Premessa
Questo articolo cerca di esplorare la realtà delle missioni cattoliche nelle Indie Orientali, che, rispetto a quelle protestanti, si concentrano soprattutto nelle aree della precedente colonizzazione portoghese; in base ad un accordo stipulato verso la metà del XIX secolo, i cattolici si impegnano a non creare missioni nelle aree in cui operavano già i protestanti, oppure che erano a maggioranza musulmana o induista. Mediante questo approccio indiretto all’evangelizzazione, i cattolici sono riusciti a consolidare la loro presenza nell’arcipelago fino ai nostri giorni.
This article seeks to explore the reality of Catholic missions in the East Indies, which, compared to Protestant ones, are primarily concentrated in areas of previous Portuguese colonization; based on an agreement made around the mid-19th century, Catholics committed to not establishing missions in areas where Protestants were already operating, or that were predominantly Muslim or Hindu. Through this indirect approach to evangelization, Catholics have managed to consolidate their presence in the archipelago to this day.
Introduzione – Colonialismo e Missione
L’era delle scoperte (XVI sec) si accompagnò ad un notevole slancio missionario del mondo cattolico, che legò il colonialismo alla propaganda e diffusione della fede cristiana; tale compito venne affidato in modo particolare dai sovrani di Porgogallo e Spagna, e divenne noto come ‘patronato’. Lo ius patronatus, in particolare, prevedeva che sovrano, in virtù di una concessione del Papa, potesse organizzare e finanziarie le missioni nei territori che erano stati conquistati. Si tratta del cosiddetto ‘patronato regio’, che permetteva al Re di poter nominare vescovi ed altri membri del clero locale, allo scopo di dotarsi di amministratori che fossero leali alla corona. Per questa ragione, la missione nei ‘territori d’oltre mare’, non aveva solamente un obiettivo religioso, innegabile, ma anche politico, e questa commistione diventa evidente a partire dal XVI secolo.
A partire dal 1415, data in cui avviene la conquista della città marocchina di Ceuta da parte del Portogallo, le bolle pontificie sono state associate al diritto di patronaggio; si osserva, in particolare, che dal 1415 al 1500 i pontefici hanno emesso 69 Bolle. La più importante, da questo punto di vista, è rappresentata dalla Bolla di Papa Leone X del 1515, nota come ‘Fidei Constantiam’; in precedenza, si possono segnalare la ‘Romanus Pontifex’ di Niccolò V, dell’8 gennaio 1455. In base a questo documento, i portoghesi vengono incoraggiati ad esplorare (e conquistare) i territori costieri del continente africano, legittimando e favorendo la colonizzazione di queste terre.
Bolle Pontificie del XV-XVI secolo
La menzionata Romanus Pontifex di Niccolò V, testimonia le imprese del re del Portogallo, presentato come combattente e vero cristiano,
(…) post Ceptensem civitatem, in Affrica consistentem, per dictum Ioannem Regem eius subactam dominio, et post multa per ipsum infantem, nomine dicti regis, contra hostes et infideles praedictos, quam etiam in propria persona, non absque maximis laboribus et expensis, ac rerum et personarum periculis et iactura, plurimorumque naturalium suorum caede, gesta bella, ex tot tantisque laboribus, periculis et damnis, non fractus nec territus, sed ad huiusmodi laudabilis et pii propositi sui prosecutionem in dies magis atque magis exardescens, in occeano mari quosdam solitarias insulas fidelibus populavit, ac fundari et construi inibi fecit ecclesias et alia pia loca, in quibus divina celebrantur officia.
(…) Dopo aver sottomesso la città di Ceuta, situata in Africa, tramite il re Giovanni, essa passò sotto il suo dominio. Dopo molti sforzi da parte sua, l’infante condusse diverse guerre contro i nemici e gli infedeli, e lui stesso, non senza immenso lavoro e spese, così come i pericoli e le perdite sia di persone che di beni, e il massacro di molti dei suoi compatrioti. Nonostante tali fatiche, pericoli e danni, egli non si lasciava scoraggiare né spaventare, ma anzi, giorno dopo giorno, era spinto sempre di più a perseguire il suo lodevole e pio scopo. Nell’oceano, popolò alcune isole solitarie con fedeli (cattolici) e fece fondare e costruire chiese e altri luoghi pii, dove si celebrano gli uffici divini.
Nicolò V, Romanus Pontifex, in Bullarium Romanum, V, 1860, pp. 111-115
A questo campione della cristianità, il Papa concede, appunto, il privilegio di

(…) de praemissis omnibus et singulis plenissime informati, motu proprio, non ad ipsorum Alfonsi Regis et infantis, vel alterius pro eis nobis super hoc oblatae petitionis instantiam, maturaque prius desuper deliberatione praehabita, auctoritate apostolica et ex certa scientia, de apostolicae potestatis plenitudine, litteras facultatis praefatas, quarum tenores de verbo ad verbum praesentibus haberi volumus pro insertis, cum omnibus et singulis in eis contentis clausulis, ad Ceptensem et praedicta ac quaecunque alia, etiam ante datam dictarum facultatem litterarum acquisita, et quae in posterum, nomine dictorum Alfonsi regis suorumque successorum et infantis, in ipsis ac illis circumvicinis et ulterioribus ac remotioribus partibus, de infidelium seu paganorum manibus acquiri poterunt provincias, insulas, portus et maria quaecunque extendi (…)
(…) essendo stati pienamente informati su tutte e ciascuna delle questioni precedenti, di nostra iniziativa, non su istanza della petizione presentata a noi dal Re Alfonso e dall’infante, o da chiunque altro a loro nome, e dopo aver debitamente deliberato su di esse, con autorità apostolica e dalla nostra certa conoscenza, con la pienezza del potere apostolico, desideriamo che le lettere di facoltà sopra menzionate, i cui testi vogliamo siano considerati qui inseriti verbatim, con tutte e ciascuna delle clausole in esse contenute, siano estese a Ceuta e ai suddetti, così come a qualsiasi altro, anche quelli acquisiti prima della concessione delle suddette lettere di facoltà, e che in futuro, in nome del suddetto Re Alfonso e dei suoi successori e dell’infante, possano essere acquisiti in quelle e nelle parti circostanti e più remote dalle mani di infedeli o pagani, le province, le isole, i porti e qualsiasi mare (…)
Niccolò V, Romanus Pontifex, in Bullarium Romanum, V, 1860, pp. 111-115
Niccolò V, dunque, stabilisce un privilegio che non ha una scadenza, ma che, nelle intenzioni del Pontefice, si trasmette ai successori dei beneficiari originari, e, per esteso, a qualunque sovrano cattolico, e, in questo senso, costituisce un precedente importante. In altre parole, la Bolla in esame sancisce un principio che avrà effetti duraturi, non solamente in senso materiale, ma anche, e soprattutto, culturale, e la sua influenza si estenderà nei secoli.
Del resto, il re di Spagna aveva ottenuto il medesimo privilegio da Alessandro VI, mediante la Bolla ‘Inter Caetera’, del 3 maggio 1493; anche in questo caso, il documento pontificio assegnava il diritto di esercitare la sua sovranità sulle terre scoperte da Cristoforo Colombo, anche allo scopo di cristianizzare i suoi abitanti. Lo stesso papa, poi, pubblicò un’altra bolla, in data 3 luglio 1493, nota come ‘Eximiae devotionis’, in cui al Re della Spagna veniva concesso lo stesso privilegio che il Re del Portogallo aveva ottenuto sulle terre africane.
La Inter Ceatera, dopo i saluti di rito, afferma,
Nos igitur huiusmodi vestrum sanctum et
laudabile propositum plurimum in domino
commendantes, ac cupientes ut illud ad
debitum finem perducatur, et ip[su]m nomen
Salvatoris nostri in partibus illis inducatur,
hortamur vos plurimum in domino, et per
sacri lavacri susceptionem, qua mandatis
ap[osto]licis obligati estis, et viscera
misericordie domini nostri Jhesu Christi
attente requirimus, ut cum expeditionem
hujusmodi omnino prosequi et assumere
prona mente orthodoxe fidei zelo intendatis,
populos in huiusmodi Insulis et terris
degentes ad christianam religionem
suscipiendam inducere velitis et debeatis, nec
pericula, nec labores ullo unquam tempore
vos deterreant, firma spe fiduciaque
conceptis, quod deus Omnipotens conatus
vestros feliciter prosequetur.
Pertanto, lodiamo altamente la vostra santa e lodevole intenzione nel Signore (convertire le popolazioni locali alla fede cattolica, nde), e desiderando che venga portata a giusta conclusione, e che il nome del nostro Salvatore sia introdotto in quelle regioni, vi esortiamo vivamente nel Signore, e attraverso la ricezione del sacro battesimo, al quale siete vincolati dai mandati apostolici, e cerchiamo con fervore la compassione del nostro Signore Gesù Cristo, affinché possiate audacemente intendere di intraprendere tale spedizione con fervente zelo per la fede ortodossa, e che possiate desiderare e essere obbligati a guidare i popoli che abitano quelle isole e terre ad abbracciare la religione cristiana, e che né i pericoli né i lavori possano mai dissuadervi, con ferma speranza e fiducia concepite, che Dio Onnipotente benedirà i vostri sforzi con successo.
Alessandro VI, Inter Caetera,
Pertanto, sembra ragionevole concludere che, a partire dal 1493, i sovrani di Spagna e Portogallo vengono investiti di una vera e propria autorità dai pontefici, che confermano il patronato; questo istituto, poi, sembra consolidarsi e diventare un vero e proprio sistema con Niccolò V, che crea e conferma questo principio giuridico e culturale. I sovrani, dunque, diventano lo strumento del Pontefice Romano, che esercita la sua autorità universale, come previsto e compreso dalla teologia dell’epoca; questa autorità rimarrà tale per secoli, e permane ancora oggi, nonostante i notevoli cambiamenti che hanno caratterizzato sia la Chiesa cattolica che la società.
La Creazione di Propaganda Fide (XVII secolo)
La commistione e sovrapposizione tra il potere dei sovrani e del Pontefice, nei possedimenti coloniali, comportò immediatamente tensioni e conflitti, nonché abusi causati dal sistema del patronaggio; per cercare di porre rimedio a tale situazione, Gregorio XV creò, nel 1622, la Sacra Congregatio de Propaganda Fide, ovvero la Sacra Congregazione per la Propaganda della Fede, nota come ‘Propaganda Fide’.
A questo nuovo ente vennero affidati diversi compiti, che segnarono la fine del sistema di patronato, ma non del suo principio ispiratore; in altre parole, l’obiettivo rimase il medesimo, ma il Papa cercò di concentrare sulla sua persona determinati poteri che in precedenza aveva delegato ai sovrani cattolici, creando non pochi problemi. La creazione di PF, in effetti, cercò di scardinare, o più verosilmente, rendere meno visibile e diretta la connessione tra la colonizzazione, affidata ai sovrani secolari, e le missioni nei territori conquistati, di competenza del Romano Pontefice e degli enti e istituzioni a lui sottoposti.
Dall’inizio del suo mandato, Propaganda Fide insiste sulla formazione dei missionari che devono essere inviati nei territori di oltre mare, usando un’espressione che indicava molto bene un confine non solamente geografico, ma soprattutto culturale. A tale scopo, venne fondato il Collegio Urbano (1627) da parte di Papa Urbano VIII, che ha formato diversi candidati che dovevano essere inviati nelle terre di missione, ma anche molti studenti che da quelle terre provenivano e che aspiravano al sacerdozio e ad un futuro da missionari. Una considerevole attenzione, poi, venne data alla formazione del clero indigeno, nella consapevolezza che l’evangelizzazione ha una maggiore efficacia se viene svolta da persone che appartengono alla medesima cultura.
Il Diritto di Commissione nei Territori Coloniali
La creazione di Propaganda Fide e del Collegio Urbano comporta il passaggio dallo ius patronatus allo ius commissionis; quest’ultimo prevedeva che un determinato territorio coloniale o porzione di esso venisse affidato ad un particolare ordine o congregazione, responsabile dell’evaneglizzazione. Non erano più i sovrani a decidere l’organizzazione e la strategia religiosa, ma era il Papa, mediante il Reponsabile di Propaganda Fide.
Per questa ragione, vengono istituiti i Vicari Apostolici, che, a partire dal 1658 iniziano a svolgere funzioni ecclesiastiche in nome del Pontefice Romano; il Vicariato Apostolico, dunque, si configura come una Chiesa particolare in terra di missione, dotata di un’organizzazione e risorse proprie, ma posta sempre sotto l’autorità di PF e del Papa. Queste chiese particolari (Vicariati) possono dunque essere considerati come sussidiarie rispetto a Roma, ma sempre legate al Papa ed alla sua autorità; in questo modo, veniva garantita, allo stesso tempo, una certa uniformità nell’evangelizzazione, ma soprattutto una indispensabile flessibilità, che permetteva di adattare le strategie ai contesti locali.
Da notare che la struttura del Vicariato venne anche implementata nei Paesi europei a maggioranza protestante, allo scopo di preservare una certa influenza nonostante la posizione minoritaria; tale configurazione, inoltre, viene adottata nelle colonie sottoposte ad un governatore protestante, come le Indie Orientali Olandesi. Il Vicariato Apostolico di Batavia, da questo punto di vista, rappresenta un chiaro esempio della strategia della Chiesa cattolica, che assicura la sua presenza anche quando non rappresenta la maggioranza o l’élite coloniale.
La Situazione nel XX secolo
Dopo la Prima Guerra Mondiale, sorse la necessità di riorganizzare le missioni, e, per questa ragione, Papa Benedetto XV inviò i suoi delegati come rappresentanti in paesi che non avevano relazioni diplomatici stabili e/o regolari con la Santa Sede. I delegati apostolici, in particolare, dovevano monitorare le missioni e inviare rapporti a Roma. In questo modo, la Santa Sede poteva conoscere la situazione e prendere le misure necessarie per affrontare le questioni più urgenti; parte di questa riorganizzazione, poi, è stata la nomina di nuovi Vicari Apostolici e Prefetti Apostolici, inviati nelle terre di missione, per creare nuove Chiese (diocesi) nelle terre di missione legate alla sede romana.
Da questo punto di vista, la promulgazione del Codex Iuris Canonici nel 1917 può essere considerata la coronazione del processo di centralizzazione della Chiesa cattolica romana, che ha formalmente stabilito il controllo della Sede Romana per la direzione delle opere missionarie. I cattolici, poi, sono stati incoraggiati a sostenere lo sforzo missionario mediante la donazione di denaro a diversi enti cattolici, come la menzionata Propaganda Fide, la Società di San Pietro Apostolo e la Società dell’Infanzia Missionaria. Tali associazioni/enti sono state dichiarate società ‘pontificie’ da Pio XI nel 1922, allo scopo di accentrarne la gestione e dirigere i fondi donati per l’evangelizzazione nelle diverse parti del mondo.
Si è poi posta una particolare attenzione per lo sviluppo di Chiese locali (indigene), sia da parte di Pio XI che del suo successore; secondo la dottrina espressa dai due pontefici, una chiesa autentica deve necessariamente prendere in considerazione la situazione locale a livello politico, sociale e culturale. Per questa ragione, non si ritiene corretto (e nemmeno efficace) adottare un approccio standard, deciso in sedi lontane dalla situazione reale e particolare.
Il Vicariato Apostolico di Batavia
Il Vicariato Apostolico di Batavia è stato eretto 1841, ed era responsabile dei cattolici dell’intero arcipelago; i Gesuiti olandesi arrivarono nel 1858, e fu loro affidata la cura spirituale della popolazione cattolica della colonia olandese. Tra i missionari emerge la figura di Francis Van Lith, approdato nelle Indie Olandesi nel 1896; il suo arrivo ha segnato la rifondazione della chiesa cattolica a Giava centrale tra la popolazione indigena. In questa regione, le conversioni al cattolicesimo possono essere fatte risalire al battesimo di 168 giavanesi, tra cui 4 capi-villaggio nel 1904, battezzati dallo stesso van Lith; nel corso del XX secolo, poi, ai gesuiti si aggiunsero altre congregazioni religiose. Tra queste ultime, si ricordano i cappuccini a Kalimantan e Sumatra, nel 1905 e 1911 rispettivamente; ancora, si pensi alla Società del Verbo Divino nelle Isole Sunda Minori nel 1913, e ai Missionari del Sacro Cuore a Giava centrale, come from Yogyakarta e Semarang, oltre che a Batavia.
La presenza cattolica nelle Indie Orientali, del resto, non è stata semplice con l’avvento della colonizzazione olandese, in quanto le autorità coloniali hanno emanato diverse leggi, normative e regolamenti per limitare l’efficacia dell’evangelizzazione cattolica e delle missioni da essi gestite. Nel 1617, il Governatore Generale accettò la presenza della religione cattolica, ma nel 1650 le autorità coloniali precisarono che il calvinismo era la sola religione cristiana accettata. In tempi più recenti, venne siglata un’intesa tra la Santa Sede e il governo dell’AIA; nel 1847 gli olandesi riconobbero dunque il Vicariato Apostolico di Batavia come unico rappresentante ufficiale dei cattolici delle Indie Orientali.
In questo modo, alcune attività religiose cattoliche furono sovvenzionate dalle autorità olandesi, ma cattolici e protestanti non potevano operare nel medesimo distretto, secondo un nuovo regolamento del 1853, noto come ‘dubbele zending’, o ‘doppia spedizione’. Per questa ragione, alcune regioni diventarono o rimasero cattoliche o protestanti, ma non si ebbe mai una competizione diretta con la religione ufficiale protestante. Non sorprende, dunque, che ancora oggi l’appartenenza al cattolicesimo o protestantesimo dipende, in larga parte, dall’appartenenza ad una particolare etnia o regione, in cui è maggioritario il cattolicesimo oppure il cristianesimo riformato.
Inoltre, i missionari cattolici non potevano operare nelle aree a maggioranza musulmana (o induista); diventa, dunque, evidente la ragione per l’assenza di missioni cattoliche in diverse parti dell’arcipelago, come Giava Occidentale, Aceh, Sumatra Nord, Lampung, Minangkabau e Bali (a maggioranza induista). L’azione missionaria dei cattolici nelle Indie Orientali, di conseguenza, è stata (e rimane) fortemente limitata, anche se il Vicariato Apostolico di Batavia prima, e di Jakarta dopo, ha svolto un ruolo di primo piano per condurre una sorta di evaneglizzazione ‘indiretta’.
Conclusioni
In un primo momento, le missioni cattoliche sono state ispirate al modello del patronato, che prevedeva il controllo degli aspetti religiosi in capo ai sovrani che avevano colonizzato le prime terre in africa e in Asia; successivamente, la Santa Sede assunse il controllo delle missioni, mentre ai rappresentati degli Stati competevano le questioni civili e militari. Nelle Indie Orientali, tuttavia, le missioni cattoliche, coordinate dal Vicariato Apostolico di Batavia, sono state sottoposte a serie limitazioni, che impedivano ai missionari cattolici di operare nelle medesime aree in cui erano presenti i protestanti, oppure nelle aree a maggioranza islamica o induista.
I cattolici, di conseguenza, hanno adottato, nelle Indie Orientali Olandesi, un approccio indiretto all’evangelizzazione, mediante il consolidamento e sostegno delle comunità cattoliche già esistenti, il sostegno ai migranti e la fornitura di servizi, come quelli sanitari, capaci di convogliare valori cattolici. In questo modo, è stato evitato uno scontro diretto con le religione già consolidate nell’arcipelago, in ossequio al principio, antico ma ancora osservato, secondo cui cuius regio eius religio.
Letture Consigliate
- Steffen SVD, P. B. (2023). Antonio Camnahas, The Catholic Mission in the Lesser Sunda Islands-Indonesia under the Society of the Divine Word (SVD). From One Apostolic Prefecture to Two Apostolic Vicariates (1913–1942). Asia Pacific Mission Studies, 5(2), 8.
- Riyanto, A. The Catholic Mission in Indonesia and Propaganda Fide-A Historical Overview. Hong Kong Journal of Catholic Studies, 31.
- Steenbrink, K. (2021). Catholics in Indonesia, 1808-1903: A Documented History. Brill.
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