kristenisasi
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La ‘cristianizzazione’, intesa come conquista culturale, rappresenta una delle armi ideologiche agitate dalla maggioranza sunnita per delegittimare la presenza cristiana; la reazione difensiva dell’Islam sunnita conferisce tuttavia una maggiore dimensione pubbica al cristianesimo indonesiano.


‘Christianization,’ understood as a cultural conquest, represents one of the ideological weapons wielded by the Sunni majority to delegitimise the Christian presence; However, the defensive reaction of Sunni Islam gives Indonesian Christianity a greater public dimension.


Introduzione – La Kristenisasi?

Nel vasto arcipelago indonesiano, dove le isole sono disseminate come frammenti di identità religiose, linguistiche e culturali, la fede è parte integrante della vita quotidiana; non si tratta, come generalmente accade in Occidente, di un aspetto secondario, ma di un linguaggio di senso e appartenenza. In questo scenario, la cristianizzazione (kristenisasi), come viene definita in indonesiano non rappresenta soltanto un processo religioso, vero o presunto. Esso, al contrario, diventa un simbolo, una parola carica di sospetti e di aspirazioni, che ha attraversato epoche coloniali, fasi post-indipendenza e persino le odierne arene digitali del dibattito pubblico.

Il termine viene evocato con timore da molti predicatori musulmani e difeso con accortezza da quelli cristiani, nonché dai musulmani meno tradizionalisti; tuttavia, la cristianizzazione rimane un costrutto artificioso, e non denota un’azione missionaria concreta, impossibile in Indonesia. Invece, la ‘cristianizzazione’ diventa una costruzione discorsiva, una lente attraverso cui le comunità indonesiane negoziano i limiti della libertà religiosa, il potere culturale e l’eredità di un passato coloniale ancora irrisolto.

Durante il periodo del Orde Baru (1966-1998), il regime di Soeharto cercò di bilanciare l’islam politico e la presenza cristiana, sfruttando la retorica della cristianizzazione come strumento di controllo; secondo lo studio di Narciso (2019), il governo favoriva talvolta le istituzioni cristiane per controbilanciare i movimenti islamici, ma allo stesso tempo ne limitava la visibilità per non provocare reazioni radicali. La cristianizzazione, in tale contesto, era un costrutto artificiale utile al potere, evocata per giustificare repressioni, ma anche per disciplinare le minoranze.

Dopo la caduta di Soeharto, con la democratizzazione e la libertà di stampa, il termine tornò a essere parte del linguaggio popolare; Internet, i social network e i video dei sermoni moltiplicarono la sua risonanza. Attualmente, un singolo post che diventa virale può riaccendere paure antiche e condurre a mobilitazioni di massa e disordini.

Questo articolo esplora come la cristianizzazione venga impiegata come arma retorica da parte dei predicatori cristiani e, in modo speculare, da parte di chi vi si oppone, analizzando le sue implicazioni politiche e sociali, la sua dimensione simbolica e le sue implicazioni per la convivenza religiosa nell’Indonesia contemporanea.


Cristianizzazione – Un Concetto Conteso

Nel linguaggio quotidiano indonesiano, kristenisasi è una parola decisamente ambigua, e può denotare sia il semplice atto di diffondere la fede cristiana, inteso in senso ampio, ma anche un tentativo subdolo di indebolire l’islam e l’identità nazionale. E’ proprio in questa ambivalenza che si colloca gran parte della tensione e del dibattito, moderni, e che spiegano (ma non giustificano) l’atteggiamento ondivago delle autorità rispetto alla libertà religiosa.

Durante il periodo coloniale, le missioni olandesi, con particolare attenzione per quelle riformate, utilizzavano la cristianizzazione come strumento di ‘civilizzazione’, intrecciando la fede alla costruzione di una nuova gerarchia sociale. Dopo l’indipendenza (1945), il termine mutò, e venne attribuito non più al dominio europeo, ma alla competizione tra le tradizioni religiose. Mentre l’Islam cercava di riaffermarsi come pilastro morale della nuova nazione, le chiese protestanti e cattoliche cercavano spazio per riformulare la propria identità, oscillando tra difesa e testimonianza.

Gereja Kristen Jawi Wetan, Giava Orientale

In molte aree in cui la presenza cristiana era (e rimane) maggioritaria, come Sulawesi, le Molucche e Papua, la cristianizzazione divenne sinonimo di potere amministrativo e influenza educativa, grazie alle scuole e agli ospedali missionari. Ma altrove, in regioni a forte presenza musulmana come Java o Sumatra, essa si tradusse in diffidenza, sospetto e tensione, e, dunque, causa di potenziali conflitti sociali; per molti musulmani, essere indonesiani significa essere musulmani. E’ un concetto affine a quello dell’identità giavanese, che presenta l’Islam come parte fondamentale della cultura locale, e, per estensione, locale; tale semplificazione nasconde le aree a maggioranza cristiana oppure induista, e presuppone un modello ideale di ‘musulmano’. Invece, il dibattito su questo argomento è decisamente più variegato di quanto non si sia disposti ad ammettere, ed è legato ad un’eredità coloniale non ancora sufficientemente indagata e metabolizzata.


La Retorica della Cristianizzazione nei Sermoni e nel Discorso Pubblico

L’uso retorico della cristianizzazione da parte dei predicatori indonesiani non segue uno schema univoco, ma può assumere toni pacati, militanti, apologetici o provocatori, in funzione del contesto e del pubblico; in generale, tuttavia, si possono riconoscere tre principali aspetti.

Il primo si basa sull’uso retorico delle immagini legate alla ‘luce’ e alla ‘riforma morale’, e, in effetti, sono diversi i predicatori riformati e pentecostali a presentare il cristianesimo come una via di rigenerazione morale in una società afflitta da corruzione, materialismo e perdita di valori. In questa prospettiva, la fede diventa una ‘terapia spirituale’ per la nazione; la cristianizzazione, in questo caso, non si configura come conquista, ma come guarigione.

Il secondo ordine di argomenti si basa sulla giustizia sociale e sulla modernità, e diversi predicatori cristiani, che spesso si sono formati nelle università teologiche di Jakarta o Yogyakarta, tendono a legare il messaggio cristiano ai temi del progresso sociale, dell’educazione e dell’uguaglianza di genere. Il cristianesimo viene dunque presentato come motore di sviluppo umano, talvolta in contrasto implicito con modelli religiosi percepiti come più conservatori.

Questo tipo di retorica, pur animata da intenzioni emancipatrici, può apparire agli occhi di alcuni musulmani come un progetto di soft power culturale, un modo per insinuare valori occidentali (in realtà universali) attraverso il linguaggio della modernità.

L’ultimo aspetto è poi legato alla resistenza e alla vulnerabilità, e, in effetti, nelle province in cui i cristiani costituiscono una minoranza, la cristianizzazione viene evocata in modo difensivo, non come proselitismo, ma come diritto all’esistenza. In questo caso, la cristianizzazione diventa un baluardo identitario, una narrazione di resistenza morale di fronte a pressioni e discriminazioni basati su un uso politico dell’islam sunnita. Questa prospettiva conferisce un senso di solidarietà intra-comunitaria, ma può anche configurare una narrativa vittimistica che può irrigidire i rapporti interreligiosi.


Dimensione Politica – Fede e Consenso Elettorale

In Indonesia, religione e politica sono intrecciate in maniera evidente, e la retorica della cristianizzazione non si limita alle chiese, ma penetra nel linguaggio politico, nelle campagne elettorali e nei dibattiti parlamentari.

Durante le elezioni locali, spesso i candidati cristiani vengono accusati di ‘favorire la cristianizzazione’ delle istituzioni pubbliche, anche quando tali accuse non hanno alcun fondamento; in contesti a maggioranza musulmana, questa strategia retorica serve a mobilitare l’elettorato islamico, evocando la minaccia di una ‘penetrazione religiosa’ mascherata da democrazia.

D’altra parte, politici cristiani o pluralisti reagiscono impiegando la cristianizzazione come contro-narrazione, legata alla libertà di culto, che spesso viene negata o limitata rispetto a quanto prevede la Costituzione del 1945.


La Reazione dei Musulmani – tra Paura e Vigilanza

Nelle moschee e nei canali digitali, molti predicatori musulmani hanno trasformato la ‘lotta contro la cristianizzazione’ in un tema centrale della dawah, la predicazione islamica; essi vedono nella cristianizzazione una duplice minaccia, religiosa e politica.

L’immaginario della cristianizzazione alimenta la percezione che esista un piano sistematico per ‘sottomettere’ l’Islam indonesiano, spesso collegato all’influenza occidentale o alle agenzie umanitarie cristiane. Questa percezione, benché raramente basata su prove concrete, trova terreno fertile in un contesto post-coloniale in cui l’Occidente continua a rappresentare il paradigma del potere esterno, che si manifesta anche nella religione cristiana.

Moschea a Yogyakarta

Alcuni predicatori, poi, come Muhammad Faishal, parlano apertamente di ‘complotti’ contro l’Islam e la comunità islamica indonesiana; nel suo articolo sulla cristianizzazione, risalente al 2014, egli parte addirittura dalle Crociate.

Perang Salib berakhir dengan menyisakan kekalahan bagi kaum nashrani. Namun kekalahan itu bagi mereka merupakan titik awal bagi suatu perang baru yang akan terus dilancarkan kepada Umat Islam sepanjang masa. Perang baru itu lebih kita kenal dengan Kristenisasi atau Pemurtadan. Dari praktek yang telah ada selama ini kristenisasi/pemurtadan bisa didefinisikan sebagai gerakan agama, politik, penjajahan yang muncul setelah kegagalan Perang Salib dengan tujuan menyiarkan Kristen di kalangan bangsa dunia ketiga umumnya dan pada umat Islam khususnya. Tujuan lebih lanjut dari gerakan ini adalah menguasai bangsa-bangsa target Kristenisasi tersebut.

Le Crociate si conclusero con una sconfitta per i cristiani. Tuttavia, per loro, quella sconfitta segnò l’inizio di una nuova guerra che avrebbe continuato a essere combattuta contro i musulmani nel corso del tempo. Questa nuova guerra è meglio conosciuta come Cristianizzazione o Apostasia. Sulla base delle pratiche esistenti, la Cristianizzazione/Apostasia può essere definita come un movimento religioso, politico e coloniale emerso dopo il fallimento delle Crociate, con l’obiettivo di diffondere il cristianesimo tra le nazioni del Terzo Mondo in generale e tra i musulmani in particolare. L’ulteriore obiettivo di questo movimento era quello di dominare le nazioni prese di mira dalla Cristianizzazione.

Abu Jundulloh Muhammad Fais(h)al, Sejarah dan Pola Gerakan Kristenisasi, Storia e modelli del movimento di cristianizzazione, Pembina Gerakan Pelajar Anti Pemurtadan Bekasi. Consigliere del Movimento Studentesco di Anti-Cristianizzazioe/Apostasia di Bekasi, 2014.

Si tratta di un testo che avrebbe la pretesa di essere accademico, ma che in realtà è ideologico, e si limita ad una sorta di sermone allargato, in cui la cristianizzazione, l’apostasia e la difesa dell’Islam vengono presentati come elementi centrali, al pari della guerra continua tra cristiani e musulmani. Sebbene si tratti di un attivista locale, è interessante notare la logica islamista, che pone come tesi centrale la necessità di una continua vigilanza e lotta contro il presunto complotto cristiano.

La paura della cristianizzazione, dunque, diventa un linguaggio di autodifesa collettiva, e rientra nel concetto di ‘difesa dell’Islam’, un modello radicato e diffuso nel mondo islamico, Indonesia inclusa; si tratta, per la comunità musulmana, o per una parte di essa, di riaffermare la propria centralità morale e culturale di fronte al pluralismo. Si tratta, tuttavia, anche di uno strumento per controllare il discorso pubblico e contenere l’espansione di altre fedi.


Implicazioni e Prospettive

L’uso politico e religioso della cristianizzazione ha ripercussioni profonde, e, a livello sociale, produce diffidenza reciproca; pertanto, le famiglie cristiane possono subire ostracismo in quartieri a maggioranza musulmana, mentre i convertiti vengono talvolta isolati dalle proprie comunità di provenienza. Le istituzioni cristiane, come scuole e ospedali, sono costrette a enfatizzare la loro ‘neutralità’ e ‘indonesianità’ per evitare sospetti e minacce.

A livello culturale, la retorica della cristianizzazione tende a irrigidire le identità, e, mentre le religioni vivono normalmente di scambi e contaminazioni reciproche, in questo caso la paura di ‘perdere fedeli’ o ‘essere infiltrati’ genera una sorta di chiusura difensiva. Paradossalmente, la cristianizzazione, anche solo come concetto, finisce per rafforzare la separazione che pretende di superare.

Per i predicatori cristiani contemporanei, il vero dilemma non è come ‘cristianizzare’, ma come annunciare la fede in un contesto dove ogni gesto può essere interpretato politicamente, e in cui il ricorso o la minaccia di ricorrere alle autorità (leggi sulla blasfemia) sono elementi costanti del panorama politico e sociale dell’Indonesia contemporanea.

Teologi come Widjaja e Simangunsong (2025) invitano a distinguere tra evangelizzazione e cristianizzazione; la prima è presentata come testimonianza spirituale, mentre la seconda si riferisce alla conquista culturale. L’Indonesia pluralista, sostengono, richiede una forma di missione ‘dialogica’, che accetti la diversità come condizione di grazia e non come ostacolo, visione diffusa nell’Islam conservatore, che attualmente ha conquistato una sorta di egemonia nello spazio e nelle narrazioni pubbliche, pur non essendo maggioritario nell’Indonesia del 2025.

In questa prospettiva, l’etica della cristianizzazione diventa un’etica dell’ascolto, che non cerca tanto di persuadere, ma di comprendere, e che alla conversione esplicita preferisce la convivenza; da questo punto di vista, la differenza con il periodo coloniale diventa evidente.


Conclusione

In Indonesia, la cristianizzazione si estende oltre la dimensione della predicazione religiosa, per assumere un profilo decisamente più ampio e delicato; si tratta, effettivamente, di una lotta (generalmente) simbolica in cui si giocano identità, memorie e poteri. È una parola che unisce e divide, che protegge e minaccia, ma che non rappresenta un fenomeno reale, se con esso si intende un’espansione significativa del cristianesimo in Indonesia.

Il timore politico e culturale della maggioranza sunnita, di perdere lo status di maggioranza per diventare un fenomeno minoritario, sta probabilmente aiutando la causa cristiana, che vive di testimonianza, sofferenza, martirio (anche spirituale) e che è capace di adottare strategie efficaci per agire nel contesto di un Paese a maggioranza islamica.

L’invenzione, entro certi limiti, della cristianizzazione, la sua esasperazione, sta aumentando la visibilità dei cristiani e del cristianesimo, e obbliga ad una riflessione seria e matura sul passato coloniale, che fino a questo momento non è stato svolto. L’atteggiamento delle autorità islamiche è infatti quello di rimuovere il passato, ma non di comprenderlo, e nemmeno di accettarlo; da questo punto di vista, i cristiani vengono ancora percepiti come espressione di una civiltà che si presentava come superiore.


Letture Consigliate

  • Narciso, J. B. (2008). Christianization in New Order Indonesia (1965-1998): Discourses, Debates and Negotiations. Melintas: An International Journal of Philosophy and Religion, 24(3), 407-428.
  • Widjaja, I., & Simangunsong, A. (2025). Evangelism Mission in the Trap of Christianization Issues: An Attempt to Restore an Inclusive Alternative Evangelism Model in Diverse Indonesia. Indonesian Journal of Religious, 8(1), 1-13.
  • Hamid, A., Shalih, M. U., & Uyuni, B. (2023). Christianization as a challenge for Islamic daʿwah in Indonesia. Millah: Journal of Religious Studies, 19-60.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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