- Abstract
- Introduzione – Libertà Religiosa Negata
- Tracce nella Polvere – il Cristianesimo Antico in Terra Afghana
- Missioni, Ambasciate e Silenzi – Cristiani Stranieri nell’Afghanistan Moderno
- Una Fede Clandestina – Convertiti, Persecuzioni, Diaspora
- Il Diritto Islamico – La Sharia per uno Stato Islamico Esclusivo
- Resilienza, Fede e Testimonianza – Il Cristianesimo come Resistenza
- Conclusione – L’Invisibile che Interpella
- Letture Consigliate
Abstract
La presenza cristiana in Afghanistan rappresenta una realtà fragile, sommersa e spesso dimenticata, stretta tra l’ostilità ideologica del fondamentalismo islamico e l’invisibilità imposta dalla necessità di sopravvivenza. Se nel corso della storia antica e medievale l’Afghanistan aveva conosciuto forme consolidate di cristianesimo orientale, con la modernità e la formazione dello Stato afghano la presenza cristiana si è ridotta a una componente marginale, quasi esclusivamente straniera, legata a figure diplomatiche, mediche o militari. Tentativi sporadici di istituzionalizzare luoghi di culto, come la cappella cattolica dell’ambasciata italiana a Kabul (1933–1979), sono stati rapidamente vanificati dal mutare delle condizioni politiche e religiose.
Attualmente, la dimensione più drammatica del cristianesimo afghano è rappresentata dai convertiti locali, costretti a vivere la propria fede nella clandestinità assoluta; l’apostasia, sebbene non codificata nel diritto positivo afghano, è di fatto punita sulla base della sharia, con pene che includono detenzione, tortura e, in alcuni casi, la morte. La vicenda di Shoaib Assadullah, incarcerato nel 2010 per aver distribuito una Bibbia, testimonia la vulnerabilità estrema di chi abbandona l’Islam sotto il regime dei talebani. In assenza di protezioni legali o istituzionali, la fede cristiana in Afghanistan sopravvive in maniera clandestina, grazie al coraggio e alla determinazione degli afghani che non si arrendono ad uno Stato autoritario e discriminatorio.
The Christian presence in Afghanistan represents a fragile, submerged, and often forgotten reality, caught between the ideological hostility of Islamic fundamentalism and the invisibility imposed by the necessity of survival. If, throughout ancient and medieval history, Afghanistan had known established forms of Eastern Christianity, with modernity and the formation of the Afghan state, the Christian presence has reduced to a marginal component, almost exclusively foreign, linked to diplomatic, medical, or military figures. Sporadic attempts to institutionalize places of worship, such as the Catholic chapel of the Italian embassy in Kabul (1933–1979), were quickly thwarted by the changing political and religious conditions.
Currently, the most dramatic aspect of Afghan Christianity is represented by local converts, forced to live their faith in absolute secrecy; apostasy, although not codified in Afghan positive law, is in fact punished based on sharia, with penalties that include detention, torture, and, in some cases, death. The case of Shoaib Assadullah, imprisoned in 2010 for distributing a Bible, testifies to the extreme vulnerability of those who abandon Islam under the Taliban regime. In the absence of legal or institutional protections, the Christian faith in Afghanistan survives clandestinely, thanks to the courage and determination of Afghans who do not submit to an authoritarian and discriminatory state.
Introduzione – Libertà Religiosa Negata
In Afghanistan, terra aspra e incastonata tra altopiani, catene montuose e deserti implacabili, ogni segno di diversità religiosa si espone a una condizione di estinzione; in questo crocevia tormentato tra Medio Oriente e Asia Centrale, l’esperienza cristiana non ha mai assunto tratti di visibilità sociale né ha potuto radicarsi in modo stabile. Eppure, al di sotto della superficie rocciosa di una società rigidamente islamica, sopravvive una testimonianza fragile ma ostinata, che testimonia la pur fragile esperienza cristiana; i cristiani in Afghanistan non sono una comunità nel senso sociologico del termine:. Essi, piuttosto, devono essere considerati una diaspora interna e transfrontaliera, una rete spezzata di credenti che condividono una fede perseguitata e un’identità negata.
Questo articolo si propone di ricostruire il profilo storico, giuridico e umano della presenza cristiana in Afghanistan, a partire dalle sue radici antiche fino alla condizione (drammatica) dei nostri giorni. Non si tratta solo di restituire dati e cronache, ma di dare voce a una minoranza silenziata, la cui esistenza sfida i confini del diritto e della memoria. Se il cristianesimo afghano è oggi una realtà clandestina, è anche un frammento del mosaico religioso globale che interpella la coscienza internazionale.

L’ultimo rapporto USCIRF (2025) sulla libertà religiosa consegna un quadro desolante ed estremamente preoccupante,
Its draconian religious edicts continued to
disproportionately target women and girls as well as religious
minorities who remain in the country, including Ahmadiyya and Shi’a
Muslims, Sikhs, Hindus, and Christians. Human rights advocates
have increasingly warned of the “devastating impact” of Taliban
rule on these vulnerable communities through its “widespread
and systematic” use of physical and sexual violence (in particular
against women and children), arbitrary detention, torture, corporal
punishment, and other egregious abuses.
I suoi editti religiosi draconiani continuano a colpire in modo sproporzionato donne e ragazze, così come le minoranze religiose che rimangono nel paese, inclusi musulmani Ahmadiyya e sciiti, sikh, induisti e cristiani. Gli attivisti per i diritti umani hanno avvertito sempre più del “devastante impatto” del regime talebano su queste comunità vulnerabili attraverso il suo uso “diffuso e sistematico” di violenza fisica e sessuale (in particolare contro donne e bambini), detenzione arbitraria, tortura, punizioni corporali e altri abusi atroci.
USCIRF, Annual Report, 2025, p. 11.
L’interpretazione della sharia da parte dei talebani ha effetti in tutte le aree della vita e della società, e colpisce duramente le comunità sciite, come confermano gli eventi di cronaca e i rapporti da parte delle organizzazioni indipendenti. I cristiani, poi, sono particolarmente colpiti, e sono costretti a vivere clandestinamente la loro fede, in quanto la pubblica esposizione li porrebbe a rischio della loro stessa vita.
Tracce nella Polvere – il Cristianesimo Antico in Terra Afghana
Anche se può sembrare quasi inconcepibile, l’Afghanistan ha conosciuto nei secoli tardo-antichi e medievali forme sporadiche ma reali di presenza cristiana; nel III secolo d.C., nel periodo dell’espansione della Chiesa d’Oriente (conosciuta successivamente come ‘nestoriana’), missionari e mercanti cristiani si spinsero verso la Battriana e la Sogdiana, regioni allora vitali per i traffici lungo la Via della Seta. Si trattava di cristiani che, provenienti dall’area mesopotamica e persiana, trovarono spazio in alcune città-carovaniere (come Balkh, Herat e Samarcanda), dove il cristianesimo conviveva, talvolta in modo sotterraneo, con lo zoroastrismo, il buddhismo e forme sincretiche locali.
Secondo alcune fonti siriache, già nel IV secolo vi sarebbero stati vescovi attivi nell’area dell’odierno Afghanistan occidentale.; il sinodo nestoriano di Seleucia-Ctesifonte del 410 confermò la presenza di diocesi nelle regioni orientali dell’impero sasanide, anche se le fonti rimangono ambigue nel delimitare con precisione la loro estensione territoriale. Le testimonianze archeologiche, poi, sebbene frammentarie, attestano l’esistenza di edifici ecclesiastici e di necropoli cristiane in aree oggi spazzate dall’urbanizzazione o dalla guerra.
Queste comunità, tuttavia, furono sempre minoritarie, isolate e prive di un reale sostegno politico; la conquista islamica del VII secolo e l’imposizione progressiva dell’islam sunnita, ha poi comportato la progressiva scomparsa delle tracce cristiane. Alcuni gruppi sopravvissero sotto la protezione di dinastie tolleranti o in aree periferiche, ma l’erosione fu costante; a partire dal XI secolo, l’Afghanistan entrò definitivamente nella sfera del sunnismo ortodosso, relegando ogni forma di alterità religiosa a una condizione di subalternità culturale e giuridica.
Missioni, Ambasciate e Silenzi – Cristiani Stranieri nell’Afghanistan Moderno
Nel corso dell’età moderna, con la formazione dello Stato afghano e la sua progressiva chiusura all’influenza straniera, la presenza cristiana assunse un volto completamente diverso; scomparsi i resti delle antiche chiese orientali, i cristiani tornarono ad essere visibile, anche se in maniera discreta, solamente attraverso figure straniere, come diplomatici, esploratori, medici, missionari e militari. L’impero britannico, interessato al controllo strategico dell’area in funzione anti-russa, fu il principale vettore di ritorno del cristianesimo in Afghanistan tra XIX e XX secolo, seppure in forma strettamente riservata alle sue truppe o ai suoi funzionari.
Nel XX secolo, con la modernizzazione forzata tentata dalla monarchia e dalla successiva repubblica di Daoud Khan, l’Afghanistan visse una breve stagione di liberalizzazione ‘controllata’; è in tale contesto che, nel 1933, fu inaugurata una piccola cappella cattolica all’interno del recinto dell’ambasciata italiana a Kabul, realizzata grazie a un’intesa con le autorità locali e riservata esclusivamente agli stranieri. Si trattava di un edificio modesto, ma denso di significato, in quanto si trattava dell’unica chiesa attiva in tutto il paese, dove si celebravano liturgie con la massima discrezione. La sua chiusura e abbandono, avvenuta nel 1979 all’indomani dell’invasione sovietica, fu tanto simbolica quanto irreversibile; da allora, nessun luogo di culto cristiano è più stato tollerato in Afghanistan.
Anche se sotto la presidenza di Karzai si sono osservate delle aperture, la Costituzione del 2004 considerava ancora l’Islam come religione di Stato (articolo 2), mentre quello successivo ammoniva che,
Nessuna legge deve contraddire i principi e le disposizioni della sacra religione dell’Islam in Afghanistan
ARTICOLO 3, COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ISLAMICA DELL’AFGHANISTAN (2004)
Karzai, in realtà, ha dovuto sottostare alle enormi pressioni sociali che derivavano dai conflitti e dall’atteggiamento di totale intransigenza verso qualunque religione diversa dall’Islam sunnita; i modesti progressi registrati, ovviamente, sono stati vanificati dal ritiro delle truppe statunitensi nel 2021, che hanno consegnato il Paese ai talebani.
Una Fede Clandestina – Convertiti, Persecuzioni, Diaspora
Probabilmente, la dimensione più drammatica della presenza cristiana in Afghanistan è quella dei convertiti dall’Islam; a differenza dei cristiani stranieri (che possono contare su una protezione diplomatica o sull’opzione dell’espatrio), i cristiani afghani sono cittadini senza cittadinanza religiosa. Per la legge islamica, la conversione all’esterno dell’Islam costituisce apostasia (ridda), un reato gravissimo, equiparato all’alto tradimento e punibile con la morte; sebbene non esista uno specifico reato (secondo il codice penale), l’apostata è considerato un corpo estraneo, una minaccia per l’ordine morale e comunitario, la cui presenza destabilizza il legame sacro tra Islam e identità nazionale. Si tratta della tradizionale concezione dell’apostasia, che attualmente viene applicata con rigore in pochissimi Paesi, tra cui l’Iran e l’Arabia Saudita.
I giudici talebani, in effetti, non seguono alcuno codice scritto, ma si riferiscono all’interpretazione della sharia secondo la scuola hanafita; per questa ragione, i cristiani convertiti sono costretti a vivere la loro fede nella totale clandestinità. Le preghiere si recitano in silenzio, i testi sacri si nascondono tra i libri scolastici o nei telefoni criptati, le comunità si formano attraverso segnali impliciti, codici, sguardi; chi viene scoperto (spesso a seguito di delazioni familiari) rischia l’arresto, la tortura, la detenzione indefinita o la morte. Le donne convertite sono poi esposte a un doppio rischio, quello della violenza istituzionale e quello del controllo patriarcale domestico, che le priva di ogni libertà di movimento o di parola e le relega in una sorta di detenzione a tempo indefinito.
Secondo stime non ufficiali, il numero di cristiani afghani sarebbe oggi compreso tra 1.000 e 12.000, e la vaghezza della cifra riflette la natura sommersa di questa realtà; in effetti, non vi sono registri, né censimenti, né luoghi di culto. La maggior parte dei cristiani, probabilmente, risiede nelle grandi città (Kabul, Herat, Mazar-i-Sharif), dove è più facile mimetizzarsi, ma una parte significativa è emigrata, costituendo una diaspora cristiana afghana attiva in Germania, Canada, Stati Uniti, Australia e, in misura crescente, in India.
Il Diritto Islamico – La Sharia per uno Stato Islamico Esclusivo
L’Afghanistan è, de facto, uno Stato confessionale, e la sua legislazione è basata sulla shariah sunnita hanafita, interpretata in modo ultra-conservatore, in particolare sotto il regime dei talebani; del resto, già la Costituzione del 2004 (ora sospesa) conteneva un ambiguo articolo sulla libertà religiosa, che tuttavia si riferiva esclusivamente alle minoranze non musulmane ‘storiche’, come gli hindu e i sikh, presenti da secoli. I cristiani, in quanto frutto di conversione o presenza straniera, non vi trovavano alcuna tutela, ed erano considerati un corpo estraneo e sospetto, da circoscrivere e prescrivere.
Con il ritorno al potere dei Talebani nell’agosto 2021, ogni ambiguità costituzionale è stata rimossa, e, in effetti, l’Emirato Islamico non riconosce né tutela i diritti delle minoranze religiose, coerentemente con l’applicazione storica della sharia. L’apostasia, la blasfemia, il proselitismo cristiano (anche nella forma di aiuti umanitari con finalità spirituali) sono severamente vietati e puniti. È sufficiente il possesso di una Bibbia in lingua dari per giustificare un arresto, mentre la diffusione di contenuti cristiani attraverso social media o applicazioni digitali viene monitorata dai servizi di sicurezza. Alcuni convertiti sono poi stati giustiziati in carcere senza alcun processo, mentre altri sono scomparsi senza lasciare traccia.
Tale quadro giuridico configura un sistema che definirei di ‘anomia religiosa programmata’, in quanto non solo manca un diritto alla libertà religiosa, ma la stessa esistenza di credenti alternativi è concepita come un disturbo all’ordine pubblico e alla morale. In Afghanistan, dunque, il cristianesimo non è ‘solamente’ una minoranza perseguitata, ma viene trattato come una sorta di eresia istituzionalmente (e socialmente) sanzionata.
Un caso emblematico, a tale proposito, è quello di Shoaib Assadullah, cittadino afghano arrestato a Mazar-e-Sharif il 21 ottobre del 2010, per aver consegnato una copia del Nuovo Testamento ad una persona che conosceva, e che l’ha in seguito denunciato. A questo punto, egli è stato accusato di apostasia e tratto in arresto; nel corso della detenzione, egli ha dovuto subire percosse, minacce di morte, ed è stato isolato dagli altri detenuti. Shoaib, tuttavia, ha scelto di non riconvertirsi all’Islam, e, dopo 5 mesi di detenzione, è stato rilasciato. Successivamente ha ricevuto un passaporto ed ha lasciato il Paese, mediante l’intervento di reti cristiane che operano a livello internazionale.
Resilienza, Fede e Testimonianza – Il Cristianesimo come Resistenza
Anche se in condizioni estremamente difficile, specialmente dopo il ritorno dei talebani nel 2021, il cristianesimo in Afghanistan non è scomparso; la sua sopravvivenza costituisce un apparente paradosso, in quanto si tratta di una fede vissuta senza un culto pubblico, di una comunità senza assemblea, e di una religione senza riconoscimento e tutela. I cristiani afghani non possono predicare, battezzare, o evangelizzare (in senso ampio, anche il possesso di una Bibbia può essere ragione sufficiente per detenzioni e abusi).
La resilienza di questi credenti si manifesta in forme nuove e non convenzionali, come l’uso di Bibbie digitali in applilcazioni criptate, la partecipazione a messe (e funzioni religiose) via radio o piattaforme protette, la formazione teologica a distanza, o ancora la trasmissione orale di inni e racconti biblici in lingua madre. Alcune organizzazioni cristiane operanti dall’estero, poi, mantengono reti di contatto con cristiani che si trovano in Afghanistan, offrendo sostegno morale, formazione e, quando possibile, vie di fuga da un regime oppressivo e intollerante.
Allo stesso tempo, la diaspora cristiana afghana si sta organizzando per preservare la propria memoria e identità; a Berlino, Toronto, Delhi e Roma esistono comunità di rifugiati che hanno ricominciato a celebrare liturgie pubbliche, a tradurre testi sacri, e a testimoniare la loro storia. Molti di essi portano i segni della persecuzione, come cicatrici, processi e anni di prigionia, ma rifiutano la narrazione vittimistica. Essi, nella maggior parte dei casi, non si considerano vittime o sopravvissuti, ma testimoni di una fede che non ha ceduto alle pressioni di annientamento.
Conclusione – L’Invisibile che Interpella
Indagare la presenza cristiana in Afghanistan significa confrontarsi con una storia senza volto, fatta di assenze, silenzi e resistenze invisibili; in un paese dove la religione dominante si fonde con l’identità nazionale, ogni dissenso spirituale diventa una colpa, e potenzialmente un reato. Tuttavia, proprio in questa condizione estrema, il cristianesimo afghano rivela una dimensione profonda e radicale di una fede che non ha bisogno di strutture, o di visibilità, ma che si nutre della speranza, memoria e coraggio dei cristiani afghani.
L’Afghanistan rappresenta oggi una sfida aperta per la comunità internazionale, non solo sul piano dei diritti umani, ma anche su quello della coscienza collettiva; i cristiani afghani non chiedono privilegi né protezione particolare, ma solamente di poter esistere e professare la propria fede senza essere condannati. La loro esistenza, seppur sotterranea, è un richiamo etico per chiunque creda nella dignità della persona e nella libertà spirituale come patrimonio universale, valori che spesso vengono piegati agli interessi ed alle esisegenze di media e di agende politiche che dei diritti umani si interessano poco.
Letture Consigliate
- Shah, S. S. H., Khatoon, S., & Ali, L. A. (2024). The Trepidation Amid Non-Muslims in Afghanistan: A Critical Analysis of the Apprehension Confronted by the Religious Minorities in Taliban’s Rule. Journal of Nautical Eye and Strategic Studies, 4(2), 65-83.
- Emadi, H. (2021). From Concealment of their Faith to Active Propagation of their Faith: Afghanistan’s Christians and its Diaspora Community. International Journal on Minority and Group Rights, 29(3), 504-527.
- Verma, M. B. (2024). The Predicament of Security: Tracing Two Years of Taliban Rule. India Quarterly, 80(2), 283-298.