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Abstract

ISIS non è l’unico gruppo terroristico operante nel Sud Est asiatico, in quanto Al Qaeda può contare su una rete abbastanza sviluppata, costituita da gruppi e cellule che possono entrare in azione, e che vengono finanziati, almeno in parte, dal gruppo medio orientale. Il tentativo di creare una nazione islamica, ovvero di una comunità coesa a prescindere dai confini nazionali, rappresenta un’operazione culturale rilevante, capace di attrarre nuove reclute e di espandere la loro sfera di influenza.


ISIS is not the only terrorist threat in Southeast Asia, as Al Qaeda can rely on a fairly developed network, consisting of groups and cells that can spring into action, and which are funded, at least in part, by the Middle Eastern group.The attempt to create an Islamic nation, or a cohesive community regardless of national borders, represents a significant cultural operation, capable of attracting new recruits and expanding their sphere of influence.


Introduzione – La Rete di al Qaeda

Secondo diverse organizzazioni, specialisti e ricercatori, nel Sud Est asiatico non esisteva una struttura organizzativa per i gruppi di al-Qaeda, in Paesi come come l’Indonesia e le Filippine; da questo punto di vista, Al-Qaeda viene considerata una Organisasi Tanpa Bentuk-OTB, una Organizzazione Senza Forma. In effetti, Abu Sayyaf e Al Qaeda hanno iniziato a stabilire una relazione sistematica nel 1998, mediante reti personali, allo scopo di rafforzare e espandere la loro presenza nel continente asiatico.

Ovviamente, le organizzazioni che appartengono alla rete di al Qaeda in questa area geografica sono costantemente monitorate, ma al Qaeda potrebbe continuare ad esistere in organizzazioni clandestine ad essa affiliate. La pericolosità del terrorismo è proprio il suo carattere internazionale, a cui si abbina la capacità di formare una rete che può dare supporto ai membri e stabilire sinergie strategiche; al pari degli altri gruppi islamisti, la violenza e l’intimidazione sono funzionali al perseguimento di obiettivi politici, giustificati con argomentazioni (pseudo) religiose.

In effetti, il terrorismo islamico non è determinato dal lato religioso dell’Islam, ma da quello politico, manipolato ad arte dai gruppi estremisti nel mondo intero, che propongono una visione in cui religione e politica non possono più essere distinti. Questa lente ideologica, poi, viene usata per comprendere e analizzare quanto succede nel mondo e per motivare determinate azioni; si tratta di una caratteristica che appare evidente nelle dichiarazioni dei leaders e dei membri dei gruppi terroristici.


Una Visione Radicale e Omni Comprensiva

I terroristi non propongono delle azioni, ma una visione del mondo che non è oggetto di negoziazione e discussione; per realizzare questo obiettivo, le azioni violente sono presentate come necessarie per creare un ordine politico e sociale differente rispetto a quello comunemente accettato. Per questa ragione, la terminologia e i concetti politici abbondano, mentre quelli religiosi appaiono in secondo piano, come dimostra questo estratto da ‘Inspire’, il magazine di al Qaeda.

The idea of belonging To The Whole
Islamic naion and its necessity for
Jihad.


This occurs on the level of religious
belief, it is a personal sense of
belonging, a geographical affiliation,
etc. If we go to any Muslim now,
and ask him: ‘where are you from?’
Indeed, he will mention his country;
from Egypt… from Syria… from
Tunisia… from Saudi Arabia… etc…
He will not mention his city first, and
tell you that he is from Damascus,
Beirut, Cairo or Tashkent… because
he is committed to the borders of
Sykes-Picot, drawn in his mind by
colonialism.

L’idea di appartenere al Tutto
nazione islamica e la sua necessità per
Jihad


Questo avviene a livello di credo religioso, è un senso personale di
appartenenza, un’affiliazione geografica, ecc.

Se andiamo da qualsiasi musulmano adesso, e chiedergli: ‘da dove vieni?’
Infatti, menzionerà il suo paese; dall’Egitto… dalla Siria… da
Tunisia… dall’Arabia Saudita… ecc…
Non menzionerà prima la sua città, e ti dirà che è di Damasco, Beirut, Il Cairo o Tashkent… perché (la sua mente) è priogioniera dei confini di Sykes-Picot, tracciato nella sua mente dal colonialismo.

(Inspire, Autunno 2010, p. 21)

Questo passaggio mostra chiaramente la volontà di al Qaeda (ma anche di altri gruppi terroristici) di cambiare l’ordine politico (e sociale) sorto dagli eventi della Prima (e anche Seconda) guerra mondiale; il riferimento al colonialismo, evidentemente, non è casuale. Al contrario, esso serve a sottolineare la percezione e la visione del mondo del gruppo terroristico, le cui azioni servirebbero a ripristinare la situazione precedente. Non si tratta, tuttavia, di una visione storica, ma di uno scenario ideale, in cui la supposta età dell’oro del mondo islamico sarebbe stata interrotta dalla altrettanto supposta aggressione occidentale. Questo modo di procedere, del resto, non dovrebbe sorprendere, ma si inserisce nella concezione ideologica (e non scientifica) della storia da parte del mondo islamico, in cui sono presenti narrazioni ideali che hanno lo scopo di indicare e trasmettere un comportamento moralmente accettabile e auspicabile del fedele musulmano.

Il superamento dei confini nazionali, auspicato da Al Qaeda e non solo, implica il mancato riconoscimento dell’ordine mondiale esistente, allo scopo di proporre un sistema differente e basato sull’interpretazione della sharia del gruppo terroristico. L’obiettivo, evidentemente, è quello di creare, prima ancora di uno Stato Islamico (obiettivo esplicito in ISIS, ma non in Al Qaeda), una comunità internazionale che sia allineata alla visione e agli obiettivi del gruppo, sintetizzata dall’espressione ‘Islamic Nation’, ‘Nazione Islamica’. Circa 4 anni dopo che queste parole sono state pubblicate su Inspire, veniva fondato, da ISIS lo Stato Islamico, che traduceva questa visione; i confini dello Stato, ovviamente, non corrispondevano a quelli delle nazioni riconosciute a livello internazionale.


Colpire gli Americani

Il problema del terrorismo, specialmente dopo l’11 settembre del 2001, è stato inquadrato come la lotta tra Islam e modernità nelle pagine del New York Times; in altre parole, il mondo moderno viene rifiutato completamente dai terroristi. Anche i musulmani ‘mainstream’, tuttavia, conservano pratiche arcaiche, che appartengono ad un’era antica; si tratta di una logica pre-moderna, che viene portata alle estreme conseguenze dai terroristi, perlomeno in alcuni aspetti.

Il mondo moderno, nelle sue diverse implicazioni, viene giudicato profondamente ingiusto contro i musulmani, che, dunque, avrebbero il dovere di reagire; le ingiustizie percepite sarebbero la conseguenza, secondo questa visione, dell’aver abbandonato (o dal non aver mai adottato) uno stile di vita completamente e autenticamente islamico. Per questo motivo, i terroristi adottano pratiche (spesso violente, ma non necessariamente) che intendono riportare la società in una fase precedente a quella della modernità.

La vita pre-moderna riporta ad un’epoca in cui l’Islam e i musulmani avrebbero goduto (nell’immaginario proposto) di un ruolo eminente nel mondo; il principale compito dei fedeli, dunque, dovrebbe essere quello di ristabilire questa situazione, mediante la creazione di un califfato, che assicuri la prosperità dei musulmani. Ovviamente, è noto che storicamente i califfati sono stati entità politiche che hanno perseguito obiettivi differenti, e la realtà e ben lontana dalla visione trionfale suggerita dai gruppi radicali. Si tratta comunque di una visione capace di motivare molti musulmani, che della storia hanno, generalmente, una visione pre-moderna; la stessa idea della ‘nazione islamica’ serve proprio a rinforzare questa visione, creando l’illusione di una comunità coesa attorno a determinati valori.

Bin Laden condensa questa visione in maniera perfetta, quando afferma

What is felt by America today is very small compared to what we have felt since decades. Our grace, for eighty years, felt this humiliation. Our children are killed, blood is shed, sacred ground is stained, and we are forced to apply laws other than those passed down by God, but no one cares and reacts.

Ciò che oggi prova l’America è molto poco rispetto a ciò che abbiamo provato per decenni. La nostra grazia, per ottant’anni, ha sentito questa umiliazione. I nostri figli vengono uccisi, il sangue viene versato, il suolo sacro è macchiato, e siamo costretti ad applicare leggi diverse da quelle comandate da Dio, ma a nessuno importa e nessuno reagisce.

Team Studi Ilmu Syarii Bifisa, Nasehat dan wasiat kepada umat Islam dari Syaikh Mujahid Usamah bin Laden / Usamah bin Laden (Consigli e raccomandazioni ai musulmani da parte dello Sceicco Mujahid Usamah bin Laden / Usamah bin Laden), Granata Mediatama, Solo, 2004, p. 183

In un’ulteriore dichiarazione, Bin Laden ha affermato che l’omicidio di ebrei e americani (crociati) fosse uno degli obblighi principali dei musulmani.

And know that killing Americans and Jews everywhere is one of the greatest obligations and worship of God, and I also advise you to gather around the true ulama and the sincere and charitable preacher. The Messenger of Allah said, The disbelievers will not gather in hell with those who kill them.

E sappiate che uccidere americani e ebrei ovunque è uno dei più grandi obblighi e atti di adorazione a Dio, e vi consiglio anche di radunarvi attorno ai veri ulama e al predicatore sincero e caritatevole. Il Messaggero di Allah ha detto: I miscredenti non si riuniranno all’inferno con coloro che li uccidono.

Team Studi Ilmu Syarii Bifisa, Nasehat dan wasiat kepada umat Islam dari Syaikh Mujahid Usamah bin Laden / Usamah bin Laden (Consigli e raccomandazioni ai musulmani da parte dello Sceicco Mujahid Usamah bin Laden / Usamah bin Laden), Granata Mediatama, Solo, 2004, p. 14.

Non sembrano dunque esserci dubbi sulle intenzioni di Al Qaeda, che considerava i ‘crociati’, ovvero l’Occidente la causa della (presunta) situazione dei musulmani, che avrebbero potuto riscattarsi combattendo contro di essi. Queste affermazioni, del resto, provengono dalla giurisprudenza classica dell’Islam, che si è formata nel corso dei secoli per giustificare le conquiste e invasioni islamiche; tali indicazioni, decontestualizzate dal loro ambito storico e riproposte senza modifiche, sono la base con cui i moderni terroristi giustificano le loro azioni nel mondo attuale.


Addestramento Militare

Le operazioni di Al Qaeda, come l’addestramento militare, venivano condotte in diversi Paesi a maggioranza musulmana, e non solamente in Afghanistan; nel caso dell’Indonesia, esisteva un campo di addestramento a Poso, nel Sulawesi Centrale, luogo in cui erano scoppiati dei conflitti tra cristiani e musulmani.

Il primo caso di addestramento jihadista indonesiano, in campi permanenti, si è svolto al di fuori dell’Indonesia, e precisamente al confine tra Afghanistan e Pakistan, nel campo di Ittihad al-Islami, noto come campo di As-Saddah, oltre che nell’accademia militare di Torkham. Quest’ultima è stata stabilita su terreni concessi loro da Abdul Rasul Sayyaf, capo di Ittihad al-Islami; per Darul Islam (DI/NII), e successivamente, Jemaah Indonesia (JI), questi campi hanno fornito un’opportunità unica per acquisire le competenze militari necessarie per combattere il regime repressivo di Suharto.

Solitamente, gli aspiranti jihadisti indonesiani non avevano precedenti esperienze militari, e, per questa ragione, fu loro offerto un programma di addestramento militare di base che includeva fanteria, lettura delle mappe e navigazione, addestramento alle armi, ingegneria di campo, esplosivi e demolizioni. Si trattava di un corso intensivo, sia teorco che pratico, che terminava con un esame finale; gli studenti con maggiori capacità vennero poi furono nominati istruttori per i gruppi successivi o furono offerti l’opportunità di proseguire con ulteriori addestramenti in armi ed esplosivi.

Si tratta dunque di un addestramento militare intensivo, che richiede tempo e denaro, e soprattutto competenze da parte degli istruttori; la difficoltà nel contrastare il jihadismo, che permane tuttore, dipende dalla presenza di diversi combattenti professionisti, che si sono formati, evidentemente, al di fuori delle reti convenzionali.


Formazioni di Legami tra Terroristi

L’addestramento militare, sia in territorio indonesiano che al di fuori di esso, ha incoraggiato la formazione di legami tra i terroristi; in effetti, l’esperienza dell’Afghanistan ha permesso di costruire amicizie significative tra membri della jihad indonesiana e uomini di spicco di Al Qaeda. In questo modo, non è stato possibile solamente acquisire competenze militari, ma le persone sono state esposte a determinate ideologie e tattiche, come quelle usate da Al Qaeda; per questa ragione, non sorprende la relazione tra gli attacchi di Bali del 2002 e i legami tra Jemaah Islamiyah e Al Qaeda.

La capacità di formare sinergie di diverso tipo tra gruppi terroristici, del resto, è una caratteristica costante, e molto insidiosa, di questi movimenti armati, in cui ideologie politiche e religiose sono supportate da una estrema violenza. L’accesso a risorse economiche, trasferite a coloro che progettano attacchi terroristici, poi, è un altro elemento rilevante, la cui portata non viene spesso colta nella sua interezza. Si tratta, tuttavia, di un aspetto fondamentale, che può determinare il successo o il fallimento di operazioni e gruppi terroristici; da questo punto di vista, Al Qaeda rappresenta un alleato appetibile, capace di trasferire denaro e supportare cellule affiliate anche molto distanti (fisicamente) dal Medio Oriente, come l’Indonesia.

La presenza di campi di addestramento per aspiranti terroristi, poi, può essere percepita anche nel resto della società, mediante un processo di spill-over; per questa ragione, le autorità devono essere decise nel combattere questo fenomeno, e non mostrare atteggiamenti ondivaghi che possono indicare una certa condiscendenza. Da questo punto di vista, si osserva che diversi membri di Jemaah Islamiyah sono stati addestrati nelle Filippine, nella regione di Mindanao, che storicamente ha opposto la maggiore resistenza all’avanzata del cattolicesimo nel Paese.

Si pensi, in questo senso, ad Abu Sayyaf e al Moro Islamic Liberation Front (MILF), che hanno permesso di consolidare l’idea di combattere per una ‘giusta causa’; al rientro in Indonesia, queste persone hanno fondato nuove cellule e addestrato nuovi adepti, aumentando il rischio per la sicurezza del Paese e della regione.


Fratellanza e Terrorismo

Uno degli aspetti probabilmente più sottovalutati del terrorismo è la creazione di una sorta di ‘fratellanza’ tra i terroristi, ovvero coloro che combattono per la medesima causa, che raggiunge la sua dimensione massima nell’idea di nazione islamica. Questa idea di unità e coesione viene opposta al tradimento di chi, pur essendo musulmano, non partecipa attivamente alla causa terroristica, oppure vi si oppone; paradossalemente, queste persone vengono giudicate con maggiore severità rispetto a coloro che non sono musulmani.

Nel primo numero di Rumiyah, si poteva leggere il primo articolo, dal titolo evocativo ‘Stand and die upon which your brothers died’, ‘Alzati e muori per la stessa ragione per cui sono morti i tuoi fratelli’; si tratta del periodico di ISIS, ma è una nozione condivisa anche da Al Qaeda. La morte per la causa comune non provoca solamente dei ‘martiri’, dei modelli da imitare, ma determina anche un senso di fratellanza, che si basa si valori comuni.

I gruppi terroristici, in effetti, cercano sempre di incoraggiare la fedeltà ad un sistema di valori profondamente diverso da quello comunemente accettato, anche dalle società islamiche ‘mainstream’; su Inspire del 2010 si può leggere un articolo in cui si evidenzia il cambiamento radicale di un giovane americano, che, da cittadino disilluso del sistema, ne diventa un suo nemico.

When my views changed regarding
the obligation of jihad in this age
– that it will remain individually
obligatory (fard `ayn) upon all
the Muslims of the world until all
of our lands are recaptured from
the occupiers – through a purely
intellectual conviction from the
religious texts (as opposed to pure
hatred of American foreign policy), I
knew at that point that my religion
required me to fight America and
her allies as Islam doesn’t shy from
stating who is the occupier.

Quando le mie opinioni cambiarono riguardo
l’obbligo del jihad in questa epoca
– che rimarrà individualmente
obbligatorio (fard `ayn) per tutti
i musulmani del mondo fino a quando
le nostre terre siano riconquistate dagli
gli occupanti – attraverso un puro
convincimento intellettuale dai
testi religiosi (a differenza di puro
odio per la politica estera americana), io
sapevo a quel punto che la mia religione
mi obbligava a combattere l’America e
i suoi alleati poiché l’Islam non esita a
dichiarare chi è l’occupante.

(Inspire, I am proud to be a traitor to America, Autunno 2010, p. 49)

Questo breve passaggio evidenzia il cambiamento della visione religiosa, che diventa radicale e spinge un giovane nato e cresciuto in Occidente a modificare la sua cultura, in base ad un malinteso e pericoloso concetto di religione. Le parole usate denotano senza dubbio che questa persone ha accolto valori culturali e politici e non solamente religiosi (occupante, obbligo del jihad, sapevo, ecc.).


Conclusioni

Il terrorismo possiede la capacità di colpire e influenzare persone e attori che non sono direttamente implicati nelle sue operazioni, grazie a reti che consentono di offrire supporto militare, finanziario e logistico alle cellule e gruppi locali. Questo meccanismo è perfettamente illustrato dalla rete di Al Qaeda, che raggiunge anche il Sud Est asiatico, e l’Indonesia in particolare; la condivisione dell’addestramento militare e la possibilità di accedere a risorse economiche mediante contatti e amicizie ha permesso di progettare e compiere diversi attentati, tra cui quello di Bali, in cui sono morte circa 200 persone.

L’ideologia comune, che si basa sulla fratellanza tra chi combatte su diversi fronti, poi, gioca un ruolo fondamentale nel determinare il successo o quantomeno la sopravvivenza dei gruppi terroristici, che si basano su una sorta di fratellanza del jihad.


Letture Consigliate

  • Sahrasad, H., Syukur, Y., Tabrani, D., Hasan, P. A. R., Al Chaidar, A. C., & Mulky, M. A. (2024). Al Qaeda, Islamists and Terrorism in Southeast Asia: A Lesson from the Past. Jurnal Theologia35(1), 59-86.
  • Wirawan, R. (2020). Jihadi in Southeast Asia: A Comparative Deradicalisation Processbetween Indonesia and the Philippines. Interdependence Journal of International Studies1(2).
  • Abuza, Z. (2003). Al Qaeda in Southeast Asia: exploring the linkages. In After Bali: the threat of terrorism in Southeast Asia (pp. 133-157).

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.)

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