In Indonesia sono iniziate proteste e manifestazioni il 25 agosto 2025, contro l’aumento delle indennità parlamentari e altri problemi endemici del Paese, come la corruzione e la brutalità e abusi di alcuni membri della polizia. Le proteste hanno subito una rapida escalation dopo che giovedì 28 agosto un conduttore (motociclistico) di ‘gojek’ (servizio di consegna di cibo e trasporto passeggeri economico) è stato ucciso da un mezzo anfibio (Brimob) della Polizia di Stato, nel corso di un pattugliamento per le manifestazioni nei pressi del Parlamento nazionale.
A partire da questo momento, le manifestazioni violente si sono allargate all’intero Paese, e, al momento di scrivere questo articolo (domenica 31 agosto 2025) le proteste non si sono ancora placate; ci sono stati morti tra i manifestanti e attacchi a infrastrutture e sedi delle istituzioni, come le sedi della polizia, dei parlamenti locali, e abitazioni private di alcuni funzionari pubblici.
I manifestanti domandano che Prabowo Subianto si dimetta e che vengano assicurate condizioni di vita migliori per la classe lavoratrice che è stata esclusa dai benefici della crescita degli ultimi anni; le violenze che si registrano ovunque hanno creato un clima di instabilità che il governo sta contenendo con evidente difficoltà.
A questo punto, è difficile fare previsioni, e potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione, simile a quella del 1998, oppure avere un esito differente; quello che appare certo è che la rabbia delle persone ha una giustificazione reale, e queste proteste non sono certamente casuali. Tuttavia, l’uso della violenza e la vandalizzazione di infrastrutture e sedi istituzionali hanno trasformato manifestazioni inizialmente pacifiche in una sfida diretta al governo ed alle istituzioni repubblicane.

Le scuse del Presidente e del Capo della Polizia Nazionale per la morte dell’autista non sono servite a convincere i manifestanti ad abbandonare le proteste; per questa ragione, il governo si muove su un terreno scivoloso, e dovrà necessariamente fare delle concessioni. In caso contrario, potrebbe essere in vista un nuovo corso politico; si tratta di un’ipotesi tutt’altro che remota, in quanto i manifestanti appartengono a orientamenti ideologici differenti (anarchici, comunisti, socialisti, islamici) ma sono uniti nell’opposizione ad un governo che fino a questo momento è stato percepito corrotto, inefficiente e incapace di dare risposte concrete allle problematiche politiche e sociali.
Cui prodest? A questa domanda non è facile rispondere, in quanto i soggetti politici e socieli che potrebbero approfittare del caos che si sta generando sono diversi; in primo luogo, le forze politiche e sindacali escluse dalla vita politica indonesiana (comunisti, socialisti, ecc), rimaste invisibili fino a questo momento. I gruppi islamisti, poi, si potrebbero presentare come salvatori della patria e garanti dell’ordine, contando su un certo radicamento all’interno della società indonesiana.
Un terzo beneficiario, paradossalmente, potrebbe essere lo stesso governo, che potrebbe giustificare riforme illiberali con l’obiettivo dichiarato di evitare il caos; dopo la riforma sulla doppia funzione, che permette a militari in servizio attivo di ricoprire incarichi di governo, Prabowo potrebbe introdurre restrizioni e riforme che trasformano l’Indonesia in uno Stato autoritario.
Si ricorda che queste proteste sono state precedute da altre manifestazioni, come ‘Indonesia Gelap’, ‘Indonesia al buio’, e altre che si erano scagliate contro la corruzione e gli abusi (veri o presunti) delle forze dell’ordine. Questa ondata di proteste era dunque annunciata, e l’aumento delle indennità parlamentari è stata l’ultima di una lunga serie di scelte governative, sia a livello centrale che locale, che sono state percepite come affronti da parte della popolazione.
Il governo e le istituzioni democratiche del Paese, ancora fragili, si trovano dunque di fronte ad un bivio, e l’esito delle manifestazioni è tutt’altro che scontato; è dunque necessario ritrovare serenità in mezzo al caos, ed evitare di alimentare ulteriori tensioni, ricordando che il governo ha il dovere di ristabilire l’ordine.