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Abstract

La Pancasila, la dottrina ufficiale dell’Indonesia, prevede, unitamente alla Costituzione Repubblicana del 1945, emendata 4 volte tra il 1999 ed il 2002, un ordinamento giuridico ‘laico’; di conseguenza, la religione dominante, l’Islam, e la sharia, sono (teoricamente) subordinati alla legge dello Stato. Il Consiglio degli Ulama Indonesiani (MUI), tuttavia, supporta una visione ambivalente, che rischia di collidere con le fondamenta stesse della nazione indonesiana.
Non sorprende, di conseguenza, che anche la visione storica sull’arrivo dell’Islam in Indonesia sia influenzata dalla volontà di integrare ed introdurre le norme della ‘legge islamica’ nella sfera civile e pubblica, mediante norme ispirate o dettate dalla religione. Questo supporto ideologico della shariatisation pone il MUI in una delicata e controversa posizione, in quanto i suoi consigli e verdetti sono stati usati e manipolati dalle organizzazioni islamiste che desiderano instaurare uno Stato islamico vero e proprio nel Paese asiatico.


Introduzione

L’aumento della shariatisation in Indonesia è stata facilitata dalla narrativa storica secondo cui l’Islam è un’identità fondamentale ed inseparabile dalla storia dell’Indonesia, del suo Stato e della sua società; si tratta di una narrazione efficace, in quanto il profilo identitario è capace di plasmare le azioni o l’agenda nazionale e sociale. La scelta di porre l’Islam come fattore dominante dell’identità indonesiana, si comprende anche l’impegno per attuare l’agenda della shariatisation; si consideri, in particolare, il dibattito sull’introduzione dell’Islam in Indonesia. Questa tematica, che ammette diverse ipotesi, può, e di fatto viene usata per affermare un bisogno culturale di shariatisation, e, allo stesso tempo, indicare la religione maggioritaria come una ‘lunga tradizione’ ed una ‘identità inalienabile’ del Paese asiatico.

Da questo punto di vista, la shariatisation può essere considerata come una sorta di linguaggio adottato dagli islamisti indonesiani per strumentalizzare il patrimonio islamico passato, allo scopo di perseguire obiettivi attuali. In altre parole, la storia viene proiettata sul futuro, conferendo all’Islam un ruolo che non si può modificare o porre in dubbio; evidentemente, questo genere di narrazione sostiene il discorso degli islamisti e di coloro che intendono conferire alla sharia una dimensione pubblica e normativa per tutti i cittadini.

Si tratta di una visione che può causare conflitti con la Pancasila, la dottrina di Stato, che non indica alcuna religione in particolare come punto di riferimento, ma si limita all’espressione ‘fede nel Dio unico’. Evidentemente, il primo principio della Pancasila può essere interpretato secondo modalità differenti. L’imposizione di una fede particolare, tuttavia, appare problematica, specialmente quando si considera il ruolo della Costituzione del 1945 e gli interventi, anche recenti, della Corte Costituzionale indonesiana, che hanno ribadito la preminenza della legge dello Stato su quella religiosa.


Majelis Ulama Indonesia e Narrazione Storica

Si nota la tendenza, tra gli storici musulmani indonesiani, a coltivare una visione dell’Islam come identità fondamentale dello stato indonesiano; di conseguenza, viene presentata una particolare visione storica sulla presenza dell’Islam nel Paese che ospita la comunità musulmana più numerosa al mondo. Nel 1986, il MUI organizzò una conferenza chiamata Amanah Sejarah Umat Islam, ovvero ‘Il Mandato Storico della Comunità Musulmana’; in tale occasione, l’organizzazione islamica cercò il consenso su tre questioni.

Per iniziare, si accettò la cosiddetta ‘teoria araba’, secondo cui l’Islam sarebbe arrivato in Indonesia dalle terre arabe nel primo secolo dell’Egira, ovvero nel VII secolo dell’Era Volgare; inoltre, si ammise l’ipotesi secondo cui il processo di islamizzazione sarebbe iniziato molto prima dell’era moderna, allo scopo di sottolineare l’importanza fondamentale dell’Islam per l’Indonesia. Da ultimo, si precisò che l’Islam indonesiano era ‘puro’, in quanto la sua diffusione nel Paese asiatico sarebbe stata coeva o di poco successiva alla nascita dell’Islam in Medio Oriente.

Una conferenza di questo genere, in realtà, si era già svolta in precedenza, nel 1978 a Banda Aceh, la capitale della Provincia di Aceh; in questa occasione, in effetti, si era giunti a conclusioni simili a quelle che saranno raggiunte otto anni più tardi. Tra gli storici islamici indonesiani che sostengono la teoria araba si trovano Abdul Malik Karim Amrullah, noto come ‘Hamka’, il primo presidente generale del MUI, Suryanegara e Uka Tjandrasasmita.

Si tratta di tre storici influenti in Indonesia, che hanno ribadito l’ipotesi secondo cui l’Islam si sarebbe diffuso in Indonesia direttamente da Mecca, nella Penisola Arabica; il riferimento sarebbe a documenti cinesi della dinastia Tang che riportavano la scoperta di una comunità di commercianti arabi sulla costa occidentale di Sumatra. Pertanto, questi storici hanno osservato che i primi propagatori dell’Islam nell’Arcipelago erano i mercanti arabi del primo secolo dell’Egira; tale teoria, tuttavia, non viene accettata da diversi storici, anche indonesiani, e deve ancora essere confermata.

La teoria araba, dunque, dovrebbe essere considerata come una delle narrazioni storiche divergenti riguardanti il primo afflusso dell’Islam in Indonesia; Ricklefs, uno degli storici più autorevoli della storia indonesiana, ha osservato che

The spread of Islam is one of the most significant processes of Indonesian history, but
also one of the most obscure. Muslim traders had apparently been present in some parts
of Indonesia for several centuries before Islam became established within the local
communities. When, why and how the conversion of Indonesians began has been
debated by several scholars, but no definite conclusions have been possible because the
records of Islamisation that survive are so few, and often so uninformative.

La diffusione dell’Islam è uno dei processi più significativi della storia indonesiana, ma anche uno dei più oscuri. I commercianti musulmani erano apparentemente presenti in alcune parti dell’Indonesia per diversi secoli prima che l’Islam si stabilisse all’interno delle comunità locali. Quando, perché e come è iniziata la conversione degli indonesiani è stato dibattuto da diversi studiosi, ma non sono state possibili conclusioni definitive perché i documenti sull’islamizzazione che sono sopravvissuti sono così pochi e spesso così poco informativi.

(Ricklefs, M. C. (2008). A History of Modern Indonesia since c. 1200. London: MacMillan, p. 22.)


Teorie Alternative sull’Introduzione dell’Islam in Indonesia

Esistono, tuttavia, altre narrazioni storiche differenti rispetto alla ‘teoria araba’, come quella del ‘Gujarat’, secondo cui l’Islam si sarebbe diffuso a Pasai (Indonesia) da Cambay, nella regione indiana del Gujarat, nel corso del XIII secolo. Alcuni storici indonesiani come Ahmad Mansur Suryanegara sono critici nei confronti di questa teoria, e la descrivono come una creazione deliberata degli studiosi occidentali.

Un’ulteriore ipotesi individua la Persia come punto di partenza dell’Islam indonesiano, ed è stata proposta da Hossein Djajadiningrat e Aboebakar Atjeh; tale teoria si basa su prove che includono l’esistenza di un sistema di punteggiatura simile per la recitazione del Corano utilizzato a Giava Occidentale ed in Persia. Una terza ipotesi, da ultimo, propone che sia stata la Cina la regione da cui l’Islam si sarebbe diffuso in Indonesia; secondo una leggenda locale sarebbero stati i cosiddetti ‘Sembilan Wali Songo’ o ‘nove santi di Giava’, che sarebbero responsabili di aver introdotto l’Islam nel Paese asiatico.

Secondo una quarta narrazione, nota come ‘teoria marittima’, l’Islam si si sarebbe diffuso nella regione costiera dell’Arcipelago dai Paesi marittimi situati nella ‘autostrada oceanica Medio Oriente-Cina’; tale teoria sostiene che i diffusori fossero i primi musulmani arabi che vivevano o viaggiavano attraverso queste aree. Il primo contatto dei mercanti musulmani con il popolo indonesiano sarebbe dunque avvenuto nel VII-VIII EV (I e II Egira). Nei secoli successivi, poi, avvenne una maggiore diffusione e consolidamento delle comunità islamiche, specialemente a partire dal XVI al XX secolo, periodo in cui si ebbero diverse rivolte contro gli amministratori coloniali oldandesi. L’obiettivo di questa teoria, evidentemente, è quello di riconciliare le narrazioni storiche basate su fonti interne ed esterne riguardanti il primo ingresso dell’Islam in Indonesia.

Si osserva, in questo senso, che l’approccio del MUI rispetto alla narrazione sull’arrivo dell’Islam in Indonesia si è basato sulla costruzione di un Islam presentato come ‘storico’; evidentemente, il successo di questa narrativa dipende dalla capacità del MUI di far diventare la teoria araba l’elemento dominante della storia nazionale.


La Pancasila e la Reazione del MUI

Dopo la dichiarazione di indipendenza dai Paesi Bassi, il 17 agosto del 1945, iniziò a sorgere il problema della base ideologica dello Stato indonesiano; alcuni sostenevano l’adozione dell’Islam come base ideologica, mentre altri ritenevano che la nazione non dovesse essere basata su una particolare fede o religione. La posizione del primo gruppo era giustificata dallo status dell’Islam come religione maggioritaria; secondo questa visione, di conseguenza, lo Stato doveva essere basato sull’Islam, ovvero sulle leggi ed i valori islamici.

Nella narrativa ufficiale, del resto, i movimenti islamici, come Sarekat Islam, Nadlatul Ulama e Muhammadiya, vengono rappresentati come centrali per l’indipendenza dell’Indonesia; secondo Mohammed Natsir, che è stato primo Ministro del Paese asiatico tra il 1950 ed il 1951, l’indipendenza avrebbe dovuto beneficiare i musulmani in maniera particolare. Per questa ragione, la scelta più opportuna sarebbe stata quella di creare una ‘entità politica islamica’, che avrebbe arrecato benefici a tutti i cittadini.

Secondo questa visione, favorevole ad uno Stato islamico, l’Indonesia sarebbe stata fondata a ragione del sacrificio dei musulmani, che chiedevano l’inclusione della sharia nella Carta Costituzionale; questa aspirazione si realizzò in occasione del cosiddetto ‘Piagam Jakarta’, la ‘Carta di Giacarta’, che venne originariamente adottata come preambolo della Konstitusi Republik Indonesia, il 22 giugno 1945. Tale documento, tuttavia, è stato successivamente respinto dai gruppi musulmani di maggioranza e anche dai gruppi religiosi minoritari, che non sostenevano uno Stato islamico basato sulla sharia.

Pertanto, i padri fondatori dell’Indonesia convennero che l’Indonesia non si sarebbe basata sulla legge islamica; nonostante il ruolo chiave svolto dalle comunità musulmane nella lotta per l’indipendenza nazionale, esse dovettero accettare questo accordo fondatore della nuova nazione indipendente e sovrana. Le principali organizzazioni islamiche del Paese, Nahdlatul Ulama (NU) e Muhammadiyah, hanno concordato che l’ideologia della Pancasila era compatibile con l’Islam e lo sosteneva; tale risultato, del resto, viene considerato un enorme successo per tutti gli indonesiani, indipendentemente dalla loro religione, etnia e genere.

Anche se era stato raggiunto un consenso nazionale, con cui si creava uno Stato-nazione basato sulla Pancasila e sulla Costituzione del 1945, il dibattito sulla posizione dell’Islam come base per il sistema legale dell’Indonesia rimane una questione problematica ancora ampiamente dibattuta. Ciò nonostante, l’accettazione della Pancasila non ha posto fine alle aspirazioni di far diventare l’Indonesia uno Stato islamico.

I partiti islamisti, in effetti, sostenevano che l’accettazione della Pancasila 1945 fosse giustificata dalla necessità di prevenire la disintegrazione del Paese in un periodo di emergenza; per questa ragione, i musulmani sarebbero stati autorizzati a compiere azioni che l’Islam ordinariamente vieta. Tuttavia, poiché la situazione in Indonesia era cambiata, ed era venuta veno la minaccia all’unità nazionale, l’istituzione di uno stato basato sulla sharia divenne una significativa preoccupazione per molti musulmani indonesiani.

Anche se attualmente ci si trova in un’epoca diversa, i sostenitori di questa idea possono essere considerati ideologicamente prossimi a coloro che sostennero l’incorporazione della Carta di Giacarta nel preambolo della Costituzione del 1945. Si tratta di un atteggiamento evidente nella retorica degli islamisti attuali, che si riferiscono ancora al dibattito sull’originale inclusione della Carta nel preambolo della Costituzione indonesiana.

Un altro argomento adottato da questi gruppi riguarda la natura del consenso nazionale sulla Pancasila e sulla Costituzione raggiunto nel 1945, che non rifletterebbe, secondo questa visione, una decisione finale sulla forma di Stato dell’Indonesia. Tali richieste diventarono evidenti nel 2002, in occasione della sessione generale del Majelis Permusyawaratan Rakyat, MPR, il Parlamento Indonesiano, quando vennero espresse le aspirazioni di includere le disposizioni della sharia nella Costituzione indonesiana.

Tale richiesta, come noto, venne respinta, e tale decisione sembra confermare la scelta del 1945, che si era effettivamente svolta in condizioni di emergenza; per questa ragione, si parla di ‘secondo consenso’ del popolo indonesiano alla forma repubblicana e laica della nazione indonesiana, che esclude la possibilità di uno Stato islamico, retto dalla sharia. Ciò nonostante, la lotta per integrare la legge islamica nell’ordinamento giuridico dell’Indonesia permane, e si manifesta con strategie diverse nel prossimo futuro.


La lotta per la shariatisation

I sostenitori di uno stato indonesiano islamico, adottano, principalmente, due strategie per implementare la sharia nella sfera legale e pubblica del Paese asiatico; in primis, essi sostengono una strategia culturale che sostiene la shariatisation attraverso i meccanismi della sfera pubblica. A tale proposito, si consideri la legge n. 44 del 2008 sulla pornografia, la legge n. 21 del 2008 sulla banca islamica, e le disposizioni governative sul cibo ‘halal’, ovvero permesso ai musulmani. A livello locale, poi, si può considerare la Provincia di Aceh, di cui si è discusso su questa rivista, Bulukumba nel Sulawesi del Sud e Cianjur a Giava Occidentale.

Si tratta di tentativi (non sempre andati a buon fine, ad eccezione di Aceh), che sfruttano le possibilità introdotte dalle legge n. 32 del 2004, che riguarda l’autonomia regionale, o decentralizzazione; in questo modo, i governi regionali vengono autorizzati ad emanare le proprie regolamentazioni (o ordinanze) locali. A partire dall’inizio della reformasi, nel 1998, si osserva che il MUI ha emesso fatawa e raccomandazioni a sostegno dei regolamenti islamici, basati sulla sharia; inoltre, coloro che sostengono questo genere di legislazione secondaria ricorrono spesso ai verdetti religiosi espressi dal Majelis Ulama Indonesia, allo scopo di supportare le loro posizioni.

Di conseguenza, risulta evidente che l’uso ideologico e politico dell’Islam come fondamento dello Stato non avviene necessariamente attraverso la promozione della creazione di uno Stato islamico, ma può passare anche per la trasformazione del discorso e della pratica legale di un ordinamento giuridico laico.

I gruppi islamisti (ed in alcuni casi anche terroristi), come Hizbut Tahrir Indonesia (HTI), Forum Umat Islam (FUI), Majelis Mujahidin Indonesia (MMI) e Jamaah Ansharut Tauhid (JAT), hanno difficoltà a raggiungere il consenso pubblico. Tali organizzazioni, che propongono posizioni radicali o apertamente terroristiche, come JAT, hanno dichiarato che la Pancasila costituisce ed origina un sistema ‘ṭaghut’, ovvero idolatrico.

Si consideri, a tale proposito, che Abu Jibril, membro del Consiglio Consultivo Islamico del MMI nel 2010, ha affermato che gli indonesiani che seguono il Pancasila sono destinati alla dannazione eterna; allo stesso modo, in occasione del dibattito sulla legge riguardanti le organizzazioni di massa, il portavoce dell’HTI Ismail Yusanto ha rifiutato il Pancasila come asas tunggal, o principio unico dello Stato, come era stato precedentemente accettato.

In realtà, sembra che l’apertura politica tipica dell’era della riforma sia una delle cause principali che ha portato alla radicalizzazione dei movimenti islamisti; da questo punto di vista, il MUI ha svolto un ruolo fondamentale. Il Consiglio Nazionale degli Ulama, in effetti, ha assunto una posizione controversa, in quanto, ufficialmente sostiene l’attuale forma di Stato, basato sulla Pancasila. Allo stesso tempo, il MUI ha sostenuto, ideologicamente, la lotta delle organizzazioni islamiste per la shariatisation dell’Indonesia.

Il MUI accetta formalmente la Pancasila come una delle ideologie dello Stato, ma dal 2000 ha sostenuto l’Islam come ideologia centrale; in altre parole, secondo questa visione, sarebbe necessaria una armonizzazione tra la religione (agama) e la nazionalità (kebangsaan). Secondo questa prospettiva, la religione deve essere l’ispirazione e la guida primaria nella gestione del Paese; in questo modo, viene promossa la supremazia della religione maggioritaria, ovvero dell’Islam nella sfera pubblica.

Di conseguenza, la priorità del Majelis Ulama Indonesia non è l’istituzione di uno Stato islamico, ma la shariatisation, implementata partendo dall’ideologia esistente in Indonesia, ovvero la Pancasila; il MUI, dunque, aspira a rimanere un’organizzazione della società civile. Allo stesso tempo, il MUI intende avere una reale influenza e potere sulla politica dell’Indonesia, specialmente nella sfera legislativa, occupando una posizione chiave nel negoziato con lo Stato.


Conclusioni

Il crescente fenomeno della shariatisation in Indonesia è legato all’idea che l’Islam sia parte fondamentale ed imprescindibile della storia indonesiana; si tratta di una narrativa che identifica la religione maggioritaria come un elemento chiave dell’identità nazionale, e sostiene l’agenda della shariatisation. Il dibattito storico sull’introduzione dell’Islam in Indonesia, del resto, è fortemente influenzato dal bisogno di dimostrare la necessità della shariatisation.

Questa visione, tuttavia, può confliggere con la Pancasila, la dottrina di Stato, che non privilegia nessuna religione in parrocchia. La Costituzione del 1945 e le decisioni della Corte Costituzionale, da questo punto di vista, affermano la superiorità della legge dello Stato rispetto alla sharia.

Tra gli storici musulmani è diffusa l’idea che l’Islam rappresenti l’identità principale dell’Indonesia. Eventi come la conferenza MUI del 1986 hanno legittimato la “teoria araba”, sostenendo che l’Islam sia arrivato direttamente dall’Arabia nel VII secolo. Tuttavia, ci sono anche altre teorie circa l’introduzione dell’Islam, tra cui la “teoria del Gujarat” e quella “marittima”, che suggeriscono origini differenti.

Dopo l’indipendenza del 1945, si è discusso se lo Stato indonesiano dovesse basarsi sull’Islam come riferimento principale o meno. Le principali organizzazioni islamiche hanno accettato la Pancasila, considerandola compatibile con l’Islam, anche se il dibattito  sulla posizione dell’Islam nel sistema giuridico rimane una questione aperta. In effetti, a partire dall’era della reformasi del 1998, vi sono stati diversi tentativi di implementare la sharia attraverso leggi e regolamenti locali, mentre i movimenti islamisti estremisti hanno criticato la Pancasila come una base idolatrica. Il MUI, in definitiva, cerca di conciliare la sua ideologia con la legge nazionale, puntando maggiormente sulla shariatisation che sull’idea di  creare direttamente uno Stato islamico.


Letture Consigliate

  • Syafiq Hasyim. (2023). The shariatisation of Indonesia: The politics of the Council of Indonesian Ulama (MUI). Leiden: Brill.
  • Ricklefs, M. C. (1993). A History of Modern Indonesia since c. 1200. London: MacMillan.
  • Nubowo, A. (2015). Islam dan Pancasila di Era Reformasi: Sebuah Reorientasi Aksi. Jurnal Keamanan Nasional1(1), 61-78.
  • Suryadinata, L. (2018). Pancasila and the challenge of political Islam: Past and present (Vol. 225). Singapore: ISEAS Publishing.
  • Setyawan, V. (2023). Pancasila As A Philosophical Basis Of Law Formation In Indonesia. NUSANTARA: Journal Of Law Studies2(1), 1-8.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.)

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