggio ha il suo sacerdote, e … in ogni villaggio importante c’è una moschea o un edificio dedicato al culto religioso.
Thomas Stamford Raffles, The history of Java (2 vols; 2nd ed; London: John Murray,
1830), vol. II, pp. 3–4, riportato da Ricklefs, M. C. (2012). Islamisation and its opponents in Java: A political, social, cultural and religious history, c. 1930 to present. NUS Press, p. 9
Queste testimonianze dunque, insieme ad altre che riportano un’osservanza più rilassata delle pratiche islamiche, sembrano esprimere efficacemente la natura dell’Islam giavanese, che, in generale, appare più un elemento culturale che religioso. Del resto, la sopravvivenza di pratiche e anche di divinità o semi-divinità pre-islamiche, conferma la natura particolare dell’Islam che si è diffuso a Giava e che era praticato (ed in parte lo è ancora) a partire dal XIX secolo.
Conclusioni
Lo sviuppo e diffusione di un Islam giavanese testimonia che l’Islam si può adattare alle culture locali, al contrario di quanto si potrebbe ritenere; il processo di inculturazione, che viene riconosciuto nel cristianesimo, opera anche nella religione islamica. Del resto, la fusione tra gli elementi giavanesi e quelli islamici sembra confermare l’ipotesi di diffusione di questa religione in un’epoca tardiva, come afferma il professor Ricklefs, che data questo fenomeno alla fine del XIV secolo, e non al VII secolo come sostengono alcuni storici indonesiani.
La pratica di questa religione, ancora oggi, risente dell’influsso della cultura giavanese, e viene spesso attaccata da gruppi che vorrebbero restaurare una supposta purezza che però nell’arcipelago non è mai esistita. L’Islam indonesiano, Islam Nusantara, è il prodotto dei processi descritti in precedenza, ed è parte integrante della stessa identità indonesiana; di fatto, l’Islam giavanese, ma si potrebbe dire indonesiano tout court, è qualcosa da preservare.
Letture Consigliate
- Ricklefs, M. C. (2012). Islamisation and its opponents in Java: A political, social, cultural and religious history, c. 1930 to present. NUS Press. Singapore.
- Bamualim, C. S. (2015). Negotiating Islamisation and resistance: A study of religions, politics, and social change in West Java from the early 20th century to the present. Leiden University.
- Ricklefs, M. C. (2023). Rediscovering Islam in Javanese History. Storied island, 15-32.
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