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Abstract

Hamas si presenta come un’organizzazione complessa, che, alla lotta armata e agli attacchi terroristici, abbina anche una capillare organizzazione amministrativa che cerca di assicurare i servizi essenziali agli abitanti della Striscia di Gaza. Hamas, dunque, è segnata da una complessità che impedisce di ridurre questo movimento alla sola componente terroristica, che pure è presente; in quanto attore istituzionale, Hamas deve spesso adottare decisioni pragmatiche, ma non sembra possedere la capacità di adattarsi a condizioni esterne mutevoli.


Hamas presents itself as a complex organisation, which, alongside armed struggle and terrorist attacks, also combines a widespread administrative organisation that seeks to ensure essential services for the inhabitants of the Gaza Strip. Hamas, therefore, is marked by a complexity that prevents reducing this movement to its solely terrorist component, which is indeed present; as an institutional actor, Hamas often has to make pragmatic decisions, but it seemingly lacks the ability to adapt to changing external conditions.


Introduzione

Parlare di Hamas significa spesso evocare immagini di violenza, lanci di razzi, tunnel sotterranei e attentati terroristici; si tratta di una rappresentazione che ha una base reale, e che coglie un aspetto fondamentale di questa organizzazione. Hamas è stato e rimane un attore militare capace di colpire con efficacia e di destabilizzare il quadro regionale; per questa ragione, tale gruppo è stato designato come ‘organizzazione terroristica’ da parte di governi e organizzazioni internazionali.

Tuttavia, il terrorismo non è il solo aspetto di Hamas, e probabilmente nemmeno quello più importante; il successo di questo gruppo, sia nella Striscia che nella narrazione internazionale, può essere spiegato solamente quando si considerano elementi che solitamente vengono taciuti o passano (comprensibilmente) in secono piano. L’obiettivo di Hamas, in effetti, è prevalentemente politico, e non religioso, e, pertanto, esso ha creato e organizzato nel corso del tempo una complessa rete amministrativa e diplomatica.

Non si tratta, ovviamente, di giustificare le sue azioni, ma di comprenderle all’interno di un quadro più ampio, allo scopo di valutare con maggiore obiettività il radicamento e la resilienza del gruppo nel contesto palestinese e mediorientale.


Origini, Ideologia e Trasformazioni

Hamas nasce nel dicembre 1987, nel contesto della cosiddetta ‘Prima Intifada’, come diramazione palestinese della Fratellanza Musulmana, attiva in tutto il mondo islamico; la sua fondazione, dunque, si colloca in un momento di forte mobilitazione popolare contro Israele, in un momento storico in cui il nazionalismo laico dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina stava perdendo parte della sua presa sulle masse.


La Carta del 1988, il documento programmatico originario, combinava due elementi, e, ad un nazionalismo assoluto, che vedeva tutta la Palestina storica (Palestina Britannica) come territorio sacro e inalienabile, abbinava un Islam radicale che interpretava il conflitto nazionalista come jihad. In quel testo, la prospettiva era assoluta, e non si prevedeva alcun compromesso territoriale, nessuna distinzione tra civili e militari israeliani, e soprattutto nessun riconoscimento di Israele come Stato legittimo.

Il prologo della Carta conteneva un’affermazione di Al Banna, fondatore dei Fratelli Musulmani, che non lasciava spazio ad interpretazioni,

Israel will be established and will stay established
until Islam nullifies it as it nullified what was
before it.

The Martyred Imam Hasan al-Banna

Israele sarà creato e continuerà ad esistere fino a quando l’Islam non lo cancellerà, come ha cancellato quello che precedeva.

Il martire imam Hasan al-Banna.

Carta di Hamas, 1988, Prologo.

Col passare del tempo, la leadership di Hamas ha compreso la necessità di un linguaggio più flessibile per dialogare con l’esterno; nel 2017, pertanto, è stata emessa una nuova Carta fondativa, in cui si nota una prima, cauta apertura rispetto ai toni iniziali. Anche se Israele non viene direttamente riconosciuto, si ammette come obiettivo quello di creare uno Stato palestinese con i ‘confini del 1967’, ovvero quelli esistenti prima della ‘guerra dei sei giorni’ persa contro Israele.

Il cambiamento appare decisamente diplomatico, e non dovrebbe essere interpretato come un riconoscimento di fatto di Israele; nel prologo del documento si legge,

Palestine is a land that was seized by a racist, anti-human and colonial
Zionist project that was founded on a false promise (the Balfour
Declaration), on recognition of a usurping entity and on imposing a fait
accompli by force.

La Palestina è una terra che è stata strappata da un progetto sionista razzista, anti-umano e coloniale, fondato su una falsa promessa (la Dichiarazione Balfour), sul riconoscimento di un’entità usurpatrice e sull’imposizione di un fatto compiuto con la forza.

Carta di Hamas, 2017, Prologo.

Appare evidente che l’approccio ‘moderato’ rappresenta la necessità di trovare interlocutori esterni, sensibili ad un linguaggio meno esplicito sull’atteggiamento nei confronti dello Stato di Israele.


Struttura Interna e Leadership

A differenza di molte organizzazioni armate, Hamas possiede un assetto organizzativo articolato che ricorda quello di uno Stato parallelo,e che lo costituisce come un proto-governo, o proto-Stato, come già osservato in un altro articolo.


La leadership, in effetti, è distribuita su molteplici livelli, tra cui emergono (come principali),

  • Ufficio politico all’estero. Storicamente basato in Siria, poi spostato in Qatar e in Turchia, coordina le relazioni diplomatiche e strategiche.
  • Esecutivo interno. Governa Gaza, gestisce i ministeri e coordina le forze di sicurezza.
  • Consigli della shura. Organismi collegiali che si riuniscono regolarmente, anche nelle carceri e nei campi profughi, per garantire una rappresentanza diffusa.

Questa struttura garantisce una certa resilienza, e la perdita di leader militari o politici non paralizza il movimento, anche se può metterlo in evidente difficoltà, grazie alla presenza di un sistema di sostituzione interna e di una catena di comando ridondante. Per questa ragione, nonostante la perdita di molti comandanti militari e civili, Hamas riesce a riorganizzarsi e resistere; anche durante la guerra in corso, in effetti, Hamas riesce a resistere ad un nemico militarmente (ed economicamente) superiore.

La capacità di resistenza, evidentemente, viene erosa da conflitti prolungati, ma rimane notevole, specialmente quando si considerano le maggiori risorse degli avversari; inoltre, coloro che vengono uccisi diventano ‘martiri’, e alimentano ulteriormente la narrazione e le capacità difensive e offensive.


La Governance a Gaza

Dal 2007, anno in cui Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza a seguito di uno scontro armato con Fatah, il movimento ha costruito un apparato amministrativo di fatto statale, sebbene la Striscia non sia riconosciuta come Stato da parte della comunità internazionale.


La governance di Hamas comprende:

  • Ministeri dedicati all’istruzione, alla sanità, ai lavori pubblici.
  • Un sistema giudiziario ibrido che integra norme ottomane, leggi del Mandato britannico, regolamenti dell’Autorità Palestinese e principi della sharia.
  • Forze di polizia e di sicurezza interna.

Questo apparato impiega decine di migliaia di funzionari e fornisce servizi pubblici che, seppur limitati dalla povertà e dal blocco, danno al movimento un ruolo imprescindibile nella vita quotidiana della popolazione. È significativo che Hamas abbia sviluppato una burocrazia capillare, modulistica, uffici, timbri, regolamenti interni, che segnalano una statualità informale, ma sicuramente riconoscibile, perlomeno nella sua forma rudimentale.


Il Lato Sociale – Welfare e Consenso

Il potere di Hamas, evidentemente, non si regge solamente sulla forza militare e sull’intimidazione degli apparati di sicurezza, simili, del resto, a quelli di Fatah; a partire dalle origini, il movimento ha investito risorse significative nella rete di servizi sociali, spesso colmando le lacune lasciate dall’Autorità Palestinese e dalla comunità internazionale.


Hamas ha costruito scuole, cliniche, orfanotrofi e centri per la distribuzione di beni alimentari, che sono parte integrante di una precisa e lucida strategia di dominio; in contesti segnati da povertà e marginalizzazione, e organizzazioni affiliate a Hamas sono spesso il primo (e spesso l’unico) interlocutore per le necessità fondamentali. Non sorprende, dunque, che le strutture civili possano essere usate anche in senso militare, e viceversa, dimostrando una sorprendente flessibilità e capacità di adattamento rispetto alle condizioni mutevoli (e spesso ostili) a cui è necessario fare fronte.

Un esempio emblematico, da questo punto di vista, è rappresentato dalla gestione delle campagne sanitarie; in occasione di una vaccinazione antipolio, Hamas ha saputo coordinarsi con OMS e UNICEF, trasformando l’evento in un momento di legittimazione pubblica. A differenza di altre organizzazioni terroristiche, come ISIS, Hamas non si oppone sempre e necessariamente alla cooperazione con l’esterno, ma la sfrutta per legittimarsi sia internamente che esternamente.


Si tratta di un vero e proprio welfare politico, che crea un legame di gratitudine e dipendenza, e che si traduce in consenso elettorale e in accettazione del potere esercitato; le metodologie terroristiche, adottate anche contro la sua stessa popolazione, rientrano in una strategia più ampia. Il terrorismo e l’autoritarismo, in altre parole, non sono fine a sè stesse, ma sono subordinate ad un disegno ampio di controllo e dominio politico, sociale e militare.


Relazioni Politiche e Diplomazia Regionale

Il trionfo elettorale del 2006, quando Hamas ottenne la maggioranza del Consiglio Legislativo Palestinese, segnò la sua entrata formale nelle istituzioni; questa vittoria, certificata anche da organismi internazionali, si tradusse presto nello scontro con Fatah. La guerra civile che ne è risultata, ha determinato l’attuale divisione territoriale tra Cisgiordania (e Gerusalemme Est, governate da OLP) e Gaza, governata da Hamas.

Quest’ultimo, del resto, non è il solo attore locale, e la sua leadership è stata posta in dubbio, recentemene, da altri attori, ma il suo apparato organizzato e capillare ha mostrato la capacità di resistere a queste sfide.

Sul piano internazionale, Hamas mantiene relazioni strategiche con l’Iran, il Qatar, Tula rchia e l’Egitto, e ha relazioni informali con altri Stati, come quelli del Maghreb; si tratta di legami che forniscono finanziamenti, copertura diplomatica e anche supporto militare (Iran). La capacità di tessere alleanze regionali dimostra una vocazione politica non riducibile alla sola dimensione armata, ma ad una strategia più ampia, compatibile con la funzione governativa assunta dal gruppo.

Nel corso degli anni sono stati firmati diversi accordi di riconciliazione con Fatah e altri partiti palestinesi, compresa la Dichiarazione di Pechino del 2024; tuttavia, queste intese raramente si sono tradotte in un’effettiva unità politica, a causa di divergenze profonde su strategie, priorità e gestione del potere. Di fatto, le due fazioni (Fatah e Hamas) continuano ad accusarsi a vicenda, specialmente in occasioni di crisi, come la guerra in corso con Israele.


L’Ala Militare – Le Brigate Al Qassam

La componente militare di Hamas, le Brigate Izz ad-Din al-Qassam, è una delle forze armate non statali più organizzate del Medio Oriente; oltre ai razzi e ai droni, le Brigate hanno sviluppato una rete di tunnel sotterranei, usati sia per contrabbando che per operazioni militari. Questo esercito porta il nome di Al Qassam, un leader religioso e militare che si era formato ad Al Azhar all’inizio del XX secolo, e che era diventato una delle voci critiche del colonialismo; non sorprende, dunque, che la sua predicazione sia stata incentrata sul concetto di jihad come mezzo per respingere le potenze coloniali.

Egli compose anche una sorta di poesia di guerra contro gli italiani, in occasione della conquista italiana della Libia,

Ya Rahim, Ya Rahman
Unsur Maulana as-Sultan
Wa ksur aadana al-Italiyan.

O Misericordioso, O Compassionevole
Rendi il nostro Signore il Sultano vittorioso
E distruggi i nostri nemici, gli italiani.

Riportato da Schleifer, A. (2006). “Palestinian Peasantry in the Great Revolt”. In Edmund Burke, Yaghoubian. D.M. Struggle and Survival in the Modern Middle East. University of California Press.

Si tratta di invettive che, ovviamente, si devono inquadrare in questo periodo storico, ma che comunque testimoniano una costante del mondo islamico, che non esita a ricorrere ad invocazioni contro i nemici, anche in tempi moderni. Questa breve parentesi storica dovrebbe essere sufficiente per comprendere il significato simbolico rispetto alla lotta contro Israele, percepito come un agente coloniale.

L’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, pianificato con mesi di anticipo, ha dimostrato un’elevata capacità logistica e di intelligence; questo genere di operazioni, evidentemente, ha un costo enorme in termini di vite umane e di isolamento internazionale, accentuando il dilemma strategico di Hamas. Quest’ultimo deve bilanciare due obiettivi apparentemente contrapposti; mantenere la propria legittimazione come movimento di resistenza, ma al prezzo di un conflitto permanente che potrebbe erodere la sua autorità.


Legittimità Interna e Esterna

Il consenso a Hamas all’interno della popolazione palestinese è fluttuante, e nei periodi di relativa calma, la percezione negativa cresce, alimentata da accuse di corruzione, autoritarismo e gestione economica inefficiente. Nei momenti di conflitto, invece, la narrazione della “resistenza” tende a rafforzare l’immagine del movimento come difensore del popolo; per questa ragione, l’attacco del 7 ottobre acquisisce un senso strategico. Sebbene inferiori dal punto di vista militare e tecnologico (oltre che economico) Hamas era cosciente che un attacco diretto al ‘nemico’ per eccellenza avrebbe potuto rinsaldare la sua leadership; gli effetti nel lungo termine, tuttavia, sono imprevedibili, e si sono già registrati i primi segnali di insofferenza da parte della popolazione stremata di Gaza.


La propaganda gioca un ruolo cruciale, come video, comunicati e cerimonie pubbliche, che alimentano un senso di appartenenza e di orgoglio nazionale, anche tra coloro che non condividono l’intero programma ideologico. L’attacco del 7 ottobre, in particolare, è stato giustificato con la supposta ‘occupazione’ e ‘oppressione’ israeliana, e alcuni passaggi del documento ufficiale sull’evento che ha scatenato la guerra sono chiaramente falsi.

L’ufficio mediatico di Hamas, in ‘Our Narrative… Operation Al-Aqsa Flood’, Hamas afferma, contrariamente a quanto dimostrano i documenti e le testimonianze, che l’attacco del 7 ottobre è stato condotto

Avoiding harm to civilians, especially children, women
and elderly people is a religious and moral commitment
by all the Al-Qassam Brigades’ fighters. We reiterate
that the Palestinian resistance was fully disciplined and
committed to the Islamic values during the operation
and that the Palestinian fighters only targeted the
occupation soldiers and those who carried weapons
against our people. In the meantime, the Palestinian
fighters were keen to avoid harming civilians despite
the fact that the resistance does not possess precise
weapons. In addition, if there was any case of targeting
civilians; it happened accidently and in the course of
the confrontation with the occupation forces.

Evitando di danneggiare i civili, in particolare bambini, donne e anziani, è un impegno religioso e morale di tutti i combattenti delle Brigate Al-Qassam. Ribadiamo che la resistenza palestinese è stata completamente disciplinata e impegnata ai valori islamici durante l’operazione e che i combattenti palestinesi hanno mirato solo ai soldati dell’occupazione e a coloro che portavano armi contro il nostro popolo. Nel frattempo, i combattenti palestinesi si sono impegnati a evitare di danneggiare i civili nonostante il fatto che la resistenza non possieda armi precise. Inoltre, se ci fosse stato qualche caso di attacco ai civili, sarebbe avvenuto accidentalmente e nel corso dello scontro con le forze di occupazione.

Hamas Media Office, Our Narrative… Operation Al Aqsa Flood, 2023, p. 7.

Sebbene questa narrazione si sia dimostrata palesemente falsa, la potenza narrativa e l’abile gestione delle comunicazioni hanno permesso ad Hamas di diffondere queste notizie, distorcendo la realtà storica di quanto avvenuto.

Hamas, in effetti, vive in un equilibrio instabile tra ideologia e pragmatismo, e, da questo punto di vista, si osserva che l’ala militare e la base più radicale spingono per mantenere la linea dura; ciò nonostante, la gestione quotidiana di Gaza impone compromessi e scelte amministrative che richiedono flessibilità politica.

Il futuro del movimento dipenderà dunque dalla sua capacità (o incapacità) di evolvere in un attore politico pienamente integrato in un processo di pace; attualmente, le condizioni internazionali e interne rendono questa prospettiva remota. Hamas ha ripetutamente affermato di non rinunciare alla lotta armata e alla strategia del terrore fino a quando non avrà raggiunto i suoi obiettivi; pertanto, sembra altamente dubbia la sua capacità di evolversi e adattarsi a circostanze che mutano velocemente.


Conclusione

Ridurre Hamas alla sola etichetta di ‘gruppo terroristico’ significa perdere di vista la complessità di un attore che è al tempo stesso movimento politico, amministrazione territoriale, rete di welfare e organizzazione armata. Si tratta di una complessità che ovviamente non attenua la responsabilità per le violenze commesse, ma spiega perché, a quasi quarant’anni dalla sua nascita, Hamas sia ancora un protagonista centrale (e inevitabile) della scena mediorientale.

Per queste ragioni, le analisi che si concentrano su Hamas dovrebbero essere condotte con un respiro più ampio, anche dal punto di vista storico, allo scopo di intercettare la complessità di un movimento che continua ad incidere profondamente sui fragili equilibri del Medio Oriente (e non solo).


Letture Consigliate

  • Edmund Burke, Yaghoubian. D.M. (2006). Struggle and Survival in the Modern Middle East. University of California Press.
  • Margolin, D., Levitt, M. (2023). The road to October 7: Hamas’ long game, clarified. CTC Sentinel16(10), 1-10.
  • Cronin, A. K. (2024). How Hamas ends: a strategy for letting the group defeat itself. Foreign Aff.103, 50.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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