Abstract
L’articolo offre una ricostruzione storica e interpretativa della presenza della Chiesa cattolica in Iran, dalla prima età moderna fino all’epoca contemporanea, ponendo particolare attenzione ai modelli di interazione tra istituzioni ecclesiastiche e contesto politico-religioso. L’analisi prende avvio dalle missioni carmelitane del XVII secolo, esaminando il loro ruolo nella Persia safavide, e prosegue con lo studio dell’azione pastorale e caritativa delle congregazioni vincenziane durante l’epoca Qajar e fino alla monarchia Pahlavi. L’impatto della Rivoluzione islamica del 1979 segna una frattura profonda, imponendo nuove restrizioni e ridefinendo radicalmente i margini di operatività ecclesiale. Nonostante ciò, la Chiesa cattolica ha continuato a mantenere una presenza discreta ma significativa, fondata su reti comunitarie resilienti e su un dialogo prudente con le autorità. L’indagine si conclude con una riflessione sulle sfide attuali e sulle possibili traiettorie future di una minoranza religiosa che, pur marginale, continua a offrire un esempio eloquente di adattamento, testimonianza e dignità nella diversità.
The article offers a historical and interpretative reconstruction of the presence of the Catholic Church in Iran, from the early modern period to contemporary times, paying particular attention to the models of interaction between ecclesiastical institutions and the political-religious context. The analysis begins with the Carmelite missions of the 17th century, examining their role in Safavid Persia, and continues with the study of the pastoral and charitable actions of the Vincentian congregations during the Qajar era and up to the Pahlavi monarchy. The impact of the Islamic Revolution of 1979 marks a profound rupture, imposing new restrictions and radically redefining the margins of ecclesiastical operation. Despite this, the Catholic Church has continued to maintain a discreet yet significant presence, founded on resilient community networks and prudent dialogue with the authorities. The investigation concludes with a reflection on the current challenges and possible future trajectories of a religious minority that, though marginal, continues to offer an eloquent example of adaptation, testimony, and dignity in diversity.
Introduzione – Tra Sospetto e Restrizioni
Nel contesto dell’Iran, dominato da una tradizione islamica profondamente radicata e istituzionalizzata, la presenza della Chiesa cattolica costituisce un elemento apparentemente marginale, ma non certamente irrilevante. Il cattolicesimo è minoritario, una situazione che si riscontra in altri Paesi a maggioranza islamica, ma la Chiesa Cattolica è riuscita ad assumere un ruolo rilevante in termini sia sociali che culturali; ovviamente, le sfide non sono mai mancate (e non mancano tuttora), ma la solida organizzazione della Chiesa è riuscita (almeno in parte) a superarle.
Considerando che la presenza cattolica ufficiale rappresenta solamente una parte delle reale popolazione cattolica, la situazione potrebbe essere differente da quella rappresentata dalle statistiche ufficiali; anche volendosi attenere ai dati rilasciati dalle autorità islamiche, la condizione dei cattolici appare migliore rispetto ad altre minoranze. Si tratta, inoltre, di uno scenario in costante evoluzione, che, seppure difficile da monitorare, restituisce una dinamicità sorprendente rispetto a quanto non possa trasparire a prima vista.
La resilienza della Chiesa, come avviene in altri contesti minoritari, è infatti un dato incontestabile, nonostante la repressione e le difficoltà poste dal regime degli ayatollah; con questo articolo, cerco di ricostruire le dinamiche di questa presenza organizzata, seppure talvolta sofferente.
Origini Storiche
Le prime manifestazioni del cristianesimo in territorio persiano risalgono all’età tardo-antica, con la formazione di comunità siriache e nestoriane diffuse prevalentemente nelle regioni nord-orientali dell’impero sasanide. Tuttavia, una presenza cattolica in senso proprio, ovvero una comunità ecclesiale in comunione con la sede romana, bisogna attendere il tardo Mediovevo, con particolare attenzione per il periodo compreso tra XIII e il XV secolo, quando inizia l’esplorazione del continente asiatico da parte di alcuni missionari.
In tale contesto, emergono gli ordini mendicanti, francescani e domenicani in primis, che svolsero un ruolo pionieristico; si trattava di persone che agiscono in base ad una duplice motivazione, missionaria e diplomatica al tempo stesso. Per queste ragioni, i religiosi intrapresero viaggi lunghi e pericolosi verso la Persia, nella ricerca di un dialogo con le autorità locali e, eventualmente, di promuovere l’unione tra la Chiesa latina e le comunità cristiane orientali. Sebbene i risultati di tali iniziative sono stati limitati, in termini di conversioni o di insediamenti stabili, esse contribuirono a creare un primo canale di comunicazione tra Roma e l’area iranica, alimentando un’immagine della Persia come terra che poteva essere oggetto di uno scambio (spesso difficoltoso) sia culturale che religioso.
Le Missioni Cattoliche nell’Età Moderna (XVI–XVIII secolo)
L’inizio dell’età moderna, verso il XIV secolo, segna un punto di svolta per le attività missionarie in Persia, e, in particolare, si nota il ruolo propulsivo della Congregazione de Propaganda Fide, che dal 1622 permette di organizzare in maniera più sistematica e razionale gli sforzi missionari nei territori extraeuropei. In Iran, questa strategia si traduce nell’invio di diversi ordini religiosi, come i Gesuiti, i Cappuccini e gli Agostiniani, a cui viene affidato il compito di creare comunità religiose stabili, e, allo stesso tempo, di tessere relazioni con le autorità islamiche (safavidi).
Isfahan venne scelto come centro delle attività missionarie, e non certamente a caso, in quanto tale città era la capitale dell’Impero persiano ed era anche il centro degli scambi culturali e commerciali; per questi motivi, essa offriva un contesto relativamente aperto e cosmopolita in cui operare. Si osserva, a tale proposito, che l’accoglienza dei missionari fu variabile, e venne influenzata da dinamiche di potere e da esigenze diplomatiche. Alcune fasi storiche furono segnate da una certa tolleranza, favorita anche dal supporto diplomatico della monarchia francese; la Francia, in effetti, diventa di fatto il Paese che protegge e tutela i cristiani che vivono in Oriente.

I missionari europei, del resto, non si limitano a fornire assistenza spirituale alle prime comunità cattoliche, in cui confluiscono (nella stragrande maggioranza dei casi) armeni convertiti oppure stranieri che per diverse ragioni risiedono in Persia. I religiosi, in effetti, contribuiscono significativamente ad iniziative educative e caritative, ed avviano scuole e piccoli ospedali. Ciò nonostante, la portata della loro azione rimane circoscritta (e spesso ostacolata) da tensioni politiche interne, nonché dalla crescente diffidenza verso l’Occidente. In questo periodo, la Chiesa Cattolica rimase una presenza discreta, tollerata ma costantemente sottoposta a restrizioni nella sua libertà di azione.
Le Istituzioni Cattoliche nel XIX e XX secolo
L’Ottocento rappresenta, per la presenza cattolica in Iran, un periodo di relativa stabilizzazione istituzionale e, al contempo, di riorientamento strategico, segnato dall’adattamento a un contesto politico e religioso in progressiva trasformazione. Con la progressiva affermazione della dinastia Qajar, il riassetto delle relazioni internazionali nella regione e l’ingresso della Persia in una rete di influenze e pressioni europee, la Chiesa Cattolica deve ridefinire le modalità della propria azione, non più centrata sull’evangelizzazione diretta (vietata dalla legge islamica) bensì su un’opera di tipo educativo, assistenziale e caritativo, indirizzata prevalentemente alle comunità cristiane già presenti nel Paese.

In questo nuovo assetto, un ruolo di primo piano fu assunto dalla Congregazione della Missione, più nota con il nome di Lazzaristi, ordine religioso di origine francese fondato da san Vincenzo de’ Paoli nel XVII secolo e incaricato, a partire dagli inizi dell’Ottocento, di gestire la missione cattolica in Persia sotto il diretto patrocinio della Propaganda Fide. La loro azione si articolò principalmente in tre direzioni, ovvero il servizio liturgico e pastorale presso le comunità cristiane unite a Roma, l’attività educativa, con l’istituzione di scuole aperte anche a studenti non cattolici, e infine l’assistenza sanitaria, con la fondazione di ospedali e dispensari nelle principali città persiane, in particolare a Teheran, Tabriz, Urmia e Isfahan.
Accanto ai Lazzaristi, vanno ricordate anche le Figlie della Carità, anch’esse di ispirazione vincenziana, la cui opera silenziosa ma capillare in ambito scolastico e ospedaliero contribuì significativamente alla costruzione di un’immagine positiva del cattolicesimo agli occhi delle autorità locali e delle élite urbane. La presenza femminile nei contesti missionari non va interpretata come marginale o accessoria, ma, al contrario, essa permise alla Chiesa di operare in ambiti sociali altrimenti preclusi, come l’educazione delle bambine e l’assistenza alle donne, in una società in cui i rapporti di genere erano (e rimangono) rigidamente regolati dalla tradizione islamica.
L’opera delle istituzioni cattoliche trovò, in questo periodo, un importante sostegno da parte del corpo diplomatico francese, che, in virtù di una consolidata tradizione di protezione dei cristiani d’Oriente, si fece garante, presso la corte Qajar, della libertà di culto e dell’autonomia operativa delle missioni latine. Tale protezione, sebbene talvolta contestata da altre potenze, contribuì a creare uno spazio di relativa sicurezza entro il quale la Chiesa poté operare, seppure nei limiti imposti dall’ordinamento islamico. Quest’ultimo, in effetti, riconosceva la legittimità delle minoranze religiose, ma subordinava la loro esistenza giuridica ad una logica di ‘tolleranza condizionata’.
Dal punto di vista ecclesiastico, la presenza cattolica nel Paese si strutturava secondo un modello missionario, con giurisdizioni affidate a vicari apostolici nominati direttamente da Roma; la diocesi di Isfahan dei Latini, eretta nel 1629 ma riorganizzata nel corso del XIX secolo, rappresentava il centro principale di questa rete istituzionale, benché il numero di fedeli sia sempre rimasto esiguo. A essa si affiancavano le sedi episcopali delle chiese orientali cattoliche, le quali, sebbene maggiormente radicate nel territorio, operavano anch’esse sotto significativi vincoli imposti dalle autorità religiose islamiche, specialmente per quanto riguardava la costruzione di nuovi edifici di culto o la visibilità pubblica delle attività ecclesiastiche.

Nei primi anni del XX secolo, ed in particolare durante il periodo ‘costituzionale’ (1905–1911) e negli anni immediatamente successivi, la posizione della Chiesa cattolica si trovò esposta a nuove sfide e opportunità. Da un lato, la progressiva modernizzazione dello Stato e l’apertura alle idee del costituzionalismo europeo offrirono uno spazio di manovra più ampio alle istituzioni religiose non islamiche. Dall’altro, la crescente sensibilità nazionalista e l’affermazione di un discorso politico centrato sull’identità sciita e persiana portarono a una ridefinizione dei margini di accettabilità della presenza straniera, specialmente se percepita come espressione di interessi coloniali.
Tuttavia, in questo clima ambiguo e talvolta contraddittorio, le scuole e gli ospedali cattolici continuarono a godere di una certa stima, anche da parte delle autorità civili, in virtù della qualità dei servizi offerti e della discrezione con cui operavano. In particolare, l’insegnamento impartito negli istituti missionari, che includeva lingue straniere, matematica, scienze naturali e discipline umanistiche, attirava l’interesse delle famiglie urbane desiderose di garantire ai propri figli un’istruzione più completa rispetto a quella fornita dalle tradizionali scuole religiose islamiche.
La Chiesa Cattolica nell’Iran Contemporaneo (1945–oggi)
Nel secondo dopoguerra, la presenza cattolica in Iran si avviò verso una fase di riorganizzazione strutturale, favorita da un contesto relativamente favorevole sotto il regime dello shah Mohammad Reza Pahlavi. La Santa Sede, riconoscendo la necessità di consolidare le proprie istituzioni in un Paese a maggioranza musulmana ma aperto a forme di modernizzazione, promosse una razionalizzazione della gerarchia ecclesiastica, istituendo ordinariati specifici per i diversi riti cattolici presenti nel territorio (latino, armeno, caldeo e melchita) e rafforzando la rappresentanza diplomatica mediante la Nunziatura Apostolica. In questa cornice, le attività pastorali, educative e caritative poterono proseguire, in un clima segnato da una certa tolleranza e da relazioni diplomatiche stabili con la Santa Sede.

La rivoluzione islamica del 1979, tuttavia, segnò un mutamento radicale e irreversibile del quadro politico e religioso; l’instaurazione della Repubblica Islamica, fondata su una concezione teocratica del potere e sulla centralità dello sciismo duodecimano, comportò l’introduzione di una legislazione confessionale che, pur riconoscendo formalmente le minoranze religiose, limita(va) severamente la loro libertà di azione. La Chiesa cattolica, insieme ad altre confessioni cristiane, venne sottoposta a vincoli stringenti, e il proselitismo fu vietato in modo assoluto, mentre le attività pubbliche sono state sottoposte ad una sttretta sorveglianza. Inoltre, i contatti con le istituzioni ecclesiastiche estere sono stati ridotti al minimo, e le scuole cattoliche, pur tollerate in alcuni casi, furono spesso nazionalizzate o costrette a ridefinire il proprio statuto giuridico.
Nonostante tali restrizioni, la Chiesa cattolica in Iran è riuscita a preservare una presenza significativa, sebbene ridotta nei numeri e circoscritta nelle possibilità operative; le comunità superstiti (formate in prevalenza da fedeli armeni cattolici, caldei e da una piccola componente latina, composta soprattutto da diplomatici, personale internazionale e alcuni convertiti), continuano a riunirsi nelle parrocchie di Teheran, Isfahan e Urmia, mantenendo una vita liturgica regolare e un legame, seppur discreto, con il centro romano. In assenza di possibilità di espansione missionaria, la Chiesa ha progressivamente assunto un profilo di ‘presenza testimoniale’, centrata sul servizio silenzioso, sulla cura pastorale e sul dialogo interreligioso nelle forme consentite dallo Stato teocratico.
Sfide e Prospettive Future
La Chiesa cattolica in Iran deve attualmente affrontare un insieme di sfide che, pur radicate in una lunga storia di marginalità, si presentano con tratti nuovi e in parte inediti. Il primo elemento da considerare riguarda la continua riduzione della base demografica, causata principalmente dall’emigrazione delle giovani generazioni verso Paesi occidentali, attratte da condizioni di maggiore libertà religiosa e da opportunità economiche più favorevoli. Tale esodo, che interessa in modo particolare le comunità armene e caldee, ha determinato un progressivo impoverimento delle parrocchie e un indebolimento delle reti ecclesiali locali, rendendo difficile il ricambio generazionale del clero e delle figure laiche di riferimento.
Parallelamente, il contesto normativo rimane segnato da una rigida impostazione confessionale, che vincola in modo strutturale le attività ecclesiastiche; la Costituzione della Repubblica Islamica, pur riconoscendo ufficialmente alcune minoranze religiose (tra cui i cristiani) non garantisce una piena libertà di culto, e subordina ogni manifestazione pubblica della fede a una rete di controlli e autorizzazioni che limita di fatto l’autonomia delle Chiese. Il divieto assoluto di proselitismo tra i musulmani, le restrizioni alla stampa e alla formazione teologica, nonché l’impossibilità di accedere a incarichi statali da parte dei non musulmani, configurano un ambiente ostile, in cui la sopravvivenza ecclesiale è subordinata ad una costante e difficile negoziazione con le autorità civili e religiose.
All’interno di questo scenario complesso, tuttavia, emergono anche segnali di tenuta e, in alcuni casi, di riposizionamento strategico; alcune parrocchie, in particolare nelle città di Teheran e Isfahan, sono divenute nel tempo luoghi di accoglienza e di sostegno non solo per i fedeli, ma anche per categorie vulnerabili, come rifugiati, disoccupati e famiglie in difficoltà. In assenza di strutture caritative pubbliche adeguate, le opere promosse dalla Chiesa si configurano come presidi sociali, capaci di offrire una testimonianza silenziosa ma concreta del messaggio cristiano. L’identità cattolica tende così a ridefinirsi non tanto in termini confessionali, quanto piuttosto come risorsa etica e relazionale, inserita in una trama di solidarietà che, pur nel silenzio mediatico, continua a esercitare una funzione rilevante.
Sul piano delle relazioni internazionali, infine, la Santa Sede mantiene un canale di dialogo aperto con la Repubblica Islamica, improntato a una politica di equilibrio e di rispetto reciproco. Le visite di alti rappresentanti della diplomazia vaticana, i messaggi del Pontefice rivolti alle autorità iraniane in occasione di eventi globali, nonché la partecipazione di studiosi cattolici e musulmani a incontri interreligiosi patrocinati da istituzioni accademiche, costituiscono segnali di un’intesa possibile, pur all’interno di una cornice ideologica profondamente divergente. In tale prospettiva, la presenza cattolica in Iran può continuare a svolgere un ruolo significativo non solo per la tutela delle minoranze, ma anche come laboratorio, per quanto fragile, di dialogo tra mondi religiosi, giuridici e culturali che la storia ha tenuto separati.
Conclusione
La presenza della Chiesa cattolica in Iran, pur quantitativamente marginale, si rivela un fenomeno di grande interesse storico e culturale, capace di riflettere le trasformazioni profonde che hanno attraversato il mondo iranico dal primo contatto con l’Europa cristiana fino alla contemporaneità. La sua traiettoria, segnata da fasi alterne di tolleranza e repressione, di apertura diplomatica e isolamento confessionale, testimonia non solo la resilienza di una minoranza religiosa in un contesto teocratico, ma anche la capacità della Chiesa di adattarsi con discrezione, reinventando il proprio ruolo tra servizio silenzioso e dialogo interculturale. In questo senso, l’esperienza cattolica in Iran va compresa non come una semplice estensione del progetto missionario europeo, ma come una forma peculiare di presenza ecclesiale, modellata da una lunga storia di mediazione e di sopravvivenza.
In un’epoca in cui il pluralismo religioso è oggetto di tensioni e rivendicazioni identitarie sempre più radicali, la vicenda della Chiesa Cattolica in Iran offre uno spazio di riflessione sull’incontro tra fede e alterità, tra fedeltà ad una tradizione universale e rispetto per un ordine giuridico e teologico che le è estraneo. Se da un lato essa pone interrogativi sul futuro delle minoranze religiose nei regimi confessionali, dall’altro suggerisce che, anche in assenza di visibilità e potere, è possibile costruire forme di presenza significative, capaci di generare coesistenza, prossimità e dignità condivise.
Letture Consigliate
- Nazir-Ali, M., & Bazmjou, A. S. (2022). Conversion, persecution, and the reforming voices of Muslims in post–revolution Iran. International Journal of Asian Christianity, 5(2), 217–233.
- Fooladi‑Panah, A., & Moosavi, J. (2020). Missionary activities of Carmelites under coverage of medical services in Safavid period. History of Medicine in Iran and Islam, 9(1), 49–64.
- Kuru, A. T. (2020). Islam, Catholicism, and religion–state separation: An essential or historical difference? International Journal of Religion, 1(1), 7–25.