Abstract
Questo articolo ripercorre dal punto di vista storico l’evoluzione del sistema scolastico nelle Indie Orientali Olandesi, evidenziando il ruolo decisivo dell’istruzione rispetto alla definizione e nel consolidamento dell’ordine coloniale. A partire dalle prime scuole missionarie istituite sotto l’egida della VOC fino alle riforme introdotte durante la Politica Etica e al loro tramonto nel contesto della decolonizzazione, la scuola emerge come uno strumento articolato di costruzione della gerarchia sociale, di legittimazione del dominio imperiale e, paradossalmente, di innesco di forme di consapevolezza critica tra le élite indigene alfabetizzate.
This article traces the historical evolution of the educational system in the Dutch East Indies, highlighting the decisive role of education in the definition and consolidation of the colonial order. Starting from the first missionary schools established under the aegis of the VOC to the reforms introduced during the Ethical Policy and their decline in the context of decolonization, the school emerges as a complex tool for constructing social hierarchy, legitimizing imperial rule, and, paradoxically, triggering forms of critical awareness among the literate indigenous elites.
Introduzione
Nel più ampio scenario dell’espansione coloniale europea tra XVII e XX secolo, l’istruzione rappresentò uno degli strumenti più efficaci attraverso cui il potere imperiale riuscì a radicarsi in territori lontani, stabilizzando la propria egemonia non soltanto attraverso la forza militare o l’amministrazione politica, ma anche – e forse soprattutto – mediante la penetrazione culturale e simbolica. La scuola, nella sua apparente neutralità istituzionale, si configurò progressivamente come luogo strategico in cui si definivano le gerarchie sociali, si trasmettevano i codici normativi dell’ordine coloniale e si addestravano le élite locali alla fedeltà verso la metropoli. In tale ambito, l’esperienza educativa nelle Indie Orientali Olandesi costituisce un osservatorio privilegiato per comprendere le modalità con cui l’Olanda costruì e mantenne nel tempo il proprio dominio su un arcipelago vasto, etnicamente eterogeneo e culturalmente complesso.
Lungi dal proporsi come uno spazio aperto all’emancipazione collettiva o alla promozione del sapere critico, il sistema scolastico coloniale indonesiano fu pensato fin dall’inizio come un dispositivo di selezione e di subordinazione. Attraverso un’organizzazione rigidamente stratificata secondo criteri etnici, linguistici e sociali, l’educazione impartita nelle scuole coloniali serviva principalmente a formare una ristretta classe intermedia indigena (alfabetizzata, disciplinata, e lealista), incaricata di fungere da cerniera tra le autorità europee e le masse locali.
Parallelamente, veniva sistematicamente esclusa dalla formazione strutturata la maggioranza della popolazione e coloro che non rientravano nei criteri imposti dal modello educativo coloniale; l’obiettivo del presente saggio è quello di ricostruire in modo critico e documentato l’evoluzione dell’istruzione nelle Indie Orientali Olandesi, seguendo un arco cronologico che, dalle prime scuole missionarie istituite sotto l’egida della VOC nel XVII secolo, conduce fino agli anni della Politica Etica e all’articolato panorama scolastico della prima metà del Novecento.
Le Origini – La VOC e l’Istruzione Missionaria (XVII–XVIII secolo)
L’introduzione dell’istruzione nelle Indie Orientali Olandesi precedette di gran lunga la costruzione di un vero e proprio sistema scolastico coloniale; le sue origini vanno infatti ricercate nell’ambito dell’attività della Vereenigde Oostindische Compagnie (VOC), la potente compagnia commerciale che, a partire dai primi decenni del Seicento, esercitò una sovranità di fatto su ampie porzioni dell’arcipelago indonesiano.
Benché la sua missione fosse in primo luogo economica, finalizzata al controllo dei traffici e delle risorse, la VOC non trascurò del tutto il potenziale politico dell’istruzione, soprattutto nelle aree già interessate da precedenti sforzi di evangelizzazione da parte dei portoghesi. Nelle isole Molucche, in particolare, dove la cristianizzazione era penetrata con una certa profondità già nel XVI secolo, la Compagnia promosse una rete di scuole elementari gestite in collaborazione con il clero protestante, con l’intento di rafforzare il legame tra la popolazione locale e l’autorità olandese, anche attraverso l’unificazione religiosa.
Si trattava, tuttavia, di istituzioni modeste per dimensioni e ambizioni, spesso collocate in contesti rurali, con personale di formazione rudimentale e materiali didattici assai limitati; la finalità principale non era tanto educativa, quanto catechetica. Si trattava, in effetti, di istruire la popolazione indigena ai principi fondamentali della dottrina calvinista, e garantire nel contempo un minimo di alfabetizzazione funzionale alla lettura della Bibbia e alla comprensione del catechismo.
Le lingue utilizzate nell’insegnamento erano diverse, e rispondevano alla pluralità linguistica dell’arcipelago e all’eredità della presenza portoghese; al malese (che costituiva già allora la lingua franca del commercio e dell’amministrazione) si affiancavano idiomi locali e, in alcune regioni, un portoghese creolizzato di uso popolare. L’olandese, invece, rimase del tutto assente nelle prime fasi dell’istruzione coloniale, riservato agli ambienti della Compagnia e al clero di estrazione europea.
In assenza di un’amministrazione civile estesa e in un contesto segnato da rapporti spesso instabili con le popolazioni locali, la scuola, seppure rudimentale nelle sue strutture, rappresentava un presidio simbolico del dominio olandese, legittimandolo. Ciò nonostante, si osserva che, in generale, l’impegno della VOC in campo educativo restò circoscritto e disomogeneo; le risorse investite furono minime, l’effettiva diffusione dell’alfabetizzazione rimase limitata a pochi centri e l’accesso scolastico riservato quasi esclusivamente alle regioni cristianizzate. Allo stesso tempo, non si osserva, in questo periodo, un progetto pedagogico coerente o una visione sistematica dell’istruzione come strumento di progresso sociale. L’educazione restava un’attività collaterale, delegata in gran parte ai missionari protestanti, che agivano con margini ampi di autonomia, talvolta in tensione con la stessa autorità della Compagnia.
Tale modello di scuola missionaria, centrato sulla trasmissione religiosa e confinato a una sfera etnica e geografica ristretta, avrebbe lasciato un’eredità ambigua; da un lato, esso pose le basi per la futura diffusione dell’istruzione elementare nell’arcipelago. Dall’altro, consolidò una concezione dell’educazione come strumento di normalizzazione, più che di emancipazione, una concezione che, sotto forme diverse, si sarebbe riprodotta anche nei secoli successivi. Il sapere trasmesso era selezionato e finalizzato, l’accesso era controllato, e il fine ultimo restava la riproduzione e conservazione dell’ordine esistente. L’istruzione, in altre parole, si configurava fin dalle sue origini coloniali come un dispositivo culturale selettivo, volto a produrre soggetti docili.
La Transizione al Controllo Statale (XIX secolo)
La dissoluzione della Vereenigde Oostindische Compagnie (VOC) il 31 dicembre del 1799 non segnò soltanto la fine di un’epoca commerciale, ma avviò un processo di profonda riorganizzazione politico-amministrativa dell’arcipelago, che culminò nel passaggio formale delle Indie Orientali (dopo il breve periodo di dominazione francese) sotto la diretta sovranità dello Stato olandese a partire dal 1816. Questo cambiamento istituzionale comportò, seppure in maniera graduale e non lineare, una ridefinizione dell’intero apparato educativo, che venne sottratto al controllo esclusivo delle Chiese e delle missioni per essere progressivamente inquadrato nella logica della governance coloniale.
L’istruzione, che nella fase precedente aveva avuto una finalità eminentemente catechistica e circoscritta ad ambiti confessionali, divenne ora un elemento integrante della politica imperiale, parte costitutiva della strategia volta a consolidare il dominio territoriale attraverso la formazione di una popolazione disciplinata, collaborativa e stratificata secondo i principi dell’ideologia coloniale.

A partire dalla metà del XIX secolo, il governo coloniale avviò un processo di strutturazione del sistema scolastico secondo un modello fortemente gerarchico e segregato, modellato sul principio dell’accesso differenziato in base all’etnia e al ceto sociale. Le scuole vennero classificate secondo categorie ben distinte, ciascuna delle quali rispondeva a obiettivi politici differenti e rifletteva la struttura piramidale della società coloniale.
Al vertice della scala educativa si trovavano le Europeesche Scholen (scuole europee), riservate ai figli dei funzionari olandesi, dei coloni e della ristretta élite indo-europea; questi istituti riproducevano i programmi scolastici della madrepatria, con un’offerta didattica ampia e moderna, incentrata sull’insegnamento dell’olandese, delle scienze naturali, della storia nazionale e della morale protestante. L’istruzione impartita in queste scuole non mirava soltanto a garantire la continuità culturale dei coloni, ma anche a riprodurre, in un contesto esotico, i valori e le abitudini della borghesia europea, rafforzando il senso di appartenenza alla ‘nazione imperiale’ e la distanza simbolica dagli ‘altri’.
A un livello intermedio si collocavano le Ambtenarenscholen, o scuole per funzionari nativi, fondate con lo scopo preciso di formare una piccola burocrazia indigena subordinata (spesso reclutata tra i ranghi dell’aristocrazia giavanese, i priyayi), capace di svolgere funzioni esecutive all’interno dell’apparato amministrativo coloniale. In queste scuole, l’istruzione assumeva un carattere tecnico e pragmatico, volto a garantire l’efficienza nella gestione dei registri, nella redazione di atti e nella trasmissione degli ordini governativi. Era questa, forse più di ogni altra, la sede in cui si compiva l’incorporazione selettiva delle élite locali nel progetto coloniale, un processo che non cancellava le gerarchie esistenti, ma le piegava al servizio della metropoli.
Alla base della piramide educativa si trovavano infine le Inlandse Scholen (scuole indigene), pensate per la grande massa della popolazione nativa; l’offerta formativa in questi istituti era estremamente limitata, tanto nei contenuti quanto nella durata. Le lezioni, generalmente impartite in lingua malese o in idiomi locali, si concentravano su pochi elementi; la lettura e la scrittura a livello elementare, i rudimenti dell’aritmetica, la trasmissione di norme comportamentali, nozioni igieniche di base e una forma semplificata di ‘morale cristiana’, ma svuotata dei contenuti teologici e ridotta a mero codice di condotta. La finalità di questa istruzione era quella di normalizzare culturalmente gli indigeni, rafforzandone l’obbedienza e instillando in essi un senso del proprio ruolo nella società coloniale.
L’istruzione si configurava, dunque, come un meccanismo di selezione e di esclusione, attraverso il quale il potere coloniale ridefiniva le relazioni sociali, determinava i confini della mobilità e legittimava la propria superiorità morale e intellettuale. Tuttavia, è bene osservare che, nonostante la rigidità del sistema e la sua funzione eminentemente conservatrice, alcuni segnali di cambiamento diventarono visibili già alla fine del secolo. Si pensi, in particolare, alla diffusione limitata ma crescente di pratiche scolastiche al di fuori del controllo diretto dello Stato, che sfuggivano, almeno in parte, agli schemi preordinati. Si trattava, evidentemente, del prodotto di dinamiche locali, di iniziative religiose autonome o di richieste educative provenienti dalle comunità stesse.
La Politica Etica e l’Istruzione Indigena (1901–1942)
L’inizio del XX secolo segnò una trasformazione profonda dell’approccio coloniale olandese, e, da un sistema basato apertamente sullo sfruttamento economico e sul controllo sociale diretto si passò ad un modello differente. L’intenso dibattito sul modello coloniale, anche nella madrepatria, venne alimentato da un’opera che avrà conseguenze profonde e durature; si tratta di ‘Een Ereschuld’, ‘Un debito d’onore’ di Van Deventer. Tale riflessione avviò la cosiddetta Politica Etica (Ethische Politiek), ufficialmente adottata nel 1901, con l’intento dichiarato di ‘ripagare il debito morale’ contratto nei confronti del popolo indonesiano, attraverso l’introduzione di politiche pubbliche orientate allo sviluppo, alla salute e (soprattutto) all’educazione.

In tale ambito, l’istruzione divenne uno degli assi portanti dell’azione riformatrice, ma non si trattava di una semplice estensione quantitativa del sistema scolastico esistente; al contrario, l’apertura di nuove scuole e l’ammodernamento dei programmi risposero a un duplice obiettivo. Da un lato, aumentare l’efficienza amministrativa dell’apparato coloniale attraverso la formazione di personale locale qualificato; dall’altro, contenere le pressioni crescenti provenienti da settori della società indigena sempre più desiderosi di accedere alla conoscenza come strumento di mobilità sociale e di riconoscimento pubblico.
La politica etica, del resto, si accompagnava a una pratica fortemente selettiva e stratificata, e la scuola coloniale non cessò di essere un dispositivo gerarchico, ma ne affinò la funzione selettiva, rendendola più sofisticata e meno esclusiva. Alla rigida tripartizione ottocentesca si aggiunsero nuovi ordini scolastici pensati per rispondere alle esigenze specifiche delle diverse categorie sociali: furono fondate, ad esempio, le Hollandsch-Inlandsche School (HIS) per l’élite indigena, le Scholen voor Inlandsche Geneeskundigen (STOVIA) per la formazione di medici locali, e le Hollandsch-Chineesche Scholen (HCS) dedicate ai figli della borghesia sino-indonesiana.
Il processo educativo, pertanto, si strutturava come un percorso ad imbuto, in cui la massa della popolazione restava confinata nelle scuole popolari (volksscholen), mentre una minoranza, opportunamente filtrata, formata e disciplinata, poteva accedere a livelli superiori, entrando nel circuito amministrativo o professionale coloniale. In tal senso, la scuola diventava un laboratorio di selezione delle élite, funzionale alla riproduzione dell’ordine imperiale con strumenti apparentemente neutrali e meritocratici.
Il paradosso di questa fase storica fu che, nel tentativo di rafforzare il controllo sociale e istituzionale, la scuola creò le condizioni della propria delegittimazione; in effetti, le nuove generazioni indigene che accedevano all’istruzione olandese acquisivano, insieme alle competenze tecniche e linguistiche, anche strumenti critici e orizzonti culturali che eccedevano il progetto coloniale. In molte HIS e MULO (scuole secondarie inferiori), gli studenti cominciarono a confrontarsi con le idee di libertà, autodeterminazione e giustizia sociale che, sebbene filtrate attraverso la lente della cultura europea, si prestavano a una reinterpretazione anticoloniale.
Verso la Decolonizzazione – Scuola e Coscienza Nazionale (1942–1949)
La seconda guerra mondiale e l’occupazione giapponese dell’arcipelago (1942–1945) segnarono un punto di rottura irreversibile nell’ordine coloniale costruito nei secoli precedenti; il sistema scolastico olandese, già da tempo incrinato nelle sue fondamenta ideologiche e logistiche, venne smantellato in pochi mesi, sostituito da un apparato educativo sotto controllo nipponico, ispirato a logiche di propaganda panasiatica e mobilitazione militare. A prescindere dagli effetti immediati dell’occupazione, fu l’esperienza di discontinuità radicale a modificare in profondità la percezione del potere coloniale, rendendolo improvvisamente vulnerabile e, per molti indonesiani, definitivamente delegittimato.
La guerra creò un vuoto di potere e aprì spazi inattesi per nuove forme di organizzazione politica e culturale; nel campo dell’istruzione, si moltiplicarono le iniziative autonome, spesso informali, promosse da insegnanti locali, ex studenti delle scuole olandesi, militanti nazionalisti e religiosi. Le scuole, dove possibile, vennero riaperte sotto altra denominazione, con programmi adattati alle esigenze della comunità e orientati a trasmettere non più l’ideologia imperiale, bensì un sentimento crescente di identità nazionale, anche se modellata e formata nelle scuole europee e olandesi della colonia.
L’esperienza educativa dell’epoca coloniale non fu quindi rimossa, ma reinterpretata, riappropriata, e talvolta anche sovvertita; gli strumenti intellettuali appresi nella scuola coloniale (la padronanza dell’olandese, la capacità di leggere testi complessi, la familiarità con concetti di diritto, storia e civiltà europe) furono usati per costruire un discorso autonomo, che cercava nella formazione la leva per costruire una nuova idea di cittadinanza. È in questi anni che emerge con maggiore chiarezza la funzione ambivalente dell’istruzione coloniale; originariamente progettata per selezionare e rendere docile la popolazione locale, essa ebbe l’effetto di attivare desideri di autonomia e produrre coscienze critiche, soprattutto tra le giovani generazioni.
In questo senso, la lingua olandese, che fino a pochi decenni prima era stata lo strumento per marcare la distanza tra i coloni e gli indigeni, divenne paradossalmente il veicolo attraverso cui gli intellettuali indonesiani poterono dialogare con il mondo, articolare rivendicazioni e costruire una legittimità internazionale alla causa indipendentista.
Dopo la resa del Giappone nell’agosto del 1945 e la proclamazione dell’indipendenza dell’Indonesia il 17 agosto dello stesso anno, la questione scolastica tornò immediatamente al centro dell’agenda politica; le autorità della neonata Repubblica, pur in condizioni materiali estremamente precarie, si adoperarono per riorganizzare il sistema educativo secondo principi nuovi, ovvero gratuità, accessibilità, laicità e radicamento culturale. Il periodo di guerra rivoluzionaria che seguì (1945–1949), segnato dal conflitto armato con i Paesi Bassi (e i loro alleati) che tentarono di restaurare il dominio perduto, vide l’istruzione trasformarsi in un campo di battaglia simbolico tra due visioni contrapposte del futuro. Da un lato, la restaurazione di un’istruzione coloniale rivisitata; dall’altro, la costruzione di una scuola nazionale, moderna ma fondata su valori autoctoni e partecipativi.
Gli ultimi tentativi olandesi di ristabilire il controllo sull’istruzione, attraverso la riapertura di vecchie HIS e HBS (scuole secondarie superiori), apparivano ormai anacronistici, incapaci di competere con l’entusiasmo, pur disordinato, della mobilitazione educativa repubblicana. L’autorità coloniale non aveva più né la legittimità né le risorse per imporsi, mentre insegnanti, studenti e genitori contribuivano, spesso spontaneamente, a organizzare lezioni improvvisate in moschee, case private, edifici abbandonati.
Nel dicembre del 1949, con il riconoscimento ufficiale dell’indipendenza da parte dei Paesi Bassi, si chiude simbolicamente un’epoca; l’istruzione, tradizionalmente usata come strumento di controllo e veicolo ideologico del dominio, diventa ora strumento fondativo di una nuova cittadinanza, non più coloniale ma repubblicana. Tuttavia, l’eredità materiale e simbolica del passato coloniale continua ad influenzare il sistema educativo indonesiano, soprattutto nei suoi aspetti burocratici, linguistici e curricolari.
Conclusione
Lo sviluppo del sistema scolastico nelle Indie Orientali Olandesi mostra che l’istruzione non è mai un ambito neutro, ma un ambito che viene determinato anche da logiche riconducibili al potere, agli interessi strategici e a precise visioni ideologiche. La scuola coloniale è sorta come estensione dell’attività missionaria e diventa in seguito strumento amministrativo, progettata per formare soggetti docili rispetto alle autorità coloniali.
L’istruzione coloniale, in effetti, non fu soltanto uno strumento di dominio, ma dell’élite coloniale, ma anche un luogo di frizione e trasformazione; molti leaders nazionalisti, in effetti, si formarono proprio nelle scuole coloniali olandesi. Questa sostanziale ambivalenza, del resto, fornisce la chiave per comprendere la traiettoria storica dell’educazione nell’Indonesia contemporanea, quale espressione di una memoria di una subordinazione imposta, ma anche testimonianza di una resistenza alimentata da nuove idee asservite alla causa indipendentista.
Letture Consigliate
- Vickers, A. (2013). A history of modern Indonesia (2nd ed.). Cambridge University Press.
- Purnomo, A., Kurniawan, G. F., Em, S., & Mulianingsih, F. (2024). Colonization is opposed to freedom: Anti-Dutch memories and the didactic practice of Indonesian history teachers. Paramita: Historical Studies Journal, 34(1), 147-160.
- Handoko, S. T., & Wasino, W. (2020). Discourse on relations between Indonesia and Papua: Content analysis of history textbook of 2013 curriculum. Paramita: Historical Studies Journal, 30(1), 23-35.