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Abstract

La Malesia costituisce un osservatorio privilegiato per comprendere le tensioni tra pluralismo religioso e affermazione di uno Stato a forte impronta islamica; anche se la Costituzione federale sancisce la libertà di culto, l’evoluzione interpretativa delle sue disposizioni ha consolidato un quadro nel quale l’Islam solo gode di uno status privilegiato e sovraordinato. Allo stesso tempo, la religione maggioritaria orienta in maniera crescente le scelte legislative e amministrative.

In tale contesto, le comunità cristiane sono spesso assoggettate a vincoli che non si limitano alla sfera giuridica, ma incidono sulla vita quotidiana, condizionando le pratiche di culto, l’educazione e l’accesso ai media. Questo articolo cerca di comprendere questa complessa (e spesso ignorata) realtà, indagangone le dimensioni fondamentali; lo scopo è quello di stimolare un dibattito per riportare al centro il pluralismo religioso, insito nella storia e nella composizione demografica del Paese.


Malaysia constitutes a privileged observatory for understanding the tensions between religious pluralism and the assertion of a state with a strong Islamic imprint; even though the federal Constitution guarantees freedom of worship, the interpretative evolution of its provisions has consolidated a framework in which Islam alone enjoys a privileged and superior status. At the same time, the majority religion increasingly influences legislative and administrative choices.

In this context, Christian communities are often subjected to constraints that are not limited to the legal sphere but affect daily life, conditioning worship practices, education, and access to media. This article seeks to understand this complex (and often ignored) reality, investigating its fundamental dimensions; the aim is to stimulate a debate to bring religious pluralism, inherent in the history and demographic composition of the country, back to the forefront


Introduzione – Tra Pluralismo Religioso e Stato Islamico

La Malesia costituisce un caso emblematico per lo studio delle dinamiche tra pluralismo religioso e costruzione di uno Stato a forte connotazione islamica; la storia politica e sociale del Paese è infatti segnata da una costante ricerca di equilibrio tra l’identità etnico-religiosa della maggioranza malay e la realtà di una società composita, nella quale coesistono numerose minoranze culturali e confessionali. Tra queste, le comunità cristiane occupano un posto di rilievo, non solo per la loro consistenza numerica (circa il 9% della popolazione secondo l’ultimo censimento) ma anche per la loro distribuzione territoriale. Esse rappresentano la maggioranza relativa in alcuni distretti di Sabah e Sarawak, regioni orientali del Paese, mentre nella penisola malese sono concentrate soprattutto tra le minoranze cinesi e indiane.

Chiesa Protestante Olandese a Malacca

Il dato demografico si intreccia con un impianto costituzionale che, pur proclamando la libertà religiosa, conferisce all’Islam uno statuto privilegiato; a differenza di quanto avviene in Indonesia, l’articolo 3 della Costituzione malese dichiara l’Islam ‘religione della Federazione’, mentre l’articolo 11 garantisce, almeno sul piano formale, il diritto di ciascun individuo a professare e praticare la propria fede. Tuttavia, come osservano numerosi giuristi, la prassi applicativa ha progressivamente eroso questo equilibrio, producendo un sistema nel quale le minoranze non vivono una condizione di piena eguaglianza sostanziale.

Non si tratta, del resto, di una questione meramente giuridica, in quanto tale situazione si riflette nella vita quotidiana delle comunità cristiane, incidendo sulla possibilità di costruire luoghi di culto, di celebrare liberamente i propri riti, di accedere ai media religiosi o di educare le nuove generazioni nella propria fede. Non si tratta, dunque, di episodi isolati di discriminazione, bensì di un insieme di norme, prassi e consuetudini che, pur non configurandosi sempre come atti apertamente persecutori, delineano un quadro di progressiva marginalizzazione.

In questo contributo analizzeremo tale scenario sotto tre profili: il fondamento costituzionale e i suoi limiti strutturali; il ruolo delle istituzioni religiose e dell’apparato statale nel condizionare le libertà confessionali; e, infine, le politiche amministrative che, attraverso regolamenti e vincoli burocratici, rendono diseguale l’accesso ai diritti.

Secondo l’ultimo rapporto dell’USCIRF, nel 2024, in Malesia

Following Malaysia’s 2022 General Election, the growing influence
of the Islamist Malaysian Islamic Party (PAS) has contributed to
an increase in hardline approaches in state and society toward the
implementation of Shari’a-based laws and education policies as well
as toward a variety of social issues. PAS often regards non-Muslims as
a threat to the dominant role of Sunni Islam in Malaysian society and
exerts pressure on the administration of Prime Minister Anwar Ibrahim
to adopt stricter, religiously based policies.

A seguito delle Elezioni Generali del 2022 in Malesia, la crescente influenza del Partito Islamico Malese (PAS) ha contribuito a un aumento degli approcci intransigenti nello stato e nella società verso l’implementazione di leggi e politiche educative basate sulla Shari’a, così come verso una varietà di questioni sociali. Il PAS spesso considera i non musulmani come una minaccia al ruolo dominante dell’Islam sunnita nella società malese e fa pressione sull’amministrazione del Primo Ministro Anwar Ibrahim per adottare politiche più severe, basate sulla religione.

(United States Commission for International Religious Freedom, Annual Report 2025, p. 61)

Per queste ragioni, la Malaysia è stata inserita nella ‘Watch List’, una categoria intermedia tra le nazioni in cui sono presenti più abusi e quelle in cui viene garantita una sostanziale libertà di religione, al pari dell’Indonesia. Le dinamiche che si possono osservare in questi due Paesi, in effetti, sono simili, ma in Malesia sembra che l’islamizzazione sia più accentuata, e riguarda l’intero Paese, mentre in Indonesia questo fenonemo si osserva in maniera esplicita solamente ad Aceh.


Il Fondamento Costituzionale e i Suoi Limiti

Al momento dell’indipendenza, nel 1957, la Malesia ha adottato una Costituzione che, sul modello di Westminster, intendeva coniugare il riconoscimento delle identità locali con i principi di una democrazia parlamentare. Il compromesso raggiunto tra le élite malay e i rappresentanti delle minoranze sino-indiane si tradusse in un doppio dispositivo; da un lato, la proclamazione dell’Islam come religione ufficiale dello Stato; dall’altro, la garanzia – almeno formale – di libertà religiosa per tutti i cittadini.

L’articolo 11, in effetti, è chiaro nella sua enunciazione,

Ogni persona ha diritto alla libertà di professare e praticare la propria religione e, con le limitazioni previste dalla presente Costituzione, di propagarla

Costituzione della malesia, articolo 11.

Tuttavia, la clausola restrittiva si è rivelata decisiva, e, in effetti, l’articolo 11(4) attribuisce agli Stati federati la facoltà di limitare la propagazione di dottrine religiose tra i musulmani; si tratta di una disposizione nata con l’intento di prevenire conflitti interconfessionali. La sua interpretazione, tuttavia, è stata ampia, al punto di giustificare un sistema normativo che nella pratica vieta qualsiasi forma di evangelizzazione, anche indiretta, verso i musulmani.

A tale restrizione si aggiunge l’interpretazione evolutiva dell’articolo 3, che in origine sembrava limitare il ruolo ufficiale dell’Islam ad un riconoscimento cerimoniale; successivamente, le pronunce giurisprudenziali e le politiche governative ne hanno fatto il perno di una progressiva islamizzazione dello spazio pubblico. La stessa nozione di ‘religione della Federazione’ è stata letta come fondamento giuridico per attribuire all’Islam un ruolo preponderante nella definizione delle norme, dei valori e persino delle consuetudini amministrative.

Il principale problema, tuttavia, è rappresentato dal dualismo giuridico, secondo cui le corti civili convivono con i tribunali della sharia, alle quali compete la materia dello status personale per i musulmani. Questa dualità ha generato conflitti giurisdizionali in numerosi casi di conversione, specialmente nei contesti familiari; emblematici, da questo punto di vista, sono i casi di minori convertiti unilateralmente dal genitore che ha abbracciato l’Islam. Nonostante i principi del diritto civile tutelino queste persone, le corti islamiche hanno spesso avallato tali decisioni, lasciando i genitori non musulmani privi di strumenti effettivi per tutelare i propri diritti.

In termini sostanziali, dunque, la garanzia costituzionale di libertà religiosa appare subordinata a una logica confessionale, secondo cui l’Islam gode di uno statuto privilegiato e sovraordinato, mentre alle altre religioni viene concesso uno spazio ridotto, condizionato e spesso incerto.


Apparato Istituzionale – JAKIM, Fatwa e Poteri delle Autorità Religiose

Il processo di islamizzazione in Malesia non si è limitato al piano giuridico, ma ha trovato la sua principale espressione nella costruzione di un robusto apparato amministrativo; il fulcro di questo sistema è il Jabatan Kemajuan Islam Malaysia (JAKIM), istituito nel 1997 ma radicato in esperienze precedenti. Nato come organo di coordinamento delle politiche religiose, il JAKIM (similmente al MUI indonsiano) si è progressivamente trasformato in un attore centrale nella definizione dell’ortodossia islamica, con competenze che spaziano dalla certificazione halal alla supervisione dei contenuti mediatici.

Logo del JAKIM malese

Il potere di JAKIM non è tuttavia solamente simbolico, ma, attraverso la sua rete di dipartimenti e agenzie statali, esso influenza la vita quotidiana dei cittadini, sia musulmani che di altre religioni; le fatwa emanate dai Consigli religiosi, pur prive di efficacia erga omnes, hanno un impatto rilevante sul clima sociale e sulle prassi amministrative. Emblematico, a tale proposito, è il divieto di utilizzo del termine ‘Allah’ nei testi cristiani in lingua malese; tale misura è stata presentato come una tutela dei musulmani, ma ha comportato sequestri di Bibbie, blocchi doganali e lunghe battaglie giudiziarie.

Il controllo, del resto, non si limita al linguaggio, e, in effetti, JAKIM e le autorità religiose intervengono anche nell’organizzazione degli eventi pubblici, imponendo autorizzazioni per le processioni e limitando le celebrazioni che, a loro giudizio, potrebbero ‘turbare l’ordine sociale‘. In questo modo, lo Stato assume il ruolo di arbitro delle manifestazioni religiose, subordinando la libertà di culto a criteri di opportunità politica e conformità ideologica.

Si tratta di una situazione già precaria, che potrebbe essere ulteriormente complicata dal cosiddetto ‘Federal Territories Mufti Bill’; presentato nel 2024, questo progetto di legge, non ancora approvato dal Parlamento malese, che, se approvato,

(…) would expand the powers of
muftis—Islamic legal experts with the authority to issue religious
rulings, or fatwas—in federal territories. Critics fear that the passage
of the bill could lead to the official enforcement of fatwas as law
and infringe on the rights of non-Muslims without any recourse. If
passed, the bill would also grant unelected officials the power to
legislate without transparency or due process while giving additional,
exclusive authority to the Shafi’i school of Islamic jurisprudence, further
marginalizing religious minorities and Muslims who follow other
interpretations of Islam.

(…) espanderebbe i poteri dei muftì—esperti legali islamici con l’autorità di emettere sentenze religiose, o fatwa—nei territori federali. I critici temono che l’approvazione del disegno di legge potrebbe portare all’applicazione ufficiale delle fatwa come legge e violare i diritti dei non musulmani (che si troverebbero, ndr) senza alcun ricorso. Se approvata, la legge darebbe anche ai funzionari non eletti il potere di legiferare senza trasparenza o giusto processo, mentre conferirebbe ulteriore autorità esclusiva alla scuola di giurisprudenza islamica Shafii, marginalizzando ulteriormente le minoranze religiose e i musulmani che seguono altre interpretazioni dell’Islam.

(United States Commission for International Religious Freedom, Annual Report 2025, p. 61)

Questo progetto di legge estenderebbe il processo di islamizzazione della Malesia, e al momento in cui esce questo articolo (18 luglio 2025) esso non è ancora stato approvato; le critiche sono in effetti numerose, e si concentrano sulla sostanziale incostituzionalità di una legge che trasformerebbe la Malesia in un Paese islamico tout court.


Legislazione Secondaria e Politiche Amministrative Discriminatorie

La discriminazione nei confronti delle comunità cristiane si manifesta anche attraverso strumenti apparentemente tecnici, come i regolamenti edilizi o le norme sulla stampa; si consideri, a questo proposito, l’insieme di norme che regolano il culto cristiano. Si tratta di leggi e regolamenti decisi da ciascuno Stato della Federazione Malese, e che, dunque, possono variare; in generale, la costruzione di una chiesa, è subordinata alla raccolta del consenso dei residenti musulmani della zona, al rispetto di vincoli di distanza dalle moschee, e a limitazioni architettoniche. Se venissero approvate le nuove linee guida del 2025, anche i contenuti degli eventi religiosi non islamici sarebbero sottoposti a censure per evitare di ‘insultare i musulmani’.

In pratica, queste condizioni rendono quasi impossibile edificare nuovi luoghi di culto in molte aree urbane, considerata la difficoltà nel rispettare i requisiti previsti da legislazioni che, oltre ad essere vessatorie, possono anche cambiare senza preavviso.

Analogamente, il Printing Presses and Publications Act del 1984 ha fornito la base legale per controllare le pubblicazioni religiose; in accordo con quanto previsto dalla legge malese, le autorità hanno più volte sequestrato Bibbie in lingua malese, sostenendo che la presenza di termini arabi potesse confondere i musulmani. Evidentemente, si tratta di un’interpretazione politica, tesa a controllare e reprimere la minoranza cristiana, che comunque sta crescendo, analogamente a quanto si osserva in altri contesti in cui il criacristianesimo viene perseguitato o ristretto nella sua libertà.

Infine, il dispositivo censorio si estende alla sfera culturale, e il caso del film Mentega Terbang, accusato di ‘offendere i sentimenti religiosi’, ha dimostrato come la tutela della sensibilità islamica sia diventata un criterio normativo trasversale, capace di incidere sulla libertà artistica e sul dibattito pubblico.


Conclusioni – Tra Garanzie Formali e Asimmetria Sostanziale

L’analisi condotta evidenzia un paradosso (che si osserva in diversi Stati a maggiornanza musulmana, come l’Indonesia, anche se con un’intensità differente), in quanto la Malesia si presenta come un Paese costituzionalmente pluralista, ma il suo sistema normativo e amministrativo produce effetti asimmetrici che penalizzano le minoranze religiose, in particolare quelle cristiane. Non si tratta di discriminazione sporadica, bensì di un regime che privilegia un modello confessionale di cittadinanza, nel quale l’Islam non è solo religione della Federazione, ma criterio ordinatore della vita pubblica.

Le prospettive di riforma appaiono complesse, in quanto il peso politico dei partiti islamisti e la crescente mobilitazione identitaria riducono i margini per un ripensamento radicale del sistema in vigore; tuttavia, iniziative della società civile (come quelle promosse dal MCCBCHST) e le pressioni esercitate dagli organismi internazionali rappresentano spazi di resistenza e di dialogo. La sfida consiste nel tradurre in prassi effettiva il principio costituzionale di libertà religiosa, superando logiche di privilegio e restituendo alla Malesia la vocazione pluralista inscritta nella sua storia.


Letture Consigliate

  • Mohiuddin, A. (2024). Constitutional status of religious freedom in Egypt and Malaysia: A cross‑national analysis. In Human Rights Law in Egypt and Malaysia: Freedom of Religion and Expression (Vol. 1, pp. xx–yy). Cham: Palgrave Macmillan.
  • Mohd Azizuddin Mohd Sani. (2020). Islamization policy and Islamic bureaucracy. In Islam and Religious Expression in Malaysia (pp. 25–64). ISEAS–Yusof Ishak Institute.
  • Liow, J. C. (2021). Malaysia’s creeping Islamization—and dimming prospects for covenantal pluralism. The Review of Faith & International Affairs, 19(2), 1–13.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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