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L’Indonesia ha sviluppato una precisa strategia di contrasto al terrorismo, ma tollera una crescente radicalizzazione dell’uso politico dell’Islam a scopi politici ed elettorali; per questa ragione, la lotta al terrorismo non appare efficace e rimane condizionata da una gestione del potere élitaria e sempre più distante dalle necessità degli indonesiani.

Indonesia has developed a clear counter-terrorism strategy, but it tolerates increasing radicalisation in the political use of Islam for political and electoral purposes; For this reason, the fight against terrorism does not appear effective and remains conditioned by an elite power management that is increasingly distant from the needs of Indonesians.


Introduzione – Lotta al Terrorismo

L’Indonesia, arcipelago immenso e crocevia di rotte culturali, religiose ed economiche, rappresenta attualmente il Paese che ospita la comunità islamica più numerosa al mondo (circa 250 milioni di musulmani sunniti, come risulta dai documenti). Si tratta dell’87% circa della popolazione totale (poco meno di 285 milioni di persone nel settembre 2025), e, a ragione di queste caratteristiche, il Paese asiatico può essere considerato un osservatorio privilegiato per comprendere le trasformazioni delle relazioni tra religione, politica e sicurezza nel XXI secolo. In nessun altro luogo appare così evidente la tensione tra due forze contrapposte; da un lato, la vocazione pluralista e democratica che ha caratterizzato la transizione post-Soeharto. Dall’altro l’affermazione crescente di un islam politicizzato, capace di incidere non soltanto sul tessuto sociale, ma anche sugli equilibri istituzionali e sulla vita pubblica.

La strategia indonesiana di contrasto al terrorismo si colloca, inevitabilmente, all’interno di questa dialettica; essa non può dunque essere compresa unicamente attraverso la lente securitaria, ma, al contrario, è necessario interpretare i risultati ottenuti alla luce di un quadro più ampio. In Indonesia, in effetti, la religione maggioritaria, l’Islam, diventa strumento di mobilitazione politica e, al tempo stesso, fattore di legittimazione per lo Stato.


Dagli Attentati di Bali alla Costruzione di un Apparato Securitario

Il trauma collettivo drivante dagli attentati di Bali del 2002, in cui persero la vita oltre duecento persone, fu un punto di svolta per l’Indonesia; per la prima volta emerse la vulnerabilità di questo Paese al terrorismo transnazionale, legato alle reti di al-Qaeda e di Jemaah Islamiyah. L’immagine del paradiso tropicale fu infranta da esplosioni che colpirono non solamente il centro turistico dell’arcipelago, ma anche la coscienza nazionale.

Da allora, il Paese si è dotato di un sofisticato apparato di sicurezza, che si basa su una legislazione speciale e sulla Densus 88, un’unità speciale antiterrorismo formata con l’assistenza di Stati Uniti e Australia. I risultati sono tangibili, e leader jihadisti come Muhammad Noordin Top e Azahari Husin vennero neutralizzati, mentre decine di cellule furono e vengono ancora smantellate nell’intero Paese, come dimostra la cronaca.

La capacità di pianificare attentati su larga scala si è dunque drasticamente ridotta, restituendo all’opinione pubblica una sensazione di controllo; ciò nonostante, la minaccia terroristica rimane latente, a causa della diffusione di idee radicali, che talvolta riescono a permeare anche le istituzioni dello Stato. E’ recente la notizia dell’arresto di sospetti terroristi tra i dipendenti del Ministero degli Affari Religiosi;

“Ho ricevuto un rapporto dal Capo dell’Ufficio Regionale del Ministero degli Affari Religiosi della Provincia di Aceh in merito all’arresto di un funzionario pubblico con le iniziali MZ da parte di Densus 88, sospettato di coinvolgimento in un movimento terroristico. Ho anche letto la lettera di notifica dell’arresto di Densus 88 indirizzata al Capo dell’Ufficio Regionale del Ministero degli Affari Religiosi della Provincia di Aceh”, ha dichiarato Kamaruddin (Ministro degli Affari Religiosi, ndr) in un comunicato stampa mercoledì (6 agosto 2025).

Irfan Amin, Respons Kemenag soal ASN-nya yang Ditangkap Densus 88 Polri, La risposta del Ministero degli Affari Religiosi ai suoi dipendenti pubblici arrestati da Densus 88 Polri, Tirto, 6 Agosto 2025.

Questa notizia dimostra che la repressione militare e poliziesca non è sufficiente a contrastare il terrorismo, se non si agisce anche sugli elementi che lo possono favorire e alimentare; la radicalizzazione normalizzata del discorso politico e della religione sono elementi che spesso non vengono considerati a sufficienza.


Il ‘Soft Approach’ – Tra Idealismo e Limiti Strutturali

Parallelamente alla repressione, lo Stato indonesiano ha adottato un approccio complementare, denominato soft approach; che si fonda sulla convinzione che il radicalismo non possa essere sconfitto soltanto con la forza delle armi, ma debba essere disinnescato attraverso il dialogo, la rieducazione ed il reinserimento sociale.

Nei penitenziari, i detenuti per reati legati al terrorismo vengono coinvolti in sessioni con studiosi islamici moderati, che mirano a proporre un’interpretazione più aperta e contestualizzata del Corano e delle scritture islamiche. Alcuni ex jihadisti, convertitisi a posizioni meno estreme, sono stati utilizzati come ‘testimonial’ di un percorso di reintegrazione; alle famiglie dei prigionieri, spesso stigmatizzate e isolate, sono stati offerti sostegni materiali ed economici per impedire che la marginalità diventasse terreno fertile per nuovi reclutamenti.

Nonostante le intenzioni fossero valide e fondate, i limiti di questo approccio sono emersi con chiarezza, in quanto sono stati diversi i detenuti ad aver aderito solo formalmente a questi programmi, allo scopo di di pena, per poi riunirsi a reti estremiste una volta tornati liberi. Inoltre, la mancanza di un coordinamento sistematico fra agenzie di sicurezza, ministeri e organizzazioni religiose ha spesso ridotto l’efficacia di tali iniziative, che restano episodiche e frammentarie. La sensazione, soprattutto alla luce delle notizie di cronaca, è che questo approccio ‘soft’ serva più come rassicurazione pubblica che come strumento effettivo di de-radicalizzazione.

Il vero problema, che rimane un tabù della società indonesiana, è differente, ed è legato ad una lettura politica e radicale dell’Islam sunnita, che, oggi come nel passato, diventa uno strumento di potere al servizio di un’élite sempre più distante dai reali problemi del Paese. Si tende dunque a ragionare e intervenire sugli effetti della radicalizzazione e del terrorismo, ma non sulle loro cause profonde.


L’Ambiguità dello Stato – Repressione e Legittimazione del Radicalismo Politico e Religioso

Il problema reale della strategia contro il terrorismo risiede nell’ambiguità strutturale delle politiche indonesiane; da un lato lo Stato reprime con fermezza il terrorismo violento (attentati, ecc.), dall’altro, sono proprio le istituzioni che tollerano (e talvolta incoraggiano) la crescita di un islam politico che, pur non ricorrendo alle armi, promuove un’agenda confessionale destinata a erodere i principi di pluralismo e laicità.

Si tratta di un moello di Islam che, evidentemente, non è compatibile con la democrazia e con la Pancasila, ma che, nondimeno risulta funzionale alle esigenze della maggioranza che detiene il potere; il caso di Sulawesi Nord, risulta illuminante. Si tratta di una provincia a maggioranza cristiana, in cui, dunque, non si è sviluppato (o non è ancora evidente) un Islam politico (a causa della condizione di minoranza dei musulmani), e testimonia la possibilità di pacifica convivenza e cooperazione tra musulmani e chi appartiene ad altre confessioni religiose.

Il caso del governatore cristiano Basuki Tjahaja Purnama, noto come Ahok, è poi, esemplare, e ricorda che gli islamisti vengono tollerati dal potere quando le loro azioni si allineano con obiettivi istituzionali. Da questo punto di vista, questi gruppi radicali possono essere paragonati ad una sorta di ‘estrema destra’, che viene usata e mantenuta in vita per ragioni di convenienza politica e di consenso elettorale.


Islamizzazione Normativa e Compromessi Locali

L’ambiguità emerge anche in ambito legislativo, e, sebbene la Costituzione indonesiana sancisca formalmente la libertà religiosa e la neutralità dello Stato, numerose province e distretti hanno introdotto regolamenti ispirati alla sharia. Spesso queste normative riguardano la moralità pubblica, il consumo di alcolici o l’abbigliamento femminile, creando un mosaico di micro-regimi che differiscono sensibilmente dal quadro nazionale, ma non lo modificano nella sostanza.

L’unica eccezione, in questo senso, è rappresentata da Aceh, l’unica provincia in cui vige una legislazione islamica, che si concentra sugli aspetti più visibili, come le punizioni fisiche più lievi (flagellazioni), ma non prevede le sanzioni più estreme (come la lapidazione). Non sorprende, dunque, la presenza e rilevanza dei tribunali islamici, che hanno competenze più estese rispetto a quelli presenti nel resto del Paese; la concessione della sharia, evidentemente, è stata una scelta politica precisa.

Il governo centrale ha cercato di pacificare la regione dopo decenni di scontro armato, ma ha di fatto normalizzato un modello giuridico ispirato alla sharia, creando un precedente per altre aree del Paese che potrebbero richiedere la medesima concessione.


Partiti Politici, Organizzazioni Religiose e Tecnologia

La vita politica indonesiana è attraversata da attori ambivalenti, in cui, si osserva la presenza di grandi organizzazioni islamiche tradizionali, Nahdlatul Ulama e Muhammadiyah, che con le loro reti di scuole, università e associazioni rappresentano un baluardo contro l’estremismo. Queste due associazioni, che congiuntamente contano, secondo le stime, circa 150-160 milioni di persone (oltre la metà della popolazione totale), tendono a promuovere un islam relativamente moderato e compatibile con un certo pluralismo democratico. Dall’altro lato, partiti come il Partito della Giustizia e della Prosperità (PKS) e movimenti riconducibili all’esperienza di Hizbut Tahrir Indonesia veicolano un’agenda più confessionale, capace di influenzare l’opinione pubblica e di condizionare le dinamiche elettorali.

Il rischio reale, dunque, non risiede nelle azioni violente di gruppi minoritari e marginali, ma nella progressiva normalizzazione del discorso radicale, che diventa legittimo strumento di lotta politica; il risultato di questo approccio è evidente, e le discriminazioni dei gruppi confessionali e etnici lo dimostra.

Non tutti i partiti ‘islamici’ presentano, tuttavia, le medesime caratteristiche, come dimostrano il PKB (Partito del Risveglio Nazionale) e il PKS (Partito della Giustizia e della Prosperità); sebbene ad entrambi possa essere assegnata l’etichetta di ‘partito islamico’, essi presentano differenze significative.

Il primo è legato a NU, e rappresenta gli interessi e le aspirazioni dei ‘musulmani tradizionalisti, con un forte radicamento nelle aree rurali. Il secondo, invece, è connotato da elementi islamisti e modernisti, e si ispira alle metodologie e ideologie dei Fratelli Musulmani, esercitando la sua influenza nei centri urbani e nelle persone colte o comunque con una maggiore scolarizzazione.

Un ulteriore elemento da considerare è rappresentato dal ruolo delle tecnologie digitali, come i social media, onnipresenti nella vita quotidiana indonesiana, che hanno agevolato la diffusione di ideologie radicali, bypassando i controlli tradizionali dello Stato. I gruppi estremisti (non necessariamente terroristici) utilizzano piattaforme come Facebook, WhatsApp e Telegram per diffondere messaggi, reclutare simpatizzanti e costruire comunità virtuali. La propaganda jihadista, poi, adattata ai linguaggi locali e spesso rivestita di un’aura di legittimità religiosa, trova un terreno di diffusione capillare e difficilmente controllabile.


Conclusione

L’esperienza indonesiana mostra con chiarezza come la lotta al terrorismo non possa essere separata dal contesto politico e sociale in cui essa si sviluppa; l’apparato securitario ha ottenuto successi importanti nel neutralizzare le reti jihadiste e impedire attentati violenti e armati, ma la battaglia ideologica rimane aperta. L’ambiguità dello Stato, pronto a reprimere la violenza esplicita, ma disposto a tollerare e assecondare l’islam politico, rappresenta la reale sfida per il futuro.

Ci si chiede dunque, retoricamente, se tale strategia sia sostenibile nel lungo periodo, e la tolleranza selettiva verso il radicalismo politico, motivata dal calcolo elettorale o dal compromesso con le élite religiose locali, rischia di compromettere ed erodere i fondamenti pluralisti della Repubblica. L’arcipelago si trova sospeso fra l’ambizione di una democrazia islamica che possa essere un modello per altri Paesi, e la crescente pressione di forze che vorrebbero piegare le istituzioni ad un’agenda confessionale, islamica.

In questo scenario, diventa evidente il paradosso di un’Indonesia che combatte i gruppi terroristici (ISIS, Al Qaeda, ecc.) con efficacia, ma permette che il radicalismo informi progressivamente il discorso pubblico e le strutture normative. Si tratta dunque di un equilibrio instabile, che potrebbe trasformarsi, in un terreno fertile per nuove ondate di estremismo, normalizzate dall’islamizzazione delle istituzioni democratiche.


Letture Consigliate

  • Hefner, R. W. (2000). Civil Islam: Muslims and Democratization in Indonesia. Princeton University Press.
  • van Bruinessen, M. (Ed.). (2013). Contemporary Developments in Indonesian Islam: Explaining the Conventional and the New. ISEAS–Yusof Ishak Institute.
  • Abuza, Z. (2003). Militant Islam in Southeast Asia: Crucible of Terror. Lynne Rienner Publishers.

Di Salvatore Puleio

Salvatore Puleio è analista e ricercatore nell'area 'Terrorismo Nazionale e Internazionale' presso il Centro Studi Criminalità e Giustizia ETS di Padova, un think tank italiano dedicato agli studi sulla criminalità, la sicurezza e la ricerca storica. Per la rubrica Mosaico Internazionale, nel Giornale dell’Umbria (giornale regionale online) e Porta Portese (giornale regionale online) ha scritto 'Modernità ed Islam in Indonesia – Un rapporto Conflittuale' e 'Il Salafismo e la ricerca della ‘Purezza’ – Un Separatismo Latente'. Collabora anche con ‘Fatti per la Storia’, una rivista storica informale online; tra le pubblicazioni, 'La sacra Rota Romana, il tribunale più celebre della storia' e 'Bernardo da Chiaravalle: monaco, maestro e costruttore di civiltà'. Nel 2024 ha creato e gestisce la rivista storica informale online, ‘Islam e Dintorni’, dedicata alla storia dell'Islam e ai temi correlati. (i.e. storia dell'Indonesia, terrorismo, ecc.). Nel 2025 ha iniziato a colloborare con la testata online 'Rights Reporter', per la quale scrive articoli e analisi sull'Islam, la shariah e i diritti umani.

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