Abstract
Durante il periodo in cui l’India era una colonia britannica, la piena sovranità appartiene alla madre-patria, che la delega parzialmente al Vice-Re (o al Governatore Generale); spetta a quest’ultimo, poi, tenere sotto controllo gli Stati Indiani (Principeschi), che, sebbene formalmente autonomi e guidati da un sovrano locale, sono sottoposti al giogo coloniale e sono dotati di una sovranità molto limitata. Questo modello ha permesso al Regno Unito di controllare, sia direttamente che indirettamente, un territorio immenso, frammentandolo e riducendo la sovranità dei signori locali ad una mera fictio iuris.
During the period when India was a British colony, full sovereignty belonged to the mother country, which partially delegated it to the Viceroy (or the Governor-General); it was up to the latter to keep the Indian (Princely) States under control, which, although formally autonomous and led by a local sovereign, were subjected to colonial rule and possessed very limited sovereignty. This model allowed the United Kingdom to control, both directly and indirectly, an immense territory, fragmenting it and reducing the sovereignty of the local lords to a mere fictio iuris.
Introduzione
L’Impero Britannico in India presentava un’ampia costellazione di circa 650 entità legali, che, in qualche modo, dipendevano dalla madre-patria a Londra; all’inizio del XX secolo, quando i confini dell’Impero raggiungono le dimensioni massime, questi territori includevano dominii, colonie, protettorati, stati protetti e mandati. Evidentemente, il livello di sovranità esercitato in ciascuna di queste entità politiche era differente; nel corso del tempo, inoltre, la posizione di queste entità subordinate cambia. Dopo la Prima Guerra Mondiale, in effetti, aumentano le richieste per una maggiore autonomia, e una legge del 1926 concede ai dominii uno status più favorevole rispetto al passato.
Una situazione particolare, poi, era quella degli Stati Principeschi in India, ovvero entità il cui status non era chiaro; si tratta, come noto, di Stati governati da un Principe locale, ma che non dipendevano direttamente da Londra. Al contrario, questi Stati erano governati da organismi intermedi, in quanto l’India Britannica viene governata, in un primo momento, dalla Compagnia Inglese delle Indie Orientali, la East India Company, EIC, configurando un controllo indiretto rispetto alla madre patria. Si tratta di un modello analogo a quello delle Indie Orientali Olandesi, che dal XVII al XVIII secolo dipendono dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali.
Solamente in un secondo momento l’India viene amministrata direttamente dalla Corona Britannica, tramite un governatore generale (vice-re); quest’ultimo doveva rendere conto della sua amministrazione al Segretario di Stato per l’India, membro del governo britannico. Al contrario di quanto avveniva per l’India Britannica (governo diretto), gli Stati Principeschi apparivano come entità dotate di una certa autonomia (ma non ovviamente indipendenza). In questi territori, effettivamente, il ruolo del governatore generale era teoricamente ridotto, e si limitava alla politica estera e a consigli generici sulle decisioni da adottare.
Gli Stati Principeschi
Gli Stati Principeschi, dunque, possono essere considerati come esempi di governo indiretto, ma tale modello non si adatta perfettamente a questa definizione; in effetti, le amministrazioni indirette si servono di elementi indigeni (come nelle Indie Orientali Olandesi) per governare, e servono come amministratori intermedi. Gli Stati Principeschi, invece, erano composti solamente da elementi indigeni, e la loro dipendenza dall’India Britannica era un dato di fatto.
Tali Stati, inoltre, non presentano alcuna uniformità, e la designazione di ‘Princely States’ indica entità eterogenee in termini di dimensione, società, politica e amministrazione; Hyderabad, ad esempio, si estendeva per oltre 200,000 chilometri quadrati, mentre altri Stati non raggiungevano i 3 chilometri quadri. Anche la composizione demografica, inoltre, poteva variare notevolmente, e la divisione interna di questi Stati era basata sulla casta e la religione, che comportava differenze di status notevole all’interno delle rispettive società, oltre che un motivo di tensione tra Stati Principeschi differenti.

Le tensioni difficilmente si traducevano in scontri, grazie all’autorità del Raj Britannico, che teneva sotto controllo questi Stati; tra questi, erano solamente 40 ad aver stipulato un Trattato con la EIC o con la Corona. Negli altri casi, la maggioranza, le relazioni con la madre patria erano regolate da decreti imperiali o da letters of understanding (trattati minori); per tale ragione, la natura di queste entità statali non era affatto chiara. In aggiunta, si trattava di un modello replicato in altre parti dell’Impero, come l’arcipelago malese, anche se con formule differenti.
Il Princely State, dunque, è un modello decisamente flessibile, che consente ai britannici di definire e ri-definire continuamente i confini dell’Impero, proiettando un’immagine di dominio che era uniforme solamente all’apparenza. Non sorprende, dunque, che attorno a questa forma di Stato siano sorti molteplici dibattiti, che rendevano evidente la natura frammentaria e instabile del dominio britannico in India.
Governare la diversità
La diatriba sugli Stati Principeschi portò ad una diversa classificazione di queste entità nel corso del tempo; nel 1909 il periodico Imperial Gazetteer of India elencò 693 di questi Stati, ma due decenni dopo il loro numero era sceso a 562, secondo il rapporto stilato da Indian States Committee. Ciò nonostante, i britannici trattarono gli Stati Principeschi in maniera uniforme, ovvero mediante il Political Department del governo indiano. Il personale di questo ente governativo, del resto, era reclutato tra i membri dell’esercito indiano e del Servizio Civile Indiano.
Il Segretario del Political Department (che cambierà denominazione nel corso degli anni) riportava direttamente al vice-re o al governatore generale, ovvero al rappresentante della Corona Britannica, e non al suo Consiglio, come avveniva per altri organismi. Gli ufficiali politici erano presenti nelle diverse sedi del Political Department, ovvero Calcutta (in seguito Delhi), Bombay, Madras, oppure presso le Corti degli Stati Principeschi. Si trattava di persone con tendenze chiaramente conservatrici, che guardavano con sospetto agli sviluppi politici che stavano interessando l’India Britannica; essi, in altre parole, sostenevano che l’assetto basato sul Raj e sui Principi locali fosse quello che meglio si adattava alle condizioni dell’India.
L’eterogeneità di questi territori era riconosciuto dagli stessi amministratori britannici,
Politically there are thus two Indias, British
India, governed by the Crown according to the statutes of Parliament and enactments of the Indian legislature, and the Indian States under the suzerainty of the Crown and still for the most part
under the personal rule of their Princes, Geographically India
is one and indivisible, made up of the pink and the yellow. The
problem of statesmanship is to hold the two together.
Politicamente ci sono quindi due Indie, l’India Britannica, governata dalla Corona secondo gli statuti del Parlamento e le leggi della legislatura indiana, e gli Stati indiani Stati sotto la sovranità della Corona e ancora per la maggior parte sotto il governo personale dei loro Principi. Geograficamente l’India
è una e indivisibile, composto dal rosa e dal giallo. Il problema della politica è tenere insieme i due (gruppi).
(Report of the Indian States Committee, 1928-29, p. 10)
Il rapporto annuale, dunque, rappresentava un documento fondamentale per comprendere le problematiche politiche e gli sviluppi del dominio britannico sull’India, e non erano documenti formali; in questo senso, i Principi locali sono definiti come ‘fondamentali’ per il governo della colonia, e sono considerati leali agli ufficiali britannici e alla Corona.
La Supremazia della Corona Britannica
Sebbene la Corona Britannica non intervenisse, come regola generale, negli affari interni degli Stati Indiani (Principeschi), essa viene sempre indicata come ‘paramount’, ovvero come potere supremo, che di fatto intervenne in alcuni casi. Si consideri, a tale proposito, il caso di Hyderabad, lo Stato più esteso del Raj;
E’ proprio il caso di Hyderabad, effettivamente, ad essere menzionato esplicitamente dal Rapporto del Comitato per gli Stati Indiani,
The case of Hyderabad may be cited
by way of illustration. Hyderabad is the most important state in
India. In 1800 the British made a treaty with His Highness the
Nizam, article 15 of which contains the following clause :-
“The Honourable Company’s Government on their part hereby
declare that they have no manner of concern with any of His
Highness’ children, relations, subjects, or servants with respect
to whom His Highness is absolute.”
Yet so soon as 1804 the Indian Government successfully pressed
the appointment of an individual as Chief Minister. In 1815 the
same Government had to interfere because the Nizam’s sons
offered violent resistance to his orders. The administration of the
state gradually sank into chaos. Cultivation fell off, famine prices
prevailed, justice was not obtainable, the population began to migrate. The Indian Government was compelled again
vene and in 1820 British officers were appointed to supervise the
district administration with a view to protecting the cultivating
classes. Later on again the Court of Directors instructed the
Indian Government to intimate to the Nizam through the
residency that they could not remain ” indifferent spectators of
the disorder and misrule” and that unless there were improvement it would be the duty of the Indian Government to urge on
His Highness the necessity of changing his minister and taking
other measures necessary to secure good government. These are
only some of the occasions of intervention. They are sufficient to
show that from the earliest times there was intervention by the
Paramount Power, in its own interests as responsible for the whole
of India, in the interests of the states, and in the interests of the
people of the states.
Il caso di Hyderabad può essere citato
a titolo di esempio. Hyderabad è lo stato più importante in
India. Nel 1800 gli inglesi stipularono un trattato con Sua Altezza il
Nizam, l’articolo 15 del quale contiene la seguente clausola :-
Il Governo della Onorevole Compagnia da parte sua qui
dichiara di non avere alcun tipo di interesse con nessuno dei Suoi
figli, parenti, sudditi o servitori di Sua Altezza riguardo
a cui Sua Altezza è assoluto.”
Eppure, già nel 1804 il governo indiano riuscì a far pressione con successo
la nomina di un individuo come Primo Ministro. Nel 1815
lo stesso Governo dovette intervenire perché i figli del Nizam
offrirono una resistenza violenta ai suoi ordini. L’amministrazione dello
stato affondò gradualmente nel caos. La coltivazione diminuì, i prezzi della carestia
prevalsero, la giustizia non era ottenibile, la popolazione iniziò a migrare. Il governo indiano fu costretto di nuovo ad intervenire e nel 1820 furono nominati ufficiali britannici per supervisionare
l’amministrazione distrettuale con l’obiettivo di proteggere i coltivatori.Successivamente, la Corte dei Direttori istruì di nuovo
Il governo indiano di comunicare al Nizam attraverso il
residente che non potevano rimanere “spettatori indifferenti del
disordine e della cattiva amministrazione” e che, a meno che non ci fosse stato un miglioramento, sarebbe stato compito del Governo indiano sollecitare a
Sua Altezza la necessità di cambiare il suo ministro e prendere
altre misure necessarie per garantire un buon governo. Queste sono
solo alcune delle occasioni di intervento. Sono sufficienti a
mostrare che fin dai tempi antichi ci fu un intervento da parte del
Potere Supremo, nei propri interessi come responsabile dell’intera
India, nell’interesse degli Stati, e nell’interesse del
popoli degli stati.
(Report of the Indian States Committee, 1928-29, p. 15)
Questa lunga citazione mostra chiaramente che i trattati stipulati con la Corona potevano essere disattesi in caso di necessità da parte delle autorità britanniche, come nel caso di insubordinazione menzionato nel rapporto del 1929.
Laissez faire o intervento attivo?
La generale politica di laissez faire (non intervento) che ha caratterizzato un lungo periodo della storia dell’India coloniale, è stata abbandonata dopo il 1857, ovvero in seguito al dominio diretto della Corona Britannica, che ha iniziato ad intervenire regolarmente. Lord Canning, il primo vice-re dell’India, afferma che la Corona
stands forth the unquestioned ruler and Paramount Power in all India, and is for the
first time brought face to face with its feudatories. There is a
reality in the suzerainty of the Sovereign of England which has
never existed before and which is not only felt but eagerly
acknowledged by the Chiefs.
si erge come il sovrano indiscusso e la Potenza Suprema in tutta l’India, e per la
per la prima volta messo faccia a faccia con i suoi feudatari. C’è una
realtà nella sovranità del Sovrano d’Inghilterra che non è
mai esistita prima e che non solo è sentita ma è prontamente
riconosciuto dai Capi.
(Report of the Indian States Committee, 1928-29, p. 15)
La relazione con gli Stati Principeschi, dunque, sarebbe simile ad un rapporto tra il signore feudale e i suoi subordinati, almeno nelle intenzioni di Lord Canning, che afferma come tale relazione di potere asimmetrico sia prontamente riconosciuta dai Principi dei governi indiani, come una sorta di ordine naturale. Lo stesso vice-re elenca le due ragioni di un possibile intervento della Corona e delle autorità coloniali, che, del resto, è sempre possibile; Lord Canning, tuttavia, afferma che gli interventi sarebbero motivati da due ordini di ragioni,
(1) that the integrity of the states should be preserved by perpetuating the rule
of the Princes whose power to adopt heirs was recognised by
sanads granted in 1862; (2) that flagrant misgovernment must be
prevented or arrested by timely exercise of intervention.
(1) che la l’integrità degli stati dovrebbe essere preservata perpetuando il dominio
dei Principi il cui potere di adottare eredi fu riconosciuto da
sanads concessi nel 1862; (2) che il cattivo governo flagrante deve essere
prevenuto o arrestato mediante un tempestivo esercizio dell’intervento.
(Report of the Indian States Committee, 1928-29, p. 15)
L’uso di sanads, decreti, dunque, viene usato per conferire una certa sovranità al Principe locale, che però deve mostrare di saper governare ‘bene’, ovvero negli interessi della Corona Britannica; qualora tali requisiti vengano meno, si giustificherebbe un intervento negli affari interni dello Stato Principesco. Evidentemente, ‘buon governo’, ‘legittimo’ e altre definizioni sono decisamente vaghe, e possono (e di fatto sono state) interpretate allo scopo di allineare gli interessi degli Stati Indiani a quelli rappresentati dal Vice-Re.
In tale contesto, diventa evidente che la sovranità piena appartiene solamente alla Corona Britannica, che la delega in parte al Vice-Re (o governatore generale) per tenere sotto controllo gli Stati Indiani; questi ultimi, dunque, non hanno, di fatto, una reale sovranità nelle terre in cui sono riconosciuti come regnanti, ma servono per soddisfare gli interessi del Re o della Regina del Regno Unito. L’uso di questa struttura di potere, dunque, è funzionale al mantenimento del potere e della sovranità su un territorio immenso, che difficilmente sarebbe potuto essere governato direttamente.
Conclusioni
Nell’era coloniale, il controllo dell’India viene assicurato mediante una serie di Trattati con alcuni Stati Indiani particolarmente rilevanti (Hyderabad, Orissa, ecc.), mentre con gli altri esistevano accordi che assicuravano tale rapporto di sudditanza. Anche se ufficialmente la sovranità apparteneva al sovrano locale, chiamato Principe, era la Corona Britannica a controllare che i governi fossero allineati agli interessi britannici. In tale scenario, il vice-re era il rappresentante della Corona, ed esercitava una reale sovranità sia sui territori controllati direttamente che su quelli formalmente ‘autonomi’, ma di fatto assoggettati alla madre-patria britannica, il cui potere di intervento era assoluto e non vincolato da alcun trattato o clausola.
Letture Consigliate
- Saksena, P. (2023). Sovereignty, international law, and the princely states of colonial South Asia. Oxford University Press.
- Saksena, P. (2020). Jousting over jurisdiction: Sovereignty and international law in late nineteenth-century South Asia. Law and History Review, 38(2), 409-457.
- Beverley, E. L. (2020). Introduction: Rethinking sovereignty, colonial empires, and nation-states in south Asia and beyond. Comparative Studies of South Asia, Africa and the Middle East, 40(3), 407-420.