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Abstract

Il rapporto tra il Pakistan e il terrorismo è ambivalente, e si basa su una risposta dello Stato che ha usato i movimenti terroristici; per questa ragione, è difficile realizzare una vera e propria de-radicalizzazione e lotta al fenomeno terroristico. Il Pakistan, tuttavia, può invertire questo atteggiamento ambiguo, e porsi come un attore regionale affidabile e garante della sicurezza.


The relationship between Pakistan and terrorism is ambivalent, and it is based on a state response that has utilised terrorist movements; for this reason, it is difficult to achieve a true de-radicalization and fight against the phenomenon of terrorism. Pakistan, however, can reverse this ambiguous attitude and position itself as a reliable regional actor and guarantor of security.


Introduzione – La Questione della Sicurezza in Pakistan


Negli ultimi due decenni il Pakistan si è spesso trovato al centro di un acceso dibattito internazionale in merito alla sicurezza e alla lotta al terrorismo, poiché le sue peculiarità geopolitiche, religiose e strategiche definiscono un contesto estremamente complesso.
Del resto, ridurre tale Paese a etichette semplicistiche rappresenta un’operazione non soltanto errata, ma anche fuorviante: la sua collocazione geografica, al crocevia fra l’Asia centrale, il Medio Oriente e il Sud-Est asiatico, lo rende infatti un attore inevitabilmente coinvolto nelle dinamiche che caratterizzano il mondo islamico contemporaneo.

Il terrorismo in Pakistan non è un fenomeno isolato e nemmeno spontaneo, bensì il risultato di intricate traiettorie storiche, alleanze internazionali strategiche, politiche interne ambivalenti e contesti formativi e sociali che hanno progressivamente reso il Paese un  territorio terreno fertile per l’insediamento e la proliferazione di gruppi armati non statali. Alcuni di essi sono contraddistinti per il loro intento di destabilizzare l’Afghanistan, altri per il loro impegno nella contesa del Kashmir o per le azioni volte a colpire direttamente lo Stato pakistano, accusato di apostasia o complicità con gli interessi occidentali.

Nel presente articolo cercherò di investigare non soltanto i gruppi violenti, ma anche l’ecosistema politico, militare e culturale entro cui operano, cercando di capire quali siano le responsabilità istituzionali e di quali strumenti disponga la minaccia terroristica originatasi o transitata in Pakistan per influenzare l’architettura della sicurezza internazionale. Si tratta, in definitiva, di comprendere le sfide reali per un’autentica trasformazione del Paese.


Le Radici del Jihad nel Contesto Pakistano

Per comprendere pienamente il terrorismo in Pakistan è imprescindibile uno sguardo retrospettivo agli anni Ottanta, decennio che vide una svolta cruciale nel quadro regionale e nazionale; l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979 rappresentò un evento epocale, catalizzando l’afflusso di milioni di rifugiati afghani e introducendo nel Paese una nuova ideologia militante, fondata sul concetto di jihad come reazione alla dominazione straniera.

In tale contesto, il Pakistan assunse il ruolo di principale alleato statunitense e saudita nella guerra per procura contro l’Unione Sovietica, con l’intelligence pakistana (ISI) che si trasformò in un canale cruciale per il trasferimento di aiuti militari e finanziari verso i mujaheddin. Costoro non erano soltanto afghani, ma comprendevano volontari provenienti da tutto il mondo islamico, motivati da una retorica religiosa fomentata anche da una rete di madrase finanziate da enti conservatori sauditi.

Tali istituzioni religiose divennero presto degli efficaci centri di indottrinamento, dove il testo sacro veniva interpretato in chiave militante e dove molti giovani finirono col concepire il mondo esclusivamente attraverso la distinzione fra ‘credenti’ e ‘nemici della fede’. Il ritiro sovietico nel 1989 non portò alla smobilitazione di questi combattenti, i quali trovarono successivi campi d’azione sia nel conflitto per il Kashmir, sia nei teatri di guerra come Cecenia e ‘Palestina’; alcuni rimasero nel territorio pakistano, dando vita a una stratificazione di riferimenti bellici e ideologici.

Parallelamente, lo Stato pakistano vide l’ideologia dell’islam politico penetrare profondamente nelle strutture governative e nel sistema educativo; il jihad armato, lungi dall’essere percepito come una minaccia, fu spesso elevato a gesto difensivo dell’identità islamica. Tale commistione tra Stato, religione e militanza politica, ha lasciato una traccia profonda nel tessuto sociale, conferendo una significativa complessità all’operazione di deradicalizzazione.


Lo Stato e i Movimenti Jihadisti

Analizzare il rapporto fra Stato pakistano e gruppi jihadisti presuppone il riconoscimento di una strategia caratterizzata da ambiguità strutturale, messa in atto da apparati statali, in particolare l’ISI (l’Agenzia di Intelligence Pakistana), che ha spesso considerato le forze militanti non statali come strumenti per perseguire obiettivi geopolitici ritenuti altrimenti inaccessibili. Tale atteggiamento si è tradotto in una pratica duplice, ovvero, da una parte la repressione violenta verso organizzazioni che minacciavano la stabilità domestica, come il Tehrik e Taliban Pakistan (TTP), dall’altra il sostegno più o meno velato a gruppi attivi nel conflitto afghano o nella contesa col subcontinente indiano, come Lashkar e Taiba, Jaish e Mohammed e la rete Haqqani, che hanno beneficiato di un tacito assenso dello Stato pakistano .

La logica strategica sottostante a tale approccio, definito ‘profondità strategica’ nei confronti dell’Afghanistan e pressione costante sull’India, ha trasformato i gruppi jihadisti in pedine utili in un gioco di rivalità regionali, che tuttavia ha comportato  costi elevati. All’indebolimento dello Stato di diritto, si è unita una sostanziale perdita di credibilità internazionale e una convivenza sempre più incerta fra violenza controllata e incontrollabile. L’uccisione di Osama bin Laden nel 2011 ad Abbottabad, a poca distanza da un’accademia militare, sollevò seri interrogativi sulla reale volontà e/o capacità di Islamabad di recidere i legami organici con il terrorismo.


Il Tehrik e Taliban Pakistan (TTP)

Il Pakistan ha dovuto confrontarsi anche con una forma di terrorismo autoctono, rappresentata dal Tehrik e Taliban Pakistan, TTP, fondato nel 2007 come coalizione di gruppi militanti operanti nelle aree tribali nord-occidentali, ispirati all’ideologia dei Talebani afghani. Questo movimento mira(va) apertamente al rovesciamento del governo pakistano mediante l’instaurazione di uno Stato fondato sulla shariah, ed è responsabile di numerosi attentati contro civili, sedi militari e obiettivi religiosi.

L’esempio più drammatico è rappresentato dall’attacco del dicembre 2014 alla scuola militare di Peshawar, dove persero la vita oltre 140 persone, prevalentemente studenti; si trattò di un evento che scosse l’opinione pubblica e fece da catalizzatore per l’adozione del National Action Plan contro il terrorismo e l’intensificazione delle operazioni militari nelle aree tribali .

Nonostante l’offensiva Zarb e Azb del 2014 abbia inflitto gravi danni al gruppo e favorito la fuga dei suoi capi verso l’Afghanistan, il TTP ha manifestato una notevole resilienza, rilanciando la propria attività tra il 2021 e il 2023 sfruttando l’instabilità afghana e la frammentazione amministrativa nelle regioni di confine. Inoltre, ha stretto alleanze con realtà jihadiste locali, come il Jamaat-ul Ahrar e frange dissidenti di al Qaeda.

Si tratta di dinamiche e informazioni confermate ai più alti livelli internazionali, come dimostra questo rapporto delle Nazioni Unite del 2011 (successivamente aggiornato nel 2020),

TTP attacks, which have included multiple suicide bombings, have killed hundreds of members of the Pakistan defense forces, law enforcement personnel and civilians. Baitullah Mehsud, TTP’s leader at the time, publicly claimed credit for the 30 March 2009 attack on a police academy in Lahore, Pakistan, in which the attackers fired automatic machine guns into an unarmed crowd of police recruits, killing eight people and wounding 100 others. 

Gli attacchi del TTP, che hanno incluso numerosi attentati suicidi, hanno ucciso centinaia di membri delle forze armate pakistane, del personale delle forze dell’ordine e civili. Baitullah Mehsud, il leader del TTP all’epoca, rivendicò pubblicamente la responsabilità dell’attacco del 30 marzo 2009 a un’accademia di polizia a Lahore, in Pakistan, in cui gli attentatori aprirono il fuoco con mitragliatrici automatiche su una folla disarmata di reclute della polizia, uccidendo otto persone e ferendone altre 100.

United Nations, TEHRIK-E TALIBAN PAKISTAN (TTP), 2020.

Oltre alla minaccia militare, il TTP si avvale di strategie di propaganda ideologica attraverso social media e circuiti educativi alternativi, proponendo una narrazione che denuncia la corruzione dell’establishment statale, l’ingerenza occidentale e la necessità di “purificare” la società pakistana. Malgrado le oscillazioni tra repressione militare e tentativi negoziali, soprattutto tra il 2022 e il 2023 con mediazione talebana, il conflitto interno persiste, poiché il Pakistan sembra incapace di espungere completamente questa minaccia senza affrontare compromessi ideologici profondi.


Settarismo e Radicalizzazione Religiosa

La violenza religiosa in Pakistan assume una dimensione sociale oltre che ideologica, radicata in una dolorosa spaccatura settaria, amplificata a partire dagli anni Ottanta sia dall’influenza della rivoluzione iraniana sia della competizione geopolitica fra Arabia Saudita e Iran. Questo scontro si manifesta quotidianamente nei quartieri, nelle moschee, negli ambiti lavorativi e nelle scuole.

Organizzazioni quali Sipah e Sahaba e Lashkar e Jhangvi hanno seminato terrore attraverso campagne brutali rivolte a sciiti, ahmadiyya, cristiani e altre minoranze, spesso con l’inerzia o l’avallo implicito di segmenti dello Stato. In tale contesto, le leggi sulla blasfemia hanno assunto una valenza non già protettiva, ma strumentale, minando diritto e sicurezza di intere comunità, e mettendo a rischio la libertà religiosa al punto tale da imporre migrazioni e cambiamenti comunitari radicali .

Le madrase, come spesso accade (a causa del loro orientamento conservatore) sono spesso divenute focolai di estremismo; tali istituzioni, spesso finanziate anche dall’estero, hanno diffuso una visione dell’Islam che non ammette differenza né pluralismo, subordinando completamente la coscienza individuale a rigide verità dogmatiche non negoziabili. Tale approccio ha reso molti giovani privi di un senso critico, e dunque facilmente strumentalizzabili per scopi violenti.

In tale situazione, la mancanza di una narrativa statale capace di valorizzare la diversità confessionale diventa un serio problema per la coesione nazionale. Azioni come la riforma dell’educazione, il monitoraggio dei finanziamenti religiosi esteri e la promozione di un reale dialogo interreligioso si scontrano con interessi consolidati e resistenze politiche. Tuttavia, un cambiamento autentico richiede un approccio multidimensionale, capace di porre fine alla violenza settaria attraverso aperture culturali e istituzionali.


Reazioni Internazionali e Pressioni Diplomatiche

Il fenomeno terroristico pakistano ha ripercussioni che trascendono i confini nazionali, incidendo sulle relazioni con Paesi quali l’India, gli Stati Uniti d’America, i Membri dell’Unione Europea e gli Stati del Sud-Est asiatico, costretti a fronteggiare le conseguenze operative di gruppi jihadisti di matrice pakistana. La percezione di un’ambivalenza strutturale da parte di Islamabad ha poi notevolmente complicato gli sforzi di dialogo e cooperazione internazionale.

L’esecuzione di Osama bin Laden in territorio pakistano nel maggio 2011, nei pressi di un’accademia militare, rappresentò un momento di rottura per molti osservatori, che misero in dubbio la realtà dell’alleanza occidentale con il Pakistan e la sua affidabilità nella strategia contro il terrorismo.

Paradossalmente, il Pakistan continua a pagare un prezzo elevatissimo in termini di vittime civili e militari, in seguito agli attacchi terroristici che lo hanno colpito ripetutamente; allo stesso modo, sono state condotte massicce operazioni militari e sono stati definiti piani nazionali come il National Action Plan. Questa duplice e contradditoria identità di vittime e complici, evidentemente, rende la narrazione estremamente fluida e contraddittoria.

A livello istituzionale, il Pakistan è finito nella ‘grey list’ della Financial Action Task Force tra il 2018 e il 2022, a ragione delle lacune emerse nel contrasto ai finanziamenti terroristici; le conseguenze economiche scaturite da questa classificazione hanno spinto Islamabad a intraprendere delle riforme, che però sono spesso motivate più da esigenze finanziarie che da convinzioni politiche e ideologiche profonde.

Allo stesso tempo, il ruolo di attori multilaterali quali l’Unione Europea, le Nazioni Unite e soprattutto l’India è stato quello di richiedere una posizione più ferma e coerente, benché l’ormai tradizionale contrapposizione geopolitica con l’India spinga il Pakistan a conservare legami – anche strategici – con alcune organizzazioni violente non statali. Questa situazione ha determinato un’applicazione selettiva delle misure antiterrorismo, limitandone l’efficacia complessiva.

Dal punto di vista diplomatico, poi, il governo di Islamabad ha tentato di mostrare un volto collaborativo, partecipando a vertici internazionali sulla deradicalizzazione, condividendo know how tecnico e rafforzando i legami con potenze quali Cina e Russia, le quali hanno svolto un ruolo significativo rispetto alla sua strategia selettiva. Tuttavia, rimane un forte e giustificato dubbio sulla reale capacità del Pakistan di estirpare il terrorismo senza rivedere profondamente i fondamenti della propria politica di sicurezza.


Conclusioni

Discutere la minaccia terroristica in Pakistan significa affrontare una realtà stratificata, fatta di sfide interne intricate e pressioni esterne complesse, oltre che di contraddizioni consolidate che non sono ancora state risolte compiutamente. Il Pakistan si presenta simultaneamente come vittima di atti terroristici e come incubatore strategico di estremismo; ha subito innumerevoli attentati, perdite umane tragiche e violenze settarie, ma ha altresì tollerato e talvolta incoraggiato la presenza e la crescita di gruppi che oggi minacciano direttamente la sua stabilità nazionale.

La scelta, compiuta in passato, di strumentalizzare l’estremismo per perseguire obiettivi geopolitici nei confronti dell’India e dell’Afghanistan, ha avuto un costo elevatissimo. Il confine tra controllo e perdita di controllo si è sovente assottigliato, lasciando spazio a una minaccia ibrida, stratificata e difficile da contenere.

Eppure, il Pakistan conserva ancora risorse, competenze e capitale umano per invertire questa tendenza; la sfida consiste nel renderla una priorità strategica e politica. Si tratta dunque del complesso compito di separare definitivamente la religione dalla politica di sicurezza, riformare le madrase preservando l’esperienza religiosa ma contrastandone i contenuti estremisti, e garantire giustizia alle vittime e tutela alle minoranze perseguitate.

La comunità internazionale, allo stesso tempo, non può limitarsi a esercitare pressioni, ma deve offrire una reale collaborazione, con programmi di deradicalizzazione, sostegno economico e un atteggiamento diplomatico rispettoso della sovranità del Paese asiatico. Il Pakistan deve dunque decidere se continuare a convivere con le proprie ambiguità oppure intraprendere un percorso verso un futuro fondato sulla sicurezza, la giustizia e la coesione sociale.


Letture Consigliate

  • Fair, C. Christine (2014). Fighting to the End: The Pakistan Army’s Way of War, Oxford University Press.
  • Jones, Seth G. (2010). Pakistan’s Dangerous Game, RAND Corporation.
  • Haqqani, H. (2005). Pakistan: Between Mosque and Military, Carnegie Endowment.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 hai iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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