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Abstract

Il sermone di ringraziamento pronunciato nel 1859 in Inghilterra per la vittoria sulla ribellione dei Sepoy in India costituisce un esempio emblematico della fusione tra religione e politica nell’età vittoriana; l’evento, che si inserisce in un quadro liturgico solenne, trasformava un’operazione militare in un segno della provvidenza divina, legittimando l’impero come missione civilizzatrice. Attraverso la retorica biblica e la rappresentazione dei ribelli come idolatri e traditori, il discorso consolidava l’immagine della Corona quale strumento di giustizia e ordine universale. Se in patria esso rafforzò l’orgoglio nazionale e la percezione di una vittoria ‘sacralizzata’, in India contribuì invece ad accrescere il risentimento verso una dominazione percepita come inevitabile e divinamente sancita. Questo sermone, lungi dall’essere un episodio marginale, offre una chiave di lettura essenziale del rapporto tra cristianesimo e imperialismo, anticipando dinamiche che, sebbene abbandonate in Europa, continuano a riaffiorare nel mondo islamico contemporaneo, dove religione e politica restano strettamente intrecciate.


The thanksgiving sermon delivered in England in 1859 for the victory over the Sepoy Rebellion in India is an emblematic example of the fusion of religion and politics in the Victorian era; the event, which took place within a solemn liturgical framework, transformed a military operation into a sign of divine providence, legitimising the empire as a civilising mission. Through biblical rhetoric and the representation of rebels as idolaters and traitors, the discourse solidified the image of the Crown as an instrument of justice and universal order. While it strengthened national pride and the perception of a ‘sacralised’ victory at home, in India it contributed instead to increasing resentment towards a domination perceived as inevitable and divinely sanctioned. This sermon, far from being a marginal episode, offers an essential key to understanding the relationship between Christianity and imperialism, anticipating dynamics that, although abandoned in Europe, continue to resurface in the contemporary Islamic world, where religion and politics remain closely intertwined.


Introduzione – La Vittoria Sacralizzata

Nel gennaio del 1859, in un clima di solenne raccoglimento e al tempo stesso di esultanza patriottica, le chiese d’Inghilterra furono invitate a celebrare un culto speciale di ringraziamento per la vittoria riportata dalle armi britanniche contro la rivolta dei Sepoy in India. La decisione non fu marginale, né dettata da semplice consuetudine liturgica, ma era il segno tangibile di come la Corona e l’opinione pubblica desiderassero inscrivere l’evento traumatico della ribellione indiana entro una cornice religiosa, trasformandola da insurrezione militare a banco di prova della missione civilizzatrice dell’Impero.

Del resto, le celebrazioni religiose (protestanti) per eventi che riguardavano la comunità non si esauriscono certamente agli eventi bellici; la Chiesa di Inghilterra vanta una lunga tradizione in questo senso. Si pensi, a tale proposito, alle celebrazioni religiose per il raccolto, un evento che nel XIX secolo segnava ancora la vita delle comunità; è noto che la CdI prevedeva già un ringraziamento per il raccolto nel 1862. Tuttavia, tale evento venne riconosciuto in maniera più o meno ufficiale prima di questa data.

Pertanto, non sorprende che eventi eccezionali come la sconfitta dei ribelli sepoy sia stata causa per una celebrazione liturgica comunitaria; è in questa occasione che si inserisce il sermone di ringraziamento pronunciato nel 1859. Si tratta di una predica che venne stampata nello stesso anno da un anonimo parroco londinese; in effetti, il Thanksgiving Thoughts on the Indian Mutiny, 1857–1858 si colloca in questo orizzonte, e costituisce, allo stesso tempo, un testo di devozione e un atto politico. È del resto difficile comprendere appieno la portata di quel discorso senza inserirlo nel contesto della rivolta del 1857, dei suoi sviluppi e della successiva repressione, che ridisegnarono radicalmente i rapporti fra l’India e il Regno Unito.


La Ribellione dei Sepoy (1857–1858)

La Ribellione dei Sepoy scoppiò nel maggio 1857 nelle file dell’esercito della Compagnia delle Indie Orientali; la causa immediata, come spesso accade nella storia, fu un dettaglio apparentemente marginale. Le cartucce dei nuovi fucili Enfield suscitarono una viva opposizione, in quanto si erano diffuse voci secondo cui il grasso usato era sia suino che bovino; di conseguenza, si trattava di una grave offesa sia per i soldati induisti che per quelli islamici.

La protesta si trasformò rapidamente in un’insurrezione generalizzata, e, dalla rivolta dei soldati a Meerut, le tensioni si estesero rapidamente a Delhi, dove i ribelli proclamarono l’anziano Bahadur Shah II, ultimo discendente dei Moghul, come simbolico sovrano. Poco dopo, si sollevarono intere città, e l’India settentrionale divenne teatro di un conflitto che opponeva i locali al dominio britannico.

Si trattò di un conflitto notevole, che sottolineò ed espose le debolezze del modello britannico, ma anche la fragilità delle forze che ad esso si opponevano; il 31 ottobre del 1857, il The London Illustrated News, parlava di ‘riconquista di Deli’, e proponeva alcune illustrazioni, come quella riportata di seguito.

The Fall of Delhi, The London Illustrated News, 31 Ottobre 1857.

Gli inglesi, colti di sorpresa, reagirono con estrema durezza, e dopo mesi di operazioni militari, le forze britanniche, sostenute anche da contingenti sikh e gurkha rimasti leali, riconquistarono Delhi tra settembre e ottobre del 1857. Nel 1858 la ribellione era ormai schiacciata, e anche Lucknow cadde, seguita da Gwalior e da altri centri, decretando la fine della rivolta, che aveva lasiato una pesante eredità da entrambe le parti.

La sostanziale facilità con cui iniziò la rivolta convinse i britannici della necessità di consolidare il dominio coloniale, allo scopo di evitare che un evento del genere si ripetesse; è in questa ottica che deve essere interpretato il sermone pronunciato nel 1859.


La Dimensione Religiosa della Vittoria

Alla fine del 1858 la ribellione era ormai domata, e la Corona decise di indire un giorno di ringraziamento solenne; tale scelta non corrispondeva solamente alla volontà di celebrare la vittoria, ma costituiva uno strumento efficace per restituire senso ad un evento traumatico. In India erano morti migliaia di britannici, e le atrocità commesse dai ribelli avevano colpito l’immaginario collettivo; il timore di aver rischiato la perdita dell’intero subcontinente era stata concreta.

Il ringraziamento serviva dunque a consolidare la narrazione del confronto come lotta tra ordine e caos, civiltà e barbarie, cristianesimo e idolatria; si trattava di un linguaggio teologico-politico che permetteva di presentare la repressione come ‘giusta causa’ e di giustificare l’Impero non come dominazione economica, ma come missione provvidenziale.

Il sermone londinese pubblicato nel 1859 si apre infatti con uan citazione dal Secondo Libro di Samuele,

“And he put garrisons in Edom; throughout all Edom put he garrisons, and all they of Edom became David’s servants, and the Lord preserved David whithersoever he went.

“And David reigned over all Israel: and David executed judgment and justice unto all his people.”

Ed Egli mise guarnigioni in Edom; in tutto Edom mise guarnigioni, e tutti gli Edomiti divennero servi di Davide, e il Signore salvò Davide ovunque andasse.

E Davide regnò su tutto Israele: e Davide amministrò la giustizia e il diritto a tutto il suo popolo.

Si tratta di un inizio programmatico, di un uso politico del cristianesimo, in cui il successo militare viene presentato non solamente come frutto della potenza britannica, ma soprattutto come un intervento divino in difesa della giustizia. La scelta di 2 Samuele, poi, appare ancora più significativa, con i suoi riferimenti politici espliciti, che giustificano l’imperialismo e la repressione militare e politica.


Analisi del Sermone – Teologia e Retorica Imperiale

Il sermone, che si può leggere online in lingua inglese, parte dalla constatazione che il governo britannico è ‘ essentially and generally Christian‘, e che, pertanto, le sue decisioni (e il suo destino) sono poste sotto la tutela divina. Per questa ragione, la vittoria riportata sui ribelli non viene attribuita alla forza militare, ma soprattutto alla ‘guida divina’, che ha mostrato la ‘giustizia’ contro persone che, non essendo cristiane, non possono prevalere, secondo una retorica ben consolidata.

Per iniziare, viene espressa la convinzione che Dio abbia punito l’orgoglio dei ribelli, e, del resto, i Sepoy vengono descritti come ingrati, traditori, oppressi dal peccato dell’idolatria e dall’errore religioso. La ribellione, in questa narrazione, non nasce da cause sociali, economiche o politiche, ma dall’infedeltà spirituale. Il sermone in esame, inoltre, esalta la misericordia divina che avrebbe protetto gli inglesi nei momenti più difficili, come l’assedio di Lucknow, le marce disperate, ed i massacri risparmiati per miracolo. La memoria collettiva delle sofferenze trova dunque un preiso significato, ed assume i toni della prova con cui Dio prova la fede ‘dei suoi servi’.

Da ultimo, il testo contiene un richiamo al dovere futuro, e la vittoria concessa da Dio si traduce in una precisa missione da parte del popolo britannico; l’India, dunque, non deve solo essere governata, ma anche illuminata dalla luce del Vangelo. Si tratta, del resto, della concezione ottocentesca di missione protestante, in cui il missionario era un agente coloniale, funzionale al progetto imperiale.

Il sermone, dunque, non è una semplice celebrazione, ma una vera e propria catechesi politica, in quanto esso insegna come interpretare il passato e orientare il futuro; tale concezione, che non viene più seguita nel XXI secolo, costituisce invece lo standard di riferimento nel mondo islamico. L’uso dell’Islam politico, in effetti, è diffuso e viene spesso presentato come ‘vero Islam’; invece, l’uso del cristianesimo come legittimazione politica è diventato un tabu.


Religione e Politica – Il Sermone come Strumento di Legittimazione

Il ringraziamento del 1859 mostra con chiarezza quanto fosse sottile il confine fra religione e politica nell’Inghilterra vittoriana; la vittoria militare era generalmente interpretata come segno della benevolenza divina, e ogni sconfitta come ammonimento morale. La Chiesa d’Inghilterra, pur non essendo organo dello Stato in senso proprio, partecipava alla costruzione ideologica dell’Impero, al pari dell’Islam nel mondo moderno, che continua ad esercitare una funzione politica evidente.

In questo caso, il sermone contribuiva a legittimare il passaggio epocale avvenuto proprio in quegli anni, ovvero lo scioglimento della Compagnia delle Indie Orientali e il trasferimento diretto del potere alla Corona britannica. Nel 1858, con il Government of India Act, la regina Vittoria assunse il titolo di Imperatrice delle Indie. Il ringraziamento servì anche a presentare questo cambiamento come provvidenziale,e non una mera riforma amministrativa, ma come la volontà di Dio che riportava ordine e giustizia.

Del resto, la conversione degli ‘heatens’, di coloro che venivano definiti ‘pagani’, tra cui rientravano a volte, anche i ‘maomettani’, era intesa come un preciso dovere dei cristiani, e non solamente dei missionari. In ambito coloniale, poi, questa missione aveva chiari intenti politici e imperiali, e sosteneva la dominazione britannica.

Opere come ‘Men of Might in India Mission’, di Helen Holcomb, dipingono un quadro coerente con le moderne ricerche, che sottolineano l’importanza non solamente spirituale, ma anche sociale dei missionari e specialmente di quelli che vengono considerati i ‘pionieri’ della predicazione del Vangelo in India, come Alexander Duff e Samuel Kellogg.

Men of Might in India Missions, 1901.

Risulta evidente che l’intento della predicazione si spingeva ben oltre la mera dimensione spirituale, per comprendere un livello culturale più ampio; da questo punto di vista, opere come quella citata rimangono punti di riferimento fondamentali per una comprensione equilibrata del periodo coloniale.


Il Sermone – Ieri e Oggi

L’impatto del sermone (pronunciato in una Chiesa britannica) e delle celebrazioni di ringraziamento fu duplice, e, da una parte, si osserva che nella madre-patria esso rafforzò l’orgoglio patriottico; l’opinione pubblica, scossa dalle notizie di massacri e dalle paure di un collasso imperiale, trovò conforto nell’idea che la vittoria fosse segno della predilezione divina. Anche se tale retorica non convinse tutti, essa risultò efficace come elemento di mobilitazione delle coscienze, Le chiese si riempirono, e i giornali riportarono i discorsi con enfasi.

In India, invece, la percezione fu diversa, ed assunse un tono sgradevole per molti indiani e principi locali, a cui venne ricordata, rinforzata, la necessità di essere dominati dalla Corona Britannica; il contrasto con le aspirazioni di autonomia, o perlomeno di una maggiore libertà, erano state frustrate. Le pretese di governo dello shah indiano avevano causato, alla fine, solamente la repressione delle autorità britanniche, che non potevano ammettere una sfida aperta al loro dominio.

Attualmente, questo sermone si considera come appartenente ad un passato remoto, ad un’epoca che la storia ha superato, almeno in Occidente; il mondo islamico, al contrario, continua (nella stragrande maggioranza dei casi) a interpretare le sue Scritture con le stesse tonalità e finalità con cui veniva letta la Bibbia in ambito coloniale.

Si potrebbe argomentare, dunque, che la reazione al colonialismo del passato avviene, oggi, con un linguaggio coloniale; la retorica dell’intervento e dell’assistenza divina, che fonderebbero supposti ‘diritti’ di conquista e riconquista (come avviene nella regione Israeliana) sono rinforzati anche a livello istituzionale. La critica a questa impostanzione, che si suppone divinamente sancita, poi, comporta l’acquisizione automatica dello status di nemico (se esterno) o di ‘traditore’ (critica interna), allo scopo di scoraggiare qualunque riflessione critica e cambiamento.

Fino a quando non cambierà il linguaggio e l’atteggiamento dei popoli che hanno subito la colonizzazione europea, diventa impossibile superare questa epoca, che, di fatto, viene tenuta in vita dai suoi stessi critici.


Conclusione

Il sermone di ringraziamento del 1859 per la vittoria sui Sepoy non è un documento marginale, ma una chiave di lettura fondamentale per comprendere l’Inghilterra vittoriana e il suo modo di interpretare la storia. Si tratta di un esempio emblematico di come il linguaggio religioso servisse a legittimare le imprese imperiali, affiancando la politica alla missione, e la conquista all’evangelizzazione.

Attualmente, questo sermone, pronunciato quasi 2 secoli or sono, rimane la cifra di un’epoca, la colonizzazione europea, che è definitivamente superata, e che viene tenuta in vita dai suoi critici; il mondo islamico, con poche eccezioni, propone la medesima retorica, e usa ancora l’Islam come strumento politico per legittimare governi autoritari o supposti diritti di conquista di ‘terre islamiche’. Invece, in Europa si discute criticamente dell’età imperiale e dei suoi effetti sulle popolazioni conquistate nel corso dell’impresa coloniale; quest’ultima ha avuto aspetti positivi e negativi, che devono ancora essere pienamente compresi.


Letture Consigliate

  • Kayastha, B. The Sepoy Mutiny (1857): A Landmark Event in the Modern Indian History. Contemporary Social Sciences.
  • Kayastha, B. The Sepoy Mutiny (1857): A Landmark Event in the Modern Indian History. Contemporary Social Sciences.
  • Tronicke, M. (2025). (Post) Colonial Justice: Legal Domesticationand Anticolonial Resistance. In Narrating Empire and Domesticity in Neo-Victorian Fiction: Domestic Elsewheres (pp. 115-148). Cham: Springer Nature Switzerland.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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