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Abstract

La retorica del martirio è una potente arma ideologica al servizio della narrativa governativa dell’Iran nato dalla ‘Rivoluzione Islamica’, evento che alla precedente monarchia ha sostituito un regime oppressivo basato sulla figura dei ‘martiri’. Questi ultimi sono eroi nazionali che hanno permesso di fondare e preservare il carattere islamico e rivoluzionario dell’Iran, vis-à-vis nemici sia interni che esterni.


The rhetoric of martyrdom is a powerful ideological weapon serving the government narrative of Iran born from the ‘Islamic Revolution,’ an event that replaced the previous monarchy with an oppressive regime based on the figure of ‘martyrs.’ The latter are national heroes who have allowed the establishment and preservation of Iran’s Islamic and revolutionary character, vis-à-vis both internal and external enemies.


Introduzione – La Retorica

Quando si sente pronunciare la parola ‘martire’, si pensa, nel mondo occidentale, a coloro che sono morti per preservare la fede cristiana, a prescindere dal credo religioso; marturia, del resto, è un vocabolo greco che significa ‘testimonianza’. Il martire, nell’immaginario occidentale, è testimone di qualcosa o qualcuno che lo ha spinto a dare la vita; non ci sono connotazioni politiche, ma solamente religiose, in quanto il martire non muore per difendere (o attaccare) un’altra nazione o civiltà, ma per preservare la sua fede. Può succedere che i ‘martiri’ siano legati a cause laiche, politiche, come le persone morte nella lotta contro il fascismo in Italia, ma in questo caso non esiste alcuna connotazione religiosa, ma solamente politica.

Nel mondo islamico, al contrario, la parola ‘martire’ assume sempre connotazioni politiche, che vengono legate a quelle religiose; si tratta di un termine che viene correntemente usato sia dagli sciiti che dai sunniti in una grande varietà di occasioni. L‘ampiezza della definizione di martire, in effetti, lascia intendere che questa categoria includa una grande varietà di comportamenti, più o meno legati alla difesa (o espansione) dell’Islam.

Nel caso degli Stati islamici come l’Iran, poi, la definizione di martire si adatta a qualunque situazione in cui è (anche vagamente) implicata la difesa dello Stato; nel corso del recentissimo attacco israeliano ai siti nucleari iraniani, i morti sono stati dichiarati immediatamente martiri. In questo modo, rientrano in tale categoria persone che lavoravano, sia come militari che come civili, per la Repubblica Islamica dell’Iran. Le connotazioni politiche e religiose sono evidenti, e non sono esclusive del mondo sciita, in quanto, sempre per riferirci a scenari attuali, anche i morti di Gaza sono considerati martiri, sia che si tratti di combattenti veri e propri che di civili.

Questo uso della retorica del martirio viene ampiamente usata, e serve per mobilitare le forze della società e delle comunità islamiche intorno ad un obiettivo o a un ‘nemico’; i martiri rappresentano degli eroi nazionali, modelli a cui fare riferimento e da emulare. Non sorprende, dunque, che a queste persone vengano dedicate strade, università e altre istituzioni, allo scopo di cementare l’ideale islamico dello Stato.


Il Martirio nella Comprensione Sciita

Lo status di martire conferisce sia al defunto che alla sua famiglia una posizione eminente all’interno delle società islamiche; non sorprende, dunque, che il martirio sia attivamente incoraggiato e ricercato, e non semplicemente subito come accade in ambito cristiano. Il martire si sacrifica volontariamente, o si pone nelle condizioni di dare la vita, è cosciente di farlo, e le sue motivazioni sono sia religiose che politiche; l’interpretazione estensiva del concetto di martirio (e di sacrificio), in effetti, sono rese possibili dalla vaghezza con cui il termine shahid è definito nel Corano.

Nell’Iran contemporaneo, nato dalla rivoluzione islamica del 1979, i rituali connessi al giorno della ‘Ashura’ (‘martirio dell’Imam Hussein’), pongono un particolare accento sull’aspetto (percepito) del sacrificio, rinforzato dal pellegrinaggio al santuario della Karbala, uno dei siti più importanti del mondo sciita e islamico in generale. I rituali, che possono essere considerati ‘barbarici’, con persone che si percuotono il viso e/o il corpo, sia con le mani che con coltelli e spade affilate, hanno la funzione di ricordare e ravvivare la dimensione cruenta del martirio.

Il martire, di conseguenza, non è più il personaggio di una storia lontana nel tempo, ma qualcuno di cui si condivide la sofferenza, anche secondo modalità che urtano la sensibilità e la coscienza occidentale; del resto, anche nel cristianesimo sono noti fenomeni estremi, come quello dei ‘battenti’, persone che si percuotono il petto con spuntoni affilati per commemorare la passione del Cristo. Esiste, tuttavia, una differenza fondamentale in questi fenomeni, a cui se ne aggiunge un’altra; per iniziare, i riti dei battenti riguardano un numero esiguo di persone, e tale fenomeno viene considerato estremo da molti credenti cattolici.

Nel caso degli sciiti, invece, la scelta individuale di prendere parte alle processioni e di percuotersi anche con lame affilate, fino ad effondere il sangue, viene accettato come normale dalla stragrande maggioranza delle comunità di riferimento. Inoltre, il rito cattolico non ha alcuna valenza politica, sebbene connoti in maniera marcata le comunità che vi prendono parte, come quella di Guardia Sanframondi.


La Visione del Martirio di Khomeini

Ali Khomeini si è espresso a più riprese sul martirio, e i suoi scritti, tradotti e diffusi anche in lingua inglese costituiscono una preziosa opportunità di comprendere la sua posizione e il suo insegnamento; per questa ragione (e non per propaganda ovviamente) cercherò di citare i passaggi più significativi, allo scopo di dare un’idea comprensiva della sua ideologia.

Nell’opera nota come ‘The Last Message’, l’ULtimo Messaggio, considerata una sorta di ‘testamento spirituale’, si possono leggere diversi passaggi che esaltano il martirio; la stessa costruzione dello Stato iraniano viene presentata come ‘frutto’ del sacrificio dei martiri.

The magnificent Islamic Revolution in Iran, which has been the accomplishment of millions of estimable people and the product of the effort of thousands of memorable martyrs and disabled citizens -the Living Martyrs- and which is the hope of millions of world Muslims and oppressed masses, is so great an achievement whose description defies the power of pen and speech.

La magnifica Rivoluzione Islamica in Iran, che è stata il risultato di milioni di persone stimabili e il prodotto dello sforzo di migliaia di martiri memorabili e cittadini feriti- i Martiri Viventi – e che è la speranza di milioni di musulmani nel mondo e delle masse oppresse, è un risultato così grande la cui descrizione sfida il potere della penna e della parola.

(The Last Message, Institute for Compilation and Publication of the works of Imam Khomeini, 2011, p. 17)

Il prologo dell’opera rende evidente che il sacrificio (martirio) dei cittadini è stato necessario e costituisce un esempio da imitare; per questa ragione, le cerimonie pubbliche costituiscono un dovere sia politico che religioso.

Also never neglect the mourning ceremonies on the occasions of the martyrdom anniversaries of the Imams, particularly the master of all martyrs his Holiness Abi-Abdullah Hussein (…)

Non trascurare mai le cerimonie di lutto in occasione degli anniversari del martirio degli Imam, in particolare del maestro di tutti i martiri, Sua Santità. Abi-Abdullah Hussein (…)

(The Last Message, p. 15)

E ancora,

Whether or not you will realize what your quest is, you will have marched on the same road that was the path of all prophets (omissis, ndr) and is the only road to absolute salvation. It is this same motive which prompts all saints to embrace martyrdom on that path and which makes the sanguine death sweeter to them than honey.

Che voi realizziate o meno quale sia la vostra ricerca, avrete percorso la stessa strada che è stata il cammino di tutti i profeti (omissis, ndr) ed è l’unica via per la salvezza assoluta. È questo stesso motivo che spinge tutti i santi ad abbracciare il martirio su quel cammino e che rende per loro la morte cruenta più dolce del miele.

(The Last Message, p. 77)

I tre passaggi citati sono sufficienti per configurare il martirio come un elemento essenziale della costruzione ideologica dello Stato iraniano attuale; secondo questa visione, il martire è una figura essenziale e da imitare, e permette di costruire e ricostruire la nazione islamica, difendendola da nemici sia interni che esterni.


Martiri ed Eroi Nazionali

Il modello proposto da Khomeini viene applicato continuamente alle figure che sono morte nella difesa della nazione, individui che diventano martiri ed eroi nazionali; si costruisce, in questo modo, una sorta di pantheon nazionale che cementa e ‘conferma’ l’ideologia basata sul martirio. Un esempio, in questo senso, è costituito dalle cerimonia funebre per la morte del generale Soleimani, il comandante delle Guardie Rivoluzionarie dell’Iran, avvenuta per mezzo di un drone inviato dalle forze statunitensi nel 2025.

In tale occasione si svolsero manifestazioni e rituali in diversi città, tra cui Teheran, come si può vedere nel video; successivamente, sono state promosse manifestazioni ufficiali per commemorarne il (supposto) martirio.

Reportage della BBC sulla morte del Generale Soleimani (i diritti appartengono ai rispettivi autori)

La morte violenta di un esponente di spicco della nazione ha dunque innescato una reazione immediata da parte dell’intero Paese; il nuovo martire è stato acclamato da milioni di persone, non solamente in Iran; certamente, nel gennaio del 2020 la nazione ha ampliato il suo pantheon, accogliendo un nuovo eroe nazionale.

Le cerimonie di pubblico cordoglio hanno coinvolto anche bambini, che spesso recavano foto di iraniani morti (martiri) ma anche di esponenti del movimento palestinese che sono morti; sembra interessante notare, a tale proposito, che la causa sciita è stata unita ad una lotta sunnita. Il carattere politico di queste manifestazioni è dunque evidente, e sottolinea che il concetto di martirio è pressoché uniforme nel mondo islamico.

In questo modo, le nuove generazioni sono ‘educate’ alla cultura del martirio, secondo l’idea che equipara la difesa della nazione ad un obbligo religioso e politico; il martirio è dichiarato immediatamente dopo la morte delle persone, e le cerimonie pubbliche, che coinvolgono l’intera nazione, servono a consolidare la visione proposta, che viene ‘confermata’.


I ‘Martiri’ della Guerra con l’Iraq

Nel corso della guerra con l’Iraq (1980-1988), frono numerosi gli iraniani a perdere la vita, persone che sono stati considerati ‘martiri’, al pari degli individui che parteciparono, secondo la ricostruzione ufficiale del regime iraniano, alla ‘Rivoluzione Islamica’ del 1979, che scalzò la monarchia. Del resto, esistono diverse istituzioni statali con il compito di fornire assistenza alle famiglie di coloro che si sacrificano per la difesa dello Stato. Tra queste, si segnala la Fondazione dei Martiri e Veterani, sponsorizzata dallo Stato iraniano; in questo modo, le famiglie dei ‘martiri’ possono ricevere un adeguato supporto finanziario, oppure altre forme di sostentamento e aiuto, come borse di studio per i parenti del caduto.

La guerra con l’Iraq, dichiarata da Saddam Hussein, viene ricordata come la ‘Sacra Difesa’, e ha rafforzato nella società iraniana il culto del martirio e della ‘resistenza’, ovvero della preservazione dello Stato Islamico. La memoria collettiva iraniana, in effetti, è stata profondamente segnata da questo conflitto, che l’Iran ha subito; questo evento è stato rappresentato, compreso e ricordato come una ‘lotta sacra’ contro un’aggressione esterna, e contro il tentativo di ‘opprimere’ il popolo iraniano.

Non sorprende, dunque, che il martirio sia stato ulteriormente glorificato, e presentato come atto eroico e necessario per difendere la nazione in guerra; la difesa, in realtà, era diretta alla preservazione della Rivoluzione del 1979, che poteva essere vanificata da una sconfitta nel conflitto con l’Iraq. Per questa ragione, sono diverse le famiglie che hanno parenti diventati ‘martiri’ durante questo periodo storico, e la presenza di tali individui viene considerato un onore da preservare e tramandare alle generazioni future. Il video proposto esemplifica molto bene questa retorica, e per questa ragione consiglio di guardarlo a scopo educativo.

Video sui ‘martiri’ iraniani, morti durante la guerra con l’Iraq (1980-1988) (i diritti appartengono ai rispettivi autori)

Le testimonianze dirette confermano le osservazioni precedenti,

I grew up in a shahid family; my uncle was killed in one of the operations
in Saqqez. I cannot think of him in any other way except as a patriot, hero
and martyr. Being a brilliant student in his course, he was among the
first in our city to join the Sepah (Islamic Revolutionary Guard Corps).
He sacrificed his life to defend Iran, Iranians and his family.

Sono cresciuto in una famiglia di martiri; mio zio è stato ucciso in una delle operazioni
a Saqqez. Non riesco a pensarlo in nessun altro modo se non come un patriota, un eroe
e martire. Essendo uno studente brillante nel suo corso, è stato tra i
primi della nostra città a unirsi al Sepah (Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche).
Ha sacrificato la sua vita per difendere l’Iran, gli iraniani e la sua famiglia.

Testimonianza raccolta da un iraniano, riportata in Didyk, O. (2023). Political Martyrdom Revisited: Iran’s Contemporary Perspective and Insights from the Woman-Life-Freedom Uprising. The Copenhagen Journal of Asian Studies41(2), 90)


Figure Religiose e Politiche

Lo status di martiri è stato conferito anche a figure religiose o a esponenti del mondo ‘accademico’ (in realtà sempre religioso) iraniano; si ricorda, come già osservato in altre occasioni, che le ‘università’ situate in Paesi islamici (e anche a maggioranza islamica) nella maggior parte dei casi non seguono criteri scientifici per la ricerca, ma religiosi, morali. Di conseguenza, sarebbe più adeguato parlare di madrase, e non di università, che rappresentano modelli differenti.

Tra gli eminenti capi religiosi, da questo punto di vista, spiccano alcuni nomi, come quello di ‘Ayatollah Beheshti’, ucciso nei primi anni della Repubblica Islamica; le fonti ufficiali, in effetti, lo qualificano e trattano sempre come ‘martire’. Pertanto, quando ci si riferisce a lui nei media, nei discorsi e in tutte le occasioni ufficiali, viene sempre usato il termine ‘shahid’, ‘martire’. Si tratta di una pratica talmente diffusa da essere diventata parte integrante del costume e delle abitudini quotidiane, e anche i semplici cittadini gli attribuiscono questo titolo.

L’Iran, poi, è pieno di strade ‘commemorative’, in cui sono rappresentati e ricordati i ‘martiri’, coloro che hanno permesso di costruire e difendere la Repubblica Islamica. Tale caratteristica assimila l’Iran ad una delle numerose dittature ‘laiche’, che prevedono, allo stesso modo, il ricordo e la commemorazione delle figure rivoluzionarie che hanno contribuito a formare e difendere la nazione.

Martiri, infine, sono considerati coloro che sono morti in ‘attentati terroristici’, ovvero in seguito ad eventi percepiti come attentati all’integrità della nazione iraniana; tali attacchi, poi, possono essere compiuti da altri gruppi islamisti concorrenti rispetto al regime, oppure provenire da nazioni nemiche in rappresaglie di varia natura. La guerra in corso con lsraele, in cui sono stati uccisi alcuni esponenti di spicco della comunità scientifica legate alla ricerca sull’uranio, ha fornito numerosi nuovi martiri al giò ricco pantheon iraniano.


Conclusioni

Il martirio viene usato attivamente e con frequenza nel mondo islamico, come categoria capace di mobilitare le masse; questo strumento ideologico si osserva con particolare intensità in Iran, diventato una Repubblica Islamica dal 1979. A partire da questo momento, i martiri, nelle guerre e conflitti che sono seguiti, rappresentano le pietre fondanti della nazioni, eroi che hanno permesso di fondare lo Stato o di preservarlo da attacchi sia interni che esterni.

Anche se tale retorica non è pienamente condivisa dalla popolazione, non esistono motivi per dubitare che essa sia diventata parte integrante dell’identità nazionale iraniana; coloro che ritengono prossima la fine del regime degli Ayatollah dovrebbero essere più prudenti. Nella storia della Repubblica Islamica, dal 1979 ad oggi, le aggressioni sono servite a cementare il regime e la classe dirigente di questo Paese, mentre la severa repressione della timida opposizione è sempre stata efficace.


Letture Consigliate

  • Didyk, O. (2023). Political Martyrdom Revisited: Iran’s Contemporary Perspective and Insights from the Woman-Life-Freedom Uprising. The Copenhagen Journal of Asian Studies41(2)
  • Saramifar, Y. (2023). Mute-ability of the past and the culture of martyrdom in Iran: remembering the Iran–Iraq war and civic piety amongst the revolutionaries of postwar generations. History and Anthropology34(4), 541-558.
  • Moallem, M. (2022). The Figure of the Martyr in Iran-Iraq Postwar Movies: The Case of Safar be Chazzabeh. Comparative Studies of South Asia, Africa and the Middle East42(1), 196-205.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 hai iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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