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Abstract

L’Indonesia si presenta da decenni come una nazione pluralista, un Paese che, secondo la sua struttura normativa e costituzionale, tutela la coesistenza pacifica tra differenti confessioni religiose; la sua filosofia statale, la Pancasila, proclama esplicitamente il rispetto per la diversità e la libertà di culto, riconoscendo ufficialmente sei religioni, ovvero islam, cristianesimo (nelle sue due confessioni protestante e cattolica), induismo, buddhismo e confucianesimo. Tuttavia, la realtà giuridica e sociale che molti cristiani vivono quotidianamente in varie aree del Paese racconta una storia differente, segnata da forme più o meno evidenti di discriminazione e persecuzione giudiziaria.


Indonesia has presented itself for decades as a pluralistic nation, a country that, according to its normative and constitutional structure, protects the peaceful coexistence of different religious confessions; its state philosophy, Pancasila, explicitly proclaims respect for diversity and freedom of worship, officially recognizing six religions, namely Islam, Christianity (in its two denominations, Protestant and Catholic), Hinduism, Buddhism, and Confucianism. However, the legal and social reality that many Christians experience daily in various areas of the country tells a different story, marked by more or less evident forms of discrimination and judicial persecution.


Tolleranza Proclamata, Giustizia Diseguale

L’Indonesia si fonda giuridicamente su una Costituzione che garantisce la libertà religiosa e vieta la discriminazione per motivi di credo; il sistema legale del Paese presenta tuttavia numerose ambiguità che vengono sfruttate dalle amministrazioni locali e a volte anche centrali. La presenza di leggi contro la blasfemia (Pasal 156a del Codice Penale), l’autonomia concessa ai governi locali nel regolare le pratiche religiose e l’esistenza di regolamenti settoriali basati sull’interpretazione islamica hanno aperto la strada a numerosi abusi.

La legge sulla blasfemia, introdotta nel 1965 durante l’era Sukarno, prevede pene fino a cinque anni di carcere per chiunque ‘pubblicamente diffami o insulti una religione professata in Indonesia’; anche se tale legge è formalmente applicabile a tutte le religioni, nella prassi essa colpisce quasi esclusivamente gli esponenti delle minoranze religiose. Ad essere oggetto di questa interpretazione selettiva e discriminatoria sono soprattutto cristiani, ahmadiyya, sciiti o adepti di culti sincretici locali, con una sproporzione che ha attirato l’attenzione delle organizzazioni per i diritti umani, sia nazionali che internazionali.

Il clima di intolleranza, che spesso parte dalle istituzioni locali, viene alimentato da predicatori che diffondono messaggi contrari ai valori democratici, sia salafiti che non; il concetto di ‘armonia religiosa’, in effetti, sembra essere il riferimento principale per giustificare indebite restrizioni alla libertà religiosa in Indonesia. Spesso, tra le accuse (infondate) rivolte ai cristiani (ma anche ad altre minoranze religiose come gli sciiti) si trova quella di ‘disturbare l’armonia religiosa’; in altre parole, i cristiani vengono accusati di professare la loro fede, che sarebbe una minaccia allo status quo.


Il Caso Ahok – Una Svolta Simbolica

Uno degli episodi più emblematici della tensione tra diritto e libertà religiosa è rappresentato dalla vicenda di Basuki Tjahaja Purnama, noto come Ahok, ex governatore di Jakarta, cristiano e di etnia cinese; nel 2016, durante una campagna elettorale, Ahok fu accusato di blasfemia per aver citato un versetto coranico in modo ritenuto offensivo da alcuni ambienti islamici conservatori. Nonostante avesse presentato le sue scuse e non avesse espresso alcun intento offensivo, egli fu oggetto di una vasta mobilitazione di piazza (le cosiddette proteste del gruppo islamista ‘212’) orchestrate da gruppi radicali come il FPI (Fronte dei Difensori dell’Islam).

Ahok con la divisa da Governatore di Jakarta

La nozione di ‘difesa dell’Islam’, in effetti, è un secondo concetto usato per legittimare azioni che sarebbero vietate dalla costituzione laica del Paese; si tratta, probabilmente, di una sorta di compromesso implicito tra la maggioranza islamica e chi governa il Paese, retto formalmente da una legge secolare. La realtà dei diversi territori (Giava Occidentale, Padang, ecc), in effetti, sembra testimoniare questa tensione, che si risolve in un uso asimmetrico delle leggi a favore della maggioranza sunnita.

Il tribunale di Jakarta Nord condannò Ahok nel 2017 a due anni di carcere per ‘blasfemia’ e tale condanna rappresentò un precedente significativo, non solo per la figura politica di alto profilo coinvolta, ma anche e soprattutto per il messaggio lanciato all’intera minoranza cristiana. In effetti, nemmeno un rappresentante eletto secondo le regole decise dai legislatori islamici, che si richiamano apertamente ai valori democratici e alla Pancasila, può essere al riparo degli attacchi ideologici della maggioranza, se lo status quo viene percepito sotto attacco.


Sentenze Minori, Effetti Profondi

Il caso Ahok, del resto, non fu isolato, ma fu piuttosto la punta visibile di un iceberg giudiziario, e, negli anni successivi, decine di cristiani sono stati sottoposti a procedimenti giudiziari per presunti reati di blasfemia o per ‘attività religiose non autorizzate’. In molti casi, le accuse si fondano su interpretazioni estensive (e discriminatorie) delle norme o su pressioni provenienti da gruppi radicali, sia proscritti, come il 212 (che tiene ogni anno una manifestazione di massa a Jakarta) che di altri movimenti ispirati a questa esperienza.

Nel 2021 è stato arrestato Muhammad Kosman, noto come Kace o Kece con l’accusa di blasfemia, a causa di video su Youtube in cui criticava l’Islam da una prospettiva cristiana e apologetica (non accademica); in seguito al suo arresto, egli è stato assoggettato ad abusi e torture sotto la copertura degli agenti presso cui era in custodia. Nel 2022 è stato trovato colpevole di aver diffuso notizie false e di fomentare l’odio religioso, ma nel 2024 è stata chiesta una revisione della sentenza origiaria; si tratta di un caso molto grave, che riguarda la libertà di espressione di un convertito al cristianesimo. Evidentemente, il giudizio di ‘offesa all’islam’ è un concetto decisamente flessibile, che permette a giudici e polizia di applicare le leggi del Paese a favore della maggioranza dominante; nel caso in esame, il tono e le intenzioni del convertito sono state giudicate offensive e potenzialmente divisive.

Nel 2024, il pastore protestante Gilbert Lumoindong ,una delle voci più note della comunità evangelica carismatica in Indonesia, si è trovato al centro di un acceso dibattito nazionale dopo essere stato denunciato per blasfemia. Durante un sermone rivolto ai suoi fedeli, e successivamente diffuso online, il pastore aveva paragonato (in maniera controversa e polemica) la zakat islamica, uno dei pilastri fondamentali dell’Islam, alla pratica della decima nel cristianesimo. Si tratta, del resto, di un personaggio ripreso in passato dalla sua stessa chiesa, e che continua a suscitare controversie a causa del suo stile di vita sfarzoso e dei toni polemici dei suoi sermoni.

Alcuni leader musulmani, in particolare nella capitale e nella provincia di Sulawesi Meridionale, hanno presentato denunce formali, chiedendo l’apertura di un’indagine sulla base della controversa Legge sulle Transazioni Elettroniche e Informatiche (ITE), spesso impiegata per perseguire reati di ‘odio religioso’. Pur avendo pubblicamente espresso le proprie scuse e chiarito di non aver voluto offendere nessuno, Lumoindong è stato ugualmente esposto a un’ondata di critiche e minacce (ma non è stato arrestato), e la vicenda ha riaperto una ferita profonda nel tessuto sociale del Paese, quella della convivenza tra maggioranze religiose e minoranze.


Il Nodo delle Autorizzazioni Religiose

Un’altra forma indiretta di discriminazione giuridica emerge nella costruzione e nel riconoscimento di luoghi di culto; la normativa indonesiana (Decreti Congiunti n. 8 e 9 del 2006 del Ministero per gli Affari Religiosi e del Ministero degli Interni) prevede (art. 14) che l’edificazione di una chiesa debba essere autorizzata da almeno 60 residenti locali e ottenere l’approvazione delle autorità municipali e interreligiose. I permessi relativi alla provincia di Aceh sono ancora più stringenti, come già discusso su questa rivista; in generale, ottenere tali permessi si rivela spesso arduo, se non impossibile.

Secondo un rapporto del Setara Institute (2025), sono numerose le richieste per la costruzione di chiese ad essere state state respinte, ostacolate o ignorate; alcuni tribunali locali hanno giustificato queste decisioni richiamandosi alla ‘pace sociale’ o alla ‘non conformità’ con i criteri tecnici, ma in molti casi si è trattato di pressioni religiose giustificate con la burocrazia.

Nel 2022, le autorità del distretto di Cilegon (Banten) hanno bloccato la costruzione di una chiesa protestante (della Congregazione HKBP Maranatha), nonostante l’iter legale fosse stato rispettato; la decisione è stata giustificata dalla volontà di ‘preservare l’armonia religiosa’ e ha ottenuto il sostegno di gruppi islamici locali. Il tribunale amministrativo ha successivamente confermato la decisione, ignorando le proteste della comunità cristiana locale e le raccomandazioni dell’Ombudsman nazionale.


Strumentalizzazioni e Silenzi Istituzionali

Sebbene la magistratura indonesiana non agisca sempre in maniera intenzionalmente discriminatoria, numerose sentenze mostrano come la pressione politica e sociale esercitata da movimenti islamici conservatori riesca spesso a influenzare le decisioni giudiziarie. La mancanza (di fatto) di una chiara separazione tra autorità religiosa, pressioni sociali e indipendenza del potere giudiziario si traduce in una giustizia flessibile, adattabile al contesto locale e quindi potenzialmente iniqua per le minoranze.

Gli osservatori internazionali, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, hanno più volte segnalato l’abuso delle leggi sulla blasfemia come strumento per silenziare il dissenso e limitare la libertà di espressione religiosa. Le autorità indonesiane, pur riconoscendo occasionalmente le problematiche, non hanno finora avviato riforme strutturali significative. Il timore di scontri confessionali, oppure di perdere il sostegno delle comunità islamiche più influenti induce spesso i governi a una prudenza eccessiva, se non a un vero e proprio immobilismo.

Un esempio, in questo senso, è costituito dalla chiesa protestante HKBP di Bekasi (vicino a Jakarta), che, pur avendo ottenuto sentenze che attestavano i necessari permessi non è mai stata costruita; di conseguenza, i fedeli sono stati costretti a riunirsi sotto la pioggia e sotto costante minaccia da parte della popolazione locale. Si tratta di un esempio di resistenza rispetto ad una evidente ingiustizia, derivante dalla volontà delle autorità locali di non attuare le decisioni prese dalle istituzioni nazionali (corte suprema) per il timore di perdere il consenso tra le masse radicalizzate locali.


Il Ruolo dei Tribunali Religiosi e delle Interpretazioni Locali

In alcune province, come Aceh, la situazione è ancora più complessa, in quanto, come noto, qui vige un sistema giuridico parallelo ispirato alla shariah, che si applica a tutti i musulmani ma che spesso coinvolge anche i non musulmani in casi civili o comunitari. Nonostante Aceh garantisca formalmente il rispetto delle libertà religiose, nella prassi esistono numerosi episodi di pressioni indebite e minacce nei confronti dei cristiani che chiedono il riconoscimento dei loro diritti, specialmente nei distretti in cui in cui i cristiani costituiscono una minoranza significativa.

Anche in altre aree dell’arcipelago, poi, l’autorità dei leader religiosi locali e la pressione dei gruppi islamisti incidono profondamente sulle decisioni delle autorità civili; in alcuni casi, giudici e funzionari pubblici si trovano costretti a bilanciare la legge nazionale con le aspettative religiose dominanti, generando un pericoloso cortocircuito normativo.


Verso Una Riforma Necessaria – Raccomandazioni e Prospettive

La sopravvivenza del pluralismo religioso in Indonesia dipenderà dalla capacità dello Stato di garantire l’applicazione egualitaria del diritto; per questa ragione, è necessaria sia una profonda e radicale revisione delle leggi sulla blasfemia, ma anche un rafforzamento dell’indipendenza giudiziaria, della protezione delle minoranze e della trasparenza amministrativa nel rilascio delle autorizzazioni per i luoghi di culto.

Pertanto, è necessario rimuovere o delimitare con precisione le definizioni ambigue come ‘incitamento’, che creano uno spazio discrezionale pericoloso, usato dalle autorità islamiche per applicare le leggi in maniera asimmetrica, a vantaggio della maggioranza sunnita. E’ bene ricordare che i precedenti tentativi di riformare la controversa legge sulla blasfemia, introdotta da Suharto, sono stati frustrati dalle pressioni delle principali organizzazioni islamiche.

Ancora più importante, occorre promuovere l’alfabetizzazione giuridica e religiosa tra i cittadini, rafforzare i meccanismi di controllo sugli abusi e sostenere una cultura della tolleranza nelle istituzioni educative; le comunità cristiane, pur nella loro vulnerabilità, continuano a giocare un ruolo attivo nel tessuto sociale indonesiano, spesso offrendo contributi significativi nei settori dell’istruzione, della sanità e della mediazione interreligiosa.

Un primo segnale positivo, da questo punto di vista, sono stati i recentissimi interventi del Ministro per gli Affari Religiosi, che sta cercando di contrastare l’ondata di intolleranza che recentemente ha colpito l’Indonesia (Sukabumi, Padang, ecc), e che rischiano di innescare un fenomeno dalle proporzioni maggiori se non contrastato attivamente dalle istituzioni del Paese. L’auspicio è che queste azioni non rimangano isolate, e si possano estendere alle comunità locali, dove si concentrano le problematiche culturali.


Conclusione

La giustizia non può piegarsi alla paura, e nemmeno alla pressione dei gruppi che, in nome della religione, cercano di escludere l’altro; l’Indonesia, con la sua ricca tradizione di pluralismo e spiritualità, ha la responsabilità di mostrare al mondo che la convivenza è possibile. Tale ideale, tuttavia, non può essere realizzato senza un serio impegno per una giustizia equa, che non discrimini in base all’appartenenza religiosa. Le sentenze contro i cristiani, spesso motivate da logiche politiche o intimidazioni sociali, sono ferite aperte nel corpo della democrazia indonesiana, e sanarle è un imperativo non solo giuridico, ma soprattutto etico e di interesse nazionale.


Letture Consigliate

  • Hasani, I., & Halili, H. (2023). Human Rights and Constitutionality Issues of Blasphemy Law in Indonesia. Jurnal Konstitusi.
  • Putri, R. Y., Sufaidi, A., Rahmawati, S., Fikana, N. S., Dauhan, A. P., Irawan, W. T., … & Putry, R. P. M. (2024). Church and State in Conflict Over The Establishment Protestant Church. Journal of Urban Sociology1(1), 18-26.
  • Rasiwan, I., Kadir, A. B. D., & Mantu, R. (2025). Behind the Bureaucratic Wall: The Paradox of House of Worship Regulations in Indonesia. Potret Pemikiran29(1), 1-22.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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