Abstract
L’attuale e preminente posizione dell’Islam nell’arcipelago indonesiano non era affatto scontata, in quanto il processo di islamizzazione si scontrò con la presenza del cristianesimo, ed in particolare dei cattolici, nel XVI secolo. A partire da questo momento, si instaura una certa competizione tra cattolici e protestanti, con i secondi che nel XIX secolo istituiscono una Chiesa Protestante Riformata delle Indie Orientali, e riescono ad evangelizzare una parte della popolazione nativa, fino al termine dell’amministrazione coloniale verso la metà del XX secolo.
The current and predominant position of Islam in the Indonesian archipelago was by no means given, as the process of Islamization clashed with the presence of Christianity, particularly Catholicism, in the 16th century. From this moment on, a certain competition between Catholics and Protestants was established, with the latter founding a Reformed Protestant Church of the East Indies in the 19th century and managing to evangelize part of the native population until the end of colonial administration around the mid-20th century.
Introduzione
L’avvento della cristianità nell’area dell’attuale Sud-Est asiatico (e.g. Malesia, Indonesia), può essere fatta risalire al XVI secolo, era in cui il Portogallo cercò di costruire un suo impero nell’estremo oriente; dopo aver conquistato Malacca nel 1511, i portoghesi riuscirono a controllare il commercio delle cosiddette ‘spezie’. Si trattava di beni estremamente importanti in quest’epoca, e, a questo proposito, si pensi al chiodo di garofano, la cui produzione era situata nelle Molucche, nella parte orientale dell’arcipelago; in questo modo, il governo di Lisbona cercò di diffondere la fede cattolica tra le popolazioni sottomesse.
Un altro tentativo di diffondere il cristianesimo, ben più duraturo del significativo, ma relativamente breve esperimento portoghese, è quello degli olandesi, che, a partire dal XVII secolo iniziarono l’opera di evaneglizzazione delle aree da essi controllati mediante la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (VOC). Successivamente, lo Stato coloniale, a partire dal XIX secolo, ha inviato dei propri missionari ed ha creato chiese nell’arcipelago, nel tentativo di diffondere la ‘vera fede’, parte integrante della colonizzazione olandese ed europea in generale.
L’eredità cristiana nell’attuale Indonesia, che presenta aree a maggioranza cattolica o protestante, testimonia lo sforzo di diffondere il cristianesimo nell’arcipelago, che si è svolto nel corso dei secoli con alterne fortune. In questo articolo, cerco di mostrare questo percorso che spesso rimane nascosto oppure offuscato dall’attenzione mediatica e politica, rivolta alla maggioranza (87%) musulmana in un Paese che conta oltre 283 milioni di persone.
I Missionari Cattolici
Una prima evangelizzazione dell’arcipelago indonesiano è dovuta a Francesco Saverio, il gesuita che per primo si recò ad Ambon e nelle molucche nel tentativo di evangelizzare le popolazioni locali, con un certo successo. Si tratta di una prima ‘ondata’ che si colloca intorno al 1546, che però seguì il destino disastroso del Portogallo in Oriente, la cui influenza e presenza in questa area declinano con l’inizio del XVII secolo e l’avvento, appunto, degli olandesi. Ciò nonosttante, non tutte le comunità cattoliche indigene sono state assorbite dalle chiese protestanti, in quanto alcune di esse sono riuscite a sopravvivere e svilupparsi nei secoli successivi (Flores, Timor, Solor).
Altre figure importanti, oltre a Francesco Saverio, chiamato ‘Apostolo delle Indie’, è quella di Lorenzo Masonio, vissuto tra il 1555 ed il 1631, che viene menzionato da un documento olandese del XVI secolo; il Bronnen betreffende Kerk en School in de gouvernementen Ambon, Ternate en Banda ten tijde van de Verenigde OostIndische Compagnie (VOC), 1605-1791 (Fonti riguardanti Chiesa e Scuola nei governi di Ambon, Ternate e Banda durante il periodo della Compagnia Olandese delle Indie Orientali (VOC), 1605-1791). Di particolare interesse è il Verslag Van Het Optreden Van Admiraal Steven Van Der Hagen Tegen De Portugezen en Jezuteen Na de Verovering Van Ambon; Rapporto sull’intervento dell’Ammiraglio Steven Van Der Hagen contro i Portoghesi e i Gesuiti dopo la Conquista di Ambon, p., 1605.
Il rapporto, in effetti, precisa che
Ingevalle padre Massonio ende eenige van de principale Portugesen in Europa waren ende die Heeren bewinthebberen die moyten (…)
Nel caso in cui il padre Massonio e alcuni dei principali portoghesi in Europa fossero stati, (insieme ai) signori governatori (…)
(Verslag, p. 1605)
Rispetto all’opera di evangelizzazione, si nota che i portoghesi agirono con un certo ritardo, in quanto, una prima islamizzazione di diverse aree di Giava era avvenuta tra il 1450 ed il 1475; si tratta di un ritardo osservato anche da un altro gesuita, Pietro Maffei, che si esprime in questi termini nel 1600,
Fino ad ora i capi e i dirigenti portoghesi furono impegnati nell’organizzare commerci, nel
costruire fortezze, nel rendere sicuro il mare e nel respingere le forze dei vicini. Pertanto, pur con il
grande intento di illustrare il nome cristiano, si erano preoccupati maggiormente della realtà umana
che di quella divina.
(P. Maffei, Historiarum indicarum libri XVI, C. Ventura, Brescia 1600, p. 236)
Del resto, l’impulso della colonizzazione portoghese era stato proprio il desiderio/necessità di aggirare i regni islamici che si erano già insediati nell’arcipelago, e che ostacolavano gli scambi commerciali degli europei. Pertanto, sembra che molte aree si fossero già convertite, almeno nominalmente, all’Islam, sebbene le tensioni tra le tradizioni locali e la fede islamica sarebbero stati destinati a perdurare anche nei secoli successivi. Tale osservazione sembra confermare quanto osservato in un articolo precedente, ovvero che la diffusione dell’Islam, e la sua successiva diffusione presso le corti giavanesi, abbia rappresentato, in questo periodo, un fenomeno più culturale e sociale che religioso.
Il Contributo degli Olandesi
Un contributo decisamente più duraturo alla cristianizzazione dell’arcipelago è sicuramente stato quello degli oldandesi, che dal XVII secolo iniziarono a colonizzare alcune aree dell’attuale Indonesia; esisteva, in effetti, una differenza fondamentale tra il Portogallo ed i Paesi Bassi. A differenza dei primi, questi ultimi potevano disporre, in un’area decisamente più ampia, di un’impresa commerciale dotata di notevoli risorse, la Vereenigde Oost-Indische Compagnie, o VOC. Si tratta di un progetto commerciale che intendeva assicurare gli scambi commerciali delle spezie, ma che in un primo momento non intendeva creare una colonia vera e propria.
Allo stesso tempo, si nota che la VOC disponeva di prerogative proprie di uno Stato, come la facoltà di stabilire trattati con governi stranieri, di amministrare la giustizia, di battere moneta, e di mantenere un esercito; pertanto, la Compagnia era un’entità ibrida, che presentava caratteristiche sia commerciali che statali. La VOC del resto, era legata alla Chiesa Protestante della madrepatria, anche se fino al 1800, data della sua dissoluzione ufficiale, la sua politica sarà orientata, prevalentemente, alle esigenze commerciali ed economiche.
La Chiesa riformata, del resto, si limitò, in un primo momento, all’assistenza spirituale ai
funzionari e agli impiegati della Compagnia, cura estesa anche ai figli che questi avevano avuto da donne indigene. In generale, essi evitarono di interferire direttamente nel panorama religioso locale, e, in effetti, i i calvinisti olandesi, sia per motivi teologici che in riconoscimento del legame tra l’etnica e la fede religiosa, non fecero proselitimo nelle aree in cui operava la VOC, e che erano già parzialmente islamizzate. In questo primo momento, dunque, gli olandesi cercarono di contrastare l’azione dei missionari cattolici, considerati nemici in quanto sudditi (principalmente) dei Regni di Spagna e Portogallo.
Del resto, nel XVII secolo erano ancora assenti o scarsi i missionari protestanti olandesi da inviare nelle Indie Orientali, e la strategia scelta dai colonizzatori sembra riflettere la necessità di consolidare una presenza che era ancora molto precaria, prima di pensare ad un’azione di evangelizzazione vera e propria.
La sola eccezione a questa regola furono Ambon e isole vicine, che in precedenza erano state evangelizzate dai missionari cattolici gesuiti guidati da Francesco Saverio; tali comunità furono infatti inglobate nella Chiesa Protestante nel 1605, quando i portoghesi persero definitivamente il controllo delle aree detenute in precedenza. In altre parole, i protestanti cercarono, con un certo successo, di sottrarre queste aree all’infuenza cattolica, che comportava anche una dimensione politica; invece, ad altre zone, come quella di Ceram, fu permesso di preservare le proprie convinzioni tradizionali. In questo modo, si formò un primo nucleo di credenti protestanti che vivevano nelle Indie, un gruppo di cui facevano parte anche alcuni indigeni.
Cooperazione e Competizione
In alcune aree, i cristiani si accordarono con la controparte musulamana per non cercare di convertire e fare proseliti, come avvenne nelle Molucche, allo scopo di garantire una convivenza pacifica; in altri casi, invece, si assiste ad una competizione tra i due gruppi religiosi. Si pensi, in questo senso, ad Ambon, i cui confini, sia religiosi che comunitari, vennero definiti solamente verso la seconda metà del Diciassettesimo secolo. Il calvinismo riuscì ad espandersi, in questo primo momento solamente in casi particolari, come nelle isole Banda, ma questa rimane un’eccezione.
Solitamente, il cristianesimo iniziò a diffondersi lentamente e non ebbe un significativo rilievo, a parte qualche eccezione, come la parte Nord di Sulawesi, in cui l’avvento delle navi della Compagnia innescò alcune conversioni alla religione cristiana. In generale, tuttavia, i risultati più importanti si ebbero a Batavia, il centro amministrativo dell’insediamento coloniale; in realtà, la composizione della popolazione si presentava eterogenea, e le gerarchie, sia etniche che religiose erano piuttosto rigide.
La competizione, dunque, era presente, ma limitata alle comunità cattoliche, considerate, in questo periodo, dei potenziali nemici; invece, le comunità che si erano convertite all’Islam o che preservavano una religiosità tradizionale non vennero evangelizzati di proposito. La maggior parte degli abitanti di Batavia, del resto, era di etnia malese, mentre europei eurasiani costituivano una minoranza che non superava un decimo della popolazione totale. Si ricorda, a questo proposito, che la Chiesa Protestante aveva lo status di ‘religione ufficiale’, e godeva del finanziamento e della protezione delle autorità, mentre le chiese ed il clero cattolico vennero esclusi formalmente. In tale contesto, l’Islam non era teoricamente bandito, ma di fatto non ci furono persecuzioni nei confronti dei musulmani che praticavano la loro religione; evidentemente, in questo periodo, la VOC non considerava la popolazione musulmana come un pericolo, in quanto il controllo, sia politico che sociale esercitato era fermo.
Lo Stato Coloniale
La situazione descritta in precedenza cambiò verso la fine del XVIII secolo, a causa della rivoluzione francese e dello scioglimento della VOC; quando l’Olanda recuperò il controllo della colonia nel 1824, dopo il breve periodo britannico, Guglielmo I assoggettò le chiese delle Indie olandesi alla madrepatria. Nel corso del XIX secolo, la Chiesa Protestante venne posta sotto il controllo diretto degli amministratori coloniali, ed il Governatore Generale diventò responsabile della nomina della sua dirigenza.
Al pari della VOC, lo Stato Coloniale non ha cercato attivamente di convertire la popolazione di cui era reponsabile al cristianesimo, ed il proselitismo religioso, di conseguenza, era, in linea generale, escluso; i vangeli vennero tradotti per la prima volta in giavanese nel 1831, ma questa traduzione venne proibita dalle autorità di Batavia. Solamente nella seconda metà del XIX secolo, in seguito alla nascita e diffusione del movimento missionario che intendeva evangelizzare le aree poste sotto il controllo coloniale, venne fondata nei Paesi Bassi la Nederlandsch Zendeling Genootschap (Società Missionaria Olandese), sull’esempio della London Missionary Society, che però era stata fondata in precedenza (1797).
Il Regolamento della Chiesa Protestante Riformata delle Indie Orientali appare estremamente interessante;
Art. 3. Het bestuur der Protestantsche Kerk wordt, in verband met de kommissie tot
de zaken der Protestantsche Kerk in Nederlandsch Oost- en West-Indië te ‘s-Graven-
hage, onder het toezigt van den gouverneur-generaal van Nederlandsch-Indië, uitgeoe-
fend door een kerkbestuur, gevestigd te Batavia, en door de kerkeraden der plaatselijke
gemeenten.
Art. 3. L’amministrazione della Chiesa protestante, in connessione con la commissione per
gli affari della Chiesa protestante nelle Indie orientali e occidentali olandesi all’Aia, sotto la supervisione del governatore generale delle Indie orientali olandesi, è esercitata
da un consiglio ecclesiastico istituito a Batavia e dai consigli ecclesiastici delle
congregazioni locali.
Reglement op het bestuur der Protestantse Kerk in Nederlands-Indië, (Regolamento della Chiesa Protestante nelle Indie Olandesi), 1862 p. 462.
I cattolici, del resto, che erano una minoranza nei Paesi Bassi, iniziarono a operare a Giava a partire dal 1807; la loro azione, tuttavia, si limitò, di fatto, alle città ed ai fedeli di discendenza europea, mentre il Vicariato Apostolico venne creato solamente nel 1859. Di conseguenza, ai gesuiti si affiancò il clero regolare, incardinato nel Vicariato delle Indie; tuttavia, fino alla fine del XIX secolo dovevano sottostare ai limiti posti dalle autorità coloniali, oltre ad essere limitati dai confini della colonia olandese.
In questo periodo storico, l’esperienza più rilevante di evagelizzazione è dovuta a Coenraad Laurens Coolen, un eurasiano i cui ascendenti erano di provenienza russa; fu lui a fondare un villaggio nei pressi di Ngoro (Surabaya). Si trattava, tuttavia, di una comunità dai tratti eterodossi e sincretici, in cui elementi islamici si mescolavano a quelli tradizionali giavanesi, che ritenevano elementi di tipo magico; non sorprende, infatti, che i funzionari della Chiesa delle Indie interruppero. Tali comunità erano sincretiche e trovarono una buona accoglienza nelle zone rurali di Giava, che formalmente erano convertite all’Islam, e che verranno poi definite come ‘abangan’.
Il XX secolo
Il controllo dei Paesi Bassi si consolida all’inizio del XX secolo, ed il sistema amministrativo coloniale diventa più complesso; di fatto, si svilupparono (ad eccezione di Batavia e delle aree limitrofe) una serie di protettorati, che prevedevano la permanenza formale delle élite indigene. Di conseguenza, il controllo di ampie parti dell’arcipelago rimane indiretto, anche se ovviamente l’influenza delle autorità olandesi rimaneva fondamentale. Furono gli olandesi, in effetti, ad imporre, anche sotto l’influsso della polica etica, un programma di modernizzazione, che comportò anche la costruzione di collegamenti ferroviari e strade.
Come noto, fu proprio questo nuovo atteggiamento verso la popolazione nativa a permettere un maggior accesso alle strutture educative da parte della popolazione locale, e di assicurare loro una certa rappresentanza, sebbene formale, mediante il Volksraad nel 1927. E’ in tale contesto che si colloca lo slancio missionario ed evangelizzatore messo in atto sia dai cattolici che dai protestanti nel XX secolo; alla vigilia del Secondo Conflitto Mondiale, la popolazione cristiana locale si attestava al 3% del totale.
Le società protestanti di missionari (su tutte la citata Zending der Gereformeerde Kerken, ha concentrato i suoi sforzi a Sumatra e Giava, ma anche in altre aree, come Kalimantan, Sulawesi, Timor, Nuova Guinea e le Molucche. I cattolici, tuttavia, sembrano ottenere i risultati migliori, ed essi si insediano con successo come minoranza in aree a prevalenza protestante, mediante la creazione di scuole nelle aree rimaste ancora sotto l’influenza delle tribù.
I registri delle missioni olandesi contengono non solamente nomi di predicatori e missionari che operano a Giava verso il 1900, ma anche, dal 1926, di indigeni cristiani che hanno intrapreso la predicazione del Vangelo tra la popolazione nativa. Si tratta di dati che confermano un certo successo degli sforzi di cristianizzazione, e che verranno interrotti, evidentemente, dalla fine dell’amministrazione coloniale tra il 1945 ed il 1949.
Conclusioni
L’evangelizzazione dell’arcipelago indonesiano, quella attiva, ha avuto inizio solamente a partire dal 1900, mentre nei secoli precedenti, sia cattolici che protestanti si sono limitati all’assistenza spirituale dei funzionari coloniali olandesi. Si tratta di una strategia che, in generale, intendeva preservare una coesistenza pacifica tra la fede cristiana e quelle islamica e tradizionali; solamente con un maggior controllo delle autorità coloniali si è passati ad un proselitismo attivo, il cui successo è segnalato dai numerosi predicatori e missionari cristiani indigeni.

Le osservazioni svolte in precedenza, dunque, confermano le intenzioni commerciali degli olandesi, che hanno cercato, in un primo momento di assicurare una certa regolarità degli scambi commerciali; in seguito, ci si è focalizzati sul controllo politico. Da ultimo, le autorità olandesi hanno iniziato a favorire la predicazione del Vangelo e la diffusione della fede crisriana.
Letture Consigliate
- Montessoro. F. (2015). Le Comunità cristiane nell’Arcipelago Malese-Indonesiano tra il XVI e il XX secolo. Quaderni Asiatici, 109.
- Sukamto, A. (2023). The Role of Entrepreneurs in the Development of Protestant Christianity in East Java in the Nineteenth Century. International Journal of Asian Christianity, 6(2), 184-207.
- Parker, C. H. (2022). Global Calvinism: Conversion and Commerce in the Dutch Empire, 1600-1800. Yale University Press.
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