- Abstract
- Introduzione – La Criminalizzazione del Dissenso
- Il 30 settembre 1965 e il Documento Soepardjo
- Gli Archivi Statunitensi – Complicità e Sostegno
- Londra e l’Arte della Propaganda
- Agosto 2025 – La Rabbia della Società
- Dalla Delegittimazione al Linguaggio del Tradimento
- Paralleli e Divergenze
- Conclusioni
- Letture Consigliate
Abstract
Questo articolo analizza i documenti inediti emersi sul tentativo di colpo di Stato del 30 settembre 1965 in Indonesia, con particolare attenzione al cosiddetto Soepardjo Document, unica testimonianza interna di un protagonista militare del fallimento del movimento. L’elaborazione di tali fonti permette di riconsiderare la complessità dell’evento, al di là della narrazione ufficiale che per decenni lo ha ridotto a un complotto univocamente attribuito al Partito Comunista Indonesiano. L’articolo, inoltre, intreccia questa rilettura storica con le attuali proteste dell’agosto 2025, mettendo in evidenza sorprendenti analogie, come la fragilità delle istituzioni, l’emergere di attori informali, la tensione tra repressione e rivendicazione sociale. La prospettiva comparativa consente di cogliere come le dinamiche di mobilitazione e delegittimazione del potere abbiano tratti ricorrenti nella storia politica indonesiana, pur declinandosi in forme e contesti differenti.
This article analyses the previously unpublished documents that have emerged regarding the attempted coup d’état of September 30, 1965, in Indonesia, with particular attention to the so-called Soepardjo Document, the only internal testimony from a military protagonist of the movement’s failure. The analysis of these sources allows us to reconsider the complexity of the event, beyond the official narrative that for decades reduced it to a conspiracy solely attributed to the Indonesian Communist Party. The article also weaves this historical reinterpretation with the current protests in August 2025, highlighting surprising analogies such as the fragility of institutions, the emergence of informal actors, and the tension between repression and social demands. The comparative perspective allows us to understand how the dynamics of mobilisation and delegitimisation of power have recurring features in Indonesian political history, even though they manifest in different forms and contexts.
Introduzione – La Criminalizzazione del Dissenso
Ogni nazione porta con sé le proprie ferite, ovvero momenti in cui la storia diventa improvvisamente brutale e lascia una pesante eredità per i decenni successivi; per l’Indonesia, il trauma collettivo per eccellenza (dopo l’indipendenza) rimane quello del 30 settembre 1965. In tale occasione, si registra un oscuro tentativo di colpo di Stato, perpetrato dal Gerakan 30 September (G30S), il Gruppo del 30 Settembre, che si trasformò nella giustificazione per uno dei massacri politici più notevoli del Novecento. Gli avvenimenti di quelle settimane convulse rimase per lungo tempo avvolto da un velo di propaganda e di silenzi, con versioni ufficiali ripetute ossessivamente, mentre i documenti autentici venivano nascosti negli archivi diplomatici, oppure distrutti.
Oggi, grazie alla declassificazione di migliaia di carte provenienti dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, quel velo inizia a sollevarsi; per questa ragione emergono dettagli che sembrano smentire la narrazione ereditata dal regime di Suharto. I documenti attualemente disponibili mostrano come la crisi del 1965 non fu il prodotto di una congiura comunista ordinata e compatta, ma piuttosto il risultato di trame confuse, rivalità interne all’esercito e, soprattutto, di un contesto internazionale che incoraggiava e alimentava la repressione.
Mentre queste rivelazioni offrono un’occasione per rileggere il passato, l’Indonesia di oggi vive un’altra stagione di tensione; le attuali proteste (agosto 2025), nate dall’indignazione per gli sandalosi privilegi della classe politica e alimentate dalla morte violenta di un giovane corriere da parte della polizia, hanno scosso le fondamenta del sistema politico nazionale. Ancora una volta, il linguaggio del potere ha evocato l’ombra del ‘tradimento’ e del ‘terrorismo’, segnalando quanto la memoria del 1965 resti una risorsa simbolica disponibile per chi governa.
Mettere in dialogo il 1965 e il 2025 significa dunque non solamente confrontare due crisi diverse, ma cogliere come le forme della delegittimazione del dissenso, le retoriche del tradimento e la fragilità dello Stato si ripresentino, mutando di segno ma mantenendo intatta la loro forza nel corso del tempo.
Il 30 settembre 1965 e il Documento Soepardjo
Tra le fonti più preziose emerse negli ultimi anni vi è il cosiddetto Soepardjo Document, un memorandum scritto dal generale di brigata Mustafa Soepardjo, coinvolto direttamente nel movimento del 30 settembre. Non è un testo pensato per la propaganda, né una confessione estorta, ma piuttosto un tentativo di spiegazione interna, un’autocritica in cui Soepardjo ammette le falle del piano, le incomprensioni tra i cospiratori e l’assenza di un disegno chiaro e unitario.
Uno studio relativamente recente (2008) riporta una copia di tale documento, in cui si afferma chiaramente che le cause del fallimento dell’operazione militare erano riconducibili alla mancanza di una linea unitaria.
Komandan Sektor (Selatan/Tengah/Utara) dalam keadaan
dimana kita sedang djaya, malah pada menghilang. Mereka
bertugas di antaranja mengurus soal2 administrasi, terhadap
pasukan jang beroperasi dan berada di masing2 sektornja.
Tetapi semua sektor seperti jang telah ditetapkan, hanja tinggal
di atas kertas sadja. Dari sini kita menarik peladjaran dengan
tidak adanja kontak antara satu sama lain (faktor verbinding-
komunikasi), maka masing2 mendjadi terdjerumus dalam
kedudukan terasing, sehingga buta situasi dan menimbulkan
ketakutan.
I comandanti di settore (Sud/Centro/Nord) nel momento in cui eravamo vittoriosi, sono addirittura scomparsi. Il loro compito è, tra l’altro, di occuparsi delle questioni amministrative relative alle truppe che operano e si trovano in ciascun settore. Ma tutti i settori, come erano stati stabiliti, sono rimasti solo sulla carta. Da qui traiamo l’insegnamento che, in assenza di contatto reciproco (fattore connessione-comunicazione), ciascuno cade in una posizione di isolamento, diventando cieco alla situazione e generando paura.
Roosa, J. (2008). Dalih Pembunuhan Massal Gerakan 30 September dan Kudeta Suharto, Il pretesto per il massacro di massa del Movimento del 30 settembre e il colpo di stato di Suharto, Institut Sejarah Sosial Indonesia, p. 331.
Da notare che il libro citato è la traduzione indonesiana dell’opera originale, in inglese, di Roosa, Pretext for Mass Murder: The September 30th Movement and Suharto’s Coup d’Etat in Indonesia (New Perspectives in SE Asian Studies), edito da Università del Wisconsin Press del 2006.
Lo scarso coordinamento, e la mancanza di obiettivi condivisi, dunque, si confermano come i fattori che hanno fatto fallire il Colpo di Stato del 1965, che, del resto, ha aperto la strada a quello di Suharto qualche anno più tardi.

Le azioni del G30s, dunque, non sono state un complotto comunista meticolosamente preparato, ma un’azione improvvisata, segnata da esitazioni e da un coordinamento fragile; in effetti, quando il gruppo sembrava aver raggiunto qualche risultato non ci fu continuità, e il comando non fornì direttive su come proseguire l’operazione. Si tratta di un racconto che restituisce la dimensione umana e complessa degli eventi, tra ufficiali che non si fidano l’uno dell’altro, ordini contraddittori, timori di perdere posizioni di potere all’interno delle forze armate. Il documento, rimasto a lungo nascosto e oggi consultabile negli archivi, smentisce decisamente l’immagine monolitica del Partito Comunista Indonesiano (PKI) come regista occulto del golpe.
Gli Archivi Statunitensi – Complicità e Sostegno
La massiccia declassificazione di circa 30.000 documenti dell’ambasciata e del consolato statunitense a Giacarta, conservati dalla National Security Archive della George Washington University, getta una luce differente sulla dimensione internazionale della crisi. Dai telegrammi e dalle note diplomatiche emerge con chiarezza come Washington fosse consapevole della spirale di violenza che si stava innescando in Indonesia, e che non ha cercato di fermare.
I rapporti descrivono l’entusiasmo con cui i diplomatici americani accolsero la repressione contro il PKI, considerata un’opportunità storica per ridimensionare l’influenza comunista nel Sud-Est asiatico; si ricorda, a questo proposito, che negli anni Sessanta erano diversi i Paesi diventati dittature comuniste, come il Vietnam.
Un documento interessante, da questo punto di vista, è una lettera scritta da Sjafruddin Prawiranegara a Edwin L. Fox; il primo era un ex funzionario di USAID, mentre il secondo è stato ministro delle finanze e primo ministro tra il 1958 e il 1961. Il tema è la guerra in Vietnam (la lettera è del 1965), e Sjaffaruddin, in prigione e membro del partito islamico Masjumi, afferma che gli Stati Uniti stanno seguendo ‘la strada giusta, che conduce al necessario contenimento di un comunismo aggressivo nella regione (asiatica, ndr)’. Per questa ragione, Sjaffaruddin sostiene la guerra dichiarata contro il Vietnam dagli Stati Uniti d’America, e offre il suo appoggio incondizionato.
Anche se non ci sono prove definitive di un ruolo diretto degli Stati Uniti nel colpo di Stato in Indonesia, è evidente il sostegno morale e logistico all’esercito di Suharto nella fase successiva, quando la repressione assunse i contorni di un massacro di massa. Colpisce, da questo punto di vista, la freddezza burocratica con cui si annotano numeri di vittime e resoconti delle esecuzioni sommarie; si tratta di un tono linguistico che contrasta con la tragedia vissuta dalle comunità indonesiane, costrette a convivere con una violenza tanto capillare quanto pianificata.
Londra e l’Arte della Propaganda
Gli archivi britannici rivelano un altro aspetto, spesso trascurato, il ruolo della propaganda, e attraverso l’Information Research Department (IRD), emerge il sostegno del governo di Londra alla propaganda che diffuse la versione ufficiale del golpe come complotto comunista. Articoli, pamphlet e note per la stampa furono redatti e circolarono ampiamente, dipingendo il PKI come fantoccio di Pechino, oltre a presentare l’esercito come unico baluardo contro il caos.
L’uso della parola scritta come arma fu decisivo per consolidare l’immagine che ancora oggi sopravvive nella memoria collettiva; la versione ufficiale rappresenta un esercito che salvò la nazione dalla minaccia comunista, quando in realtà stava preparando la propria ascesa definitiva. Tale narrazione viene rinforzata mediante la retorica degli eroi nazionli, come Nasution, che riuscì a mettersi in salvo e a sopravvivere all’attentato.
Il regime di Suharto, del resto, costruì sul 30 settembre la propria legittimità politica e sociale, e, in tale contesto, la ‘grande narrazione’ del G30S, ovvero il complotto comunista, l’assassinio brutale dei generali, la salvezza portata dalle forze armate viene ancora insegnata come una sorta di dogma nelle scuole, celebrata in monumenti e musei, e resa obbligatoria attraverso un cinema di Stato che proiettava annualmente il film Pengkhianatan G30S/PKI. Il Comunismo, la sua diffusione e il tentativo di ricostituire il Partito Comunista Indonesiano sono considerati reati, punibili con un periodo di detenzione compreso tra 5 e 10 anni.
Questa narrazione non era solo memoria, ma era e rimane un’arma politica capace di definire patrioti e traditori; in effetti, fu proprio la parola tradimento a diventare la chiave per delegittimare qualunque opposizione, con conseguenze devastanti per centinaia di migliaia di indonesiani accusati, spesso senza prove, di simpatie comuniste.
La pubblicazione dei documenti inediti rompe questa costruzione ideologica, ma non in Indonesia, in cui il comunismo rimane ancora un tabù, e l’esercito viene spesso celebrato come baluardo contro la corruzione, spesso in contrapposizione con le forze di polizia. Il G30S non fu dunque il risultato di un progetto coerente, ma di tensioni interne; l’esercito usò questa crisi per consolidare il proprio potere, e gli attori stranieri contribuirono a legittimare e rafforzare il nuovo regime.
Agosto 2025 – La Rabbia della Società
Sessant’anni dopo, l’Indonesia si trova di fronte ad un altro momento di rottura, diverso ma in qualche modo simile agli eventi passati; le proteste esplose nell’agosto 2025 hanno avuto origine dalla scoperta di privilegi enormi concessi ai parlamentari, in un Paese dove milioni di cittadini faticano a sostenere i costi della vita quotidiana. L’indignazione popolare è esplosa rapidamente, specialmente dopo la morte di un giovane autista (motociclista) di consegne e trasporto passeggeri, morto a causa di una collisione con un veicolo speciale (RIMOB) della polizia, che stava cercando di disperdere i manifestanti assemblati nei pressi del Parlamento nazionale a Jakarta.
L’episodio, apparentemente isolato, è diventato il simbolo di un sistema percepito come ingiusto, in cui il potere si protegge con la violenza mentre la popolazione subisce austerità e disuguaglianze; le dinamiche di questa morte, del resto, non sono affatto chiare, ed è in corso un’inchiesta ufficiale.
Dalla Delegittimazione al Linguaggio del Tradimento
Il tratto più sorprendente, e che rende possibile (e interessante) il parallelo con il 1965, è la reazione dello Stato; dopo aver promesso alcune concessioni, il presidente Prabowo ha denunciato le manifestazioni come ‘un pericoloso avvicinamento al tradimento’. Il ricorso a questa parola, pengkhianatan, non è casuale, specialmente quando a pronunciarla è Prabowo Subianto, ed evoca un passato la cui memoria è ancora viva. Ancora una volta, un movimento di dissenso dalle componenti eterogenee, viene trasformato, dalla narrazione governativa, in un complotto contro la nazione.
La componente anarchica delle proteste, dunque, viene usata per delegittimare qualunque opposizione, in quanto metterebbe a rischio lo sviluppo della nazione, altro elemento-chiave della retorica del regime di Soeharto (ma anche del periodo di Soekarno), che i ‘comunisti’ avrebbero messo in pericolo. Il riferimento, agli ‘anarchici’ è chiaro, e non lascia spazio ad interpretazioni; quello che rimane oscuro è come elementi isolati possano incendiare edifici con la polizia e l’esercito schierati o in allerta nell’intera nazione.
Nonostante le evidenti differenze tra il 1965 e il 2025, l’uso di questa retorica rivela la permanenza di un dispositivo politico; il potere, quando è minacciato o si trova in difficoltà, tende a reinterpretare il conflitto sociale non come rivendicazione legittima, ma come cospirazione. Nel 1965 tale retorica servì per giustificare una repressione durissima contro i comunisti ed i loro simpatizzanti, veri o presunti, mentre attualmente essa potrebbe legittimare misure repressive che rischiano di erodere ulteriormente la fiducia nelle istituzioni democratiche. L’uso del termine ‘legittime aspirazioni’, usato a più riprese da Prabowo, farebbe intendere che il governo si riserva il diritto di giudicare quali richieste sono legittime e quali non lo sono.
Paralleli e Divergenze
Il confronto tra i due momenti storici permette di mettere in luce sia analogie che differenze, e in effetti, le prime risiedono nella rapidità con cui una crisi circoscritta può degenerare in un conflitto nazionale; a tale elemento si può poi aggiungere un uso del linguaggio del tradimento, terrorismo e anarchia come strumento di delegittimazione del dissenso. Ancora, si nota l’apparente vulnerabilità delle istituzioni, incapaci di gestire il dissenso senza ricorrere alla violenza o alla stigmatizzazione politica e sociale.
Le differenze, tuttavia, sono decisive, e, a tale proposito, si osserva che nel 1965, il PKI rappresentava una forza politica organizzata e di massa, mentre oggi le proteste sono policentriche e prive di un’unica leadership. Il contesto passato era la Guerra Fredda, con Stati Uniti e Gran Bretagna direttamente interessati a influenzarne gli esiti; attualmente, lo scenario è dominato da dinamiche economiche e dal peso dei mercati globali, con pressioni meno ideologiche ma non meno concrete.
Conclusioni
I documenti inediti del 30 settembre 1965 ci consegnano una verità più complessa, che ridimensiona la narrazione e i miti ufficiali, e illumina le complicità internazionali; le proteste del 2025, pur cronologicamente lontane da quella tragedia, dimostrano quanto la memoria del 1965 continui a permeare il linguaggio politico e ad influenzare i meccanismi di potere. Del resto, Prabowo Subianto è uno dei protagonisti di entrambe le stagioni politiche, e tale continuità non dovrebbe sorprendere.
Se il 1965 segnò il passaggio a una brutale dittatura militare, il 2025 potrebbe segnare un nuovo passaggio fondamentale per l’Indonesia; si potrebbe verificare il rafforzamento di un’autorità che reprime il dissenso attraverso la retorica del tradimento. Alternativamente, esiste la possibilità di aprire finalmente uno spazio di confronto più democratico, in cui le ferite del passato diventino occasione di apprendimento e non strumenti di manipolazione politica e sociale.
Letture Consigliate
- Roosa, J. (2006). Pretext for Mass Murder: The September 30th Movement and Suharto’s Coup d’Etat in Indonesia (New Perspectives in SE Asian Studies), University of Wisconsin Press, USA.
- Leksana, G. (2021). Collaboration in mass violence: the case of the indonesian anti-leftist mass killings in 1965–66 in East Java. Journal of Genocide Research, 23(1), 58-80.
- Muhtadi, B. (2025). Collective Memory, Democratic Ambivalence, and Authoritarian Notions of Democracy: Explaining the Rise of Prabowo Subianto. Journal of Current Southeast Asian Affairs.