- Abstract
- Introduzione – La Sharia e il Diritto
- Il Diritto come Rivelazione – l'Ideologia Giuridica dei Talebani
- Struttura del Sistema Giudiziario
- Pena come Deterrente – Hudud, Qisas, Tazir
- La 'Virtù' come Dispositivo Repressivo – un Ministero per il Controllo Morale
- Diritto Civile e Marginalizzazione delle Donne
- Diritti Umani, Garanzie Processuali e Repressione Politica
- Conclusione
- Letture Consigliate
Abstract
Dopo la (de facto) restaurazione dell’Emirato, in Afghanistan, sono profondamente mutate le strutture e le dinamiche del sistema giudiziario in Afghanistan; in particolare, si osserva la preminenza delle norme ispirate alla scuola hanafita. Attraverso un approccio critico e documentato, questo articolo cerca di evidenziare come l’ideologia talebana plasmi un apparato giudiziario fortemente repressivo, privo di garanzie procedurali e permeato da una visione teocratica del diritto.
In tale contesto, le donne risultano doppiamente penalizzate, in quanto subiscono restrizioni nella sfera pubblica e nell’accesso alla giustizia, e, allo stesso tempo, vengono anche sistematicamente marginalizzate nei rapporti civili e familiari. L’analisi si fonda su fonti primarie e rapporti recenti delle principali organizzazioni internazionali per i diritti umani, offrendo una riflessione aggiornata e accessibile sulla drammatica regressione dello Stato di diritto nell’Afghanistan contemporaneo.
After the (de facto) restoration of the Emirate in Afghanistan, the structures and dynamics of the judicial system in Afghanistan have profoundly changed; in particular, the predominance of norms inspired by the Hanafi school is observed. Through a critical and well-documented approach, this article seeks to highlight how Taliban ideology shapes a highly repressive judicial apparatus, devoid of procedural guarantees and permeated by a theocratic vision of law.
In this context, women are doubly penalized, as they face restrictions in the public sphere and access to justice, and at the same time, they are also systematically marginalized in civil and family relations. The analysis is based on primary sources and recent reports from major international human rights organizations, offering an updated and accessible reflection on the dramatic regression of the rule of law in contemporary Afghanistan.
Introduzione – La Sharia e il Diritto
Il ritiro delle truppe statunitensi e la presa di Kabul nell’agosto del 2021 sono eventi che hanno segnato non soltanto un passaggio politico drammatico, ma anche il ritorno di un paradigma giuridico profondamente diverso da quello a cui l’Afghanistan stava faticosamente cercando di abituarsi. Dopo vent’anni di presenza occidentale e tentativi (spesso contraddittori) di costruire uno stato di diritto ispirato a principi costituzionali, è stato instaurato un ‘Emirato Islamico’. La Costituzione del 2004 è stata sospesa, al pari della codificazione secondaria (come il codice penale), e l’ordinamento precedente è stato sostituito da un sistema informale.
Attualmente, il sistema giudiziario appare fondato su un’interpretazione particolarmente stringente della shariah, in cui il diritto non costituisce uno strumento di equilibrio tra interessi sociali, ma l’espressione diretta e non mediabile della volontà divina, rappresentata dal leader e dai suoi collaboratori, analogamente a quanto accade (tra gli altri) in Iran e Arabia Saudita.
In tale contesto, il diritto cessa di essere terreno di mediazione pluralistica o di protezione dei diritti individuali, e si configura piuttosto come dispositivo morale e politico, finalizzato a plasmare l’ordine sociale secondo una visione religiosa monolitica. La giustizia talebana si pone un duplice scopo, tipico dei regimi autoritari, a prescindere dalla loro matrice ideologica; oltre ad essere un efficace apparato repressivo, essa costituisce anche come grammatica del potere, capace di produrre obbedienza, timore e disciplina attraverso il ricorso sistematico alla sanzione esemplare e pubblica.
Il Diritto come Rivelazione – l’Ideologia Giuridica dei Talebani
Nella concezione giuridica dei talebani, la legge non è frutto di convenzione sociale né di elaborazione istituzionale, ma una realtà rivelata di origine divina, che l’uomo ha il dovere di applicare senza innovazione né interpretazione arbitraria. L’idea che il diritto possa essere codificato, modificato o discusso all’interno di un parlamento o attraverso procedure costituzionali è rifiutata in quanto considerata una forma di usurpazione della sovranità divina. Si tratta di una concezione chiave del salafismo, che viene usata dai talebani, che però non possono essere definiti salafiti nel senso pieno del termine.
In tale prospettiva, la shariah è l’unica fonte normativa legittima, ed il compito delle istituzioni non è quello di produrre leggi e regolamenti, ma di attuare norme che si considerano date in eterno; nello specifico, si osserva che la fonte di riferimento principale è la scuola giuridica hanafita, predominante in Asia centrale e meridionale, ma reinterpretata secondo un ethos rigidamente moralista, influenzato dalla tradizione deobandi e da un’ideologia salafita d’impronta militante. Si tratta di una combinazione a tratti unica, che ha determinato un nuovo corso in Afghanistan, un corso segnato da un preoccupante e deliberato arretramento su diversi fronti.
Recentemente, è stato pubblicato un interessante documentario dal The New Yorker, che testimonia il carattere arcaico e pre-moderno della struttura giudiziaria dell’emirato afghano, e che consiglio di vedere per intero.
Questo sistema, evidentemente, non ammette alcuno spazio per un dibattito e per posizioni alternative interne allo stesso Islam; non sorprende, dunque, l’anacronistica chiusura rispetto ad una modernità percepita come una minaccia per lo Stato Islamico afghano. L’unica interpretazione ammessa è quella espressa dai talebani, ed in particolare dal leader supremo, lo Amir al-Mu’minin (il Capo dei Credenti), la cui parola assume valore vincolante, infallibile, e non negoziabile.
Struttura del Sistema Giudiziario
La struttura giudiziaria dell’Emirato si articola formalmente su tre livelli, ovvero i tribunali di primo grado, presenti nelle province e nei distretti, i tribunali d’appello, distribuiti a livello regionale, e una Corte Suprema che ha sede a Kabul. Tuttavia, dietro questa apparente linearità si cela un sistema fortemente centralizzato e opaco, in cui la separazione tra poteri è di fatto inesistente e l’autorità giudiziaria risponde direttamente al vertice politico-religioso.
I giudici (qadi) non sono nominati attraverso procedure pubbliche e codificate, e nemmeno secondo criteri meritocratici; al contrario, le persone incaricate di giudicare le controversie sono scelte in base alla loro formazione religiosa in seminari islamici (madaris), e soprattutto in virtù della loro lealtà ideologica al movimento talebano. Nella maggior parte dei casi, si tratta di figure prive di formazione giuridica moderna, selezionate non per le loro competenze tecniche, ma per la loro adesione incondizionata all’ideologia talebana.
Ne deriva una giustizia fortemente personalizzata e diseguale, in cui le decisioni giudiziarie non rispondono a criteri di coerenza normativa, ma variano a seconda del giudice e del contesto politico; la prevedibilità del diritto (principio cardine di ogni ordinamento garantista) non viene dunque garantita. Al suo posto, si è formato un apparato in cui la norma coincide con la decisione del giudice, che incarna la volontà divina.
Pena come Deterrente – Hudud, Qisas, Tazir
Uno degli aspetti più visibili e controversi del sistema giudiziario talebano è rappresentato dalla re-introduzione delle pene corporali e capitali previste dalla tradizione giuridica islamica classica; i reati sono distinti, secondo la tripartizione canonica, in:
- Hudud, ovvero ‘limiti’, fissati da Dio, con pene obbligatorie e non negoziabili (come l’amputazione per il furto, la lapidazione per l’adulterio, la fustigazione per il consumo di alcol)
- Qisas, ovvero la ‘legge del taglione’, che consente alla vittima o ai suoi familiari di chiedere la punizione equivalente (ad esempio l’esecuzione del colpevole di omicidio), salvo che si accetti il pagamento di una compensazione (diyya), oppure il perdono della parte lesa.
- Tazir, una categoria residuale di reati per i quali la pena è discrezionale e può variare a discrezione del magistrato
Nel novembre del 2022, un ordine ufficiale del leader supremo ha richiesto ai giudici di applicare integralmente le pene hudud e qisas, qualora ne sussistano i presupposti giuridici islamici; a partire da questo momento, si sono moltiplicate le esecuzioni pubbliche, le amputazioni e le fustigazioni, diventate prassi sistematiche.
Le immagini, diffuse con cautela ma regolarmente documentate da osservatori indipendenti, mostrano piazze gremite per assistere a punizioni corporali, sotto la sorveglianza dei funzionari del regime; si tratta di rituali di potere, in cui la sofferenza del condannato assume un valore pedagogico. Le punizioni pubbliche, come avviene in altri Paesi islamici e/o autoritari assolve a diverse funzioni, come quella di ammonire la collettività, rafforzare il controllo sociale, e consolidare l’autorità dell’Emirato.
Le notizie di cronaca confermano quanto osservato in precedenza, e gli esempi, da questo punto di vista, abbondano; il prestigioso quotidiano francese Le Monde, riferiva (11 Aprile 2025), che
Four men were publicly executed in Afghanistan on Friday, April 11, the Supreme Court said, the highest number of executions to be carried out in one day since the Taliban’s return to power. The executions at sports stadiums in three separate provinces brought to 10 the number of men publicly put to death since 2021, according to an Agence France-Presse (AFP) tally.
Quattro uomini sono stati giustiziati pubblicamente in Afghanistan venerdì 11 aprile, ha dichiarato la Corte Suprema, il numero più alto di esecuzioni effettuate in un solo giorno dal ritorno al potere dei talebani. Le esecuzioni negli stadi sportivi in tre province diverse hanno portato a 10 il numero di uomini pubblicamente messi a morte dal 2021, secondo un conteggio dell’Agence France-Presse (AFP).
Le Monde, In Afghanistan, four men publicly executed in crowded stadiums, In Afghanistan quattro uomini sono stati pubblicamente giustiziati in stadi affollati, 11 Aprile 2025
La spettacolarizzazione della ‘giustizia’ talebana, al pari di quanto avviene in altri Paesi islamici (o semplicemente autoritari) ha la funzione di rendere visibile il controllo dello Stato e la legittimazione di pratiche che sono considerate da secoli come disumane e contrarie ai più elementari diritti umani.
La ‘Virtù’ come Dispositivo Repressivo – un Ministero per il Controllo Morale
Accanto al sistema giudiziario, in gran parte basato su materiale informale, è necessario considerare il ruolo centrale del Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio; si tratta di un organo erede delle esperienze del primo Emirato (1996–2001), dotato di una milizia dedicata alla sorveglianza del comportamento pubblico.
Le sue competenze si espandono ben oltre la sfera religiosa in senso stretto, in quanto si sorveglia l’abbigliamento delle donne, il divieto della musica, la frequenza delle preghiere, la separazione tra i sessi nei luoghi pubblici e qualunque forma di aggregazione che non sia ritenuta conforme alla rigida interpretazione talebana della morale islamica.
Nel luglio 2024, una nuova legge ha rafforzato i poteri del Ministero, conferendogli autorità diretta di intervento senza necessità dell’autorizzazione giudiziaria; non sorprende, dunque, che si siano moltiplicati gli abusi, come arresti sommari, percosse, intimidazioni e detenzioni extragiudiziali. Queste pratiche sono poi giustificate con l’obiettivo dichiarato di ‘preservare la virtù islamica’; si osserva, a tale proposito, che in molte aree rurali, i funzionari del Ministero sono di fatto l’unica autorità presente, e tale situazione aumenta il loro potere discrezionale e rende ogni forma di dissenso estremamente rischiosa e scoraggiata.
Una traduzione inglese non ufficiale riporta le norme della legge in esame, che formalmente è un ‘decreto del Principe dei Fedeli’; l’articolo 9 (decreto del Amir al Munimin, 31 luglio 1452, n. 2024), elenca i requisiti per coloro che devono far rispettare i decreti.
Qualifications and attributes of a Muhtasib (enforcer)
Article 9
A person is fit to be appointed as an enforcer if he fulfils the following conditions:
- Islam.
- Is bound by Islamic tenets (has reached puberty and is of sound mind).
- Has knowledge of the Islamic injunctions which he is promoting, along with the
things which he is prohibiting.- Has a good idea of the benefits of removing vice and asserting virtue, when to be
engaged in the prohibition of one, and promotion of the other.- A sense of justice.
- Has the capacity to promote and prohibit.
A person is able to work as an enforcer if he fulfils the following conditions:- Is himself a manifestation of virtue and avoids all forms of iniquity and vice.
- Is sincere, not ostentatious, nor seeking any worldly reward or respect of men.
- Is kind.
- Practices forbearance and patience.
Qualifiche e attributi di un Muhtasib (esecutore)
Articolo 9Una persona è idonea per essere nominata come esecutore se soddisfa le seguenti condizioni:
- Islam.
2. È vincolato dai principi islamici (ha raggiunto la pubertà ed è di mente sana).
3. Ha conoscenza degli insegnamenti islamici che sta promuovendo, insieme alle cose che sta proibendo.
4. Ha una buona idea dei benefici dell’eliminazione del vizio e dell’affermazione della virtù, quando impegnarsi nella proibizione di uno e nella promozione dell’altro.
5. Un senso di giustizia.
6. Ha la capacità di promuovere e proibire.
Una persona è in grado di lavorare come esecutore se soddisfa le seguenti condizioni:7. È lui stesso una manifestazione della virtù e evita tutte le forme di iniquità e vizio.
8. È sincero, non ostentato, né cerca alcuna ricompensa mondana o rispetto dagli uomini.
9. È gentile.
10. Pratica la tolleranza e la pazienza.
Decreto del Principe dei Fedeli, n. 1452, art. 9, Emirato Islamico dell’Afghanistan, 31 luglio 2024

Pertanto, non è richiesto alcun titolo particolare per diventare parte dell’apparato giudiziario (questa disposizione non riguarda i giudici) come ‘Muhasib’, ovvero colui che può far rispettare il decreto emesso dalla Suprema Autorità dello Stato.
Diritto Civile e Marginalizzazione delle Donne
Anche nelle materie tradizionalmente meno visibili, come il diritto civile e lo status personale, l’impronta ideologica dell’Emirato si configura (non certamente a sorpresa) come profondamente discriminatoria; le norme relative a matrimonio, divorzio, eredità e filiazione sono interamente regolate dalla giurisprudenza hanafita, applicata in maniera letterale.
Le donne, in particolare, sono oggetto di una sistematica marginalizzazione sociale, e sono escluse da diversi ambiti della vita pubblica; una donna, in effetti, non può ricoprire la carica di giudice, oppure accedere alla professione legale. Esse, inoltre, non possono comparire in tribunale senza la presenza di un tutore maschio (mahram), ereditano la metà rispetto a quanto previsto per gli uomini, e sono spesso costrette ad accettare matrimoni forzati o precoci, senza potersi opporre.
L’impossibilità di accedere alla giustizia in autonomia, unita alla progressiva esclusione dalle scuole e dalle università, ha prodotto una situazione di invisibilità giuridica delle donne, che appaiono ormai relegate a uno status subordinato, privo di voce e di riconoscimento. Norme recentissime, come quelle che impongono alle donne di parlare a voce bassa anche nelle abitazioni private, hanno ulteriormente peggiorato il quadro per le donne afghane, che sono costrette ad accettare queste imposizioni, oppure a tentare rischiose fughe verso Paesi più tolleranti.
Diritti Umani, Garanzie Processuali e Repressione Politica
La ‘giustizia’ talebana non si limita a punire reati morali o a regolare i rapporti civili, ma si configura, come osservato in precedenza, soprattutto come apparato di controllo politico e sociale, utilizzato per reprimere qualunque forma di dissenso. Gli attivisti per i diritti civili, gli ex funzionari del governo repubblicano, i giornalisti critici, le minoranze religiose (come i musulmani sciiti hazara e i pochi cristiani convertiti) sono oggetto di una repressione continua, spesso mascherata da procedimenti giudiziari sommari.
Non esistono, in effetti, delle reali garanzie procedurali, che del resto non sono codificate, in quanto i processi seguono uno schema tradizionale, al pari dei riferimenti giuridici islamici su cui si basa la sentenza del giudice, completamente discrezionale. La difesa, inoltre è raramente ammessa dal magistrato, e i processi avvengono a porte chiuse; sono ammesse le confessioni estorte con la forza, secondo il principio secondo cui la sofferenza rivelerebbe la verità, e le possibilità di appello sono praticamente nulle. La giustizia è dunque asservita ad una logica meramente punitiva e intimidatoria, finalizzata alla giustificazione del potere assoluto del Leader e dei suoi numerosi collaboratori, mediante una retorica consolidata che si pensava appartenesse ad un passato remoto.
Conclusione
Il sistema giudiziario dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan rappresenta una delle manifestazioni più evidenti di un concetto di giustizia teocratica intransigente, che raramente si può osservare nel mondo contemporaneo. L’obiettivo del diritto afgnano (dell’Emirato Islamico) non corrisponde alla mediazione tra individui; la legge, al contrario, serve come come strumento di adesione collettiva a un ordine morale imposto dall’alto. Il giudice non è dunque un arbitro imparziale, ma il custode della norma divina, mentre il cittadino non è titolare di diritti, ma destinatario di obblighi morali, e di conseguenza, egli è un suddito privo della possibilità di dissentire.
In questo quadro, la giustizia cessa di essere uno spazio di protezione e si trasforma in una macchina disciplinare, che produce sudditanza attraverso la paura, la punizione e l’esemplarità della sofferenza; si tratta di un sistema che storicamente si è rivelato incapace di soddisfare le esigenze delle persone, e che, pertanto, è destinato a fallire.
Letture Consigliate
- Baczko, A. (2024). The Taliban Courts in Afghanistan: Waging War by Law. Oxford University Press.
- Termeer, A. (2023). Rebel legal order, governance and legitimacy: Examining the Islamic State and the Taliban insurgency. Studies in Conflict & Terrorism, 1-26.
- Rahimi, H. (2022). Afghanistan’s laws and legal institutions under the Taliban. Melbourne Asia Review, 2022(10).
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