Abstract
In Indonesia, la scelta dei leaders nazionalisti (nel 1945) di non conferire all’Islam uno status privilegiato ha determinato una serie di tensioni che in alcuni casi sono sfociati in conflitti veri e propri, come quello che ha interessato le Molucche tra il 1999 ed il 2005. Le motivazioni religiosi di questi conflitti, seppure importanti, non sono determinanti, ma lo sono problematiche di ordine sociale ed economico, che, se non adeguatamente affrontate, scoppiano in una guerra aperta.
In Indonesia, the choice of nationalist leaders (in 1945) not to grant Islam a privileged status has led to a series of tensions that in some cases have escalated into actual conflicts, such as the one that affected the Moluccas between 1999 and 2005. The religious motivations of these conflicts, although important, are not decisive; rather, it is social and economic issues that, if not adequately addressed, erupt into open warfare.
Introduzione – La Fonte del Conflitto
L’indipendenza indonesiana ha comportato un iniziale timore dei cristiani, in quanto essi ritenevano che le loro condizioni potessero peggiorare; ciò nonostante, queste paure non si materializzarono, e la costituzione del 1945, in realtà, prevedeva un contesto favorevole per le missioni cristiane. La Pancasila, come noto, si fonda sul credo in un unico Dio, e l’ateismo viene fortemente condannato, in quanto associato con il comunismo, un’ideologia vietata e repressa nell’arcipelago. Di conseguenza, la scelta di non aderire ad una delle sei religioni riconosciute in Indonesia, che teoricamente è possibile, comporta delle serie conseguenze in pratica.
Al contrario, si è verificata un’espansione delle attività missionarie cristiane, e in molti ambiti (come
i sistemi educativi e sanitari) i cristiani sono riusciti a stabilire una posizione di monopolio; in numerosi scritti è stata espressa la speranza di convertire l’intero Paese alla fede cristiana. Per questa ragione, la maggioranza islamica ha reagito, accusando i cristiani (mediante opuscoli ideologici) di aver subdolamente spinto i musulmani a convertirsi alla loro fede mediante la distribuzione di aiuti materiali. Si è dunque scatenata un’ondata di violenza contro i crisitani, iniziata il 1 ottobre del 1967 con la demolizione delle chiese a Makassar, per poi diffondersi successivamente a Giava dove scuole cristiane, chiese e cimiteri sono stati vandalizzati.
Lo Stato, in aggiunta, ha sostenuto l’ideale di modernizzazione avanzato dai missionari, che caratterizzavano le società locali come carenti e bisognose di sviluppo, nell’ambito di una sorta di missione civilizzatrice. Da questo punto di vista, si osserva una certa continuità tra l’era coloniale e quella post-coloniale; i funzionari statali hanno esortato i popoli indigeni a rinunciare agli aspetti caratterizzanti della loro cultura, a costruire case moderne e adottare tecniche agricole avanzate. I soli aspetti accettabili, da questo punto di vista, erano quelli che potevano essere presentati come folklore.
Dopo il 1998
In seguito alle dimissioni del Presidente Soeharto nel 1998, la politica di cui abbiamo discusso in precedenza è cambiata, e si è cercato di porre una maggiore attenzione alle diverse culture che componevano l’Indonesia. In questo modo, tuttavia, le variazioni culturali sono diventate uno strumento per marcare le differenze tra i diversi gruppi etnici, e sono sorti ulteriori conflitti, che hanno riguardato anche la contrapposizione tra i cristiani e le altre fedi religiose.
Secondo questa retorica, i cristiani sono ancora accusati di aver collaborato con le autorità coloniali, e le organizzazioni islamiche radicali sfruttano questo elemento, radicato nella coscienza della nazione, per portare avanti i loro interessi. I cristiani, in questa narrazione, sono associati ad un ‘occidente’ da combattere, responsabile del colonialismo e dei tentativi di riportare, in qualche forma, l’Indonesia sotto il giogo coloniale.
Si tratta di una retorica ancora presente, e che propone un presunto svantaggio della maggioranza musulmana, dovuto allo sfruttamento economico dei cristiani, che non avrebbero un profilo morale adeguato. Recentemente, questo discorso sembra essere riemerso, quando il capo della polizia nazionale ha affermato che gli studenti delle scuole religiose islamiche (pesantren) sono dotati di un carattere morale superiore, capace di resistere alla tentazione della corruzione. Sotteso a questo discorso ci sarebbe una presunta superiorità morale dei musulmani e dell’Islam, un tema che riprende, anche se in un altro contesto, la narrazione di cui si discuteva in precedenza. Secondo questa visione, la maggioranza musulmana sarebbe, in realtà, una minoranza, e avrebbe pertanto il diritto/dovere di difendersi da questa minaccia.
Non è difficile comprendere che questo genere di retorica non sia compatibile con l’ideale della Pancasila, Unità nella Diversità; si tratta, del resto, di un discorso che viene riproposto, a parti invertite, in India, in cui sono i musulmani ad essere accusati dagli induisti radicali di essere nemici della patria. Di conseguenza, essi vengono discriminati ed attaccati, anche fisicamente, dai radicali induisti, che tuttavia sono molto diffusi.
Allo stesso modo, i musulmani indonesiani accusano il cristianesimo di essere ‘anti-indonesiano’ ma ignorano il fatto che il cristianesimo, al pari dell’Islam, è stato trasformato da un sistema di credenze straniero in un sistema indigeno (indonesiano) nel corso dei secoli passati. Sottoponendosi a un processo di indigenizzazione e adattamento alle tradizioni locali, anche il cristianesimo, è diventato una religione indigena che presenta un certo sincretismo, derivante dal patrimonio culturale dei singoli gruppi etnici.
Non sorprende, dunque, che i rappresentanti delle Chiese Cristiane e dello Stato nutrano sentimenti ambivalenti nei confronti di questa appropriazione e strumentalizzazione delle influenze straniere; del resto, nonostante i conflitti passati, cristiani e musulmani hanno co-esistito in maniera pacifica.
Confitti tra Cristiani e Musulmani
Nel corso della reformasi, in cui si è formata e consolidata una nuova classe dirigente a tutti i livelli, è diventato evidente che l’idea di un’unità nazionale basata sull’accettazione delle differenze religiose era una concezione ideale e lontana dalla realtà. Su molte isole dell’arcipelago si è registrata una vera e propria esplosione delle ostilità, che ha assunto i contorni di una guerra civile tra cristiani e musulmani; le milizie anti-cristiane hanno proclamato l’eliminazione dei cristiani indonesiani. In tale ambito, si temeva una sorta di ‘balkanizzazione’ dell’Indonesia, ovvero la sua frammentazione in entità politiche corrispondenti alle etnie e religioni.
Il regime di Soeharto era riuscito a mantenere una sorta di ordine tra le differenti anime del Paese, che, con la caduta dell’Orde Baru sono entrate in aperto conflitto; Il crollo delle strutture di potere consolidate non ha solamente permesso il processo di democratizzazione, ma ha anche innescato lotte di potere tra le élite locali e nazionali. Allo stesso tempo, è esplosa la violenza contro le minoranze, definite in termini sia religiosi che etnici, e un revival dei movimenti secessionisti nelle isole, con particolare attenzione per Papua, Timor Est e Aceh. Tali lotte, poi, sono state caricate anche di valenze religiose, che indubbiamente esistevano, ma che non erano prevalenti, allo scopo di mobilitare le persone alla causa e convincerle a combattere guerre in nome della difesa dell’Islam.
Si pensi, a tale proposito, ai conflitti che hanno opposto musulmani e cristiani nelle Molucche meridionali, con particolare attenzione per Ambon; durante l’era coloniale, come noto, la popolazione di quest’area aveva un accesso privilegiato a posizioni di governo, e costituivano parte delle forze armate coloniali. In quanti tali, spesso le truppe delle Molucche sono state usate per soffocare le rivolte contro l’amministrazione coloniale, ed erano ben note nell’intero arcipelago. A ragione della loro lealtà verso i Paesi Bassi e della loro paura di perdere i privilegi acquisiti, i cristiani delle Molucche meridionali divennero uno strumento gradito al potere olandese.
Non sorprende, dunque, che dopo l’indipendenza indonesiana, si formò un movimento secessionista che richiedeva la creazione di una repubblica indipendente, la Repubblica delle Molucche del Sud; nel corso dell’insurrezione, la violenza contro i musulmani divenne evidente. Tuttavia, queste isole sono state considerate per anni come un esempio di pacifica coesistenza di musulmani e cristiani indigeni. In effetti, è stata incoraggiata una politica demografica che ha consentito un afflusso di musulmani provenienti da Sulawesi. Tale politica ha modificato profondamente gli equlibri di questa regione, in quanto gli immigrati hanno adottato un atteggiamento aggressivo, che li ha portati ad ottenere diverse posizioni all’interno dell’amministrazione locale, in precedenza controllata dai cristiani.
Il Conflitto di Ambon – Visioni contrastanti
Evidentemente, una situazione del genere ha comportato maggiori tensioni, che sono esplose nel 1999 ad Ambon; si tratta di un conflitto riconosciuto quasi universalmente come determinato da problematiche etniche, piuttosto che religiose, e sono incline a concordare con il punto di vista della maggioranza degli studiosi. Si tratta di una guerra scoppiata nel mese di agosto del 1999, e la scintilla è stata la notizia secondo cui esistevano piani per creare un nuovo sotto-distretto, che avrebbe dovuto includere un’area musulmana che non era disposta a farsi governare dalla nuova amministrazione cristiana. La guerra, tuttavia, è stata determinata, principalmente, dalla lotta per le risorse di quest’area, ed in particolare della miniera d’oro a Malifut.
Nel mese di ottobre del 1999 la violenza aumentò al punto di spingere 15,000 cristiani a fuggire a Ternate e Tidore; questo conflitto ha comportato distruzioni e morti su vasta scala, ed ha lasciato profonde ferite nel Paese. La dimensione religiosa, seppure secondaria, non deve essere sottovalutata, in quanto lo scontro tra musulmani e cristiani è stato evidente; il 7 gennaio del 2000 a Jakarta si è tenuta una significativa manifestazione, in cui i musulmani chiedevano di lanciare un jihad per le Molucche. Le proteste sono state organizzate, tra gli altri, da Amien Rais, leader di Muhammadiyah e Hamzah Haz, vice-presidente di questa organizzazione.
Tra le figure di spicco emerge anche Jafar Umar Thalib, leader di Laskar Jihad, un predicatore che aveva anche combattuto in Afghanistan, che sosteneva la necessità di implementare la sharia; egli riuscì a reclutare circa 3,000 uomini per combattere nelle Molucche, senza che la polizia o l’esercito intervenissero. Solamente nel maggio del 2002 il governo centrale decise di intervenire, allo scopo di espellere le milizie dalla zona di guerra.
Le parti del conflitto, da questo punto di vista, si sono chiaramente percepite come ‘cristiane’ oppure ‘musulmane’; si tratterebbe, dunque, anche di una delle numerose manifestazioni della competizione tra cristiani e musulmani, di cui si è discusso su questa rivista online. Si tratta della manifestazione di tematiche già presenti, come la cristianizzazione, il separatismo e il colonialismo, che in questo conflitto si sono intrecciati e hanno determinato anni di guerra aperta.
La Religione – Un Elemento Identitario Imprescindibile
La religione è sempre stata un forte elmento identitario in Indonesia, a partire dall’epoca coloniale, in cui il cristianesimo era (ed è ancora) associato agli olandesi ed alla colonizzazione; non si dovrebbe dimenticare che Nadaltul Ulama emise una fatwa che sanzionava come dovere religioso la lotta contro gli amministratori coloniali. La stessa Muhammadiyah ha sempre sostenuto la lotta contro il colonialismo, e l’Islam, la religione maggioritaria, è stata legata, ideologicamente, alla stessa Indonesia ed alla sua indipendenza.
Per questa ragione, una parte consistente della società e della leadership indonesiana concepì l’idea di uno Stato islamico e non secolare come poi è avvenuto; di conseguenza, la scelta di Soekarno e di altri leaders nazionalisti è stata vissuta come un tradimento della lotta che ha portato all’indipendenza, e questa percezione è ancora viva ed alla base del discorso radicale in questo Paese. La Pancasila, in realtà, venne adottato come strumento per favorire la coesione tra le diverse anime della nazione, ed ha determinato una società pluralistica.
La concessione ad Aceh, un altro dei conflitti etnici e religiosi indonesiani, di poter implementare la sharia, inoltre, configura un Paese che accetta al suo interno dei separatismi; in realtà, questa possibilità non ha esentato la Provincia di Aceh dal conflitto nazionalistico che è ancora in corso, come è stato notato su questa rivista. Pertanto, la religione, sebbene importante, non sembra capace, da sola, di determinare o risolvere i conflitti interni dell’Indonesia; un problema molto significativo è costituito dalla povertà, dalle disuguaglianze, e dal differente accesso alle risorse, che determina tensioni difficilmente gestibili nel lungo periodo. Si tratta, evidentemente, di problematiche relative al potere, in cui la religione gioca un ruolo importante, ma non fondamentale; del resto, è decisamente più agevole impostare un discorso religioso che proporre soluzioni più complesse per le sfide economiche e sociali.
Conclusioni
La storia dei conflitti religiosi in Indonesia mostra chiaramente che l’appartenenza ad una confessione religiosa è un elemento fondamentale dell’identità di questo Paese; le motivazioni religiose, effettivamente, hanno determinato conflitti sia prima che dopo l’indipendenza. Tuttavia, altri sono gli elementi che sembrano giocare un ruolo più importante, come le divisioni etniche e le disuguaglianze economiche e sociali che si producono, e che sono volute dalla classe dirigente. In altre parole, il potere appare come il fattore decisivo dei conflitti, che spesso vengono caricati di valenze religiose strumentali agli interessi del gruppo al potere. Non si tratta di un modello unico per l’Indonesia, ma in questo Paese tale paradigma è particolarmente efficace a ragione dell’importanza della religione per la definizione dell’identità comunitaria e personale.
Letture Consigliate
- Schroter. S. (2010). Christianity in Indonesia: An Overview. University Frankfurt.
- Panggabean, S. R., Alam, R. H., & Ali-Fauzi, I. (2010). The Patterns of Religious Conflict in Indonesia (1990-2008). Studia Islamika, 17(2).
- Takdir, M., Mushthafa, M., & Rozinah, A. S. (2021). The Dynamics of Religious Conflict in Indonesia: Contestation and Resolution of Religious Conflicts in The New Order Age. Al-Adyan: Journal of Religious Studies, 2(2), 103-121.
maggioranza musulmana svantaggiata, associando i cristiani allo sfruttamento economico
e una mancanza di morale, e stilizzandosi come una maggioranza con uno status di minoranza (Schreiner
2001). Sebbene ci sia una certa legittimità in questa retorica generalizzante, essa tuttavia
sbaglia bersaglio, perché ignora le cause locali dei conflitti (come le tensioni
relazioni tra migranti e locali, progetti di transmigrazione e l’allocazione di
posizioni nelle amministrazioni locali) e non si rende conto che solo pochi cristiani sono
benestante. Inoltre, la mancanza di identificazione di alcuni gruppi con lo stato indonesiano
è prima di tutto dovuto alle tensioni tra centro e periferia piuttosto che a loro
adesione alla fede cristiana. radicali musulmani che accusano il cristianesimo di essere
anti-indonesiani ignorano il fatto che il cristianesimo, proprio come l’Islam, è diventato
trasformato da un sistema di credenze straniero in un sistema di credenze indigeno indonesiano nel corso
dei secoli passati. Sottoponendosi a un processo di indigenizzazione e adattamento al locale
tradizioni, è diventata una religione indigena molto sfaccettata e orientata sincreticamente
che rivela ancora il patrimonio culturale dei singoli gruppi etnici