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Abstract

La Malesia rappresenta uno dei casi più emblematici del Sud-est asiatico in cui religione e politica si intrecciano profondamente, dando luogo ad una dinamica (Islam Politico) in cui lo Stato-nazione malese si configura non solo come entità politica moderna ma anche come custode dell’identità religiosa della maggioranza musulmana malese. In tale contesto, i movimenti islamisti hanno trovato spazio e legittimazione in molteplici forme; partiti politici, organizzazioni non governative, istituzioni religiose ufficiali e gruppi della società civile che, con intensità variabile, hanno cercato di plasmare l’ordine pubblico, giuridico e culturale del paese secondo i valori e principi dell’islam.

Questo saggio intende offrire una ricostruzione articolata della genesi, delle trasformazioni e delle manifestazioni contemporanee dell’islamismo malese, ponendo l’accento su tre assi principali: l’evoluzione storica dei movimenti islamici. In particolare, verranno considerati elementi come l’interazione di questi attori con le istituzioni statali e il ruolo della società civile e delle mobilitazioni religiose nel plasmare il discorso e le politiche pubbliche.


Malaysia represents one of the most emblematic cases in Southeast Asia where religion and politics are deeply intertwined, giving rise to a dynamic in which the Malaysian nation-state is configured not only as a modern political entity but also as the custodian of the religious identity of the Malay Muslim majority. In this context, Islamist movements have found space and legitimacy in multiple forms; political parties, non-governmental organizations, official religious institutions, and civil society groups that, with varying intensity, have sought to shape the public, legal, and cultural order of the country according to the values and principles of Islam.

This essay aims to provide a detailed reconstruction of the genesis, transformations, and contemporary manifestations of Malay Islamism, emphasizing three main axes: the historical evolution of Islamic movements. In particular, elements such as the interaction of these actors with state institutions and the role of civil society and religious mobilizations in shaping discourse and public policies will be considered.


Introduzione – Panoramica del Problema

Dietro ogni mobilitazione identitaria e battaglie per i diritti religiosi in Malesia, ci sono storie reali di persone come Lina Joy, costrette a districarsi tra la fede e lo Stato, in una continua lotta e negoziazione per l’identità e appartenenza. In un paese dove l’islam è la religione ufficiale e l’identità malay è giuridicamente definita come musulmana, qualunque atto di apostasia si trasforma in un evento pubblico, in una questione di diritto, ma anche di vita quotidiana; a scelte personali seguono effetti giuridici precisi, come il cambiamento del nome, l’annullamento del matrimonio, il cambiamento nei rapporti familiari, e il timore di persecuzione.

Questo articolo rilegge il fenomeno dell’islamismo malese come un intreccio tra:

  • agende politiche (partiti come PAS),
  • forme di cittadinanza religiosa (JAKIM, corti syariah),
  • mobilitazioni civili e personali (ISMA, PERKASA, Lina Joy),
    e mostra come le loro intersezioni producano tensione tra pluralismo e ortodossia, tra diritti individuali e diritto islamico.

L’Arcipelago Islamico Malese – PAS e JAKIM

Fondato nel 1951, il Parti Islam Se‑Malaysia (PAS), il Partito Islamico della Malaysia, ha subito profonde trasformazioni nel corso del tempo; da movimento etico-politico influenzato dalla Fratellanza Musulmana egiziana, è diventato un partito radicale negli anni Ottanta, sotto Yusuf Rawa e Nik Aziz, per poi diventare, dal 2020, un vero e proprio attore istituzionale, con la coalizione di governo Perikatan Nasional. La sua adattabilità fra spiritualità islamica e pragmatismo elettorale lo rende centrale nella politica malese, e ne condiziona le politiche; in effetti, uno degli snodi centrali della storia del PAS è stato il suo rapporto con la democrazia elettorale.

A differenza di molti partiti islamisti del Medio Oriente, spesso costretti alla clandestinità o alla marginalità, il PAS ha potuto operare all’interno del sistema democratico parlamentare malese, partecipando regolarmente alle elezioni e arrivando a governare interi Stati federati, come Kelantan, Terengganu e, per un periodo, anche Kedah. In queste realtà ha tentato di applicare misure ispirate alla sharia, tra cui l’introduzione di codici penali islamici (hudud laws), sebbene tali tentativi siano stati spesso ostacolati dal governo federale e da vincoli costituzionali.

Negli ultimi anni, il PAS ha progressivamente rafforzato il proprio peso politico, anche grazie a una strategia di alleanze pragmatiche; dopo una fase di opposizione nel quadro della coalizione Pakatan Rakyat, il partito ha trovato una nuova collocazione nel fronte Perikatan Nasional, segnando un riavvicinamento alla destra religiosa e nazionalista malese. Questo nuovo corso ha visto il PAS assumere incarichi governativi a livello federale, consolidando il proprio ruolo come attore sistemico dell’islam politico malese.

Va tuttavia segnalata l’ambivalenza che caratterizza l’identità ideologica del partito, che, mentre mantiene un’impostazione teocratica dichiarata, ha saputo adattarsi alle logiche della democrazia elettorale, promuovendo riforme incrementali e adottando un linguaggio più inclusivo nei confronti dell’economia e della governance. Tale oscillazione tra ortodossia e pragmatismo riflette la capacità del PAS di sopravvivere e prosperare in un ambiente politico segnato da pluralismo etnico, transizioni democratiche e sfide economiche globali.

La creazione del Dipartimento per lo Sviluppo Islamico (JAKIM) e l’affermazione del ruolo delle Corti Syariah in materia di famiglia, morale e apostasia hanno trasformato l’Islam in una forma di diritto amministrativo quotidiano. Il dualismo giuridico sancito dall’articolo 121(1A) della Costituzione garantisce che materie percepite come religiose siano gestite solo da istituzioni islamiche; a differenza di quanto accade in altri Paesi, come l’Indonesia, il legislatore malese ha optato per un’inclusione della sharia direttamente nell’ordinamento del Paese.


ISMA, PERKASA e la Mobilitazione Civile Identitaria

Nata nel 1997 come Ikatan Siswazah Muslim Malaysia e poi ampliata nel 2005, la Solidarietà Islamica Malese, (ISMA) è oggi una ONG islamista fondamentale; grazie a slogan come ‘Melayu Sepakat, Islam Berdaulat‘ (Malesi Uniti, Islam Sovrano), ha guadagnato una notevole influenza tra giovani e gli studenti. ISMA, in effetti, si contrappone costantemente al pluralismo religioso, alle comunità Shia e alle istanze LGBT, opponendosi con campagne pubbliche e commenti virali sui social, allo scopo di influenzare le decisioni pubbliche.

Fondata nel 2008 da Ibrahim Ali, PERKASA è un’organizzazione estremista che fonde suprematismo etnico dei malesi e difesa della supremazia islamica; questa organizzazione promuove attivamente la protezione dell’Articolo 153 della Costituzione (privilegi dei Bumiputera), e accusa pubblicamente minoranze e cristiani di minacciare l’identità nazionale. Si tratta dunque di un gruppo suprematista, in cui l’identità malese e islamica viene usata a scopi politici; del resto, è stato proprio PERKASA a minacciare la distruzione delle Bibbie in lingua malese, a causa della controversia sull’uso di ‘Allah’ per riferirsi a Dio.

Secondo Ali, questo uso avrebbe confuso i musulmani, e avrebbe dovuto essere vietato e riservato solamente ai musulmani; la minaccia di ‘bruciare’ le Bibbie in malese, tuttavia, non è stato giudicato un reato di odio religioso in Malesia. Al contrario, uno dei membri del governo ha spiegato che tale frase sarebbe stata diretta alla ‘difesa dell’Islam’, e, pertanto, tale minaccia non costituiva (secondo questa visione distorta) un reato.

“The statement made by him was not intended to menimbulkan kekecohan agama (create religious chaos) but was only to defend the sanctity of Islam,” the minister in the prime minister’s department said when describing the police’s findings.

“La dichiarazione fatta da lui non era intesa a menimbulkan kekecohan agama (creare caos religioso) ma solo a difendere la santità dell’Islam,” ha detto il ministro (della giustizia, ndr) del dipartimento del primo ministro descrivendo i risultati della polizia.

Malaysian Bar, Ibrahim Ali was just defending Islam, Putrajaya says of bible burning threat, Ibrahim Ali è stato corretto a difendere l’Islam, ha affermato Putrajaya in merito alla minaccia di bruciare le Bibbie, 9 ottobre 2014.

Ibrahim Ali nel 2014

Come noto, il caso si è risolto qualche anno dopo con una sentenza definitiva della Corte Suprema, che confermò per i cristiani la possibilità di usare la parola ‘Allah’ nelle loro Bibbie; ciò nonostante, il clima di intolleranza creato appare innegabile.


Un Caso Emblematico – Lina Joy

Nata come Azlina Jailani nel 1964, Lina Joy a 26 anni decise di convertirsi al cristianesimo, e, a tale proposito, fece una dichiarazione giurata (1998), cambiò nome, ma non riuscì a cambiare la sua religione originaria, ‘Islam’, dalla sua carta d’identità. Secondo i funzionari malesi, le norme del Dipartimento Nazionale Registrazioni, NRD, richiedevano una dichiarazione di apostasia rilasciato da un tribunale islamico (religioso). Dopo il rigetto da parte dei tribunali civili, il 30 maggio 2007 la Corte Federale respinse il suo ricorso, affermando che solamente una corte Islamica poteva riconoscere l’uscita ufficiale dall’islam. Il giudice Malanjum, cattolico e solo non musulmano, tuttavia, dissentì, definendo la posizione dell’NRD ingiusta, come riportano gli organi di stampa malesi; secondo la sua opinione, la richiesta di passare attraverso un tribunale islamico avrebbe esposto la neo-covertita ad abusi derivanti dalle conseguenze legali dell’apostasia.

L’articolo 11 della Costituzione, dunque, non sarebbe da intendere in maniera assoluta, ma, al contrario, tale diritto sarebbe subordinato alle regole della propria religione; di conseguenza, se in uno Stato la conversione al cristianesimo costituisce un reato, la persona che richiede il certificato di apostasia si auto-incrimina di un delitto. Per questa ragione, il giudice cattolico ha ritenuto eccessiva e sproporzionata la richiesta dei giudici.

Per Joy, il rigetto significava non poter sposare legalmente il suo partner cristiano, nascondersi e temere la perdita dei figli; essa, poi, poteva essere accusata di adulterio secondo la legge Islamica se avesse avuto dei figli al di fuori dal matrimonio. Si tratta, dunque, di un caso emblematico, che dimostra perfettamente la concezione di ‘libertà religiosa’ nei Paesi a maggioranza islamica, come la Malesia; la ‘difesa dell’Islam’ sembra essere il criterio prevalente, che frustra e limita notevolmente la libertà sancita nella Carta Costituzionale.


Reazione Islamista – PEMBELA e la Mobilitazione Conservatrice

Il caso Joy fu percepito dalla maggioranza islamista come un attacco al sistema basato sull’Islam, e, nel 2006 fu costituita PEMBELA, coalizione di oltre 50 ONG islamiche (inclusi ABIM, JIM, Forum Professionisti Musulmani, ecc.) con l’obiettivo di difendere la posizione dell’islam nella Costituzione e nella società malese. Essi riuscirono a raccogliere circa 700mila firme a favore della giurisdizione religiosa su tutte le questioni religiose, sottraendole ai tribunali civili; gli organizzatori del PEMBELA contestavano la possibilità di adottare idee e concetti liberali (occidentali) di libertà religiosa, in nome della ‘difesa’ dell’Islam.

Il caso di Lina Joy, da questo punto di vista, è stato strumentalizzato politicamente dal PEMBELA, che si è costituito come difensore dell’identità malese; quest’ultima, secondo tale visione, non potrebbe essere separata da quella islamica. L’attacco portato, secondo i dirigenti di questa organizzazione, sarebbe dunque allo stesso Islam, sotto attacco da parte di gruppi e potenze straniere, che cercano di interferire nelle politiche malesi.

L’Islam diventa dunque parte non negoziabile dell’identità malese, e un cittadino non potrebbe modificare la propria religione, dall’Islam ad un’altra confessione religiosa, senza rinunciare anche alla sya identità malese.


Educazione Religiosa e Radicalizzazione Culturale

Un altro livello di influenza islamica riguarda l’istruzione religiosa, in particolare le scuole tahfiz dove talvolta ideologie conservatrici e nazionaliste penetrano attraverso insegnanti poco regolamentati e senza uan reale supervisione. Alcuni insegnamenti implicano che i non musulmani locali siano kafir, un marchio di depravazione sociale secondo alcuni attivisti; del resto, il PAS ha ampiamente alimentato questa permeabilità ideologica, soprattutto nelle regioni di Kelantan e Perak.

Non sorprende, dunque, che la società malese sia impregnata dell’idea di un Occidente ‘decadente’ e ‘immorale’, da cui prendere le distanze; recentemente, il sito ‘Harakah’, uno dei principali media islamici del Paese, riporta le osservazioni di un membro del PAS,

La società è sempre più esposta a una cultura perversa quando relazioni chiaramente proibite come l’adulterio, le coppie libere e le relazioni lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) non solo vengono accettate, ma vengono anche apertamente celebrate dai media e dalle celebrità.

La presidente del Consiglio centrale per il benessere e la comunità del PAS, la dott.ssa Rosni Adam, ha affermato che questo cambiamento nelle norme è avvenuto a causa dell’influenza della cultura occidentale liberale e dell’indebolimento delle credenze religiose nella società.

Harakah Daily, Pengaruh Barat punca berlakunya normalisasi maksiat, L’influenza occidentale è la causa della normalizzazione dell’immoralità, 22 Luglio 2025.


Il Dissenso

Attivisti e intellettuali progressisti come Farouk Musa, fondatore del Fronte di Resistenza Islamico, sono stati spesso etichettati come ‘liberali deviati’ da ISMA e PERKASA; qualche volta hanno subito intimidazioni per aver sostenuto il dibattito intra-islamico e la libertà religiosa in Malesia. Musa, in particolare, ha ricevuto minacce e intimidazioni, anche da parte delle istituzioni malesi, che evidentemente non tollerano coloro che non accettano lo status quo. In Malesia, evidentemente, sono benvenuti i predicatori radicali, come Zakir Naik, mentre le voci moderate sono percepite come delle minacce alla stessa identità della nazione.

Zakir Naik

Un altro esempio di questo clima è rappresentato dalla giornalista Maria Chin Abdullah, che fu condannata a sette giorni di carcere da una corte islamica per aver criticato la giustizia coranica, definendola (giustamente) ‘ingiusta e vergognosa’. Il caso mostra come la critica ai tribunali religiosi stesso venga etichettata come blasfema o offensiva, secondo uno schema ben consolidato che usa la sharia come strumento politico.

In definitiva, in Malesia le voci dissenzienti esistono eccome, ma il regime che si è creato cerca di far intendere che si tratti di ‘incidenti’ in una nazione armoniosa e pacificata; per questa ragione, essi vengono etichettati come ‘deviati’ rispetto alla (supposta) regola che vorrebbe uniformare e imporre la sharia a tutti, anche al 40% del Paese che non è musulmano.

Il caso della Malesia rappresenta molto bene il dilemma dei Paesi a maggioranza islamica, in cui emerge un dibattito più ampio tra

  • Pluralismo vs. singolarità religiosa. L’art. 11 della Costituzione malese garantisce la libertà di fede, ma subordina il suo esercizio alla giurisdizione islamica quando si tratta di cittadini musulmani, impedendo, di fatto, ai musulmani, di convertirsi pubblicamente ad altre fedi, come il cristianesimo e il buddismo.
  • Autorità Islamiche. Le leggi su apostasia e ‘devianza’ (ajaran sesat) sono rigide, e applicate con una visione di difesa collettiva dell’islam, una nozione portante e diffusa all’interno dell’Islam politico.
  • Strategie di mobilitazione. I movimenti islamisti hanno costruito narrazioni basato sull’identità nazionale, basata sulla contrapposizione al liberalismo e ai valori democratici occidentali, articolando un discorso egemonico che interpreta ogni sfida personale come sfida alla comunità islamica.

Conclusioni – Umanizzare l’Islam Politico

Attualmente, la Malesia rappresenta un esperimento di governance islamica mista, in cui lo Stato
istituisce e regola pratiche religiose in diversi ambiti (dalla finanza all’istruzione) mantenendo un confine rigido tra musulmani e coloro che appartengono ad altre confessioni religiose. Dietro l’apparente armonia, emerge un dissenso diffuso, come mostrano i casi (tra gli altri) di Lina Joy e Farouk Musa, che contraddicono la narrazione islamista.

Si ricorda che l’Islam rappresenta circa il 60% della popolazione, e che questo approccio basato su un’imposizione forzata della sharia e di regole ad esse ispirata può essere un esperimento molto rischioso, che potrebbe creare la radicalizzazione di elementi che attualmente cercano riforme e cambiamenti in maniera pacifica.


Letture Consigliate

  • Chin, J. (2022). Racism towards the Chinese minority in Malaysia: Political Islam and institutional barriers. The Political Quarterly93(3), 451-459.
  • Chin, J. (2021). Malaysia: Identity politics, the rise of political Islam and Ketuanan Melayu Islam. In Religion and identity politics: Global trends and local realities (pp. 75-95).
  • Tayeb, A. (2021). Malaysia in 2020: Fragile coalitional politics and democratic regression. Asian Survey61(1), 99-105.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

2 pensiero su “Islam Politico in Malesia – Protagonisti e Dinamiche”

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