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Abstract

Questo contributo analizza le radici culturali, religiose e storiche del sionismo prima della sua definizione politica alla fine del XIX secolo; attraverso l’esame del contesto ebraico ed europeo del XIX secolo, segnato da emancipazione e discriminazioni, emerge la centralità delle attese escatologiche e messianiche che alimentarono la speranza del ritorno a Sion. Particolare attenzione è poi dedicata all’opera di Joseph Crooll (The Restoration of Israel, 1814), emblematica dell’orizzonte millenarista cristiano che intrecciava fede, missione e interpretazioni letterali delle Scritture. L’analisi evidenzia come tali elaborazioni, pur collocate in un ambito religioso e apocalittico, abbiano contribuito a mantenere viva l’idea di una restaurazione nazionale, fornendo il retroterra simbolico e ideologico da cui il sionismo politico trasse (e trae) forza e legittimità.


This contribution analyses the cultural, religious, and historical roots of Zionism before its political definition at the end of the 19th century; Through an examination of the 19th-century Jewish and European context, marked by emancipation and discrimination, the centrality of eschatological and messianic expectations that fuelled the hope of returning to Zion emerges. Particular attention is then given to the work of Joseph Crooll (The Restoration of Israel, 1814), which is emblematic of the Christian millenarian horizon that intertwined faith, mission, and literal interpretations of Scripture. The analysis highlights how these elaborations, although situated within a religious and apocalyptic context, contributed to keeping the idea of national restoration alive, providing the symbolic and ideological background from which political Zionism drew (and continues to draw) strength and legitimacy.


Introduzione – Il Sionismo come Dato Culturale e Storico

Il sionismo nasce come progetto politico verso la fine del XIX secolo, e si pone come obiettivo quello di ristabilire la visibilità politica di Israele, mediante la fondazione di una patria in cui gli ebrei potessero abitare stabilmente. Tale progetto, tuttavia, affonda le sue radici in un passato remoto, segnato dalla diaspora ebraica e dalle attese del suo popolo, che, seppure disperso, non ha mai abbandonato la speranza di avere un proprio Stato.

Per questa ragione, parlare di ‘sionismo prima del sionismo’ significa avventurarsi in un terreno che non è ancora politico in senso stretto, ma che costituisce il retroterra indispensabile per comprendere la nascita del movimento sionista moderno. L’Ottocento fu infatti un secolo di passaggi epocali, e fu segnato sia da emancipazione che da persecuzioni, tra il sogno dell’integrazione e la nostalgia di un ritorno. In questo scenario, le attese escatologiche e apocalittiche, coltivate per secoli all’interno delle comunità ebraiche e osservate con crescente curiosità anche dal mondo cristiano, rappresentarono un aspetto costante, capace di mantenere viva la tensione verso Sion.

(Il Libro è Consultabile e Scaricabile nella Biblioteca Antica, cilcca per aprire il documento)

Joseph Crooll, con il suo volume The Restoration of Israel pubblicato a Londra nel 1814, è esemplare di questo orizzonte culturale e spirituale; la sua opera, in effetti, non è soltanto un documento teologico cristiano, ma rappresenta un orizzonte decisamente più ampio. Si tratta dell’attesa di un ritorno nella terra di Israele, sede dell’antico regno, successivamente conquistata dagli arabi musulmani nel VII secolo; questa speranza, che si tradurrò anche in un progetto politico vero e proprio (a cui viene data eccessiva enfasi) diventa il simbolo di un’attesa universale, che unisce comunità e tradizioni diverse.


L’Orizzonte Escatologico nell’Ebraismo Ottocentesco

L’ebraismo del XIX secolo era attraversato da tensioni profonde, e le comunità della diaspora, in particolare quelle dell’Europa orientale, vivevano ancora in condizioni di marginalità sociale, con episodi ricorrenti di discriminazione, ghettizzazione e violenze ricorrenti. La millenaria identità ebraica, in assenza di un contesto politico favorevole, era costantemente sotto attacco, come dimostra il caso di Edgardo Mortara, il bambino battezzato in segreto negli Stati Pontifici in punto di morte da una cameriera. Il battesimo venne poi considerato valido, e questo caso fece scoppiare uno scandalo internazionale, che ebbe riflessi anche sulla stampa internazionale.

In tale scenario, la promessa di un ritorno in terra d’Israele continuava a rappresentare una risorsa simbolica e un sostegno spirituale; non si trattava solamente di un vago desiderio religioso, ma di una speranza nutrita da secoli di testi, preghiere e tradizioni. Ogni giorno, nell’Amidah (la preghiera centrale dell’ebraismo) si chiedeva la ricostruzione di Gerusalemme e il raduno degli esuli; questo linguaggio liturgico, costantemente ripetuto, teneva viva la convinzione che la diaspora fosse una condizione temporanea, destinata a concludersi con l’intervento divino.

I testi apocalittici, poi, risalenti già al periodo del Secondo Tempio e reinterpretati nel corso dei secoli, fornivano scenari di catastrofi cosmiche, rovesciamenti politici e trionfi messianici. Nel XIX secolo, segnato dalle guerre napoleoniche e dalle rivoluzioni politiche, molti credenti vedevano in quei cambiamenti storici i segni precursori della redenzione.

Allo stesso tempo, l’ebraismo stava conoscendo una fase di rinnovamento intellettuale, come dimostra il movimento dell’Haskalah, l’Illuminismo ebraico, che invitava ad aprirsi alla cultura europea, alla razionalità e alla modernità. Alcuni pensatori maskilim riducevano l’elemento messianico a una dimensione etica o spirituale, spostando l’accento dall’attesa apocalittica alla costruzione di una nuova identità civica. Si trattava, tuttavia, di un movimento elitario, e, per la maggior parte delle persone, specialmente nell’Europa orientale, il sogno del ritorno conservava un carattere fortemente concreto, legato a immagini di riscatto collettivo e di giustizia divina che si avverava.


Il Contributo delle Correnti Cristiane

Parallelamente, una parte del mondo cristiano elaborava interpretazioni proprie della potrenziale restaurazione di Israele; le correnti millenariste, sviluppatesi soprattutto nei paesi anglosassoni, interpretavano la Bibbia in chiave letterale. Per questa ragione, il raduno degli ebrei nell’antico regno di Israele era considerato un evento indispensabile per l’avvento del Regno di Dio sulla terra. Pastori, predicatori e missionari moltiplicavano conferenze e scritti che prospettavano un ritorno imminente degli ebrei nella loro terra ancestrale.

Questo interesse, del resto, non era privo di ambiguità, ed esso rappresentava un riconoscimento del ruolo unico e insostituibile di Israele nella storia della salvezza; inoltre, tale elemento era spesso legato a progetti di conversione. Secondo questa visione, gli ebrei sarebbero tornati a Sion, ma per riconoscere in Gesù il Messia promesso, e non per vivere in quanto ebrei e rifondare la patria perduta in seguito alla colonizzazione arabo-islamica. La fondazione della London Society for Promoting Christianity among the Jews nel 1809 è un esempio evidente di questa tensione; l’idea radicata che la storia d’Israele avesse un ruolo decisivo per il futuro dell’umanità spingeva i cristiani a impegnarsi nella missione, ma anche a coltivare una forma di ‘filosemitismo escatologico’ che si intrecciava con la politica e la diplomazia.


Joseph Crooll e The Restoration of Israel (1814)

È nel contesto delineato in precedenza che si colloca Joseph Crooll, di cui solamente pochi dettagli biografici sono noti; ma le sue opere testimoniano una conoscenza approfondita delle Scritture e una forte sensibilità per la questione ebraica. Nel 1814, egli pubblica, a Londra, The Restoration of Israel, un volume di oltre trecento pagine nel quale affronta sistematicamente il tema del destino futuro del popolo ebraico.

L’opera si apre con una precisazione di Crool, che afferma come il libro

(…) it was written without any design to publish
it, and only to satisfy the Author’s own opinion, as will
be seen in the sequel.

(…) è stato scritto senza alcuna intenzione di pubblicarlo, e solo per soddisfare l’opinione dell’Autore, come si vedrà in seguito.

(Joseph Crool, The Restoration of Israel, London, 1814, p. 3).

Crooll parte da un presupposto chiaro, ed è convinto che le promesse fatte da Dio ad Abramo e ai profeti non possono essere annullate; non si tratta, dunque, di finzione letteraria, ma di una convinzione profonda. Crool, del resto, parte dal presupposto, comprensibile per la sua epoca (ma ancora diffuso) , che i fatti descritti dalla Bibbia (sia dell’AT che del NT) fossero storici, ovvero che si fossero svolti esattamente come riportato dal Testo Sacro. La lettura della Bibbia da parte di Crool, dunque, e dell’Antico Testamento in particolare, è di tipo letterale; egli non propone interpretazioni teologiche o di altro tipo, ma cita puntualemente la Bibbia per sostenere le sue affermazioni.

Da questo punto di vista, la dispersione degli ebrei, che dura ormai da secoli, viene considerata una fase temporanea, una prova che prepara la restaurazione finale; egli cita ampiamente i profeti Isaia, Geremia ed Ezechiele, sottolineando come il ritorno degli esuli e la ricostruzione di Gerusalemme siano inscritti nel piano divino. La sua lettura non è allegorica, in quanto Crooll parla di un ritorno reale, geografico, storico, esattamente come ‘predetto’ dalle Scritture.

Al tempo stesso, l’autore non nasconde la sua convinzione che la restaurazione debba passare attraverso la conversione a Cristo; Crool era e rimane un cristiano devoto, con un significativo zelo missionario; la missione diventa quindi parte integrante del processo. In altre parole, il compimento della promessa divina viene legato alla conversione degli ebrei al cristianesimo; si tratta di un asetto, quello missionario che attualmente può apparire problematico, ma rivela quanto, per Crooll, il destino d’Israele fosse inseparabile dal destino dell’umanità intera.


Il Pensiero di Crooll nel Contesto del XIX secolo

L’opera di Crooll si inserisce in un’Europa sconvolta dalle guerre napoleoniche e in cerca di un nuovo equilibrio; in tale clima, parlare di restaurazione nazionale non era un esercizio puramente spirituale, ma significava inserirsi in un discorso più ampio, in cui popoli e nazioni rivendicavano identità, diritti e territori. È interessante notare come l’idea di un ritorno degli ebrei nella terra in cui essi abitavano originariamente potesse risultare in sintonia con i nazionalismi nascosti o emergenti del tempo.

L’opera di Crooll, che adotta una prospettiva cristiana e missionaria,, contribuiva a diffondere il concetto che il popolo ebraico non fosse destinato a dissolversi nell’esilio, ma che avesse ancora una missione storica e una patria promessa. Da questo punto di vista, l’autore anticipava il linguaggio successivo del sionismo, ovvero la nozione di restaurazione, di ritorno, e la convinzione che il tempo della dispersione fosse solamente temporaneo.


Escatologia, Apocalittica e Identità Collettiva

L’attesa messianica e il linguaggio apocalittico del XIX secolo non vanno interpretati come mere illusioni religiose, ma come strumenti identitari; le comunità ebraiche, sottoposte a pressioni sia esterne che interne, trovavano in queste attese una forma di resistenza culturale. Pregare per Gerusalemme significava riaffermare la propria dignità e la propria memoria storica, e non semplicemente svolgere un atto di culto. Leggere i ‘segni dei tempi’ secondo quanto profetizzato nelle Scritture permetteva di attribuire un significato alle sofferenze, e serviva a proiettare la comunità nello scenario futuro desiderato e atteso.

Dal punto di vista cristiano, l’escatologia legata a Israele costituiva una chiave di lettura della modernità, e, di conseguenza, le guerre, le rivoluzioni e i rivolgimenti sociali venivano interpretati come tappe verso la ‘fine dei tempi’. Pertanto, gli ebrei diventavano protagonisti involontari di un dramma universale, osservati con timore, speranza o diffidenza, ma comunque centrali nella narrazione e mai marginali.


Dal Pensiero Religioso al Progetto Politico

Nella seconda metà del XIX secolo iniziarono ad emergere le prime forme di sionismo pre-politico, come emerge dai testi di autori quali Moses Hess o nel pamphlet Autoemancipazione! di Leo Pinsker; si tratta di testi che anticipano le tematiche dei decenni successive. L’idea di un ‘ritorno’ a Sion non doveva più essere inventata, ma tradotta in termini politici e pratici; da un linguaggio profetico e apocalittico si passava a quello nazionalistico, dei diritti, dell’autodeterminazione.

Tuttavia, senza la lunga sedimentazione escatologica e ideologica, il sionismo politico non avrebbe avuto forza simbolica; opere come quella di Crooll, seppure collocate in contesti diversi, contribuirono a mantenere viva l’attesa. Le sorti del popolo ebraico furono dunque legate indissolubilmente a Sion e alla terra ancestrale degli ebrei; del resto, un destino oggetto di una promessa divina (vera o presunta), non poteva che essere riconosciuta anche da un punto di vista storico o politico. Anche se non tutti gli ebrei condividevano questo pensiero politico, esso acquistò una forza e una legittimazione tale da non poter più essere ignorato o sottovalutato, anche dai suoi detrattori.


Conclusione

Il XIX secolo rappresenta un ponte tra l’attesa religiosa e la realizzazione politica, e parlare di ‘sionismo prima del sionismo’ significa riconoscere che il movimento nato con Herzl e i congressi di Basilea non è frutto di un atto improvviso, ma l’esito di secoli di riflessioni, preghiere, speranze e testi che avevano alimentato questo tipo di ideologia, che diventerà la base per il futuro Stato ebraico.

L’opera di Joseph Crooll si inserisce esattamente in tale contesto, e ricorda che, prima ancora che uno Stato, Israele fu un sogno condiviso, una promessa interpretata e reinterpretata, un orizzonte capace di parlare tanto agli ebrei quanto ai cristiani. Si tratta(va) di un sogno in cui si intrecciano fede e politica, teologia e storia, visioni apocalittiche e strategie di sopravvivenza, note successivamente con il termine ‘sionismo’. Comprendere questa dinamica significa riconoscere che la modernità ebraica, con le sue luci e le sue ombre, nasce anche da quelle pagine scritte due secoli fa, quando un predicatore cristiano, nel cuore di Londra, immaginava con ardore (e sincerità) il futuro ritorno d’Israele alla sua terra e alla sua vocazione universale.


Letture Consigliate

  • Karahan, S. (2024). The concept of time and the future perception of Zionism based on the messianic doctrine: Forcing God into the Golden Age. Milel ve Nihal, 2024, 107-135.
  • Hershkowitz, I. (2022). Early religious Zionism and erudition concerning the Temple and sacrifices. Religions, 13(4), 310.
  • Lewis, D. M. (2021). A Short History of Christian Zionism: From the Reformation to the Twenty-First Century. IVP Academic.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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