IS
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Abstract

Il noto gruppo terroristico ISIS, lo Stato Islamico, ha occupato ingenti territori tra la Siria e l’Iraq tra il 2014 ed il 2019, e la sua influenza è stata avvertita anche in Indonesia, il Paese che ospita la più grande comunità islamica del mondo. Il successo avuto in questo Paese, che ha comunque saputo contenere questa minaccia, dimostra l’abilità di ISIS nel manipolare la storia di questo Paese per reclutare simpatizzanti per la sua causa.


The notorious terrorist group ISIS, the Islamic State, occupied vast territories between Syria and Iraq from 2014 to 2019, and its influence was also felt in Indonesia, the country that hosts the largest Islamic community in the world.The success achieved in this country, which has nonetheless managed to contain this threat, demonstrates ISIS’s ability to manipulate the history of this country to recruit sympathizers for its cause.


Introduzione – Origini di ISIS

Le origini di ISIS risalgono al 1999, quando Al Zarkawi, il fondatore di Jamaat al Tauid wa Jihad (JTJ) propose l’idea di uno Stato Islamico in Iraq, allo scopo di rovesciare il governo giordano e perseguire la lotta armata in Afghanistan. Nel 2003, il gruppo fondato da al Zarkawi diventò attivo nell’opposizione delle operazioni militari statunitensi in Iraq, e si alleò con al Qaeda, guidato da Osama Bin Laden; per questa ragione, JTJ si considerò una branca operativa di Al Qaeda in quella regione. Nel 2006, al Zarkawi creò un altro gruppo jihadista, Majlis Shura Al-Mujahedin (MSM), specializzato nella lotta armata, che si unì ad altri movimenti simili.

Grazie alla leadership di al Qaeda, MSM sviluppò la capacità di imporre la sharia all’interno di un Paese, ma poco tempo dopo la creazione di questo gruppo le forze statunitensi uccisero il suo fondatore nel corso di un’azione militare. In seguito, Abu Ayyub e Abu Omar cercarono di stabilire uno Stato Islamico in alcune aree dell’Iraq che erano riuscite a portare sotto il loro controllo; tuttavia, il progetto non ebbe un successo, fino a quando Abu Bakr al Baghdadi trasformò ISI in ISIS, nel 2013. Si trattava di una persona la cui leadership si era stabilita a partire dal 2010.

Abu Bakr al Baghdadi

In un messaggio vocale registrato, Al Baghdadi cercò di ottenere il supporto e l’obbedienza dei musulmani del mondo intero, e furono molti, tra coloro che ascoltarono questo appello, a rispondere in maniera positiva. ISIS creò poi uno Stato Islamico basato sulla teologia salafita/jihadista. Al contrario di altri gruppi, come la stessa al Qaeda, ISIS pose al centro della sua azione il controllo di un territorio e la creazione di un vero e proprio Stato, i cui confini, evidentemente, si sovrapponevano a quelli delle nazioni riconosciute dalla comunità internazionale. In questo modo, lo Stato Islamico si pose come attore alternativo rispetto alle regole riconosciute dal resto del mondo, creando una propria legalità; il progetto, tuttavia, si basò da subito su atti di violenza e intimidazioni estreme diffuse (decapitazioni, crocefissioni, ecc.).

Pertanto, la reazione della comunità islamica mondiale fu, generalmente, il rifiuto dello Stato Islamico, che però riuscì ad attirare le simpatie di diversi leaders musulmani locali; di conseguenza, Al Baghdadi decise di ridefinire il progetto, estendendolo, idealmente, ai Paesi sunniti della regione (Giordania, Arabia Saudita e i Paesi del Golfo).


La (Ri)Fondazione del Califfato

Il 5 luglio del 2014 il mondo potè osservare e ascoltare lo storico discorso pronunciato dalla Grande Moschea di Mosul da Abu Bakr al Baghdadi, che si auto-proclamò califfo del rinnovato Stato Islamico; in questo discorso, il califfo dell’era contemporanea toccò diversi argomenti che dovevano servire come base e la legittimazione della sua azione.

Video che mostra parte del discorso del 2014 (Copyright dei rispettivi autori)

Il video venne prodotto e diffuso dal media ufficiale dello Stato Islamico, Furqan Media Foundation, che era l’organo principale di propaganda del califfato; al Baghdadi viene mostrato in abiti neri, a ricordo del califfato abbaside, che pronuncia il suo sermone dalla Grande Moschea di Mosul in qualità di califfo dell’era moderna. Le parole sono scandite senza pressione, e i gesti autorevoli, allo scopo di conferire legittimità all’azione di un gruppo che controllava vaste porzioni della Siria e dell’Iraq; in questo modo, Baghadadi si presenta come leader della comunità islamica globale, e pretende l’obbedienza da parte dei musulmani del mondo intero.

Si tratta, senza dubbio, di un evento storico, in quanto per la prima volta dall’abolizione del califfato ottomano nel 1924, un leader musulmano (anche se controverso e non riconosciuto dalla maggioranza del mondo islamico) si presenta come continuatore del califfato, e presenta la lotta armata come necessaria e come dovere religioso. La reazione ufficiale del mondo islamico fu unanime nel condannare le metodologie eccessivamente violente e, soprattutto l’autorità di al Baghdadi, che non venne riconosciuto come Califfo. Ciò nonostante, non si poteva ignorare che il gruppo controllava territori decisamente ampi, e che la capacità di costruire uno Stato (sebbene controverso e non riconosciuto ufficialmente) erano indubbi; lo Stato Islamico, di fatto, era uno Stato, e al Baghadadi ne era il leader.

Il discorso venne pronunciato il primo venerdì di Ramadan, nella Moschea intitolata al condottiero islamico Zengi, che aveva combattuto i crociati nella Seconda Crociata; Al Baghdadi, in effetti, rivendica la sua eredità in maniera retorica, e si presenta come condottiero moderno della comunità islamica globale, come difensore degli interessi dei musulmani contro i moderni crociati, vocabolo usato non certamente a caso o in maniera sporadica.

L’ideologia violenta veniva usata, rinforzata e diffusa su larga scala, allo scopo di legittimare l’azione del gruppo e di reclutare nuovi simpatizzanti che sostenessero questo progetto, da un punto di vista militare, economico o semplicemente ideologico. ISIS ha dunque cercato di affermarsi come un legittimo attore sunnita che lottava per liberare i musulmani oppressi nel mondo intero; per questa ragione, non sorprendono i toni anti-americani, e anti-occidentali usati e accentuati (ed esasperati) ad arte.


Idee Antiche e Mezzi Moderni

Il successo iniziale avuto da ISIS, che ha approfittato della fragilità delle istituzioni siriane e irachene per stabilire il proprio dominio, è stato determinato anche dall’uso efficiente dei mezzi di comunicazione; è stato subito evidente che il califfato, pur basandosi su idee antiche e su un uso barbarico della violenza, aveva un progetto e una strategia ben definiti. In tale ambito, spicca il ruolo dei media, che hanno supportato la creazione dello Stato Islamico e hanno concorso a mantenere il controllo e a reclutare nuovi simpatizzanti.

Uno degli strumenti principali di questo sforzo è stato il periodico Dabiq, pubblicato in diverse lingue, tra cui l’inglese, sulle cui pagine si potevano trovare notizie di vario genere sullo Stato Islamico e le sue attività. A partire dalla creazione ufficiale del califfato, il 29 giugno del 2014, Dabiq ha rappresentato un mezzo molto efficace per reclutare nuovi simpatizzanti, mediante la sua diffusione sui social media e internet. Un ruolo di primo piano, da questo punto di vista, è rappresentato dal simbolismo apocalittico, a partire dal nome scelto per la rivista; Dabiq, in effetti, è un villaggio nella Siria Nord Occidentale, che sarebbe la sede, secondo alcune leggende islamiche, di una battaglia che si consumerà in futuro tra i musulani e i loro nemici, prima della vittoria finale contro i ‘romani’.

Ciascun numero si apriva con una sorta di editoriale, curato dallo stesso Zarqawi, e il primo numero è dedicato al ‘ristabilimento del califfato’, sottolineato con queste parole,

The spark has been lit here in Iraq, and its heat will continue to
intensify – by Allah’s permission – until it burns the crusader armies in Dabiq.

La scintilla è stata accesa qui in Iraq, e il suo calore continuerà a
intensificarsi – con il permesso di Allah – fino a bruciare gli eserciti crociati a Dabiq.

In altre parole, la prima edizione sembra tracciare un quadro programmatico del gruppo, che in questo modo cerca di giustificare le sue azioni e la sua presenza; lo Stato Islamico, dunque, confermerebbe le profezie e i comandi contenuti nel Quran, ovviamente nell’interpretazione proposta da ISIS. Dabiq, in effetti, non contiene solamente notizie di eventi, ma anche riflessioni teologiche e politiche. Per questa ragione, tale periodico si configura come una sorta di compendio dell’ideologia di ISIS, oltre che come strumento per la formazione e il consolidamento del nacente Stato Islamico.

A Dabiq, di cui sono stati pubblicati una quindicina di numeri, dedicati ad un tema centrale (Il ritorno del califfato, ecc), è seguito Rumyiah, un altro periodico, simile al precedente che sostituisce dal 2016; anche in questo caso, le tematiche ed il format sono simili, e lo scopo è sempre lo stesso. Tuttavia, il cambiamento del nome indica la volontà del gruppo di estendersi anche in Occidente, e conquistare Roma, che simbolicamente rappresenta la ‘vittoria finale sugli infedeli’.

Una parte importante della propaganda era di tipo non militare, ovvero la ‘dimostrazione’ della presunta attenzione alle istanze sociali dello Stato Islamico, come si può apprezzare da questa pagina di Rumikyah, che riporto a scopo illustrativo.

In questo caso, lo Stato Islamico si presenta come il garante dei poveri, che ricevono sostentamento grazie all’applicazione della shariah permessa dalle azioni di ISIS; ovviamente solamente i musulmani che accettano la legittimità del gruppo possono essere destinatari di questa distribuzione gratuita di cibo, sempre che essa sia realmente avvenuta ovviamente. Tra le lingue in cui avveniva la pubblicazione si annoverano anche il russo e l’indonesiano, che testimoniano la volontà di espandere la lotta armata, e l’influenza dello Stato Islamico nel mondo intero.


ISIS e l’Indonesia

In Indonesia, il governo ritiene che i valori perseguiti da ISIS siano in contrapposizione con quelli nazionali, con particolare attenzione per l’unità dello Stato e per la Pancasila; pertanto, i governi della reformasi mostrano, da questo punto di vista, una sostanziale continuità con il regime di Soeharto. Nel corso dell’Ordine Nuovo, effettivamente, il governo ha adottato tattiche molto decise contro gli islamisti, come si osserva con Darul Islam, che si prefiggeva come obiettivo quello di instaurare uno Stato Islamico nel Paese asiatico. DI, come noto, si estinse nel 1962, con la cattura ed esecuzione del suo leader, anche se sembra che le attività di questo gruppo siano riprese (ma senza attentati per il momento) nel passato recente.

Lo Stato indonesiano monitora costantemente le attività dei gruppi terroristici, compresi, ovviamente, quelli affiliati a ISIS, mediante l’Agenzia Nazionale per il Contrasto al Terrorismo, nota come BNPT, o Badan Nasional Penanggulangan Terorisme. Sono state prese, a tale proposito, misure preventive e di contrasto contro coloro che appartengono a questi gruppi terroristici, come le sanzioni per gli indonesiani che si recavano a combattere in Siria e Iraq. Di conseguenza, l’intelligence rispetto alle attività terroristiche si è intensificata. Ancora, si nota la cooperazione dei ministeri e delle istituzioni come il Ministero della Difesa e quello degli Affari Religiosi, allo scopo di contrastare questo fenomeno con maggiore efficacia.

Ciò nonostante, solamente nel 2015 erano circa 500 le persone che avevano deciso di abbracciare le armi in Medio Oriente e di combattere per il califfato di al Baghdadi, e le partenze sembravano maggiori nelle aree in cui il controllo era minore. L’Indonesia, del resto, ha una lunga e consolidata storia di lotta armata per motivi religiosi, e, per questa ragione, questo Paese è un obiettivo naturale per il reclutamento di ISIS, sebbene, dal punto di vista storico, non sia mai esistito un califfato asiatico. Ovviamente, i musulmani indonesiani disposti a combattere per ISIS sono una stretta minoranza, ma in questo Paese l’ideologia del gruppo terroristico è riuscito ad avere un certo successo; non sorprende, dunque, che una delle lingue in cui era pubblicato Dabiq, ma anche Rumiyah, fosse proprio l’indonsiano, insieme al russo e all’arabo, al francese, inglese e tedesco.

Copertina del decimo numero di Rumiyah, dedicata alla ‘Jihad in Asia Orientale’

La creazione di un califfato asiatico, in effetti, rientrava (e ritentra tuttora) negli obiettivi di ISIS, il cui scopo era destabilizzare i governi di quest’area e farli diventare allineati alla sua ideologia, per poi creare una sorta di federazione asiatica, con i medesimi obiettivi di quella mediorientale. Tuttavia, non tutti i gruppi radicali (e terroristici) indonesiani hanno appoggiato questa visione, rivendicando, piuttosto, un modello locale e autoctono di Islan radicale.


Il Supporto Indonesiano di ISIS

Considerando la storia dell’Indonesia, non sorprende che gruppi indonesiani simpatetici ad ISIS siano emersi con una certa rapidità; il gruppo, in effetti, ha svolto una massiccia campagna di reclutamento sui social media, e questa strategia ha determinato un certo supporto da parte dei circoli estremisti. In un primo momento, il sostegno a ISIS si è concretizzato nell’invio di materiale di sostegno, come medicinali; tra il 2012 e il 2014, gruppi che operavano (ufficialmente) per scopi umanitari. In questo modo, sono giunti in Siria e Iraq materiale medico e denaro, risorse confluite nelle casse del gruppo islamista; altri gruppi hanno organizzato raccolte di fondi e di materiale di vario genere da inviare in Siria, come Majelis Mujahidin Indonesia (MMI).

In un momento successivo, tuttavia, il sostegno è diventato militare, e si sono osservate le prime partenze di indonesiani che si sono recati a combattere nelle terre del Califfato; i primi combattenti hanno iniziato a dirigersi in Siria già nel dicembre del 2013, ma il numero di soldati del califfato è aumentato nel corso del tempo. Nel 2017 le autorità indonesiane hanno registrato 671 indonesiani che hanno cercato di recarsi in Siria, di cui 99 bambini; il conflitto in Medio Oriente, dunque, è riuscito a motivare alcuni (pochi) musulmani indonesiani a combattere una guerra vera e propria contro gli ‘infedeli’.

La propaganda di ISIS ha dunque avuto un certo successo in Indonesia, ma i numeri sono rimasti esigui, come ci si aspetterebbe; con la dichiarazione ufficiale della rinascita del califfato, furono diverse le associazioni islamiche radicali ad aderire ufficialmente allo Stato Islamico, come il Forum Aktivis Syariah Islam, Forum degli Attivisti per la Sharia e l’Islam. Alla base di queste adesioni vi sono due motivazioni principali, iniziando dalla convinzione che ISIS rappresentasse una sorta di avveramento delle profezie islamiche. Inoltre, l’applicazione integrale della sharia nei territori controllati ha spinto molti indonesiani ad aderire al gruppo terroristico, anche se non necessariamente mediante il combattimento fisico; evidentemente, il supporto indonesiano a ISIS è stato (e rimane) decisamente superiore rispetto alle statistiche sui combattenti e ai dati ufficiali.


Conclusioni

Al contrario di quanto molti ritengono, ISIS o DAESH è ancora un gruppo attivo, anche in aree che storicamente non facevano parte di alcun califfato, come l’Indonesia; la storia ha dimostrato che la capacità di attrazione di questi gruppi è decisamente maggiore rispetto a quanto riportato dalle statistiche ufficiali.

Per queste ragioni, non bisogna pensare che ISIS sia parte del passato, ma, al contrario, è necessario riconoscere che questo gruppo si è riorganizzato e dimostra una resilienza incredibile; le idee sono impossibili da sradicare, e ISIS ne è perfettamente consapevole. L’ombra del califfato pende ancora sul mondo intero, e desta una maggiore preoccupazione in Indonesia, il Paese che ospita la più grande comunità islamica del mondo intero.

Di conseguenza, bisogna monitorare e contrastare attivamente le variabili che possono condurre le persone sulla strada della radicalizzazione e dell’estremismo, iniziando con una corretta education, capace di porre al centro i diritti umani e il diritto alla vita in primis.


Letture Consigliate

  • Tobing, F. B., & Indradjaja, E. (2019). Islamic State in Iraq and Syria (ISIS) and its impact in Indonesia. Global: Jurnal Politik Internasional21(1), 101-125.
  • Fautanu, I. (2022). Radicalism Among Students: A Study of Perception of Radicalism of Indonesian and Malaysian Students. Khazanah Sosial4(1), 131-144.
  • Legionosuko, T., Widjayanto, J., Putra, I. N., Susilo, A. K., & Suharyo, O. S. (2020). The Threats Analysis of The Islamic State Network Development in Southeast Asia Region: Case Study of the Border of Indonesia, Malaysia, Thailand and the Philippines. Journal of Defense Resources Management11(1), 77-88.


Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 hai iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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