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Abstract

Tra il 2014 e il 2021, l’Afghanistan ha vissuto l’ultima fase del suo esperimento statuale modernizzatore, sotto la guida del presidente Ashraf Ghani; economista per formazione, intellettuale cosmopolita e funzionario della Banca Mondiale, Ghani incarnò la speranza (o l’illusione) di un Afghanistan moderno, centralizzato e meritocratico. Il suo progetto politico, ispirato a modelli di governance globale e sviluppo post-conflitto, si infranse tuttavia contro una realtà sociale e politica irriducibilmente complessa e segnata dal tribalismo, dalla corruzione, da una guerra asimmetrica, e dalla fragilità istituzionale, che ha facilitato il ritorno dei talebani nell’agosto del 2021.


Between 2014 and 2021, Afghanistan experienced the final phase of its state modernization experiment, under the leadership of President Ashraf Ghani; economist by training, cosmopolitan intellectual, and World Bank official, Ghani embodied the hope (or illusion) of a modern, centralized, and meritocratic Afghanistan. His political project, inspired by models of global governance and post-conflict development, however, crashed against an irreducibly complex social and political reality marked by tribalism, corruption, asymmetric warfare, and institutional fragility, which facilitated the return of the Taliban in August 2021.


Un Presidente Inatteso – Biografia e Formazione

Ashraf Ghani Ahmadzai nacque nel 1949 a Logar, in una famiglia pashtun dell’élite burocratica, e in seguito egli studiò prima in Afghanistan e successivamente negli Stati Uniti, dove ottenne un dottorato in antropologia culturale alla Columbia University. Per oltre due decenni operò in ambito accademico e internazionale, alla Banca Mondiale, presso università statunitensi e in missioni ONU, guadagnandosi una reputazione come esperto di sviluppo e ricostruzione post-bellica.

In un discorso del 2009 al Atlantic Council, Ghani affermava che

(…) the threat of insurgency is very real.  It’s not underappreciated.  In the past, this was continuously the trend.  Nobody wanted to hear bad news.  Two, the Afghan government is viewed as predatory and, therefore, part of the threat.  And Afghan political brokers are viewed as part of the threat.  I’m glad that the argument that I made as part of the 10-year plan in the Atlantic Council is now reflected in this thinking.

(…) La minaccia dell’insurrezione è molto reale. Non è sottovalutata. In passato, questa era continuamente la tendenza. Nessuno voleva sentire cattive notizie. In secondo luogo, il governo afghano è visto come predatorio e, quindi, parte della minaccia. E i broker politici afghani sono visti come parte della minaccia. Sono contento che l’argomento che ho presentato come parte del piano decennale nel Consiglio Atlantico ora si rifletta in questo modo di pensare.

Ashraf Ghani, Discorso pronunciato al Atlantic Council, 15 ottobre 2009

Tornato in Afghanistan dopo la caduta dei talebani nel 2001, Ghani divenne rapidamente uno dei volti del nuovo corso repubblicano; prima fu rettore dell’Università di Kabul, poi ministro delle Finanze (2002–2004), infine, dopo un periodo da consigliere, venne candidato alla presidenza nel 2009 e nel 2014. Proprio in quest’ultima tornata, al termine di elezioni contestate e di un lungo braccio di ferro con l’avversario Abdullah Abdullah, divenne presidente della Repubblica Islamica d’Afghanistan, sotto l’egida di un governo di unità nazionale mediato dagli Stati Uniti.

Ashraf Ghani

Ghani giunse al potere con una visione nitida e strutturata del futuro, quella di uno Stato moderno, legale, efficiente, capace di sostituire le logiche clientelari e tribali con la razionalità burocratica. Il suo modello era rappresentato dalle esperienze asiatiche di sviluppo accelerato (Singapore, Corea del Sud, Ruanda), adattato al contesto afghano attraverso una narrativa patriottica centrata sulla riforma dello Stato.


Lo Stato come Progetto – Visione e Retorica

    Il cuore del pensiero politico di Ghani può essere riassunto nella sua opera più nota, del 2008, co-firmata con Clare Lockhart, Fixing Failed States: A Framework for Rebuilding a Fractured World; il volume, diventato un punto di riferimento nei circoli della cooperazione internazionale, propone una visione ‘manageriale’ dello Stato. Secondo Ghani, dunque, si tratta di ricostruire gradualmente un insieme di funzioni, attraverso una governance responsabile, una fiscalità efficiente, il controllo territoriale e l’inclusione economica.

    In quest’opera, Ghani identifica 10 funzioni principali di uno Stato moderno, iniziando dalla ‘Rule of Law’, ovvero dallo ‘Stato di Diritto’; secondo l’ex presidente dell’Afghanistan, nessun progetto statale può avere successo senza questo elemento iniziale.

    In particolare, egli nota che,

    Perhaps the most crucial function performed by the state is law making
    (i.e., establishing the rules by which society operates). Laws defi ne
    both the powers and the limits of the state and the people within that
    state. In any particular territory, one can judge the degree of the rule
    of law by the extent to which the state is constituted by formal rules to
    which people actually adhere.
    The rule of law is a “glue” that binds all aspects of the state, the
    economy, and society. Each of the state’s functions is defi ned by a specifi
    c set of rules that creates the governance arrangements— decision
    rights, processes, accountabilities, freedoms, and duties—for that function.
    Rules provide both resources that enable innovation to occur and
    constraints that limit behavior. In some societies, the state has the right
    to take away life and property if doing so is determined to be in the
    public interest. As a result of the rule of law, citizens understand a distinct
    set of rights and duties that guides their behavior toward other
    citizens, as well as toward the larger community of citizens represented
    by the state.

    Forse la funzione più cruciale svolta dallo stato è la creazione delle leggi (cioè, l’istituzione delle regole secondo cui opera la società). Le leggi definiscono sia i poteri che i limiti dello stato e delle persone all’interno di quello stato. In qualsiasi territorio particolare, si può giudicare il grado di stato di diritto in base all’estensione in cui lo stato è costituito da regole formali a cui le persone effettivamente aderiscono.
    Lo stato di diritto è una “colla” che unisce tutti gli aspetti dello stato, dell’economia e della società. Ognuna delle funzioni dello stato è definita da un insieme specifico di regole che crea gli assetti di governance—diritti decisionali, processi, responsabilità, libertà e doveri—per quella funzione.
    Le regole forniscono sia risorse che permettono l’innovazione sia vincoli che limitano il comportamento. In alcune società, lo stato ha il diritto di togliere la vita e la proprietà se ciò viene ritenuto nell’interesse pubblico. Come risultato dello stato di diritto, i cittadini comprendono un insieme distinto di diritti e doveri che guida il loro comportamento verso gli altri cittadini, così come verso la più ampia comunità di cittadini rappresentata dallo stato.

    Ashraf Ghani, Clare Lockhart, Fixing Failed States: A Framework for Rebuilding a Fractured World, Oxford University Press, 2008, p. 125.

    Si tratta dunque di un’opera accademica, e questa caratteristica ha probabilmente influenzato il risultato negativo ottenuto alla presidenza del Paese; un’impostazione eccessivamente accademica, che non ha tenuto nella debita considerazione la realtà. Tale relazione appare evidente nella retorica presidenziale di Ghani, che, a partire dal 2014, assunse i toni di una missione riformatrice; egli si definiva ‘ingegnere della modernità afghana’, e costruì una narrativa fondata sulla trasparenza, la legalità, l’anticorruzione, la meritocrazia. L’apparato statale, nelle sue intenzioni, doveva divenire il motore dello sviluppo e il garante della sovranità, esattamente come aveva proposto nella sua opera del 2008.

    Il suo approccio, però, fu anche fortemente centralista, in quanto Ghani rifiutava la mediazione con i ‘signori della guerra’, e preferiva circondarsi di giovani tecnocrati piuttosto che di capi tribali; in questo modo, egli cercava di rafforzare l’autorità presidenziale contro i poteri ‘informali’ (ma influenti!) del sistema politico afghano.


    Riforme Teoriche vs. Realtà sul Terreno

      Nel corso dei suoi due mandati, Ghani promosse numerose riforme, spesso apprezzate dai documenti ufficiali delle agenzie internazionali; tra le iniziative più significative se ne possono ricordare alcune particolarmente significative. La prima è stata la riforma della proprietà fondiaria, con la digitalizzazione dei registri catastali; a questa si aggiunge l’introduzione di una carta d’identità elettronica (e-Tazkira), finalizzata al censimento e alla trasparenza elettorale.

      Altre riforme, poi, riguardano il tentativo di ridurre la dipendenza dagli aiuti esterni, attraverso la riforma fiscale e doganale e la centralizzazione del reclutamento nella pubblica amministrazione, con concorsi pubblici e standardizzati (riforma meritocratica). Ancora, si ricorda l’ampliamento dell’istruzione, in particolare per le ragazze, con la costruzione di migliaia di scuole; infine, egli ha istituito nuovi meccanismi di lotta alla corruzione, come il Comitato per la Riforma dell’Amministrazione e la creazione di una Procura Anticorruzione.

      Tuttavia, gran parte di queste riforme si è scontrata con limiti strutturali, a cui Ghani non ha prestato una sufficiente attenzione; i registri digitali non riuscirono a sostituire le reti informali, ma consolidate, di proprietà terriera. Le Tazkira elettroniche furono osteggiate da molti settori della società, anche per ragioni etnico-politiche, mentre la lotta alla corruzione fu selettiva e politicizzata; nel suo complesso, l’apparato statale non diventò affatto meritocratico, ma rimase intrappolato nelle logiche clientelari, che non si possono modificare con leggi e decreti.

      La visione di Ghani è stata dunque frustrata dall’assenza di una base sociale sufficiente per attuarla, che ha decretato il fallimento del suo progetto e la percezione di un governo ‘estraneo’ in Afghanistan; l’autorevolezza del governo, in effetti, è sempre stata condizionata negativamente dalla presenza di figure e proposte che non sono riconosciute dalla società afghana.


      Isolamento Politico e Fratture Etniche

        Uno degli errori più gravi commesso da Ghani fu probabilmente la gestione dei rapporti politici interni, in quanto egli governò spesso in modo solitario, con un ristretto numero di consiglieri fidati, escludendo figure chiave della politica afghana, in particolare esponenti dell’etnia tagika, hazara e uzbeka. Per questa ragione, nonostante la retorica dell’unità nazionale, il suo governo fu percepito come pashtun-centrico.

        Il rapporto conflittuale con Abdullah Abdullah, poi, vicepresidente de facto dal 2014, ne è un esempio lampante; dopo le elezioni del 2019, ancora una volta contestate, Ghani fu proclamato vincitore, ma Abdullah formò un governo parallelo. Solamente un nuovo accordo, mediato dagli Stati Uniti, evitò una crisi istituzionale causata dalla mancanza di una reale comprensione della situazione da parte del Presidente.

        Questa polarizzazione etnica e politica indebolì ulteriormente lo Stato, generando disillusione e sfiducia nelle già fragili istituzioni; la mancanza di consenso interno rese poi impossibile l’attuazione di molte riforme e rese vulnerabile il governo agli attacchi talebani, che seppero sfruttare le divisioni interne.


        Islam, Identità e libertà

          Ashraf Ghani non fu un riformatore religioso, e nemmeno un laicista, mentre la sua visione era quella di un Islam civico, compatibile con la modernità statuale, ma senza mettere in discussione il carattere islamico della Repubblica. La Costituzione del 2004, che egli rispettò integralmente, riconosceva l’Islam come religione di Stato e subordinava molte libertà ai ‘precetti della shariah’; per questa ragione, lo Stato aveva già un carattere ‘islamico’.

          Durante la sua presidenza, non furono introdotte riforme in materia di libertà religiosa, diritti delle minoranze o tutela dei convertiti; al contrario, l’apostasia e la blasfemia rimasero formalmente dei reati, e le poche comunità cristiane afghane continuarono a vivere in clandestinità. I casi di persecuzione, come quello di Said Musa, risalente al 2010, appartenevano ad epoche precedenti, ma non fu introdotta nessuna garanzia in questo senso.

          Le comunità hindu e sikh, pur storicamente presenti, subirono continui attacchi e furono progressivamente costrette all’esilio; l’Afghanistan di Ghani non fu dunque uno Stato pluralista, ma rimase islamico. Ghani, del resto, preferì evitare ogni confronto con il clero tradizionale o con i settori religiosi più conservatori, mantenendo un fragile equilibrio.


          Il Collasso – Il Ritorno dei Talebani nel 2021

            Nell’agosto del 2021, mentre le truppe americane completavano il ritiro deciso dall’amministrazione Trump e confermato da Biden, i Talebani avanzarono rapidamente su tutto il territorio nazionale; il governo repubblicano collassò in poche settimane. Il 15 agosto, Ashraf Ghani abbandonò Kabul, salendo su un aereo diretto negli Emirati Arabi Uniti, e si concluse definitivamente il suo ambizioso progetto di riformare uno Stato in senso maggiormente democratico.

            La fuga fu percepita come un atto di tradimento, e in un’intervista successiva, Ghani si giustificò affermando di aver voluto evitare inutili spargimenti di sangue; ciò nonostante la sua partenza segnò il fallimento totale del progetto che egli aveva incarnato. L’apparato statale da lui costruito, privo di radicamento popolare e di legittimità sociale, si dissolse senza combattere, dimostrando la totale assenza di un radicamento sociale e politico significativo.

            Servizio sulla Fuga di Ghani dal Paese (Credits: TRT World)

            Nel frattempo, gli aiuti internazionali si interrompevano, le scuole venivano chiuse, e i Talebani ristabilivano un regime teocratico, che continua ancora oggi; del resto, i segnali di un probabile ritorno dei talebani erano presenti da diverso tempo.

            In un articolo apparso su CTC del Novembre/Dicembre del 2020, si osservava,

            The Taliban is led by Mawlawi Haibatullah Akhunzada, who
            was appointed emir after the United States killed his predecessor,
            Mullah Akhtar Mansour, in a May 2016 drone strike. Akhunzada
            is a cleric with no serious military experience.50 While Akhunzada
            is the organization’s leader, the Taliban rules by consensus among
            members of its Rahbari Shura. The shura is primarily composed of
            Pashtuns from eastern and southern Afghanistan, though it does
            have some non-Pashtun figures including Uzbek.

            I Talebani sono guidati da Mawlawi Haibatullah Akhunzada, che è stato nominato emiro dopo che gli Stati Uniti hanno ucciso il suo predecessore, Mullah Akhtar Mansour, in un attacco aereo nel maggio 2016. Akhunzada è un religioso senza alcuna seria esperienza militare. 50 Mentre Akhunzada è il leader dell’organizzazione, i Taliban governano per consenso tra i membri del loro Rahbari Shura. La shura è composta principalmente da Pashtun dell’est e del sud dell’Afghanistan, anche se include alcune figure non Pashtun, tra cui uzbeki.

            Seth G. Jones, Afghanistan’s Future Emirate? The Taliban and the Struggle for Afghanistan, CTC Sentinel, November/December 2020, p. 3.

            I talebani, dunque, sono riconosciuti come portatori di un progetto strutturato, organizzato e riconosciuto da una considerevole fascia della popolazione afghana; al contrario del progetto statale di Ghani, quello talebano è radicato (sebbene controverso) nella realtà afghana.


            Un progetto elitario, non nazionale

              A distanza di qualche anno, il bilancio dell’esperienza di Ashraf Ghani resta oggetto di dibattito, in quanto alcuni lo considerano un riformatore isolato, affossato da forze che non ha potuto controllare, come la guerra, la corruzione, l’interferenza straniera e l’eredità tribale. Altri, invece, lo accusano di arroganza tecnocratica, di aver ignorato la complessità dell’Afghanistan reale, e di aver costruito uno Stato senza nazione, incapace di resistere all’urto della storia.

              Il suo progetto, colto, sofisticato e razionale, non fu condiviso dalla maggioranza degli afghani, e la costruzione dello Stato, senza una società civile attiva, senza inclusione reale, senza consenso culturale, si rivelò effimera. L’altro Afghanistan sognato da Ghani era forse possibile, ma non in quelle condizioni, e attraverso una serie di riforme calate e imposte dall’alto ad una società che andava, evidentemente, nella direzione opposta.


              Conclusione

              Ashraf Ghani ha rappresentato l’ultima incarnazione dell’Afghanistan moderno, tecnocratico e filo-occidentale; il suo progetto, anche se sostenuto da buone intenzioni e da una visione coerente, fallì nel concreto per mancanza di radicamento, di consenso, e soprattutto di realismo politico.

              La sua parabola, simile a quella di altri intellettuali prestati alla politica, testimonia i limiti strutturali dei progetti di nation-building in contesti fragili; la lezione afgana resta, perciò, tragicamente attuale, e rimane come avvertimento per futuri scenari simili. Non è possibile costruire uno Stato solamente con la teoria, ma un progetto del genere richiede tempo, consenso, legittimità e una comprensione profonda delle culture locali.

              La crisi nell’area israeliana rappresenta, attualmente, uno scenario in cui si potrebbero ricreare condizioni simili a quelle afghane; si auspica che la costruzione di un futuro e ipotetico Stato Palestinese non commetta i medesimi errori che la storia ha già condannato senza appelli.


              Letture Consigliate

              • Murtazashvili, J. B. (2022). The collapse of Afghanistan. Journal of Democracy33(1), 40-54.
              • Sahar, A., & Sahar, A. (2021). Ethnic politics and political violence in post-2001 Afghanistan: the 2014 presidential election. Terrorism and political violence33(8), 1692-1712.
              • Rahimi, H. (2025). Legitimizing Power in Afghanistan. Power and Authority in Afghanistan: Rethinking Politics, Intervention and Rule, 49.

              Di Salvatore Puleio

              Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 hai iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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