Roma
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Abstract

La Santa Sede ha gestito le relazioni con le missioni, e con le potenze coloniali, in maniera estremamente pragmatica, adottando formule di compromesso che hanno permesso al cattolicesimo di espandersi e consolidarsi nel mondo intero. La creazione di organismi e di figure diplomatiche, ufficiali e non, ha determinato la nascita e l’evoluzione di un sistema di relazioni con gli Stati estremamente complesso. La sostanziale neutralità della Santa Sede rispetto ai governi nazionali, poi, le ha permesso di radicarsi e di resistere anche in contesti segnati dalla persecuzione o da una posizione minoritaria.


The Holy See has managed relations with missions and colonial powers in an extremely pragmatic manner, adopting compromise formulas that have allowed Catholicism to expand and consolidate itself worldwide. The creation of bodies and diplomatic figures, both official and unofficial, has determined the birth and evolution of an extremely complex system of relations with states. The substantial neutrality of the Holy See with respect to national governments has allowed it to take root and endure even in contexts marked by persecution or a minority position.


Introduzione – Dal Patronato a Propaganda Fide

A partire dal XVI secolo, la Chiesa Cattolica, la Santa Sede, attuò un progetto di vasto respiro per rendere Roma la capitale globale delle missioni del mondo intero; in altre parole, la sede del Pontefice Romano diventa il centro nevralgico di gestione delle attività missionarie. Si pensi, in questo senso, alla raccolta di informazioni, all’assegnazione dei territori ai diversi ordini religiosi, e al controllo delle attività missionarie, mediante istruzioni e linee guida, oltre che, in casi eccezionali, con il proprio parere autorevole e definitivo (Roma locuta est).

Si tratta di un sistema che si consolida nel corso dei secoli, e che parte da una situazione in cui l’autorità pontificia veniva esercitata in maniera indiretta sulle missioni create nei territori conquistati nelle Americhe, in Asia e Africa. La Bolla Papale Inter Caetera del 1493, in effetti, assegnava ai sovrani spagnoli e portoghesi il diritto di creare e gestire le missioni nei ‘territori d’oltre mare’, ovvero quelli di recente conquista. Si stabilisce il modello del patronato, di cui si è già discusso su questa rivista, che, nel corso del tempo si deteriora e viene sostituito dalla centralizzazione delle attività missionarie; questo cambiamento avviene mediante la creazione di Propaganda Fide nel 1622, un organo pontificio che sovrintendeva le missioni del mondo intero.

Gregorio XV, dunque, cerca di riprendere il controllo di quanto avviene nelle terre che appartengono alle potenze imperiali, come Spagna e Portogallo; nel corso del tempo, questo modello consentirà anche di gestire le relazioni tra le potenze protestanti e la Santa Sede, che riesce a resistere alla spinta evangelizzatrice riformata. La Congregatio de Propaganda Fide esiste ancora oggi, ma con un nome diverso; nel 1967 il suo nome cambia, e diventa la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (1967), e ultimamente è nota come Dicastero per l’Evangelizzazione (2022).


Resistenza alla Centralizzazione

Il cambio di paradigma non è stato rapido, in quanto gli antichi privilegi non sono stati abbandonati in maniera volontaria; al contrario, una vera e propria centralizzazione la si può osservare solamente a partire dal XIX secolo. Fino a questo momento, il patronato sopravvive, di fatto, nonostante le istruzioni di Propaganga Fide, e si configura una vera e propria resistenza al cambiamento; la Santa Sede ha cercato di abolire il padronado, considerato anacronistico e pregiudizieviole per le missioni.

Propaganda Fide, tuttavia, deve accontentarsi di controllare in maniera incompleta dei territori immensi, senza esercitare un reale potere di intervento, fino a quando il contesto internazionale muta, e la Santa Sede assume un potere senza precedenti. Quello che si configura, dunque, è un vero e proprio scontro tra poteri differenti, e fino a quando le potenze iberiche rimangono potenze coloniali globali, la Sede Romana rimane in una posizione di svantaggio.

Si pensi, in questo senso, all’Indipendenza americana e alla fine dell’Impero coloniale spagnolo, come avviene nelle Filippine nel 1898; il Portogallo, tuttavia, riesce a mantenere il patronato sul Mozambico, l’Angola e Capo Verde. Invece, la situazione asiatica è connotata da una maggiore complessità, in quanto la colonizzazione britannica sull’India e su altri territori attualmente indipendenti complica la strategia pontificia di accentramento delle missioni. La Cina, inoltre, era fermamente opposta all’espansione dell’influenza europea nel continente asiatico.

Il caso di Macao, in questo senso, appare emblematico, in quanto tale colonia (1575), che teoricamente avrebbe avuto giurisdizione per la Cina nella sua interezza, viene risolto solamente nel 1860; il suo territorio viene limitato alla provincia di Kwantung (attuale Guandong), ad eccezione di Hong Kong, e a qualche isola di modeste dimensioni. Allo stesso modo, si consideri le sorti della diocesi di Goa, fondata nel 1533 e diventata arcidiocesi nel 1558, da cui dipendeva un territorio immenso nelle ‘Indie’, tra cui l’attuale arcipelago indo-malese. Goa, in effetti, resistette a lungo per preservare la sua autorità al di fuori dei confini dell’India vera e propria; i continui conflitti con Roma, poi, portarono ad uno scisma verso la metà del XIX secolo.

Nel 1886 il Concordato siglato con il Portogallo permette una difficile co-abitazione con i missionari della Chiesa Latina, e risolve il lungo conflitto, anche se rimangono delle tensioni evidenti; in effetti, è solamente nel 1950 che la controversia viene risolta in maniera definitiva, dopo aver ricondotto le attività missionarie a Propaganda Fide e aver conferito il titolo di Patriarca dell’India all’arcivescovo di Goa. L’attuale arcivescovo di Goa, possiede anche la berretta cardinalizia e nei suoi titoli rientra quello di ‘Patriarca delle Indie Orientali’; si tratta, evidentemente, di un titolo onorifico, che però riflette la lunga tradizione e storia dell’arcidiocesi, che non ha perso il suo ruolo fondamentale di evangelizzatrice del continente asiatico.


La Strategia Missionaria

Le missioni cattoliche sono state condotte secondo un modello che teoricamente era accentrato a Roma, mediante Propaganda Fide; si tratta di un modello che spesso perseguiva obiettivi difficilmente compatibili. L’affermazione della centralità romana si scontrava con la dipendenza dalle potenze coloniali, che dovevano concedere una certa libertà di accedere ai territori in questione, la libertà di culto (si pensi agli imperi protestanti, come quello inglese e olandese), e altre concessioni. Il controllo delle missioni è sempre stato mediato, e affidato a ordini religiosi spesso in competizione tra di loro, un conflitto mediato da Propaganda Fide. Inoltre, anche se l’obiettivo era quello di superare gli interessi nazionali, essi non potevano certamente essere ignorati; per questa ragione, l’idea di avere missioni interamente controllate dalla Sede romana si è rivelato utopico.

Del resto, anche le potenze coloniali avevano interesse ad avere scuole, ospedali e altre infrastrutture critiche nei territori coloniali, in quanto si trattava di strumenti per consolidare e legittimare la propria presenza presso popolazioni straniere. Per questa ragione, quello che si configura è un delicato equilibrio tra gli interessi nazionali e quelli del Papato, desideroso di estendere la sua influenza culturale, prima ancora che religiosa.

Nel lungo periodo, dunque, le relazioni tra gli Stati e le attività missionarie possono essere considerate nella loro evoluzione; prima del 1914 sembra prevalere la collaborazione tra la Santa Sede e i governi nazionali. Anche se ci sono stati dei conflitti, si osserva una mutua cooperazione, basata sulla sostanziale convergenza di interessi; in altre parole, le missioni erano un asset sia per lo Stato coloniale che per la Santa Sede.

Un punto di svolta, invece, si osserva sotto il pontificato di Giacomo dalla Chiesa, Benedetto XV, che si esprime (per la prima volta in maniera chiara) contro gli eccessi del nazionalismo; nella sua enciclica del 1919, Maximum Illud, mostra chiaramente l’insofferenza della Santa Sede, non più disposta a fare compromessi con la sua dottrina e il carattere universale del cattolicesimo. Per questa ragione, nel 1920, egli dichiara che i missionari si devono occupare esclusivamente della loro missione spirituale, a prescindere dalla loro nazionalità. A partire da questo momento, si apre un dibattito sul nazionalismo dei missionari, che a volte porta a scontri tra missionari francesi e tedeschi, portatori di due visioni poco compatibili.


Evoluzione della Politica Missionaria

Nei primi decenni del XX secolo si assiste ad un’evoluzione della politica missionaria della Santa Sede, che permane essenzialmente intatta fino al Concilio Vaticano II; da Benedetto XV a Pio XII emerge una fondamentale centralizzazione del finanziamento delle attività missionarie. Roma diventa dunque il centro da cui vengono erogati i fondi per le missioni del mondo intero, mediante la creazione delle Società Pontificie Missionarie. Negli anni successivi, poi, le missioni testimoniano una crescente indigenizzazione del clero, e i vescovi (e vicari apostolici) vengono nominati anche tra il clero indigeno; si tratta di un processo di decolonizzazione delle missioni, che determina un netto distanziamento tra la Santa Sede e le potenze coloniali.

In questo modo, il clero nelle terre di missione diventa principalmente indigeno, un fenomeno che si osserva a livello globale; si pensi, in questo senso, che nelle Indie Orientali Olandesi il clero era prevalentemente europeo nel XIX secolo, ma verso la seconda metà del XX secolo i missionari olandesi diventano una stretta minoranza. In effetti, i convertiti inidigeni diventano sempre più numerosi, e accedono anche a posizioni sacerdotali ed episcopali; in questo modo, la Santa Sede diventa indipendente dagli Stati nazionali.

Tale cambiamento, evidenemente, ha incontrato delle resistenze, che si sono talvolta ripercosse negativamente sulle attività missionarie; ciò nonostante, questa tendenza si è rivelata inarrestabile, e l’indipendenza tra la Sede romana e le missioni esteri è diventata una realtà innegabile.

In tale contesto, sono stati due gli attori principali di tale cambiamento, ovvero la Segreteria di Stato, da una parte, e la Congregazione della Propaganda Fide, dall’altra; la prima esprime la linea generale del papato rispetto alle potenze coloniali, e determina il posizionamento strategico del Papato tra le nazioni. Tali aspetti, evidentemente, si riflettono sul funzionamento delle missioni che vengono condotte nel mondo intero; per questa ragione, assume un ruolo centrale la Curia Romana, ovvero l’apparato amministrativo e dirigenziale della Santa Sede.

A volte si configurano duri scontri sulla linea da adottare, come quella tra il Rampolla e Merry del Val, che esprimevano posizioni antitetiche; il primo era più aperto al compromesso con gli Stati nazionali, mentre il secondo era rigidamente romano-centrico.

Propaganda Fide, invece, aveva la responsabilità della gestione delle missioni, ma rimaneva subordinata alla Segreteria di Stato, in quanto le sue decisioni avevano risvolti politici indubitabili, che competevano al Segretario di Stato, la seconda carica dello Santa Sede dopo il Pontefice. Per questa ragione, PF aveva un’autonomia relativa, e doveva garantire il rispetto delle politiche decise dalla Segreteria, anche se non le condivideva. In realtà, si formano organi di compromesso, come la Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, che permettono la ricomposizione delle controversie; tali enti, poi, possono avere un carattere permanente oppure temporaneo.

La Santa Sede ha dunque affrontato in maniera pragmatica le problematiche relative alle missioni (e ad altre istanze), segnalando una evidente capacità di ricomporre i diversi interessi in gioco; questa abilità, evidentemente, ha avuto un riflesso positivo (in generale) sulle attività missionarie, anche se ovviamente non sono mancati gli scontri e le tensioni.


La Diplomazia della Santa Sede

La diplomazia è stato un aspetto fondamentale per le missioni, che è stato curato in maniera precisa, anche se non sempre ufficiale; non sempre, effettivamente, gli Stati non avevano relazioni dirette con la Sede Romana. Quest’ultima, tuttavia, cerca sempre di stabilire un rapporto diretto sia con le potenze coloniali che con gli Stati che non sono stati interessati dalla colonizzazione, come il Giappone e la Cina; ciò nonostante, prima del 1914 la principale potenza coloniale (Regno Unito) non aveva un ambasciatore presso la Santa Sede, ma solamente un Console Generale.

L’assenza di ambasciatori (e talvolta di Consoli) presso la Santa Sede, tuttavia, non si traduceva in una totale assenza di relazioni diplomatiche; in questi casi, veniva creata una rete di delegati apostolici che dipendevano dalla Congregazione per la Propaganda Fide. Si trattava di rapporti diplomatici informali, ma non meno efficaci di quelli ufficiali; i delegati apostolici spesso assumevano ruoli complessi, che comportavano elementi relativi alla diplomazia, e che permettevano di mantenere relazioni vitali con i governi esteri. Si pensi, in questo senso, ai delegati apostolici in India, attivi tra il 1892 e il 1916, considerati ‘gli occhi e le orecchie di Roma’; la presenza della Santa Sede, dunque, riesce ad estendersi grazie alla sua capacità di adattamento a circostanze anche complesse.

Tali figure, in effetti, garantivano la prosecuzione delle attività missionarie nella direzione voluta dalla Santa Sede; si pensi, in questo senso, alla rete di delegati apostolici nell’India Britannica (1884), in Australia (1914), in Indocina (1925), e in diversi centri africani, come il Cairo, Dakar e Pretoria. La presenza di tali figure ha preparato l’evoluzione di una diplomazia più matura e di relazioni dirette nei decenni successivi.


Una Politica di Compromesso

La Santa Sede ha sempre ritenuto importante mantenere delle buone relazioni con le potenze coloniali, senza però compromettere la sua indipendenza; al contrario, essa ha cercato attivamente di ottenere il sostegno delle popolazioni, un elemento essenziale per il buon funzionamento delle missioni. Per questa ragione, si osserva una certa neutralità rispetto ai governi esteri, allo scopo di garantire la libertà religiosa e la protezione delle attività missionarie.

Si tratta di un gioco estremamente complesso, che si svolge ancora oggi, e che spiega l’atteggiamento prudente della Santa Sede su questioni delicate e controverse, come l’atteggiamento verso governi socialisti (e.g. Cina) o apertamente ostili al cristianesimo (Paesi a maggioranza musulmana). Le politiche adottate dipendevano e dipendono da una serie di compromessi che permettono alle comunità cattoliche di sopravvivere anche quando esse rappresentano la minoranza o sono perseguitate dai governi.

Questo modello, estremamente duttile, ha permesso alla Chiesa Cattolica di consolidare la sua presenza anche in aree in cui il cattolicesimo è minoritario e si trova in una posizione di debolezza strutturale; per questa ragione, il compromesso non deve essere interpretato come debolezza della Santa Sede, ma come una strategia efficace per radicarsi in contesti in cui la sua presenza è precaria o minacciata.


Conclusioni

La Santa Sede ha mostrato, nel corso dei secoli, un atteggiamento estremamente flessibile rispetto alle missioni; dopo aver cercato di centralizzare le attività missionarie con Propaganda Fide, la Chiesa ha adottato una serie di compromessi che le hanno permesso di radicarsi anche in contesti difficili e minoritari. La capacità di adattarsi alle circostanze mantenendo la propria indipendenza emerge come tratto fondamentale della politica della Santa Sede, che si è radicata e ha esteso la sua presenza mediante una rete di contatti sia formali che informali con qualunque governo, senza schierarsi apertamente, tranne che in casi eccezionali (contro la Germania Nazista ad esempio).


Letture Consigliate

  • Pereira, J. L. (Ed.). (2022). Church-state relations in Africa in the nineteenth and twentieth centuries: mission, empire, and the Holy See. Springer Nature.
  • Lopes Pereira, J. (2022). Introduction: The Shifting Contexts of Church–State Relations in the European Colonies (Nineteenth to Twentieth Centuries). In Church-State Relations in Africa in the Nineteenth and Twentieth Centuries: Mission, Empire, and the Holy See (pp. 1-17). Cham: Springer International Publishing.
  • Moerschbacher, M. (2022). The Catholic Church and the State in the Congo: Some Aspects of a Changing Relationship from Colonialism to Independence. In Church-State Relations in Africa in the Nineteenth and Twentieth Centuries: Mission, Empire, and the Holy See (pp. 155-170). Cham: Springer International Publishing.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 hai iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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