- Il 7 Ottobre 2023 in Indonesia
- Nahdlatul Ulama e Muhammadiyah – La Voce dell’Islam Indonesiano
- La Stampa e i Toni della Narrazione Pubblica
- Le Chiese Indonesiane – Compassione e Cautela
- La Società Civile e il Linguaggio della Solidarietà Islamica
- La Memoria Geopolitica e la Posizione Internazionale
- Un Trauma che Attraversa le Coscienze
- Conclusione
- Letture Consigliate
Il 7 ottobre del 2023 ha segnato una svolta radicale negli equilibri del Medio Oriente, e l’attacco di Hamas è stato percepito come una reazione giustificabile di fronte alla presunta aggressività di Israele; in altre parole, questo conflitto è stato interpretato secondo la consolidata retorica anti-coloniale, con una solidarietà islamica unilaterale per la Palestina.
October 7, 2023, marked a radical turning point in the balance of power in the Middle East, and Hamas’s attack was perceived as a justifiable reaction to Israel’s alleged aggression; In other words, this conflict has been interpreted according to the established anti-colonial rhetoric, with one-sided Islamic solidarity for Palestine.
Il 7 Ottobre 2023 in Indonesia
Il 7 ottobre 2023, l’alba che si levò su Israele e sulla Striscia di Gaza inaugurò una delle giornate più tragiche e decisive della storia recente del Medio Oriente; il movimento islamista Hamas, che governa la Striscia dal 2007, lanciò un’offensiva senza precedenti contro Israele, rompendo la fragile routine di tregue intermittenti e provocando una crisi umanitaria e politica di proporzioni globali. Le immagini dei kibbutz devastati, dei civili israeliani uccisi o rapiti e delle rappresaglie israeliane su Gaza segnarono immediatamente il dibattito internazionale. In Indonesia, il più popoloso paese islamico del mondo, la notizia risuonò con toni particolari, intrecciandosi ad una lunga e consolidata tradizione di solidarietà islamica, equilibri diplomatici e sensibilità nazionali verso la questione palestinese.
Nei giorni immediatamente successivi all’attacco, la stampa indonesiana si fece eco della tragedia con una miscela di emozione e prudenza; testate di primo piano come Kompas, Tempo, Republika e Jakarta Post dedicarono ampi spazi agli sviluppi del conflitto, alle dichiarazioni dei leader internazionali e alle immagini provenienti da Gaza e da Israele. Tuttavia, la narrazione dominante non si concentrò tanto sulla dinamica militare quanto sull’impatto umanitario e politico dell’evento, interpretato da molti commentatori come l’ennesimo atto di un conflitto asimmetrico e coloniale.
Il presidente Joko Widodo (Jokowi), mantenendo la linea tradizionale della diplomazia indonesiana, condannò la violenza da entrambe le parti, ma richiamò l’attenzione della comunità internazionale sulla necessità di affrontare le ‘cause profonde’ del conflitto, ovvero la presunta occupazione e la negazione dei diritti nazionali dei palestinesi. Il ministero degli Esteri, guidato da Retno Marsudi, riaffermò che la pace richiede la creazione di uno Stato palestinese indipendente, entro i confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale. Si tratta di una formula liturgica nella retorica indonesiana, e rappresenta il nucleo della posizione di Jakarta a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, coerente con la politica estera anticoloniale sancita dalla Konferensi Asia-Afrika di Bandung del 1955.
Nahdlatul Ulama e Muhammadiyah – La Voce dell’Islam Indonesiano
Tra i primi a reagire vi furono i vertici delle due principali organizzazioni islamiche del Paese, Nahdlatul Ulama (NU) e Muhammadiyah; anche se entrambe le organizzazioni condividevano una profonda solidarietà verso la causa palestinese, le due istituzioni hanno tradizionalmente adottato toni diversi nel definire la natura della risposta islamica.
La Nahdlatul Ulama, sotto la guida di Yahya Cholil Staquf, invitò alla moderazione e alla preghiera per le vittime di entrambe le parti, pur ribadendo che la pace non può esistere in presenza di ingiustizia strutturale. Il messaggio, pubblicato nel sito ufficiale dell’organizzazione e ripreso da NU Online il 9 ottobre 2023, esprimeva empatia per il popolo palestinese ma sottolineava che la violenza indiscriminata non può essere giustificata da nessuna interpretazione religiosa. Staquf, ha ribadito che
L’ispirazione religiosa alla misericordia e alla giustizia universali deve essere prioritaria per attuare sforzi di risoluzione dei conflitti a tutti i livelli, sia nella struttura politica che a livello comunitario.
Patoni, Ketua Umum PBNU Prihatin atas Konflik Israel-Palestina dan Desak Hentikan Kekerasan, Il presidente del PBNU ha espresso preoccupazione per il conflitto israelo-palestinese e ha sollecitato la fine della violenza, NU Online, 9 Ottobre 2023.
Più netta, invece, la posizione di Muhammadiyah, storicamente più incline a dun islam riformista e militante; il presidente Haedar Nashir condannò duramente le operazioni israeliane su Gaza, definendole un atto crudele e non proporzionato un popolo sotto occupazione. Fu lui a pubblicare le richieste sul sito ufficiale dell’organizzazione, lanciando (nel punto 5), un
Mengimbau kepada semua pihak di tanah air untuk menyikapi perang Israel-Palestina dengan rasional dan arif serta tidak terprovokasi oleh berbagai informasi provokatif, hoaks, dan menyesatkan yang disampaikan oleh pihak-pihak tertentu yang memanfaatkan perang Israel-Palestina untuk kepentingan politik tertentu yang berpotensi menimbulkan masalah di dalam negeri.
Appello a tutte le parti del Paese affinché rispondano alla guerra israelo-palestinese in modo razionale e saggio e non si lascino provocare dalle varie informazioni provocatorie, fasulle e fuorvianti trasmesse da alcune parti che stanno sfruttando la guerra israelo-palestinese per determinati interessi politici che potrebbero causare problemi all’interno del Paese.
Afandi, Perang Israel dan Palestina, Muhammadiyah Keluarkan Tujuh Poin Pernyataan Sikap, Muhammadiyah rilascia una dichiarazione in sette punti sulla guerra tra Israele e Palestina, Muhammadiyah Online, 8 ottobre 2023.
Allo stesso tempo, Muhammadiyah invitò i suoi membri a contribuire con aiuti umanitari e raccolte fondi, promuovendo la creazione di una campagna nazionale di solidarietà che coinvolse scuole, moschee e università islamiche in tutto l’arcipelago.
La Stampa e i Toni della Narrazione Pubblica
L’ecosistema mediatico indonesiano, storicamente sensibile alla questione palestinese, si divise tra una copertura emotiva e una lettura politica più misurata; Republika, giornale vicino agli ambienti islamici conservatori, mise in prima pagina titoli che enfatizzavano il ‘pericolo israeliano’, ponendo una particolare enfasi sulle vittime palestinesi. Kompas, testata più moderata, scelse invece di presentare analisi geopolitiche e commenti di esperti di politica estera, sottolineando come l’attacco di Hamas rischiasse di compromettere i recenti tentativi di normalizzazione tra Israele e i paesi arabi, in particolare con l’Arabia Saudita.
Il discorso pubblico si spostò rapidamente sui social media, dove le reazioni furono intense e spesso polarizzate; mentre molti utenti esprimevano solidarietà totale alla Palestina, non mancavano voci critiche verso Hamas, accusata di aver innescato una spirale di sofferenza civile inutile. Tuttavia, la maggior parte della società civile indonesiana lesse gli eventi del 7 ottobre come una conseguenza della presunta ‘ingiustizia storica’ subita dal popolo palestinese, in continuità con la narrazione anticoloniale che permea l’identità politica dell’Indonesia post-indipendenza.
Le Chiese Indonesiane – Compassione e Cautela
Le comunità cristiane indonesiane, pur numericamente minoritarie, rappresentano un attore morale e culturale significativo, specialmente nei momenti di crisi o di tensione, sia interna che internazionale; il leader del Persekutuan Gereja-Gereja di Indonesia (PGI) e della Konferensi Waligereja Indonesia (KWI) rilasciarono dichiarazioni ufficiali che invitavano alla preghiera per la pace e alla condanna della violenza da ogni parte. L’arcivescovo di Jakarta, Ignatius Suharyo, ha condannato la violenza e ha lanciato un appello per la pace, avvertendo dei pericoli di strumentalizzare la religione nel conflitto.
Tuttavia, alcuni gruppi evangelici più conservatori espressero apertamente solidarietà a Israele, citando ragioni teologiche e bibliche; queste voci, seppure minoritarie, suscitarono controversie sui social, dove si riaccese il dibattito circa la ‘lealtà nazionale’ dei cristiani che sostengono Israele.
Una voce autorevole, in questo senso, è rappresentata da Gilbert Lumoindong, un noto predicatore protestante pentecostale-carismatico (appartiene alla Gereja Bethel Indonesia), che ha opportunamente criticato la solidarietà unilaterale verso la Palestina, e non verso Israele e i suoi abitanti.
“Quando la Palestina lancia razzi, l’Indonesia non parla di cessate il fuoco, l’Indonesia parla sempre di cessate il fuoco dopo la rappresaglia di Israele. La fede ebraica è la fede di Mosè, dente per dente, occhio per occhio, voi ci attaccate, noi tacete, vi avvertiamo, voi continuate a farlo, noi reagiamo finché non otteniamo quello che ottenete anche voi”, ha detto Gilbert Lumoindong nel suo video.
“L’Indonesia non parla mai di cessate il fuoco, quando vengono lanciati razzi, allora dite alla Palestina di fermare i razzi”, ha continuato.
Gilbert Lumoindong ha anche chiesto al governo, in questo caso al Ministro degli Esteri Retno Marsudi e al Presidente Joko Widodo, se l’Indonesia desidera la pace. Ha anche chiesto a tutte le parti di riflettere sulla richiesta di pace tra Israele e Palestina.
Suara, Khotbah Soal Seruan Damai Israel & Palestina Blunder, Pdt Lumoidong Kena Hujat, Il sermone del pastore Lumoidong sulla richiesta di pace tra israeliani e palestinesi è stato un errore, che ha suscitato critiche, Suara.com, 31 Ottobre 2023.
Si tratta di una delle poche voci che hanno avuto il coraggio di criticare l’approccio ideologico unilaterale del governo indonesiano, un approccio che il Presidente Prabowo sembra aver abbandonato nel suo recente discorso alle Nazioni Unite (che del resto ha suscitato le polemiche degli ambienti islamici più conservatori).
Le autorità religiose intervennero rapidamente per smorzare i toni, sottolineando la necessità di distinguere la politica di uno Stato dalla fede dei suoi cittadini, di fatto, questo discorso rimane una presa di posizione coraggiosa in un Paese in cui l’87% della popolazione si dichiara di fede islamica sunnita.
La Società Civile e il Linguaggio della Solidarietà Islamica
Le reazioni più visibili si osservarono nelle piazze dei principali centri, come Jakarta, Bandung, Surabaya e Yogyakarta, in cui migliaia di persone parteciparono a manifestazioni pro-Palestina organizzate da ONG, università e movimenti islamici considerati moderati. Le bandiere palestinesi si mescolarono ai simboli nazionali indonesiani, e molti oratori affermarono che la lotta palestinese è parte della lotta universale contro il colonialismo. La continuità narrativa tra Bandung (1955) e Gaza (2023) divenne il leitmotiv del discorso pubblico; l’Indonesia, patria di Soekarno e del non allineamento, si percepiva ancora come voce morale dei popoli oppressi o presunti tali.
Tra gli attori più attivi figuravano organizzazioni come Mer-C (Medical Emergency Rescue Committee), Aksi Cepat Tanggap (ACT) e Dompet Dhuafa (sotto osservazione da parte dell’Agenzia Anti Terrorismo Indonesiano) che lanciarono missioni umanitarie e raccolte di fondi, mentre intellettuali e accademici firmavano appelli per un cessate il fuoco immediato. La Universitas Islam Negeri (UIN) di Jakarta ospitò un seminario intitolato Humanitarian Crisis and the Future of Palestine, nel quale presunti esperti di politica e teologi islamici cercarono di conciliare il diritto alla resistenza con i principi etici dell’Islam, in una riedizione di un Islam politico transnazionale.
La Memoria Geopolitica e la Posizione Internazionale
La risposta indonesiana all’attacco terroristico del 7 Ottobre del 2023 non può essere compresa senza cosiderare la sua lunga memoria geopolitica; a partire dall’era di Soekarno, la questione palestinese rappresenta un pilastro della politica estera della Repubblica asiatica. L’Indonesia non riconosce ufficialmente Israele e si rifiuta di stabilire relazioni diplomatiche fino alla creazione di uno Stato palestinese. Tale posizione, ribadita da ogni governo, unisce islamisti, nazionalisti e laici, divenendo quasi un elemento di consenso nazionale che presenta pochissime eccezioni, come il predicatore protestante Lumoindong.
A livello internazionale, l’Indonesia agì in seno alle Nazioni Unite e all’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) per chiedere un’immediata cessazione delle ostilità e l’apertura di corridoi umanitari; l’allora Ministro degli Esteri, Retno Marsudi, intraprese un’intensa attività diplomatica, coordinandosi con Malesia, Turchia e Qatar. In un discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, il ministro ribadì che la punizione collettiva non può mai essere giustificata dal diritto alla difesa. Questo linguaggio riflette un certo pragmatismo diplomatico indonesiano, ovvero la ferma opposizione alla violenza israeliana senza mai cadere in una retorica di scontro di civiltà. Il Ministro, tuttavia, non accennò minimanente all’attacco di Hamas che ha dato inizio allo scontro; di conseguenza, la sua posizione non si può definire equilibrata, ma semplicemente coerente rispetto alla linea unilaterale tenuta dai governi indonesiani fino al discorso di Prabowo all’80a Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Un Trauma che Attraversa le Coscienze
Il 7 ottobre non fu solo una data di guerra, ma anche di riflessione identitaria per l’Indonesia, che, nell’ambito del mondo islamico, si percepisce come custode di un Islam moderato e dialogico, capace di coniugare fede e umanità. Di fronte al conflitto israelo-palestinese, questa immagine fu messa alla prova; le voci più moderate invitarono a non scivolare apertamente nell’odio confessionale, ricordando che l’Indonesia è multireligiosa e che la compassione dovrebbe prevalere sul risentimento e malcontento.
Eppure, nelle conversazioni pubbliche e nelle moschee il dolore palestinese veniva generalmente percepito come dolore proprio; tuttavia, non venne abbandonata la linea unilaterale, e i ripetuti attacchi contro la popolazione israeliana non vengono mai menzionati, secondo una narrazione miope e ideologica. Il risentimento per il periodo coloniale, evidentemente, non è ancora sopito, e la sua memoria storica non è ancora stata metabolizzata. Di conseguenza, Israele viene dipinto come aggressore e la Palestina come vittima innocente, mentre la realtà è decisamente differente e più complessa.
Conclusione
L’attacco terroristico del 7 ottobre 2023 non ha solamente riaperto la ferita israelo-palestinese, ma ha anche rivelato le tensioni e la percezione della società indonesiana della questione palestinese; le istituzioni religiose (NU e Muhammadiyah in primis) hanno mostrato come la pietà islamica possa declinarsi in forme di responsabilità civile. I media hanno cercato di bilanciare empatia e analisi, i cristiani e le altre minoranze hanno risposto con compassione, evitando derive identitarie. La diplomazia ha riaffermato una linea coerente con l’eredità storica di Bandung e della narrativa anti-coloniale.
Nel suo insieme, la reazione indonesiana è stata quella di una nazione che si percepisce parte morale del Sud globale, custode di un islam umanista e solidale con gli altri musulmani; nonostante le distanze geografiche, la tragedia del 7 ottobre ha toccato corde profonde della coscienza nazionale, risvegliando la memoria di una lotta anticoloniale mai del tutto conclusa. In questo senso, l’Indonesia non ha solamente reagito a un conflitto, ma si è dovuta confrontare con il suo passato coloniale, ideologizzato ma mai seriamente indagato e accettato.
Letture Consigliate
- ISEAS-Yusof Ishak Institute. (2024, 26 febbraio). Indonesian Muslims’ Responses to the Palestine-Israel Conflict: Fragmented No More? Fulcrum.
- Setiawati, S. M. (2024). The role of Indonesian government in Middle East conflict resolution after October 2023. Frontiers in Political Science, 6.
- Al-Fatih, M. (2025). Indonesia’s humanitarian diplomacy in the midst of Gaza and Ukraine crises: Narratives, challenges, and soft power potentials. Politiscope: Journal of Political Science and Policy, 1(1), 44–58.