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L’Indonesia, arcipelago sterminato e mosaico di identità culturali, linguistiche e religiose, si presenta spesso come laboratorio fragile di pluralismo; sebbene la sua costituzione proclami il principio di Bhinneka Tunggal Ika, ‘unità nella diversità, la realtà quotidiana delle relazioni tra comunità religiose appare segnata da tensioni, e spesso da conflitti aperti, che hanno accompagnato la storia del Paese dall’indipendenza fino ai giorni nostri. All’interno di questo quadro complesso, l’esperienza di una provincia come il Sulawesi Nord assume un valore paradigmatico; qui, a differenza della gran parte del territorio nazionale, i cristiani costituiscono la maggioranza della popolazione e la minoranza musulmana sperimenta condizioni sociali e giuridiche radicalmente diverse rispetto a quelle vissute da cristiani e altre minoranze in regioni a predominanza islamica.


Indonesia, a vast archipelago and a mosaic of cultural, linguistic, and religious identities, is often presented as a fragile laboratory of pluralism; Although its constitution proclaims the principle of Bhinneka Tunggal Ika, ‘unity in diversity,’ the daily reality of relations between religious communities appears to be marked by tensions, and often by open conflicts, that have accompanied the country’s history from independence to the present day. Within this complex framework, the experience of a province like North Sulawesi takes on paradigmatic value; Here, unlike most of the national territory, Christians constitute the majority of the population, and the Muslim minority experiences radically different social and legal conditions compared to those experienced by Christians and other minorities in predominantly Islamic regions.


Un’Anomalia nel Cuore dell’Arcipelago

Con circa 20 milioni di abitanti, il Sulawesi è una delle grandi isole dell’Indonesia, e, nella sua porzione settentrionale, corrispondente alla provincia di Sulawesi Utara (Nord, con circa 2.7 milioni di abitanti) in cui la presenza cristiana raggiunge percentuali significative, oscillando tra il 65 e il 70% della popolazione. In questa provincia, le comunità protestanti sono radicate a partire dal periodo coloniale olandese, ma è anche presente il cattolicesimo, che ha avuto particolare impulso nel XX secolo. Si tratta di un dato anomalo nel contesto indonesiano, dove il 87% della popolazione si identifica come musulmana sunnita. Questa inversione delle proporzioni rende la provincia in esame un terreno di osservazione privilegiato per comprendere come la gestione della diversità religiosa possa variare in funzione delle dinamiche demografiche e dei rapporti di forza locali.

Chiesa Cattedrale di Manado (Sulawesi Nord)

Sulawesi Utara, del resto, non è la sola provincia a maggioranza cristiana, e la crescita del cristianesimo nel resto del Paese (spesso silenziosa e non mostrato dalle statistiche ufficiali) potrebbe portare ad un’inversione di proporzioni (nel lungo periodo) anche in altre divisioni amministrative. Sebbene le statistiche ufficiali mostrino una situazione stabile (in termini di affiliazione religiosa a livello nazionale), moltissime conversioni dall’Islam potrebbero essere tenute segrete e non dichiarate. Si ricorda, a questo proposito, che la religione compare sui documenti di identità, ed ò tale dato che viene colto dalle statistiche ufficiali; tuttavia, le pressioni sociali, le difficoltà amministrative e il timore per la propria incolumità potrebbero celare una realtà ben diversa, pronta ad emergere quando le condizioni lo consentiranno.


La Condizione della Minoranza Musulmana

Nel Sulawesi settentrionale, la minoranza musulmana gode di ampi spazi di libertà religiosa, al contrario di quanto avviene nelle aree a maggioranza islamica per i cristiani; moschee e scuole islamiche operano senza restrizioni sostanziali, i riti religiosi sono celebrati pubblicamente e i musulmani partecipano in modo pieno alla vita politica e istituzionale della provincia. Non si registrano discriminazioni sistematiche nell’accesso al lavoro o alle cariche pubbliche, e nemmeno episodi diffusi di violenza settaria. Questa condizione contrasta fortemente con le difficoltà incontrate dai cristiani in province come Aceh o Giava occidentale, dove spesso la costruzione di chiese incontra ostacoli amministrativi, talvolta sostenuti da movimenti islamisti locali, e dove non mancano episodi di intimidazione o aggressione.

Il caso del Sulawesi settentrionale dimostra dunque come la dinamica maggioranza/minoranza non sia determinante; è invece la religione e la sua comprensione ad essere determinante da questo punto di vista. Nel caso in cui i cristiani del Sulawesi Nord adottassero un atteggiamento politico aggressivo come quello che si registra nelle province islamiche, si osserverebbero violenze e discriminazioni verso la minoranza musulmana.

Chiesa a Biaro (Sulawesi Nord)

L’atteggiamento inclusivo dei cristiani del Sulawesi Utara si scontra con le tensioni e l’intolleranza delle altre province a maggioranza musulmana; il problema, in altre parole, è la politicizzazione della religione, non l’Islam in sé. Tuttavia, l’impostazione maggioritaria converge proprio su un Islam politico, come si osserva anche in altri Paesi; si tratta di un problema da non sottovalutare, ma che rimane quasi sempre inespresso e poco dibattuto.

L’approccio inclusivo dei cristiani, tuttavia, può essere spiegato anche da ragioni strategiche e politiche, in quanto il Sulawesi del Nord si trova in Indonesia, e un atteggiamento aggressivo dei cristiani potrebbe comportare ritorsioni nel resto del Paese.


Un Pluralismo Ordinario

La convivenza nel Sulawesi settentrionale non si riduce a una semplice coesistenza priva di conflitti, ma si esprime piuttosto in pratiche quotidiane di interazione; matrimoni misti (informali), celebrazioni comuni di festività, reti di solidarietà che attraversano le linee confessionali. Le comunità cristiane e musulmane partecipano congiuntamente alla vita civile e culturale, condividendo spazi pubblici e occasioni di dialogo. In questo senso, la provincia rappresenta un laboratorio in cui il pluralismo religioso non è soltanto una tolleranza passiva, ma diviene forma attiva di cittadinanza condivisa, e dunque, un esempio per il resto del Paese.

Non mancano, ovviamente, tensioni latenti o microconflitti, legati soprattutto a dinamiche locali di potere, di risorse economiche o di competizione politica; tuttavia, essi non assumono la forma di persecuzione o di intolleranza sistematica, e vengono generalmente gestiti attraverso strumenti politici e giuridici. Da questo punto di vista, il Sulawesi settentrionale offre un esempio di come l’Indonesia possa incarnare il proprio motto costituzionale in maniera sostanziale e non solamente formale.

Moschea a Manado (Sulawesi Nord)

Per cogliere appieno il significato di questa esperienza, occorre metterla in relazione con quanto accade nel reto del Paese; Aceh, posto all’estremità settentrionale di Sumatra, è l’unica provincia indonesiana in cui vige formalmente la shariah, applicata anche a non musulmani in alcune sfere della vita pubblica. In questo caso, le minoranze cristiane o buddhiste vivono in un clima di sospetto, con restrizioni severe nella costruzione di luoghi di culto e limitazioni nelle manifestazioni religiose pubbliche. Nelle aree di Giava e Sumatra, in cui i movimenti islamisti hanno una base più radicata e tollerata dalle istituzioni locali, gli episodi di intolleranza contro le minoranze sono frequenti, e le autorità locali mostrano spesso una certa ambiguità nella loro gestione.

Il Sulawesi settentrionale, al contrario, non solo evita queste dinamiche, ma produce un effetto speculare, in quanto i musulmani minoritari non si percepiscono minacciati e nemmeno emarginati; anzi, essi trovano nel tessuto sociale cristiano uno spazio in cui la loro identità è rispettata e valorizzata. Questo ribaltamento dei ruoli contribuisce a mostrare come l’intolleranza non sia un destino ineluttabile, ma il frutto di condizioni storiche, politiche e culturali specifiche, che devono essere costruite e alimentate costantemente.


Motivazioni del Pluralismo Locale

Le ragioni di questa differenza nel trattamento della minoranza islamica affondano nelle vicende storiche della regione; durante l’epoca coloniale, le missioni cristiane ebbero un ruolo significativo nella diffusione dell’istruzione e dei servizi sanitari, consolidando una rete sociale che sopravvive tuttora. Il radicamento del cristianesimo avvenne, del resto, integrandosi in un tessuto culturale in cui la religione divenne fattore identitario e coesivo. Inoltre, la presenza musulmana nella regione, pur consistente, non ha mai raggiunto la forza demografica o politica tale da imporre un predominio, ed è la loro condizione di minoranza che ha reso possibile una convivenza relativamente equilibrata, non segnata dalla logica della competizione esistenziale che si osserva nelle aree a maggioranza islamica.

Un altro elemento decisivo riguarda la gestione politica della diversità, in quanto le élite locali, spesso di fede cristiana, hanno saputo valorizzare il principio di rappresentanza e inclusione, evitando di marginalizzare la minoranza musulmana. Tale atteggiamento ha consolidato un patto sociale che riconosce a ciascuna comunità spazi di autonomia, ma all’interno di un quadro di appartenenza condivisa allo Stato indonesiano. Laddove altre province hanno conosciuto derive settarie o strumentalizzazioni religiose a fini politici, il Sulawesi settentrionale ha privilegiato una linea di equilibrio, preservando la stabilità sociale.


Una Lezione per l’Indonesia?

Il caso del Sulawesi settentrionale invita a riflettere su un paradosso, in un Paese in cui la maggioranza musulmana è spesso percepita come fattore di pressione sulle minoranze, esistono aree in cui il cristianesimo maggioritario dimostra come la logica inclusiva e il rispetto delle diversità possano costituire una risorsa. L’esperienza di questa provincia mostra che il pluralismo non è una concessione benevola della maggioranza, ma una scelta politica e culturale che deve essere costruita quotidianamente.

Ci si può dunque legittimamente chiedere la misura in cui questo modello possa essere replicato altrove, e in effetti, questa rimane una possibilità; le istituzioni indonesiane garantiscono formalmente la libertà di culto e la parità tra le religioni riconosciute. In pratica, tuttavia, le dinamiche locali, il peso dei movimenti radicali e la forza dell’islam politico rendono difficile un’applicazione uniforme e coerente del principio. Il Sulawesi settentrionale resta dunque un’eccezione, ma proprio in quanto tale illumina la strada di ciò che potrebbe essere un futuro diverso per l’Indonesia.


Il Rapporto con la Pancasila

Nelle province cristiane, come il Sulawesi Nord, sono solitamente quelle in cui la filosofia di Stato, proposta da leaders musulmani, viene vissuta con maggiore pienezza; non è un caso, in effetti, che nel ‘giorno della Sacralità della Pancasila’ si moltiplichino gli appelli dei gruppi cristiani, non solamente del Sulawesi Nord ovviamente.

Uno dei membri del parlamento locale ha ricordato l’importanza pratica e non solo teorica della Pancasila,

Mari kita jadikan peringatan ini sebagai pengingat bahwa demokrasi yang sehat hanya bisa tumbuh jika Pancasila tetap dijadikan pedoman hidup berbangsa dan bernegara, (…)

Usiamo questa commemorazione per ricordare che una democrazia sana può prosperare solo se la Pancasila rimane il principio guida della nostra nazione e del nostro stato, (…)

Dirannga Erga, Hari Kesaktian Pancasila, Toni Supit: Dasar Negara Merupakan Jiwa Bangsa, Giorno della Sacralità della Pancasila, Toni Supit: Il Fondamento dello Stato è l’Anima della Nazione, BeritaManado.com, 1 Ottobre 2025.

In altre occasioni, come gli episodi di intolleranza a Sukabumi e Padang, la Federazione delle Chiese Indonesiane aveva rilasciato una dichiarazione in cui si chiedeva proprio il rispetto della Pancasila come criterio supremo dello Stato.


Conclusione

Il confronto tra il Sulawesi settentrionale e le altre province indonesiane (a maggioranza islamica) mette in evidenza la plasticità del rapporto tra maggioranza e minoranza religiosa; quando sono i cristiani a costituire la maggioranza, la minoranza musulmana è trattata con rispetto e integrazione. Nello scenario opposto, invece, (musulmani come maggioranza), le minoranze cristiane o di altre fedi incontrano spesso discriminazioni e difficoltà. Questa asimmetria rivela come l’intolleranza non sia un tratto intrinseco di una religione, ma l’esito di configurazioni storiche, politiche e sociali specifiche.

Il Sulawesi settentrionale dimostra che è possibile costruire una convivenza autentica, in cui le differenze non si trasformano in conflitto ma diventano parte di una identità condivisa. In un’Indonesia attraversata da tensioni settarie, sembra opportuno ricordare l’esistenza di isole di tolleranza e di pluralismo, in cui la Pancasila non rimane un principio astratto, ma viene tradotto e vissuto quotidianamente.


Letture Consigliate

  • Hasudungan, A. N. (2021). Muslim and Christian relations in the field of education after The Ambon-Maluku conflict (The Biggest Religious Conflict in Indonesia). Journal of Education, Society & Multiculturalism1(3), 40-54.
  • Lopez, A. C. (2018). Conversion and colonialism: Islam and Christianity in North Sulawesi, c. 1700-1900. Leiden University.
  • Al Qurtuby, S. (2016). Religious violence and conciliation in Indonesia: Christians and Muslims in the Moluccas. Routledge.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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