misstat
  Reading time 15 minutes


Abstract

L’esperienza missionaria protestante a Calcutta nel XIX secolo, narrata dalle pagine del Church Missionary Gleaner, rappresenta un osservatorio privilegiato per comprendere l’intreccio tra religione, società e dominio coloniale nell’India britannica. La capitale del Bengala, descritta come ‘porta d’ingresso dell’India’, era al tempo stesso un centro politico e commerciale e un laboratorio missionario, in cui i protestanti britannici cercarono di radicare il Vangelo attraverso scuole, istituzioni educative e attività di evangelizzazione. Le cronache del Gleaner offrono un racconto vivido, popolato da immagini di aule improvvisate, conversioni difficili e resistenze comunitarie, che evidenziano la tensione fra entusiasmo missionario e complessità del contesto locale.


The Protestant missionary experience in Calcutta in the 19th century, as recounted in the pages of the Church Missionary Gleaner, offers a privileged perspective for understanding the interplay between religion, society, and colonial rule in British India. The capital of Bengal, described as the ‘gateway to India’, was simultaneously a political and commercial centre and a missionary laboratory, where British Protestants sought to establish the Gospel through schools, educational institutions, and evangelisation activities. The Gleaner’s chronicles offer a vivid account, populated by images of makeshift classrooms, difficult conversions, and community resistance, highlighting the tension between missionary enthusiasm and the complexities of the local context.


Introduzione – Calcutta e le Missioni

Nel cuore del Bengala, Calcutta rappresentò per lungo tempo non soltanto la capitale amministrativa dell’India britannica, ma anche un centro importante per l’evangelizzazione protestante, che si intrecciò con le dinamiche sociali, culturali e religiose dell’Asia meridionale. La città, sede del governo coloniale fino al 1911, non era solamente un centro politico e commerciale; per i missionari tale città appariva come un laboratorio vivente, una vetrina della modernità europea e, insieme, un mosaico di tradizioni religiose che affondavano le radici in secoli di storia.

Le pagine del Church Missionary Gleaner, periodico pubblicato dalla Church Missionary Society (CMS) e diffuso in Gran Bretagna a partire dagli anni quaranta del XIX secolo, offrono una straordinaria testimonianza di questa esperienza. Il periodico, destinato ai sostenitori e ai benefattori della missione, non si limitava a fornire statistiche e resoconti puntuali delle attività svolte, ma proponeva una vera e propria narrazione, una storia corale segnata da difficoltà e successi, da ostacoli imprevisti e da conversioni considerate ‘miracolose’.

Attraverso quelle cronache, il lettore britannico poteva immaginare Calcutta come una città viva, popolata da mercanti e studenti, da sacerdoti indù e sapienti musulmani e, accanto a loro, da missionari impegnati in un’opera che si presentava sia come spirituale che civilizzatrice. I missionari protestanti erano degli ‘agenti coloniali’, nel senso che essi concorrevano a produrre e sostenere una narrazione che giustificava e rinforzava la presenza coloniale britannica, considerata come provvidenziale e necessaria.


Calcutta come Porta d’Ingresso della Missione

Il Gleaner insisteva nel presentare Calcutta come ‘porta d’ingresso dell’India’, e non si trattava solamente di una formula retorica; la città, animata da commerci fluviali e internazionali, raccoglieva comunità bengalesi, marvari, musulmani, parsi ed ebrei, insieme alla borghesia coloniale anglo-indiana. Per i missionari, tale varietà di presenze costituiva al tempo stesso una sfida e un’opportunità di evangelizzazione.

Nelle descrizioni che il periodico diffondeva ai suoi abbonati, la capitale del Bengala appariva come un organismo pulsante, brulicante di voci, colori e contraddizioni. Le grandi vie erano percorse da carrozze che si alternavano ai quartieri popolari, segnati da povertà e rituali religiosi quotidiani, mentre lungo il Gange i missionari raccontavano di aver incontrato processioni, celebrazioni e sacrifici che interpretavano come segni della ‘perseveranza dell’idolatria’.

Per la Church Missionary Society, tale complessità conferiva alla città un ruolo emblematico, in quanto il potenziale radicamento del Vangelo a Calcutta, centro culturale e intellettuale dell’India britannica, allora la sua diffusione nel resto del subcontinente sarebbe stata decisamente agevolata.


Stazioni Missionarie e Istituzioni Educative

Le stazioni missionarie fondate a Calcutta non si limitavano all’istituzione di luoghi di culto, e da questo punto di vista, Il Gleaner mostra come l’attività si estendesse a scuole elementari, collegi e soprattutto istituzioni femminili, nelle quali le giovani bengalesi ricevevano per la prima volta un’istruzione regolare. Le cronache sottolineavano il valore ‘rigeneratore’ dell’alfabetizzazione, considerata non solo mezzo di emancipazione sociale ma anche strumento privilegiato per trasmettere i testi biblici.

Particolare enfasi era poi data ai bambini, descritti come ‘il futuro di una nazione che ancora attende la luce del Vangelo’; nelle pagine del periodico non mancano racconti vividi di aule improvvisate, con banchi disposti sotto tettoie di bambù, e di giovani studenti che recitavano in inglese o in bengali i primi versetti del Nuovo Testamento.

I numeri costituivano un elemento centrale, e, da questo punto di vista, il Gleaner pubblicava regolarmente statistiche dettagliate su studenti, insegnanti, Bibbie distribuite e battesimi amministrati. Si trattava di dati che, seppure freddi e aritmetici, erano però accompagnati da narrazioni che li trasformavano in segni tangibili della ‘provvidenza divina’. Ai lettori londinesi non giungevano soltanto cifre, ma immagini di una comunità in lenta trasformazione, segnata da piccoli ma significativi successi missionari.


La Stazione di Burdwan

Uno dei resoconti che si possono leggere sulle pagine del Church Missionary Gleaner riguarda la stazione di Burdwan, a nord est di Calcutta,

Missionary operations were commenced there many years ago by an
officer, Lieutenant Stewart. He opened some Schools for the native
children; and the Church Missionary Society having, on his representations,
taken them under their charge, they increased to twelve
in number, Lieutenant Stewart continuing to superintend them.

Le operazioni missionarie iniziarono lì molti anni fa da un ufficiale, il tenente Stewart. Aprì alcune scuole per i bambini nativi; e la Church Missionary Society, su sua richiesta, avendole prese sotto la sua cura, aumentarono di numero fino a dodici, continuando il tenente Stewart a sovrintendere.

(The Chruch Missionary Gleaner, 1850-51, p. 177)

Di conseguenza, la stazione in esame era operativa, probabilmente, pochi anni prima della metà del XIX secolo, grazie agli sforzi del tenente Stewart, e tale dinamica era tutt’altro che rara, specialmente in ambito protestante. Al contrario, succedeva con una certa frequenza che fossero proprio gli esponenti dell’esercito a dare inizio a questo genere di opere, a cui in seguito si aggiungevano veri e propri missionari e insegnanti.

La stazione comprendeva scuole e orfanotrofi, ed era stata progettata per essere un piccolo centro indipendente con cui coordinare gli sforzi missionari di evangelizzazione della regione circostante; nel corso del tempo si erano avvicendati diversi pastori che avevano continuato l’opera dei fondatori. Si tratta di una dinamica ordinaria, che permetteva alle missioni di crescere nel corso del tempo e di attrarre candidati e finanziamenti per le attività missionarie.


Conversioni e Resistenze

Uno degli elementi più caratteristici del periodico era la narrazione delle conversioni individuali, e, da questo punto di vista, si osserva che il Gleaner ne parlava come di veri e propri atti eroici, spesso inserendoli in un linguaggio che oggi appare agiografico. Le storie raccontavano di studenti che, dopo anni di frequentazione delle scuole missionarie, chiedevano il battesimo, spesso in segreto, sfidando l’opposizione delle famiglie e della comunità.

Tali racconti erano costruiti come drammi morali, che mostrava la lotta interiore del giovane convertito, il conflitto con la casta di appartenenza, la rottura con il passato e, infine, l’approdo alla fede cristiana; per i missionari, queste narrazioni non avevano soltanto un valore edificante. Esse, al contrario, servivano a mostrare al pubblico europeo che la missione produceva frutti concreti, e che il sacrificio economico dei donatori non era vano.

Ma accanto a queste storie di successo, il periodico non taceva le resistenze che inevitabilmente nascevano; ad essere raccontati erano episodi di ostilità, di famiglie che ripudiavano i propri figli convertiti, di villaggi che si opponevano alle attività dei missionari, e di accuse di proselitismo interessato. L’immagine che ne emerge è quella di un confronto duro, nel quale la predicazione cristiana doveva misurarsi con la forza delle tradizioni locali e con l’orgoglio identitario delle comunità bengalesi; una parte di questo dibattito e di questa realtà venivano trasmesse mediante le pagine del Gleaner, le cui edizioni rappresentano una fonte storica preziosa.

Non mancano, ancora, storie che riguardano l’incontro con gli indù, l’insieme di religioni tradizionali del Continente Indiano; come spesso avveniva, il lavoro missionario prevedeva un’opera culturale preventiva, ovvero un’analisi puntuale dell’ambiente circostante. In questo caso, gli indù vengono descritti come

(…) a numerous people, and by no means deficient in
personal courage. The conduct of the sepoys in many sanguin
fields of battle, where they have fought and conquered under British
colours, sufficiently proves this; yet have they always been a
subjugated people. The productiveness of India has invited the
invader, and seldom has he failed to carve out with his sword a
portion for himself from the fair domains of India.

(…) un popolo numeroso, e per nulla carente di coraggio personale. La condotta dei sepoys in molti campi di battaglia sanguinosi, dove hanno combattuto e vinto sotto le bandiere britanniche, lo dimostra sufficientemente; eppure sono sempre stati un popolo assoggettato. La produttività dell’India ha attirato l’invasore, e raramente non è riuscito a ritagliarsi con la sua spada una porzione dai suoi splendidi domini.

(The Chruch Missionary Gleaner, 1850-51, p. 206)

Si ricorda che la rivolta dei Sepoys avviene nel 1857, e che, prima di questa data, essi si erano dimostrati dei servitori e collaboratori leali e rilevanti dei britannici, specialmente per domare le periodiche rivolte locali che cercavano di porre in dubbio il dominio britannico sul Continente indiano.


Missione ed Impero – Un Intreccio Inevitabile

Le pagine del Gleaner mostrano chiaramente il rapporto ambivalente fra missione e autorità coloniale, in quanto, da un lato, i missionari rivendicavano la propria autonomia rispetto al potere politico, sottolineando che la loro opera era guidata esclusivamente da fini religiosi. Dall’altro, essi non potevano negare che la presenza dell’Impero costituisse la condizione materiale indispensabile per la sopravvivenza stessa delle missioni.

Le scuole, gli ospedali e le chiese sorgevano grazie alle infrastrutture garantite dal governo coloniale, mentre l’ordine britannico garantiva la necessaria sicurezza che rendeva possibile l’attività missionaria; non sorprende quindi che, nelle cronache, l’autorità imperiale fosse talvolta rappresentata come strumento della provvidenza divina. In altre parole, la missione evangelica e il progetto coloniale venivano inscritti, e considerati, come parti complementari di un medesimo disegno storico e provvidenziale.

Tuttavia, non mancavano le tensioni, e l’eccessiva vicinanza al potere politico rischiava di compromettere l’autenticità del messaggio cristiano, facendolo percepire come semplice prolungamento della dominazione europea. I missionari si muovevano dunque in un equilibrio fragile, cercando di distinguere il Vangelo dal governo coloniale, pur sapendo che senza quest’ultimo la loro stessa opera sarebbe stata seriamente minacciata.


Conclusione

Gli articoli del Church Missionary Gleaner dedicati a Calcutta (ma non solamente) non sono soltanto documenti di propaganda religiosa; al contrario, essi costituiscono testimonianze preziose di un incontro complesso e spesso conflittuale fra mondi lontani. Attraverso queste pagine si intravvede una città in movimento, in cui il Vangelo veniva annunciato nelle aule scolastiche e nei mercati, nelle strade polverose e lungo il fiume sacro.

Le stazioni missionarie di Calcutta furono, in definitiva, molto più che semplici presidi ecclesiastici, ma divennero centri di educazione, assistenza e sperimentazione sociale, luoghi in cui si tentava di modellare un futuro diverso per le nuove generazioni indiane. Nella visione dei missionari, quelle esperienze rappresentavano l’avanzata di una ‘nuova luce’ destinata a trasformare il subcontinente. In realtà, le missioni e gli spazi ad essi dedicati furono anche luoghi di tensione, dove la modernità coloniale si scontrò con la profondità delle tradizioni locali.

Lo sguardo offerto dal Gleaner consente dunque di cogliere l’entusiasmo e la dedizione dei missionari, ma anche le resistenze e le ambiguità di un progetto che, per quanto animato da ideali religiosi, rimase sempre inscritto nella cornice, inevitabilmente politica, dell’India coloniale.


Letture Consigliate

  • Cox, J. (2002). Imperial fault lines: Christianity and colonial power in India, 1818–1940. Stanford University Press.
  • Carson, P. (2012). The East India Company and religion, 1698–1858. Boydell Press.
  • Klassen, P. (2020). From converts to cooperation: Protestant internationalism, US missionaries and Indian Christians, and professional social work between Boston and Bombay, c. 1920–1950. Journal of Global History, 15(3), 393–413.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *