Abstract
Prima del movimento coloniale, nel XIX secolo, l’interesse per l’Asia era vivo diversi secoli prima, e sono diversi i viaggiatori-esploratori italiani (che abitavano nella penisola italiana) che si sono spinti, per ragioni differenti, ma essenzialmente commerciali, fino a terre che erano praticamente sconosciute. Le loro imprese, su cui non intendo esercitare alcun tipo di giudizio morale, sono note grazie ai loro diari e agli scritti di contemporanei; si tratta di un vero e proprio tesoro culturale, fruibile grazie alle moderne tecnologie.
Before the colonial movement in the 19th century, interest in Asia was alive several centuries earlier, and there were several Italian traveler-explorers (who lived in the Italian peninsula) who ventured, for various reasons, but essentially commercial, into lands that were practically unknown. Their ventures, on which I do not intend to pass any moral judgment, are known thanks to their diaries and the writings of contemporaries; they are a true cultural treasure, accessible thanks to modern technologies.
Introduzione – Viaggi verso l’Oriente nel XIV e XV secolo
I viaggi che sono stati compiuti da diversi italiani nel XIII e XIV secolo in Asia sono stati determinati, oltre che da interessi commerciali, anche dal binomio esistente, e riconosciuto dagli storici, tra Umanesimo, da una parte, e Geografia, dall’altra. La Geografia, del resto, non nasce come disciplina autonoma, ma dal desiderio di riconoscere i toponimi rinvenuti nei testi antichi; progressivamente, questa necessità si è trasformata in una disciplina a sé stante. Si consideri, a questo proposito, l’opera di Riccobaldus da Ferrara, composto (circa) verso il 1308, ‘De locis orbis et insularium et marium’, che ha un’impostazione decisamente geografica.
Opere di questo genere, che si osservano a partire dal XIV secolo, sono essenzialmente un catalogo, o inventario di oggetti di interesse geografico; le informazioni relative alle diverse località, presentate in ordine alfabetico, risulta molto utile. Evidentemente, si tratta di un primo approccio alla geografia, che risolve alcuni problemi e ne fa’ nascere di nuovi; per iniziare, questa impostazione non consente di comprendere il mondo (allora conosciuto) nella sua globalità. Inoltre, non è possibile operare una sintesi tra la precedente impostazione tra quella precedente e quella che emerge.
Nonostante le difficoltà, la nascita della geografia come disciplina a sé stante, dotata di una propria dignità e autonomia, non deve essere sottovalutata; è da questo seme iniziale che nascerà la curiosità, ed in seguito il senso di stupore per la conoscenza diretta di luoghi fino a quel momento inesplorati da popolazioni europee. In questo articolo, intendo esplorare alcuni viaggi compiuti da italiani (intesi come abitanti della penisola italiana) nel corso del XV secolo, allo scopo di fare emergere alcune delle tematiche che poi diventeranno dei cliché letterari e culturali nei secoli successivi, fino ai giorni nostri.
I Primi Viaggi – La Scoperta di un Mondo Ignoto
Le prime scoperte geografiche suscitano reazioni contrastanti nei contemporanei, che non realizzano immediatamente la portata delle nuove imprese; si pensi, a tale proposito, alla scoperta delle Canarie nel 1336, da parte del genovese Lanzarotto Malocello. La notizia delle nuove terre si diffonde rapidamente, e Petrarca associa questi luoghi alle isole Fortunate, di cui parlano diversi scrittori antichi, come Plinio e Pomponio Mela. Il Boccaccio, invece, traduce in latino il resoconto di questa spedizione ottenuto da mercanti fiorentini di Siivglia, e lo include nello ‘Zibaldone’; due geografi, come Silvestri e Bandini, usano questo testo, modificandolo, per le loro opere.
In questo caso, risulta difficile conciliare le informazioni degli autori antichi con quelli provenienti dalle recenti scoperte; il Bandini, in effetti, rifiuta di associare le Canarie alle isole Fortunate, ritenendo, invece, che questi territori costituiscano una novità di cui i testi antichi non avevano discusso. Le diverse posizioni assunte dai primi geografi, dunque, favoriscono un dibattito che si svolge a Firenze, e che configura questa città come centro di interesse geografico di primo piano.
Le prime scoperte, dunque, oltre a suscitare numerose perplessità, alimentano anche una curiosità per le terre che sono state scoperte, e soprattutto per quelle che ancora lo devono essere; una testimonianza interessante, da questo punto di vista, viene offerta da Poggio Bracciolini.
Cum ex mea consuetudine, qua primum estate pontifex Eugenius ex urbe Florentiam
concessit, meridie ad clarissimum uirum Nicolaum Nicolum, cui us domus commune doctissimorum horninum diuersorium erat, me contulissem, doctissimum ibi latinis grecisque
litteris uirum offendi Carolum Aretinum et item Cosmum de Medicis, cum in hac nostra re publica egregium principem, tum optimum ac prestantissimum ciuem. Hos ego
Ptolemei Geographiam inspicientes cum in primis, ut mos est, consalutassem, una in Nicolai
biblioteca consedi.
Poiché, secondo la mia consuetudine, la prima estate in cui papa Eugenio lasciò la città di Firenze, a mezzogiorno andai dall’illustrissimo Nicola, la cui casa era la dimora comune degli uomini più dotti e colti nelle lettere latine e in greche. (Qui) ho incontrato un uomo di lettere, Carlo d’Arezzo e anche Cosimo de’ Medici, entrambi eccellenti principi nella nostra repubblica, e anche eccellenti e distintissimi cittadini. Dopo aver salutato, secondo l’uso (comune), queste tre persone che stavano consultano la Geografia di Tolomeo, mi sono seduto insieme a loro nella biblioteca di Nicolò.
(Poggio Bracciolini, Canfora D. (1998). De infelicitate principum, Edizioni di storia e letteratura. Roma. pp. 7-8)
Rispetto ai contenuti, la geografia non costituiva solamente una fonte di informazioni, ma anche di ammirazione per gli umanisti rinascimentali, che considerano questa disciplina come completa, ma, allo stesso tempo, aperta al contributo di altre discipline e fonti. In altre parole, la geografia non viene concepita come qualcosa di assoluto, ma di relativo, e questo carattere flessibile consentirà un uso della geografia che andrà ben oltre quello immediatamente percepibile nel XIV e XV secolo.
Nicolò de Conti
La testimonianza di Nicolò de Conti, un mercante e viaggiatore veneziano vissuto nel XV secolo, ha fornito le prime descrizioni dei Paesi asiatici, come Giava, Sumatra e l’India; di conseguenza, i racconti delle sue avventure risultano particolarmente interessanti. Di lui e dei suoi viaggi si hanno numerose testomianze, come quella fornita dal Longhena nel 1929,
Il Bracciolini lo dice venetus, quindi di qualche
città dello stato veneto, allora sulla via dell’in
grandimento, deve esser originario. Le ricerche
fatte da vari studiosi , e specialmente da Carlo
Bullo e da Vincenzo Bellemo, ci aiutano in que
sta determinazione del luogo di nascita del ·
Conti.
Il Bullo afferma che Nicolò dei Conti fu di
Chioggia e presenta documenti che appoggiano
e confortano la sua affermazione.
(Longhena, M., Viaggi in Persia, India e Giava di Nicolò de Conti, Edizioni Alpes, Milano, 1929, p. 11).
La sua figura, dunque, è nota e ricordata a secoli di distanza, e testimonia la rilevanza dei viaggi da lui compiuti in un’epoca in un cui l’Impero Mongolo permetteva ai mercanti europei di viaggiare nell’estremo oriente. Dal territorio veneto, il Conti raggiunse Firenze, probabilmente verso il 1439, confermando il ruolo di questa città come centro del nascente interesse per la geografia e le esplorazioni. I suoi meriti, del resto, gli furono riconosciuti quando il Conti rientrò a Chioggia, come sembra dimostrare la lettera del doge, in cui si afferma che ‘multo tempore stetit in diversis mundi partibus’, ‘rimase per molto tempo in diverse parti del mondo’, in riferimento ai suoi numerosi e lunghi viaggi.
I Viaggiatori Italiani – Una Tradizione Consolidata
La storia dei viaggiatori italiani in Oriente costituisce una tradizione ben consolidata, che non nasce certamente nel XX secolo; il ricordo dei loro viaggi, in effetti, è uno dei filoni storici e letterari consolidati a partire dal Rinascimento. Si pensi, in questo senso, all’opera del De Gubernatis, che afferma,
Fuor che nel secolo decimosesto, in cui la mugnificentissima famiglia de’ Medici, ad accrescere il proprio splendore, spediva alcuni mercatanti toscani nelle Indie, incaricati di provvederle alcune preziosità di quelle contrade, e sovratutto di sorvegliare dappresso il commercio de’ Portoghesi, per esplorare se alcuna via vi fosse di contenderne loro il privilegio, i nostri viaggiatori, per una singolarità ben degna di nota, furono tutti privati, i quali di propria volontà, con nuovo ardimento, senza commendatizie, senza emolumenti, senza rifugio, sfidando l’ignoto, soli tentarono l’Oriente indiano, mossi gli uni da semplice vaghezza di veder nuove terre e nuovi costumi, gli altri da sentimento religioso, i pivi per ra-gione de’ loro negozi.
(De Gubernatis, A. (1875). Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie Orientali. Francesco Vigo Editore. Livorno. p. 3)
In quest’opera, l’autore si concentra sulle Indie Orientali, ovvero su un territorio che comprendeva un’area molto grande, che partiva dall’India attuale e si estendeva all’arcipelago indo-malese e le Filippine; di conseguenza, tale espressione non corrisponde strettamente con la denominazione coloniale di ‘Indie Orientali’. Ad ogni modo, il De Gubernatis conferma il ruolo di Firenze e dei Medici nel XV secolo, e ci informa che, in seguito, furono motivazioni religiose o commerciali a motivare imprese essenzialmente private.
Il primo viaggiatore menzionato ne ‘Storia dei Viaggiatori italiani nelle Indie Orientali’, poi, è Marco Polo, i cui viaggi costituiscono il punto di partenza di una tradizione secolare; da notare che questo mercante viene definito ‘Marco Polo veneziano’, denotando l’interesse per la provenienza geografica. Non si tratta di un dettaglio secondario, ma del segnale di una tradizione che continua anche nel XIX secolo, in cui interessi geografici e politici (coloniali) si confondono.
Anche Niccolò de Conti, del resto, viene citato in questa raccolta del De Gubernatis, confermando la sua fama e la sua importanza;
L’anno 1449, papa Eugenio IV, di famiglia veneziana, avendo sua dimora in Firenze, dava udienza al peccatore messer Niccolò de’ Conti suo concittadino, il quale essendo stato nelle Indie per venticinque anni, a fine di provvedere piii sicuramente a’ suoi negozi, avea rinunciato alla fede cristiana; e papa Eugenio, dopo averlo assolto e benedetto di tanto scandalo dato alla cristia- nità, con sapiente divisamento ordinava, come ammenda, a messer Niccolò di narrargli per ordine le cose da lui vedute nell’India; al qual cenno del pontefice avendo Niccolò de’ Conti facilmente obbedito, il dotto segretario
del papa, messer Poggio Fiorentino, stendeva la relazione di quel racconto che inseriva poi, come quarto libro, nel suo trattato: De varietate fortunae.
(De Gubernatis, A. (1875). Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie Orientali. Francesco Vigo Editore. Livorno. p. 9)
Un dettaglio interessante è la conversione nominale all’Islam del Conti, che, al pari di accademici come Snouck Hurgronje (che però vive nel XIX secolo), sceglie di adottare formalmente la fede islamica per facilitare la sua impresa, commerciale per il primo e intellettuale per il secondo. Questo meccanismo, dunque, non sembra essere un caso isolato, ma parte integrante di una strategia ben precisa per promuovere i propri interessi e quelli dei loro committenti.
Non solo Mercanti – Il Ruolo dei Missionari
Il commercio non era il solo motivo che spingeva gli italiani a recarsi in India, in quanto, come dovrebbe essere chiaro, le motivazioni religiose erano altrettanto importanti; anche se non si può parlare di un vero e proprio intento missionario, non è possibile separare il desiderio di viaggiare da quello di portare il Vangelo a popolazioni considerate barbare e bisognose di essere civilizzate. Si tratta di un intento chiaro e diretto dei missionari, ovviamente, il cui scopo era proprio quello di evangelizzare territori lontani come le ‘Indie’, orientali o meno che fossero.
Tra le figure missionarie spicca quella del Nobili, un padre gesuita che si recò, appunto, nelle Indie Orientali, ed in particolare nell’attuale Indonesia, per evangelizzare le popolazioni locali; le testimonianze su di lui abbondano, e non sono sempre di segno positivo, in considerazione del fatto che il religioso cercò di farsi credere discendente del Dio Brama. Un giudizio particolarmente severo, a tale proposito, è quello del De Gubernatis,
Questo famoso missionario passò nel regno del Madurè (Madhura) sotto l’abito mentito di Bramano, stimandoche quest’abito, che distingue i sacerdoti degli idoli e cattiva loro la venerazione de’ popoli, avrebbe dato più lustro e maggiore autorità alle verità evangeliche, che meditava di predicare a quelle genti. In questa guisa pretese egli domare l’alterezza dei Bramani, rendendosiad essi uguale.
(De Gubernatis, A. (1875). Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie Orientali. Francesco Vigo Editore. Livorno. p. 30).
In questo caso, dunque, il reverendo Nobili si convertì, sempre nominalmente, alla religione induista, allo scopo di portare il Vangelo e farsi accettare nell’ambiente culturale in cui era stato inviato; ancora, una volta, siamo in presenza di un meccanismo, portato all’estremo, di adattamento culturale, simile a quello adottato dal Conti nel contesto islamico.
Il Nobili, dunque, viene presentato come un personaggio scomodo, ma efficace nel predicare il Vangelo,
I popoli (locali), compiaciuti nella vista del nuovo Bramano (il Nobili), presero tosto a dispregiare i Francescani, il cui abito e la maniera semplice e comune di vivere non avea cosa da potere adulare la vanità e la superstizione. Questi padri aveano già da più anni una Chiesa nel Madurè, ove esercitavano pubblicamente le funzioni del loro ministerio, e lavoravano con felice successo in quella Vigna del Signore, quando l’arrivo de’ Gesuiti li obbligò ad abbandonarla; e si videro ben tosto costretti a cedere il campo ai nuovi venuti, i quali sapevano molto meglio di loro accomodarsi al gusto degli Indiani.
(De Gubernatis, A. (1875). Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie Orientali. Francesco Vigo Editore. Livorno. pp. 30-31).
Le metodologie adottate dal Nobili, dunque, suscitarono scandalo, ma furono efficaci, in quanto la popolazione locale non lo percepì come un elemento estraneo, al contrario di quanto successo con i francescani, che erano già presenti a Madura nel XV secolo. Non è questa la sede di discutere l’adeguatezza dell’approccio del Nobili, ma di osservare che, nonostante la sua condotta apparentemente scandalosa, egli fu efficace nel perseguire il suo scopo, e viene ricordato a secoli di distanza.
Imprese come quella del Nobili, riconosciute anche dall’autorità coeva della Chiesa, hanno permesso di conoscere in maniera approfondita usi e costumi di popolazioni fino ad allora sconosciute; l’approccio pragmatico delle autorità ecclesiastiche, inoltre, testimonia che le metodologie adottate dal nobili erano valide, seppure con dei correttivi.
Riporto un passaggio estrememente interessante del De Gubernatis, che conferma quanto osservato in precedenza,
Nel 1623, essendosi la questione ingrossata, il papa Gregorio XV mandava fuori una costituzione nella quale stabilivasi che, poiché i brahmani si sarebbero convertiti al cristianesimo a patto di poter conservare il sacro cordone, l’uso de’ bagni e del santalo, la facoltà di serbare tali usi fosse loro mantenuta, ordinandosi tuttavia che d’ora in poi il cordone non fosse dato a que’ brahmani dal loro ministro jocim (yogin), nel loro tempio, col loro rito, con le loro orazioni, con sacrifici, ma dal sacerdote cattolico, semplicemente; che la linea composta di tre fili fosse portata dai brahmani convertiti, in onore della trinità cristiana, e per segno di nobiltà; ma, nel tempo stesso, raccomandavasi ai nobili indiani convertiti di non disprezzare quelli che fossero nati in basso stato.
(De Gubernatis, A. (1875). Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie Orientali. Francesco Vigo Editore. Livorno. pp. 31-32).
Conclusioni
Lo spirito umanista dei secoli XV-XVII si è tradotto anche in un rinnovato interesse per la geografia, che diventa, proprio in questo periodo, una disciplina a sé stante; questo movimento si associa ai primi viaggi che vengono compiuti in Oriente, ed in particolare nelle ‘Indie’. Gli italiani, in questo senso, sono stati dei pionieri, ed hanno preceduto le scoperte compiute dai portoghesi e dagli spagnoli; le prime descrizioni, e mappe, di questi luoghi, sono dovute ad esploratori italiani, che intraprendevano questi viaggi per interessi commerciali ma anche religiosi.
Letture Consigliate
- De Gubernatis, A. (1875). Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie Orientali. Francesco Vigo Editore. Livorno.
- Poggio Bracciolini, M Guéret-Laferté (ed) (2004. De l’Inde. Les voyages en Asie de Niccolo de’ Conti. De varietate fortunae, livre IV. Brepols. Belgium.
- Zupanov, I. G. (2025). Jesuit Missions in Coastal and South India (1543-1773): Between Mission and Empire. BRILL.